Login Registrati Connettiti via Facebook



Non sei registrato o connesso al forum.
Effettua la registrazione gratuita o il login per poter sfruttare tutte le funzionalità del forum e rimuovere ogni forma di pubblicità invasiva.

Condividi:
Ah, se avessimo la Grandeur...
#1
Ah, se avessimo la Grandeur...
Riflessioni sul Tour de France

Il Tour è andato come doveva andare, è finito come do­veva finire. Casomai non è co­min­ciato come doveva cominciare: per l’edizione numero 100 si era scelta la partenza in Cor­sica e l’Ile de Beauté, che non aveva mai visto la Grande Bou­cle (grande ricciolo, per il tragitto che ri­guarda la Francia metropolitana), a malapena l’ha guardata un poco, ritenendola cosa molto fran­cese e dunque molto estranea, e non partecipandola sentimentalmente. L’affaire tragicomico della prima tappa, quel pullman incastrato sotto i paraphernalia della linea di arrivo, con tanto di estirpazione di cavi elettrici e non solo, è stato divertente: fosse accaduto un fattaccio simile al Giro d’Italia, con violazione di ogni regolamento decidendo un “tutti in gruppo” finale nonostante vistosi distacchi, la stampa mondiale ci avrebbe sbranati.
Per il resto, sul continente, il so­lito trionfo di pubblico, anche se ormai sono quasi trent’anni che un francese non vince la corsa, e si è dovuto aspettare l’Alpe d’Huez per vedere un transalpino primo almeno di giornata (Riblon). Quest’anno poi i francesi non sono quasi mai stati in corsa, neanche per qualche traguarduzzo di media importanza, ma il Tour de France regolarmente è, per la nazione della grandeur permanente, un grande fatto culturale, politico, sociale. Basterebbe “proclamare” il Tour, senza neanche farlo partire, e la gente andrebbe sulle strade a ve­dere e godersi la carovana pubblicitaria.
Ci abbiamo ponzato sopra, per un bel po’ di tempo, invidiosi e curiosi, innamorati magari della Francia ma non proprio dei francesi altezzosi, bravi ma superbamente consci di esserlo, e forse adesso riusciamo a proporre un discorso a tesi che per noi italiani ha un riflesso soprattutto sul Giro d’Italia, cioè su una corsa nostra, la massima che abbiamo, che ad ogni anno che passa vede il Tour più lontano e intanto più grosso soffocante e condizionante come importanza mediatica, economica, pubblicitaria, politica, culturale e alla fine anche sportiva. Discorso a tesi che diventa di attualità av­vicinandosi i giorni della Vuelta, quell’andare in giro per la Spa­gna in una competizione che si sta rafforzando, come importanza, per la sua vicinanza al campionato del mondo (che quest’anno si correrà a Firenze ma che potrà essere una gara molto ma molto spagnola). Dal punto di vista del calendario il Giro d’Italia è molto isolato nonché, come dire?, spaesato, fra l’altro programmato per scalatori in un calendario e in un paese dove la neve di primavera handicappa spesso i tracciati di montagna.
Ma il discorso è un altro. È quello del diverso approccio che il Giro ha con l’Italia rispetto a quello che il Tour ha con la Fran­­cia: il Giro chiede permesso, si scusa per il disturbo, il Tour si prende le strade, requisisce m­i­lioni di automobilisti nel luglio che in Francia è il mese principale delle vacanze, impone attese pazzesche, e fa sì che ogni bipede che se le soffre se le goda an­che, sentendosi elemento uma­no essenziale di un grande diorama nazionale e non solo, di un puzzle storico. In Francia si dice che c’è il Tour e amen, tutto si ferma per il Tour, le strade vengono bloccate in un intero dipartimento, tutte insieme e per tante ore, la gente è affascinata da questa creatura che una volta all’anno si posa sull’«esagono» e impone i suoi orari. Il Giro si premura di avvisare come scusandosi dei blocchi stradali, e anche di minimizzarli, evita le grandi città perché così non si creano problemi di traffico im­pazzito agli automobilisti signori e padroni. E magari arriva a Brescia che proprio non è Pa­ri­gi.

