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Acquarone: «Un Giro per il mondo»
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Acquarone: «Un Giro per il mondo»
Ha cucinato il Giro d’Italia all’ora di pranzo. Uno squarcio con il passato, ma in questo caso non si tratta né di pomodoro né tantomeno di verdura. Nel piatto un risottino nato nelle pentole e dalle mani di Davide Ol­dani, il noto chef che ha cucinato assieme a Cavendish, Contador, He­sjedal e Nibali. Un bel Giro, almeno sulla carta, quello spadellato con tutti i sacri crismi dell’evento e una modernità che fa ben sperare. Poi però a cucinarlo per davvero saranno loro, quelli che con Oldani han­no cucinato: i corridori.
Intanto però facciamo un passo in­dietro e uno in avanti, con Michele Acqua­rone, direttore generale del Giro d’Italia, che questa presentazione all’ora di pranzo, in uno spazio che abitualmente è frequentato dalle mannequins, ha voluto fortemente per mandare un messaggio forte e chiaro.
«Il passato è importante ma il Giro de­ve guardare avanti a sé e possibilmente andare anche oltre. Quindi, se per una vita la presentazione del Giro era un evento be to see, rivolto agli ap­passionati, questa volta abbiamo pensato di rivolgerci solo e soltanto ai nostri clienti, quindi un evento be to be. Volevamo far capire alle squadre, agli sponsor delle squadre e ovviamente ai corridori, che il Giro d’Italia è pronto a guardare avanti e non solo alla propria storia e al proprio passato. Se noi vogliamo che a maggio vengano le migliori formazioni del mondo con i loro migliori interpreti era ne­cessario proporre loro un week­end importante: correre Il Lombar­dia e poi mostrare loro le potenzialità del Giro e i numeri che produce e potrà produrre».

E dal tuo percepito cosa è venuto fuori?
«Le squadre hanno capito. Non si può giocare un’intera stagione solo sulle tre settimane del Tour de France. Ho parlato con gli amici della Vacansoleil che quest’anno hanno ottenuto un importante podio al Giro d’Italia, mentre al Tour non sono andati bene: il percepito in Olanda è di una stagione negativa. Non può essere così. Non può essere solo Tour de France. Quindi, quello che noi stiamo cercando di far capire ai team è che se loro cominciano ad investire su di noi, a nostra volta noi possiamo ge­nerare un effetto volano im­portante, ma non bastano la squadra e i lo­ro sponsor, sono necessari anche i loro media. Certo, noi rispetto agli ami­ci francesi siamo un po’ in ritardo, ma si può fare qualcosa di buono, provando a deprovincializzarci un po’».

Bellissima presentazione, ma i corridori sono ancora molto abbottonati…
«È così. Ma stiamo appunto lavorando affinché la stagione del ciclismo non sia solo e soltanto il Tour. Il Giro ha la forza, i numeri e la storia per potersi col­locare al fianco dei cugini francesi. Il mio sogno è arrivare un giorno a presentare il Giro e non pormi troppi problemi su chi verrà a disputare la nostra corsa. Questo è il nostro obiettivo. Am­bizioso ma non possiamo fare altrimenti».

Sulla carta è un buon Giro, anche se la cro­nometro di Saltara non piace moltissimo. Sono in molti a pensare che possa condizionare tutta la corsa e soprattutto, favorire eccessivamente un corridore come Bradley Wiggins.
«Non è un Giro solo per Wiggins. Per quando mi riguarda anche Evans può essere un grande protagonista di questo Giro. Per noi è un tracciato adatto a molti corridori, ma per provare a ri­sol­vere un problema di gara super ab­bottonata, abbiamo dovuto mettere qualcosa che faccia in modo che i corridori poi si diano battaglia. Siete stati voi di tuttoBICI, Cristiano Gatti in particolare, a rimproverarci per il fatto che questa gara era noiosa, prevedibile e ingessata. Quest’anno è stata una gara eccessivamente tattica, si sono marcati, si sono marcati troppo e alla fine aspettavamo tutti il giorno dopo. Bene, questo Giro pensiamo possa invece far saltare il banco e chi è indietro sarà co­stretto a inventarsi qualcosa per recupare il tempo perso ed avrà l’occasione di provarci. È un Giro che salterà per forze di cose già alla quarta tappa con l’arrivo in quota a Serra San Bruno. Poi, dopo tre giorni la crono di Saltara. Vedrete, i corridori saranno costretti a inventarsi qualcosa…».

