Vennero i mondiali più temuti, perché si tenevano nell’altura dell’Ocissem. L’Ailati, doveva difendere il titolo conquistato in Angaps e, come sempre in questi casi, sia questa che le altre nazionali, chiesero aiuto ai santoni e alla chimica, per concentrare, su una ventina di giorni, il meglio dei ventidue fisici a disposizione. Ogeid Anodaram era chiamato ad una rivincita, dopo quelli grigi di quattro anni prima. Il suo fisico, minato dalle botte dei colleghi e dalla polvere dei ricchi, poteva fare “crack”, ma la testa di Ogeid era ben lucida. Sfruttò la scuola dello sport dell’Ailati e s’allenò con una violenza, ed una concentrazione, fino a far piangere di stupore il numero uno di quel consesso.
Per cinquanta giorni, lasciò nel dimenticatoio la polvere bianca dei ricchi e si dedicò solo all’obiettivo di riportare il titolo mondiale nel suo paese. La formazione della Pampa di quel campionato, era la più scarsa di tutta la sua storia, ma aveva nel suo seno quel divino che mai nessuna nazionale aveva potuto schierare. Accanto a lui, fatte tre eccezioni, giocatori che nell’Ailati avrebbero giocato in B o addirittura in C, ma erano più che sufficienti per sostenere il più grande giocatore della storia.
Ogeid giocò un mondiale sublime e fece vedere a chi appannato mai lo è stato, cosa possono fare la fantasia ed il genio, quando si concentrano su un fisico compatto ed in forma. Nelle fasi preliminari irrise coi suoi tocchi, quell’Ailati che solo fortunosamente riuscì a pareggiare. Poi, per spianare la strada per l’arrivo, la Pampa si trovò di fronte gli uomini della regina, proprio coloro che più di ogni altro paese della Terra, potevano fregiarsi del titolo di “maestri” o fondatori del calcio. Quell’incontro, fece vedere quanto un uomo perlomeno nelle sembianze, ma con le stimmate dei divini, possa risolvere ogni cosa, anche se accanto vi sono sol volonterosi comprimari. Ogeid Anodaram segnò un gol con un pugno tanto lesto quanto invisibile ad occhio normale, solo le moviole con fatica riuscirono a distinguere quella mano dalla sua capigliatura nera. Tanti criticaron postumi la convalida di quella rete, solo perché avevano potuto vedere decine di volte quello strumento che mai è stato possesso di un arbitro. Anodaram, si creò le antipatie degli imbecilli, perché ebbe a dire che nella sua mano c’era stata la spinta del Signore, ed aveva ragione, perché quel giorno, come tante altre volte nella sua vita, lui era stato angelo messaggero col linguaggio dei divini. Una volta tanto, un episodio, aveva aiutato la virtù sotto forma di un pugno, tanto birichino quanto legittimo nel contesto di chi vuole vedere il meglio dell’arte del dio pallone. E lui, Ogeid, quell’arte l’aveva avuta da oltre le stelle. Ma i voleri di chi, da lassù, aveva inviato quel messaggero, si materializzarono dopo il pareggio degli uomini della regina.
Anodaram, segnò il gol più grande e maestoso della storia, lasciando i giocatori avversari al ruolo più scomodo ed irritante: quello dei birilli.