Il sogno nostro non è evidentemente quello di vedere il Giro imitare pienamente il Tour: impossibile pensare ad una presa di possesso degli animi, oltre che delle strade, da parte della corsa rosa, in un’Italia po­po­lata da falsi patrioti, cittadini fasulli, bipedi che non riescono a vedere al di là e neanche al di qua della punta delle proprie scarpe. Il sogno piccolo piccolo è quello di avere un nostro ciclismo che conosce la propria im­por­tanza, che non è quella di una volta ma neppure quella, mu­tilata, che il resto dello sport gli attribuisce. È pazzesco che una certa Italia si goda televisivamente il Tour de France invidiandogli cose che lei potrebbe benissimo avere, darsi, concedersi, frequentare. Non pensiamo ad una paralisi del traffico secondo placche di giornata no, ma ad un normale modo di ragionare per cui, se si ferma l’auto fra l’altro risparmiando in carburante e inquinamento, nel nome di una corsa ciclistica come di una processione o di un funerale o di un corteo di lavoratori, non è poi una grande tragedia. Anzi, molte volte “anzi”.

Certo che se si pensa che il Giro disturba, che toglie spazio sui giornali non so­lo ad altri eventi sportivi, ma persino al sacro calciomercato, pe­raltro più intenso nei giorni del Tour, che i ciclisti puzzano e so­no scorfani drogati anacronistici mentre noi italioti siamo odorosi, bellissimi ed equilibratissimi abitatori del pianeta Progresso, non si deve fare nulla di nulla, le cose vanno bene così e chi se ne frega del mondo che ci guarda e ci giudica. Non c’è mondo fuori dalle mura di Verona, si dicevano, beati prima di morire, Giu­lietta e Romeo, e infatti Cunego ha vinto un Giro ma non ha mai combinato niente al Tour.

di Gian Paolo Ormezzano, da tuttoBICI di agosto
http://www.tuttobiciweb.it/index.php?pag...&cod=61609
 
Rispondi
#2
La chiave per imitare il Tour de France sarebbe chiudere le strade con prepotenza senza mettere cartelli? Poi sta neve che "handicappa spesso i tracciati di montagna" non mi sembra che ci sia così spesso (ho la memoria corta ma, seguendo dal 2004 circa, mi ricordo solo quest'anno la corsa accorciata per la neve). L'ultima frase è meglio che non la commento
 
Rispondi
#3
Non è un capolavoro questo scritto ma becca il vero grande motivo che rende e renderà il Tour sempre più grande del Giro: l'amor di patria.
E' un discorso che investe non soltanto lo sport, anche e sopratutto la vita politica, ma è un dato di fatto che l'Italia a 150 anni dalla sua nascita stenta ad esistere come un'entità sovrana su un territorio abitato da gente che vuole essere parte di qualcosa. Il grande Indro Montanelli, citando un suo mentore disse: "l'Italia è un Paese di contemporanei, senza futuro perché senza passato." Secondo me questo coglie benissimo qual è il problema del Giro rispetto al Tour: agli italiani non importa.
In Francia c'è un dipartimento, una città che si ferma perché quel giorno passa le Tour e chissenefrega che sono ciclisti, è un'occasione di presentarsi al mondo come francesi. In Italia c'è una regione o una città che si sente bloccata perché quel giorno c'è una gara di bici, di ciclisti dopati, di ciclisti che si mettono in doppia fila rallentando il traffico, di una gara che nemmeno il giornale che la organizza riesce a sponsorizzare come dovuto.
Questa è la mia idea che nell'articolo, che deficita in alcune affermazioni, comunque emerge. Per fare grande il Giro si deve pensare che il Giro, una manifestazione della nostra Nazione e la Nazione Italia siano grandi. Io non credo accadrà mai.
 
Rispondi
#4
Sono le stesse cose che si dicono da anni, poi è come dire "Ah, se in Italia tutti amassero il cricket"
 
Rispondi
#5
Ma l'ultimo pensiero, che pensiero è? Cosa c'entra Romeo e Giulietta con Cunego?
 
Rispondi
  


Vai al forum:


Utente(i) che stanno guardando questa discussione: 1 Ospite(i)