Sì, sempre che non si corra poi solo per il piazzamento, perché se viene uno come Wiggins, in 55 chilometri può dare dai 4 ai 5 minuti a corridori come Nibali, Scar­po­ni o Basso per fare qualche nome e do­po sono dolori recuperarli, per non dire im­possibile.
«Guarda, una cosa l’ho imparata in que­sti anni. Sono i corridori a fare le corse, quindi…».

Quindi è necessario avere grandi corridori…
«Ci stiamo lavorando. Ora i corridori stanno studiando i vari percorsi di Gi­ro, Tour e Vuelta. La stagione è lunga e i tre Giri ti muovono una stagione. Quindi spero che si studino bene questi tre percorsi e poi calibrino gli obiettivi per venire qui a correre con l’obiettivo di vincere, non di allenarsi».

La stagione è finita, sei soddisfatto?
«Ci siamo confrontati con un percorso che è cominciato con Angelo Zome­gnan e poi è andato avanti senza di lui. La mia esperienza personale inizia nel 2009 e in queste quattro stagioni l’obiet­tivo stradichiarato era quello che rendere la corsa più internazionale possibile. Nel 2009 abbiamo avuto Arm­strong, nel 2010 il Giro è stato meraviglioso, nel 2011 molto difficile e doloroso, con la morte di Weylandt e il problema del Crostis. Rispetto a quanto accadeva prima, le luci del mondo sono tornate ad ogni modo su di noi. Le attenzioni dei tifosi si sono accresciute notevolmente, però di contro abbiamo perso i corridori, perché questi ritenevano la nostra corsa troppo dura, massacrante e faticosa. Quindi, dopo il Gi­ro del 2011 abbiamo dovuto rivedere un po’ tutto, cercando di recuperare squadre e atleti. Abbiamo quindi pensato di fare un Giro bello e divertente, senza che poi un atleta esca dalla no­stra corsa con le gambe in croce. He­sje­dal mi ha confidato che quest’anno al Tour ci era arrivato in superforma, anche se poi è stato sfortunato e una caduta l’ha mandato ko. Certo, quest’anno io sono soddisfatto, perché il Giro era umano e bello, gli appassionati che ci hanno seguito sono stati tantissimi, a livello internazionale la gara è stata seguita, però purtroppo - come ho avuto modo di dire - sono mancati i corridori italiani e la corsa è stata troppo poco spettacolare. Sono felicissimo della festa in Danimarca, che mi fa pensare che è bello portare la nostra festa a chi non l’ha mai avuta o mai vista».

Ci sono altre nazioni straniere che hanno chiesto il Giro?
«Tante. Davvero molte».

È ipotizzabile un arrivo in terra straniera oltre ad un Grand Depart?
«Se si fa una grande partenza all’estero ha una logica. Finire all’estero la cosa non mi emoziona e non mi interessa. Mai dire mai, ma al momento mi sentirei di dire che la coppa “Senza fine” sarà consegnata solo e soltanto sulle nostre strade e tra i nostri tifosi. Non mi dispiacerebbe un gran finale su una nostra grande montagna. Ho detto no­stra, quindi italiana».

Milano, però, vi ha voltato le spalle…
«Milano vuole il Giro d’Italia e noi vo­gliamo Milano. Capisco però che la nostra città ha delle priorità e probabilmente quest’anno la corsa rosa non rientrava nelle sue corde e nelle sue lo­giche. Non ne faccio un dramma. L’as­ses­sore allo sport Chiara Bisconti ha dichiarato che punta di più sul basket, io ne prendo atto e spero che nell’immediato futuro si possa tornare a fare qualcosa assieme».

Cambio di panorama: dal Giro e Milano a Contador. Cosa pensi del fatto che la giustizia sportiva ha tolto allo spagnolo un Giro nella sostanza vinto senza macchia alcuna?
«C’è un problema legale: i tempi della giustizia ad ogni livello e in ogni sport sono troppo lunghi. La giustizia sportiva dovrebbe essere rapida ed efficace, invece per mille ragioni è lunga e a vol­te inefficace. Se il processo di Conta­dor si fosse chiuso ad aprile del 2011, il Giro non l’avrebbe corso. E invece è stato assolto in primo grado, ha corso come giusto che fosse il Giro che ha poi vinto, ma successivamente è stato squalificato dal Tas. Un danno enorme per noi. Un albo d’oro sfregiato. Però cosa possiamo fare? A me hanno insegnato che le sentenze vanno accettate e non commentate. Quello che mi aspetto per il futuro è che la squadra che ha un corridore sotto indagine, non lo schieri al via. Ci vuole più senso di responsabilità e rispetto. Detto questo, quel Giro per gli sportivi del mondo e per lo stesso Michele Scar­poni, l’ha vinto Alberto Con­ta­dor».

