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Paolo Bettini
#41
Bettini: «Solo Nibali ha la fantasia che serve per le classiche»
«Ulissi deve fare il salto di qualità. Cunego? Ha un'età...»

La fantasia ce l'hai dentro oppure non ce l'hai, non è mica obbligatorio. Paolo Bettini ne ha una buona dotazione. L'ha messa nelle corse, e ne ha vinte proprio tante, e tutte belle. E adesso che ha quarant'anni («Alfredo Martini, che ne ha novantatrè, mi ha detto di stare tranquillo, che non sono neanche a metà») ha smesso di fare il ct, lavora con Fernando Alonso alla costruzione di una nuova squadra, e appena può va a volare. «Volare è molto più bello che andare in bicicletta». Però il ciclismo è sempre nei pensieri, e negli occhi.

Meno male che è finito il pavè. O no?
«Sulla carta qualche possibilità in più dovremmo avercela. In teoria. Ma l'unico dei nostri corridori che ha dimostrato di saper vincere una classica è Vincenzo Nibali. Parlare di fenomeno è sempre sbagliato, fenomeno era Merckx. Vincenzo è un grande campione che ha le palle, sa prendersi le responsabilità e ogni volta mantiene le promesse. La gente vuole questo, vuole uno che sappia animare la corsa, che sappia azzardare. Mi viene in mente quello che dicevano a me quando ero giovane: ma quante energie butta via quel Bettini. Io facevo sempre un gran casino, mi mettevo alla prova, magari su dieci corse ne vincevo una. Ma a forza di fare così ho vinto dodici classiche».

Nibali la fantasia ce l'ha.
«Lo abbiamo visto a Sanremo: se fosse stato nel '98 avrebbe trovato gente come Pantani, che veniva alla Sanremo apposta per farla perdere a Bartoli. Vincenzo non ha trovato nessuno, ma una corsa anonima non l'ha voluta fare, anche se non era al meglio. A Firenze quando l'ho visto per terra ho detto addio al mio Mondiale. Invece è risalito in bici e si è inventato quel finale incredibile. Il suo quarto posto ha ampiamente ripagato il nostro lavoro, Vincenzo quel Mondiale l'ha vinto».

Non sarà al Giro. Questo alla gente dispiace.
«E' normale. Ma è anche normale che Nibali voglia andare a giocarsi il Tour adesso che ha la maturità giusta per farlo. Diciamo che possiamo anche sopportare di vederlo un po' indietro alla Liegi pur di vederlo là davanti al Tour. E comunque è uno che può fare tutto: quanto è bravo a calcolare ogni minimo dettaglio in un grande giro, tanto è capace di mettere fantasia nelle corse di un giorno. Purtroppo però bisogna scegliere».

Tutta qui l'Italia per le Ardenne?
«Stiamo riscoprendo un po' Cunego, qualcosa ha fatto. Ma vincere una classica...».

Può farcela?
«Se vince, sarò il primo a fargli i complimenti. Però non ci credo. Gli anni passano, se Damiano vuole vincere si devono distrarre gli altri. Altrimenti li deve anticipare, non può pensare di arrivare con i migliori e batterli. Spero di sbagliarmi».

E Ulissi?
«Diego lo conosco bene, abita a quindici chilometri da casa mia. Lo sa che sarei felice se vincesse la Liegi, gliel'ho detto. Il carattere c'è, le qualità le ha, ma le corse sopra i duecento chilometri sono un'altra roba, e bisogna fare un salto di qualità».

Discorso che vale anche per Sagan?
«Sagan è bravissimo, ma non bisogna sopravvalutarlo. Anche lui deve ancora vincere una di quelle corse che ti cambiano la vita. Prima di chiamarlo fenomeno aspettiamo. Fenomeno è Cancellara, che nelle ultime undici classiche monumento è andato undici volte sul podio, per non dire che la metà le ha vinte».

I nostri sono sempre giovani.
«La verità è che negli ultimi venticinque, trenta chilometri, molti spariscono».

Marcato sarà la punta della sua squadra all'Amstel.
«Marco si è un pochino perso. Ma gli ho visto fare bei numeri, è un grande uomo squadra».