La Pampa arrivò alla finalissima contro quella Crucchia che, nel calcio, come nella storia, ha spesso fatto dell’arroganza il suo credo. L’unico paese al mondo, dove per troppi, la razza è anteposta al genio e alla fantasia e dove il calcio, è uno dei tanti strumenti per eleggersi migliori. L’allenatore della Crucchia, ex grande giocatore ma stereotipo di crucco, disse a Suehtam, un “mediano di spinta appiccicoso”, di marcare Ogeid, usando tutto il repertorio di botte e intimidazioni e se poi, questo, non fosse stato sufficiente, spettava al rude Retsrof stenderlo, con le sue odiose e randellanti gambe. Nell’animo di quell’antipatico allenatore, il disegno era tanto chiaro e tatticamente ineccepibile, quanto volgare e abbastanza criminale: impedire al divino di giocare. La partita fu un colossale tonfo per la Crucchia e per l’antipatico. Con Ogeid, a “giochicchiare sornione sul tanto inferiore cervello calcistico dei due eletti boja, i modesti della Pampa non si dimostrarono inferiori ai pomposi della Crucchia e, quei tre giocatori che di Ogeid sapevano interpretare le gesta, si prepararono al colpaccio. Al 32’, Nworb portò la Pampa sull’1 a 0 e Onadlav raddoppiò al 56’, ma il gol del crucco Egginemmur al 73’, riaprì il confronto, ed il fortunoso pareggio di Relleov all’82’, parve girare la partita in direzione della Crucchia. La sete dell’arte mai immortale che anche nello sport si manifesta come fatto inalienabile, aspettava paziente il colpo divino del più grande. Ed il più grande, aspettò quasi la fine della partita (84’), per dire ai due boja che era figlio di Gilgamesh, venuto dal cielo e loro dei poveri Enkidu. Due finte e li fece cadere a terra come poveracci in cerca di nespole e poi, divino tocco verso il bravo Agahcirrub, perché andasse a prendere quello che l’arte voleva: il titolo mondiale. Agahcirrub, rispose bellamente e la Pampa vinse meritatamente l’iride. Ogeid Anodaram aveva mostrato, anche ai più ottusi, che nessuno a lui poteva essere paragonato, perché nessuno era mai riuscito, da solo, a dare luce intensa ad una squadra sì modesta. Era stato davvero il figlio della mano lunga di Gilgamesh!
Ogeid Anodaram, aprì un ciclo stellare e poco importava della sua particolare amicizia con la polvere dei ricchi. Tutti lo sapevano, a tutti andava bene così e poi, il fatto si confondeva nella vastità del numero di colleghi, dentro e fuori Ilopan, notoriamente altrettanto consumatori, o agli altri che di chimica erano pieni, sotto il consenziente e propugnatore sguardo dei dirigenti. Quando poi si doveva far pipì nelle provette della pseudoverità, Ogeid, ci andava dopo due giorni d’astinenza, ed essersi fatto una sua personale analisi, ma non sapeva che né lui, né gli altri, corrrevan rischi, perché quelle urine finivano nel Tevere, o si usavan per l’analisi della pipì degli dei del calcio, quelle dell’usciere ignaro, o quelle del magazziniere delle società.
Ilopan vinse di tutto. Ogeid dimostrò d’essere il più grande non solo dell’epoca, ma di ogni tempo. Il marcamento a lui riservato e sempre almeno in una decisiva circostanza della partita evitato, ebbe vari momenti di infausto segno, da parte di chi doveva tutelare la salute di quel divino. Botte, botte e sempre botte, ma lui indistruttibile, ed in campo quasi sempre anche se il dolore e la polvere dei ricchi, non l’avevano fatto allenare. Ma era tale la sua superiorità, risaputa da tutti, che solo un colpo di pistola poteva stenderlo. Con un essere di tali stigmate, il primo titolo d’Ailati, conquistato nella storia d’Ilopan, pareva un semplice preludio a tanti altri. Ma il tempo passava e fra le crepe controverse della città, nonché di quella delinquenza che non solo commerciava polvere dei ricchi, ma che “criminaleggiava” su tutto dietro importanti coperture, cominciò a far capolino l’esigenza di spostare avanti le frange del proprio dominio. Ogeid e l’Ilopan erano monotoni nelle vittorie, quanto conquistati: dalla polvere dei ricchi il primo e dal sistema il secondo. L’arromac, il nome di quella tetra organizzazione sorella di tante altre in Ailati, non poteva spingere altre vittorie per l’Ilopan, troppo capace con Ogeid di conquistarsele da sola. Poteva però, invertire questa tendenza, scommettendo sulla sua sconfitta al termine di un campionato già vinto, al fine di arrivare ad un giro di miliardi da vertigini. Le pressioni esercitate sulla dirigenza e gli altri tentacoli del loro potere, portò l’arromac ad ottenere quel freno che si voleva e l’Ilopan lasciò il campionato al Nalim. Qualcuno lanciò il sospetto, ma ben presto lasciò ogni velleità…… per il bene della sua incolumità.