Il Giro è un prodotto televisivo, a che punto siamo con il rinnovo dell’intesa con la Rai o chi per esso?
«Intanto consentimi di dire che sono molto riconoscente con la mia azienda. Una volta ancora e una volta di più ha saputo ra­gionare nel medio e nel lungo ter­mine. Se noi volessimo oggi andare a monetizzare e massimizzare dei risultati nel breve periodo, faremmo tutt’altro. Sarebbe stato più facile, per esempio, invitare Riccò quando era possibile farlo e gli sportivi ci chiedevano di farlo. Sarebbe molto più facile lavorare solamente per il mercato italiano e fare felici i nostri sponsor e i nostri tifosi. Invece, la for­za di questa azienda è ragionare a lun­ga scadenza e credere che con un po’ di pazienza questo prodotto possa andare lontano e valere di conseguenza molto di più. Guardiamo meno all’oggi e pensiamo ad un domani che per il momento è un sogno, ma che noi siamo convinti di poter realizzare. Una cosa è certa, io e il mio board vogliamo lasciare un patrimonio più grande di quello che abbiamo ereditato. Quindi ringrazio il dottor Catano perché mi da la possibilità di lavorare con grande tranquillità. In questo contesto rientra an­che il prodotto televisivo. Vivere un Giro dal vivo è tutta un’altra cosa che viverlo davanti alla tivù. Esserci è bel­lo. Il nostro però è un evento che televisivamente tende a non far vivere quel­lo che si prova da dentro. Il nostro sogno, il nostro obiettivo è quello di dare anche agli appassionati passivi la sensazione di essere dentro alla carovana, di essere sulle strade del Giro, an­che se stanno seduti comodamente in poltrona. È questione di luci, di colori, di definizione, di profondità d’im­ma­gi­ne, di suoni… bisogna mettersi tutti at­torno ad un tavolo per capire assieme co­sa fare».

A che punto siete?
«Siamo al punto giusto. Dopo quattro anni di studio assieme a Rai sul prodotto televisivo da realizzare, è il mo­mento di capire quanto investire e co­me investire per mandare in onda un prodotto appetibile per il mondo intero. Questa è anche la volontà condivisa con i dirigenti Rai, da Eugenio De Pao­li ad Auro Bulbarelli. In un periodo di crisi bisogna calibrare bene gli investimenti, ma in ogni caso dobbiamo fare un salto di qualità. Questo è per semplificare il lavoro di tutti, nostro e di IMG che dovrà vendere il Giro nel mon­do e per far si che ciò avvenga, le nostre belle immagini devono essere di grande qualità e “appeal”».

In questa nuova filosofia, intanto sappiamo già a chi è andata la prima delle quattro “wild card”.
«Pensa come è bello per il signor An­droni o per Gianni Savio potersi organizzare sapendo che il prossimo anno la loro squadra correrà il Giro grazie all’intesa stipulata tra noi e la Feder­ciclismo e che prevede un posto sicuro al Giro per chi vince la coppa Italia. Le cose sono state fatte con trasparenza e noi, subito dopo l’ultima prova, abbiamo comunicato che la prima “wild card” era assegnata».

A livello di filosofia generale, le prossime tre “wild card” saranno più nazionali o internazionali?
«Io alle squadre italiane e ai loro sponsor non garantisco nulla. Loro sanno co­me la penso. Per noi il momento del­la candidatura è un momento strategico. Prima delle vacanze natalizie tutte le squadre Professional dovranno in­viarci i loro dossier con le loro candidature. In questo modo ci chiederanno a quali corse intendono voler correre e noi, in base ai loro dossier, sceglieremo. Non è scontato che ci sia tutta la stagione, ma in questo modo noi dia­mo a tutti la possibilità di partecipare alle nostre corse. Cosa vuol dire scegliere una squadra piuttosto che un’al­tra? Non è una questione economica, per noi tutto alla fine ricade sui tifosi: noi vogliamo portare quelle squadra che attorno a loro generano maggior in­teresse».