Moreno Moser non ci sarà.
«Si è presentato nel mondo del professionismo per mettere in crisi il suo ct, Bettini. Dal 2012 però fa fatica. Aspettiamo che si rimetta e vediamo come sa organizzarsi. E' un ragazzo sveglio, intelligente: speriamo di non trovarci fra qualche anno a rimpiangere quando anche lui era giovane».

A proposito di rimpianti. Pozzato?
«Pippo è un amico, ma non si può pensare di arrivare a giocarsi una classica senza essersi messi alla prova prima, senza aver fatto un piazzamento. Sento parlare di flop di Pozzato: io non sono deluso, mi sarei meravigliato se avesse fatto bene».

Paolini invece il suo lo fa sempre.
«E' un bel vecchietto, uno che ha mestiere. Ha fatto vincere un'altra Sanremo, a Kristoff: il capolavoro l'ha fatto sul Poggio, quando l'ho visto partire sapevo che stava lavorando per un altro, non per lui. Lui vince sempre».

C'è in giro un altro Bettini, magari straniero?
«No, non c'è. Di Bettini ce n'era uno. Uno che ha imparato un mestiere a forza di provarci, di sbagliare anche. Ho imparato guardando Bartoli. Poi ovviamente avevo il mio carattere. Ma ho vinto anche classiche quando non ero al cento per cento. La seconda Liegi, per esempio: prima della Redoute ero già in fuga, perché non mi sentivo la gamba e avevo capito che se volevo provarci dovevo anticipare tutti».

Bartoli invece vinceva soltanto se era in giornata di grazia.
«Lui era fatto così. Una volta si voleva ritirare perché gli facevano male le gambe. Scinto gli disse: a me fanno male tutti i giorni. Ecco, se ascolti le gambe in una corsa come la Liegi a un certo punto metti i piedi a terra. Invece io pensavo: se resisto ancora quindici chilometri posso vincere. Ecco, sai cosa manca a questa generazione di corridori? Dovrebbero amare di più le classiche. O le senti, o ci arrivi con qualcosa in meno. Noi andavamo su e quella era la nostra religione. Io, che ho sempre odiato uscire ad allenarmi quando pioveva, quando ero in Belgio facevo le ricognizioni sotto la neve e mi esaltavo».

Cosa ci vuole per vincere la Liegi?
«Tanto coraggio. Una buona squadra. E nel finale gambe e fantasia».

Meglio la Liegi o il Mondiale?
«Per fortuna che nel 2000 ho vinto la Liegi: è stato allora che sono cambiato, che ho capito che avrei potuto vincere tutto. Ecco perché poi ho vinto i due Mondiali».

di Alessandra Giardini da Il Corriere dello Sport - Stadio
 
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#42
Paolo Bettini e la squadra che non c'è
Con il passare del tempo il team è rimasto ai box

I progetti si possono congelare, in attesa di tempi migliori. Le persone però non le si può mettere dentro un freezer (a meno che di mestiere non si faccia l’anatomo-patologo): Paolo Bettini da qualche settimana si trova a fare i conti con una squadra che non c’è e un futuro che deve ancora prendere forma.

Un anno fa l’ex campione olimpico e mondiale lasciò l’Italia per dedicarsi a uno dei progetti più intriganti approdati nel mondo del ciclismo: creare una squadra professionistica per conto di Fernando Alonso. Per mesi il Grillo ha sondato corridori, contattato manager e studiato budget. A marzo l’ipotetica rosa era fatta, ma con il passare del tempo il team Alonso è finito ai box e così pure la prospettiva di vedere la squadra in strada nel 2015. Il termine della stagione di Formula 1, domenica ad Abu Dhabi, sarà l’occasione per capire se e come la collaborazione tra l’ormai ex ferrarista e Bettini potrà proseguire. «Con Fernando siamo sempre in contatto e nelle prossime settimane ci incontreremo per decidere cosa fare - spiega l’ex ct dell’Italia - Lui è ancora molto motivato, si tratta di capire se il progetto è percorribile da subito, mettendosi già al lavoro per il 2016 o se invece è meglio indirizzarsi su altro».

Nella seconda ipotesi, cosa farà Paolo Bettini nel 2015?
«Parleremo anche di questo. Attualmente io sono legato al progetto».

