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Botré: Calciatori stiamo arrivando, nessun doping è invisibile
#1
Botré: Calciatori stiamo arrivando, nessun doping è invisibile
Lo sport si sdraia sul lettino di Francesco Botrè, direttore del laboratorio antidoping dell’Acquacetosa, circa 15 mila volte all’anno. Come sto, dottore? Mica tanto bene, a giudicare dai numeri: in Italia, su 16 milioni di agonisti, 400 mila si dopano. «Juniores, Master, amatori, professionisti». Tutto l’elenco telefonico del ciclismo è transitato dalle sue provette. «Se poi il procuratore Torri sbotta, c’è da capirlo: è lo sconforto di chi crede nello sport pulito».
Partiamo proprio da Torri: su 100 ciclisti 99 la fanno franca, ha detto. Fosse vero, lei perderebbe il suo tempo.

«Io solidarizzo, ma il mio approccio è diverso. Se domani il laboratorio mette a punto il metodo per trovare l’autoemotrasfusione o il doping genetico, io sono soddisfatto. Se sviluppo un sistema per fare i test all’Olimpiade in due ore anziché 24, io sono felice. ti partecipano Anche se all’evento. trovo meno Io dopati devo rimanere di quanasettico, scientifico».

Resta il fatto che doping e antidoping viaggiano a due velocità diverse.
«Rispettando le regole, devo beccare dei fuorilegge. Le Procure hanno le intercettazioni, a volte i pentiti. Io devo trovare un metodo, sperimentarlo, raccogliere la pipì, esaminarla e andare alla Wada; poi presento la mia ricerca a un congresso. I congressi, i dopatori non li fanno! Un nuovo metodo doping ha un livello di segretezza pari a un brevetto industriale».

Quindi acchiappare un dopato è una specie di miracolo.
«Miracolo no, ma qualcosa di estremamente significativo lo è di certo. E poi mi tocca ascoltare le fregnacce sulla carne di cinghiale, lo shampo, il tè della nonna, la bistecca al sangue… La verità è che i dopati sono meno di quanti si creda, ma di più del dato di laboratorio».

Meglio un innocente in galera o un colpevole in libertà?
«Mai rischierei di dare positivo uno che non lo è oltre ogni ragionevole dubbio. Sono garantista. Se non ho la certezza, do la negatività. Però dico ben chiaro alla Federazione di competenza: quell’atleta è sospetto, monitoratelo».

Un esempio.
«Con la Iaaf, al Golden Gala abbiamo beccato per Epo un marocchino che aveva vinto i 1500 e che l’aveva fatta franca, al pelo, otto volte. È un lavoro di intelligence, in fondo. E va bene così, perché io non voglio che nessuna persona pulita sia accusata ingiustamente. I borderline non sono doping. Se per avere più positività devo fare una vittima innocente, io non ci sto. Penso a Floyd Landis: danni al aveva laboratorio chiesto di 9 Parigi, milioni il di caso dollari è arrivato fino al Tas. Poi ha confessato».

Quindi?
«Quindi fidiamoci di più: se un campione lo do positivo, è perché lo è. E se è negativo, è perché non posso darlo positivo. Lo dico a Guariniello, a Roberti, a tutti i pm che in Italia indagano sul doping».

Il gioco continua a valere la candela, però. È triste ma rischiare paga.
«Quando trovo un positivo non è il laboratorio che ha avuto culo, è il dopato che ha avuto iella. Ed è così in qualsiasi sistema garantista. Se qualcuno mi dà una mano con l’educazione e la prevenzione, mi fa un favore. Non è inutile dire che doparsi è violare le regole. Non basta? Allora diciamo che doparsi è morire, così forse qualcuno ci ascolta un po’ di più».

Per incastrare un imbroglione bisogna essere più furbi di lui.
«I ciclisti vanno testati a sorpresa da novembre a febbraio, prima della Milano-Sanremo: è lì che si bombano. Perché aspettare le gare? E tu, Federcalcio, hai un dubbio su una squadra? E mandale controlli a raffica in ritiro!».

Sta chiedendo più collaborazione?
«Ogni giorno nel laboratorio entrano 60 campioni ed escono 60 risultati. Sotto, ci metto la firma io. Se ti trovo il clenbuterolo nelle urine, vuol dire che nel tuo organismo ci è entrato. Puoi dirmi che è successo per sbaglio, ma è successo. Non puoi dire che il laboratorio ha sbagliato le analisi. E poi giocare sui ritardi, sui cavilli burocratici e legali a volte è sfinente… Ecco perché poi il procuratore Torri, stremato, esplode».

Nel gioco a guardia e ladri, ognuno fa la sua parte.
«A costo di assistere a degli obbrobri. Nel 2000 il laboratorio di Indianapolis chiuse perché trovarono positiva una stella dell’Nhl: il suo avvocato chiese 4,3 milioni di dollari di danni per uno sfasamento di cinque minuti nella catena di custodia del campione: due tecnici non avevano l’orologio sincronizzato...».