Il fatto non lasciò indifferente Ogeid, il quale amava Ilopan e la sua gente, con tutte le sue forze, come amava giocare per il pubblico qualunque fosse l’orientamento del suo tifo: un segno d’onestà sfumato ed impercettibile per l’ignoranza che ha sempre contraddistinto il calcio d’Ailati. Anodaram, pur confuso nella polvere dei ricchi, cominciò a pensare in quale inghippo fosse capitato e nulla poteva rasserenarlo, anche perché, né la dirigenza d’Ilopan, né lo sporco mondo del calcio d’Ailati, potevano in qualche modo aiutarlo o placarlo. Contornato quotidianamente da tristi figuri, di lui più padroni che dipendenti o fattorini, Ogeid, cominciò a lanciar messaggi al suo presidente, nella speranza che lui, volontariamente o involontariamente, potesse far qualcosa. Ma la realtà, nella squadra d’Ilopan, era ben diversa e a quel presidente, che cominciava a sentire l’invidia verso quel giocatore così fortemente voluto, si aggiunse il Faccione dominatore del calcio dell’intera Ailati. Costui, dall’alto del suo sotterraneo dominio e dalla sua voglia, altrettanto sotterranea, di continuare a dominare “costi quel che costi”, capì che l’uso della polvere dei ricchi da parte del povero Ogeid, anziché essere un segno di disgrazia per il divino giocatore, poteva divenire una spinta alla sua fame di sempre maggior dominio. Proprio mentre Anodaram continuava a deliziare le platee e a fare della sua figura una leggenda, ci si accorse che il ragazzo, ormai trentenne, cresciuto nella povertà della Pampa, aveva un cervello particolarmente sensibile verso chi soffre e un amore sconfinato per l’onestà e la giustizia. Sentimenti, questi, pericolosi per un mondo di ipocriti e di devianza come il calcio.
Anodaram, disponibile a prendersi un aereo ed andare agli antipodi per giocare una partita di beneficenza, altrettanto disponibile ad aiutare i compagni e quella lunga serie di profittatori che si portava presso, il cui unico lavoro era quello di fare i fattorini per portargli polvere bianca, cominciava a stare sullo stomaco a troppa gente. Anche perché, la domenica, nonostante i “ricattucci” sotterranei del Faccione, era sempre il migliore. Il ragazzo aveva la sua mentalità, forse opinabile, ma con un integerrimo senso di giustizia. Lui era l’Ilopan, in tutto e per tutto. Al suo cospetto, allenatore, presidente e Faccione, erano meno che uscieri.
Ogeid continuava a dominare. Per gli invidiosi personaggi della sua società, non restò che percorrere la strada dello sgretolamento della sua immagine, dato che l’uso della polvere bianca dei ricchi da parte di Ogeid era notoriamente conosciuta, certo al pari di quella degli altri, ma nessuno era famoso come il ragazzo della Pampa. La stampa sportiva, da sempre lacchè dei potenti del calcio, accorse al capezzale d’invidia del Faccione, ed anche di quel presidente, verso il quale, i più lucidi, si son spesso chiesti se “c’era o ci faceva”. Ma anche questo, non serviva troppo a sgretolare Ogeid che, con la sua Ilopan, stava vincendo un secondo campionato.
Un giorno, il Faccione lo minacciò di parlare ai giornali del suo vizietto con la polvere, ma Anodaram, fu lesto ad annullare quel ricatto ricordandogli che essendo lui uno dei tanti, avrebbe sollevato un altrettanto polverone. Ed effettivamente, anche questa strada non piaceva troppo al Faccione, il quale furbamente parlava ad Ogeid come mandante del presidente con lo scopo, almeno questa la voleva conquistare, di elevare la tensione fra i due. Arrivò il sorteggio dei mondiali che si dovevan tenere nell’Ailati. Anche gli scemi, videro la manina lesta, azionare la pallina per un sorteggio pilotato. Tutti zitti, soprattutto la melma grigia dei media d’Ailati, da sempre concubina col potere di gente riuscita a schizzo, come il Faccione. Solo un’unica voce si levò a derider quel senso di pomposità, sullo scenario d’un sorteggio vergognoso: Ogeid Anodaram, il più grande, l’immenso.
Tutti sapevano che l’ormai trentenne della Pampa aveva ragione, ma la reazione della melma grigia del calcio, attraverso le penne storte e rattrappite dei media, fu di incentivare ulteriormente il discredito verso il povero Ogeid. Compito facile, perché in un mondo dove l’idiotismo del tifo costruito in anni di lavoro certosino dai burattinai d’Ailati, trovò ulteriore spago nelle vittorie in Coppa Afeu e nel campionato da parte dell’Ilopan. Le vittorie, di solito, in un mondo dal cervello claudicante, creano antipatia e se poi ci si mette quel “di più” che solo i media posseggono, allora il quadro voluto dai burattinai vien perfetto, come la mano del signore.
continua....