Una squadra italiana, però, dovrebbe ge­nerare più interesse su una tedesca…
«Tu tieni presente che io parlo sempre di “interesse mondo”. A me interessano gli appassionati di tutto il mondo».

Quindi la Coldeportes, che si porta dietro l’interesse di una nazione come la Co­lom­bia, può fare molto gola…
«Esattamente. Ma se la Sky mi porta He­nao o Uran per vincere il Giro, allora il discorso Sudamerica potrebbe cambiare. Queste sono valutazioni complicatissime, che non voglio prendere da solo e per questo abbiamo formato una commissione composta dal sottoscritto, Giacomo Catano, Mauro Vegni, Marco Gobbi e Pier Bergonzi».

Quando prenderete questa decisione?
«Le domande dovranno arrivare prima di Natale e subito dopo l’Epifania (l'8 gennaio, ndr) noi daremo i nomi delle altre tre formazioni che avranno da parte nostra l’invito a correre il Giro 2013 e di quelle che inviteremo a tutte le altre nostre corse. Quello che noi vogliamo fare e dare la possibilità alle squadre di programmare al meglio la loro stagione».

Da Giro di Lombardia a Il Lombardia, perché?
«Perché di Giro c’è solo quello d’Italia. Quando sono arrivato si parlava di Tour of Italy. Il Giro è un brand identificativo. Si deve parlare di Giro e non ci può essere confusione. Ecco quindi che il resto diventa Il Lombardia o Il Gran Piemonte».

E Il Lazio?
«Rinasce. Forse senza l’articolo ma con un bel nome. Ci sono tre fattori per la rinascita di questa corsa: amore per una città meravigliosa; il business che può essere generato in una città di va­lenza planetaria; e poi abbiamo Mauro Vegni: non posso permettermi di non fargli fare una corsa a casa sua. Po­trem­mo fare un bel weekend con Roma e poi le Strade Bianche: potrebbero ve­ni­re da tutto il mondo a vedere due corse dal fascino unico. Lo ripeto, il momento è delicato, la crisi c’è e si sente, ma l’azienda mi ha detto: crediamo nel ciclismo. È uno sport emergente, talmente forte che, se oggi soffriamo, fra qualche anno potrà darci grandi soddisfazioni. Ripeto, Jovane, Ca­ta­no, Lattanzi, per non dimenticare Mon­ti, tutta la mia linea di capi insomma, hanno il merito di avere una grande visione, che mi consente di credere in questo sport. Sono fortunatissimo».

E la Tirreno?
«Va bene ed è una corsa in salute, an­che se patiamo la concomitanza con la Parigi-Nizza. Noi abbiamo una partecipazione più bella di loro, ma i cugini francesi, avendo il Tour, hanno delle buone argomentazioni da mettere sul tavolo per portare sulle loro strade mol­te più tivù di noi».

E la Sanremo, lì è casa tua…
«In questo momento c’è una preoccupazione perché stanno rifacendo tutti i viali sul lungomare e quindi dobbiamo andare in questi giorni a verificare con i nostri tecnici (Mauro Vegni e Stefano Allocchio) e con i tecnici del Comune di Sanremo, come sarà la Sanremo del 2014, perché per quella del prossimo anno non ci saranno problemi».

Quest’anno c’è stato un riuscitissimo esperimento con la Milano-Torino che è stata data in “affido” all’Ac Arona. Nel vostro disegno c’è l’affido del Grande Piemonte?
«Ci siamo visti e ci vedremo ancora. Noi siamo contenti di come loro hanno organizzato e penso che si possa procedere assieme per alcuni anni , non è detto che il Piemonte non l’affidi proprio a loro. Potrebbe essere un modello sostenibile per tutti. Le corse sono nostre e loro sono bravi ad organizzare. Noi, di contro, possiamo destinare le risorse che ri­sparmieremo per rilanciare in grande stile il Lazio. Insomma, la domanda è semplice: è meglio far or­ganizzare la Milano-Torino e il Pie­monte all’Ac Arona di Antonio Ber­ti­notti o non organizzarle più? Io penso che sia meglio trovare vie alternative per fare del buon ciclismo tutti assieme. O no?».

da tuttoBICI di novembre
a firma di Pier Augusto Stagi
www.tuttobiciweb.it
 
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