Non ha mai momenti di sconforto?
«Non ho mai perso la spinta propulsiva di credere di far bene allo sport di domani. A me Contador alla gogna non interessa. A me interessa che il ragazzino, se un giorno qualcuno gli offre una pasticca, cambi subito squadra».

Il dato di laboratorio è lo specchio della realtà?
«È sottostimato, come il numero di multe per eccesso di velocità. Ma l’autovelox lavora, e pure bene. Contro tutto e tutti. Le ho mai detto dell’avvocato che mi chiese se avevo la procedura scritta per il lavaggio dei pavimenti?». Racconti. «Quando fai le controanalisi, gli avvocati assistono all’operazione cercando il pelo nell’uovo. Una volta, addirittura, mi fu chiesta la procedura scritta della pulizia degli ambienti di lavoro, insinuando che un detersivo non appropriato avrebbe potuto modificare l’umidità dell’aria della stanza, e quindi rendere inattendibile il termometro che misura i gradi, da 0 a 40, entro cui deve avvenire l’operazione. Il risultato? Un’analisi di tre ore durò un giorno e mezzo...». Ce l’aveva quel certificato? «Certo che sì! È allegato al contratto con la nostra ditta di pulizie».

Ma se dovete inseguire Bolt gattonando, ha ragione Torri quando dice che il doping non verrà mai estirpato.
«È vero che l’antidoping ha tempi lunghi. Ma l’evoluzione non si è mai fermata: più o meno tutti i vincitori del Tour, da Indurain in poi, sono stati pizzicati. E il nandrolone nei calciatori, in quella stagione con 11 positività, l’abbiamo beccato».

A proposito: l’annata del nandrolone, qualche positività alla cocaina, il reprobo Mutu e stop. Tutti puliti, i calciatori?
«O sanno come farla franca o sono tutti dei santi».

C’è una terza ipotesi: chi sa di essere a rischio, non gioca.
«Tribuna o panchina. Li fermano prima». Chi? L’antidoping privata dei club? «Plausibilissimo». Come se ne esce? «Lavorando: l’Epo l'abbiamo trovata a Sydney, il Gh ad Atene, le emoglobine sintetiche prima ancora che entrassero in commercio. Voglio dire che il numero di sostanze invisibili si sta assottigliando. E loro lo sanno. Io sono ottimista: siamo in ritardo, ma in netto recupero».

Autoemotrasfusione. Si può scoprire?
«C’è un metodo embrionale per trovare le materie plastiche rilasciate nel sangue, però l’atleta può dirmi che ha bevuto dieci litri di succo di frutta dalla bottiglia. Non c’è ancora un metodo validato, ci stiamo lavorando: 35 laboratori antidoping Wada contro i bari. Intanto, come per Contador, si decide caso per caso».

È il Viagra il nuovo doping?
«Non è vietato, ma sto studiando la pipì dei volontari. La Wada mi dice che da domani il Viagra è in lista? E io, tac, c’ho già il metodo».

Come
«È molto funziona? interessante: non migliora la performance, ma aumenta il bilancio dell’ossigeno in condizioni di scarsità di ossigeno, infatti lo danno agli scalatori; l’erezione è una conseguenza. Sotto sforzo, aiuta a prolungare il picco della performance. Perdoni il doppio senso: fa durare di più».

Di nuovo i ciclisti?
«Be’, preso negli ultimi 3-4 km, sulle volate può essere davvero utile».

Ecco perché capita che abbiano le labbra blu o la lingua azzurra. Anche la pipì diventa blu?
«No. Nelle urine il Viagra si degrada».

Il ciclismo è più esposto perché usa soluzioni meno raffinate?
«C’è un doping per tutto: betabloccanti per il tiro a segno, stimolanti per gli scacchi. E c’è un’antidoping per tutto».

Cosa giustifica il doping: l’illusione del successo, il guadagno, l’arroganza?
«L’incapacità di raggiungere un livello soddisfacente di emozione con i propri mezzi. Chi si emoziona davanti a un tramonto non si fa una canna».

Un problema di autostima.
«Soprattutto. Non fidarsi delle proprie doti, del proprio talento, di se stessi, insomma, origina da una bassa considerazione di sé. Il doping è un valore aggiunto la prima volta che lo usi. Poi, piano piano, ti toglie fiducia, piacere, orgoglio. Ti logora». Il doping genetico è da temere? «Sono convinto che non esista ancora qualcosa che modifica il patrimonio genetico di un individuo, sennò avremmo la cura per la sclerosi multipla».

Tra le scuse sentite in tanti anni, quale l’ha fatta più ridere?
«La cannabis come fumo passivo perché erano in cinque dentro una 500: quattro rollavano cannoni e il quinto, l’atleta, non si era accorto di niente!».

dal Corriere della Sera
a firma di Gaia Piccardi
 
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#2
Intervista interessante, onesta ed equilibrata, senza sparate alla Torri per intenderci. Il piccolo gioco enigmistico
Citazione:danni al aveva laboratorio chiesto di 9 Parigi, milioni il di caso dollari è arrivato fino al Tas. Poi ha confessato
poi è stato divertente Occhiolino
 
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