Negli ultimi tempi si è mai pentito di aver lasciato la guida della Nazionale?
«No. È stata una scelta impegnativa perché rinunciare all’Italia può far male, ma la maglia azzurra con Cassani è in ottime mani. E poi per me questi mesi sono stati preziosi, perché confrontandomi con Fernando e il suo entourage mi sono fatto un bagaglio di cultura che restando all’interno del mondo del ciclismo non avrei mai accumulato».

Squadra a parte, è possibile che la sua collaborazione con Alonso prosegua?
«Fernando ha idee davvero innovative sull’uso della tecnologia applicata al ciclismo. Per lui parlare di telemetria è come per me discutere dei panini per il rifornimento: se ci sarà la possibilità di lavorare insieme allo sviluppo di nuove applicazioni, io sono pronto a dirgli di sì».

Rispetto al lavoro fatto nei mesi scorsi qual è il suo più grande rimpianto?
«Mi sarebbe piaciuto lavorare con Boasson Hagen per farlo tornare al livello che merita. E poi avrei voluto contribuire a riportare l’attenzione sulle grandi corse di un giorno».

Da osservatore forzatamente esterno, sarà la Tinkoff la squadra da battere nel 2015?
«Dal punto di vista del potenziale è la squadra più forte. Ma non è detto che con i migliori necessariamente si vinca di più. Dipende dagli equilibri all’interno del team. Anche quando gareggiavo alla Mapei di campioni ce n’erano tanti... e siamo riusciti a vincere molto».

E l’Astana di Nibali?
«Si è concentrata sui grandi giri. Vincenzo avrà il supporto che serve per affrontare il Tour».

Con o senza Aru?
«Se riuscirà a smaltire la fatica del Giro, vivere un Tour da gregario potrebbe essere un’esperienza importante per Fabio».

da «Tuttosport» del 20 novembre 2014 a firma Andrea Schiavon
 
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#43
Alonso pacconatore.
 
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#44
Paolo Bettini: «Alonso si è scusato, ma ora sono a spasso»
Con Davide Cassani mi sembra che siano più buoni

Ma dov’è Paolo Bettini? Che fine ha fatto? La domanda se la pone per primo Ciro Scognamiglio, che oggi su La Gazzetta dello Sport propone la prima vera intervista sulla resa del campione di Atene, che ufficialmente comunica al mondo intero che la tanto decantata squadra di Fernando Alonso non ci sarà. I due si sono chiariti. Hanno parlato e si sono lasciati con la promessa di poter un giorno realizzare assieme quello che ad oggi resta solo un sogno. «Ma bisognerà vedere se il progetto mi interesserà ancora e se io sono ancora libero», precisa giustamente il campione di Cecina.

Scognamiglio gli chiede: con Alonso com’era cominciata? Il betto a domanda risponde: «Rapidamente, è l’avverbio giusto. Ricordo perfettamente le date, di fine 2013. Il 18 dicembre abbiamo parlato, il 23 c’è stato uno scambio di mail, il 26 mi è arrivata la proposta. Il 27 ho chiamato il presidente Di Rocco per avvisarlo che avevo deciso di lasciare la Nazionale. E il 7 gennaio mi sono incontrato a Madrid con Fernando e il manager, Luis Garcia Abad».

Tralasciamo tutta la parte dedicata a quello che sarebbe dovuto essere, anche perché di quello eravamo informatissimi tutti. Doveva essere una squadra rivoluzionaria, che avrebbe portato una ventata di nuovo nel mondo della bicicletta. Il vento, in questo caso, ha spazzato via sul nascere tutto. Più interessante la risposta alla domanda più attesa: perché è saltato tutto?
«Perché è partito tutto nell’anno sbagliato per Fernando - spiega Paolo -. Il suo lavoro è fare il pilota di Formula 1, sono cominciati i cambiamenti in Ferrari di cui tutti sanno e anche lui ha cominciato a muoversi per cambiare squadra. E’ stata un’annata cruciale per la sua carriera e ha dovuto concentrarsi su quello, non c’era spazio per un progetto così affascinante ma anche impegnativo. Tutto il sistema si è inceppato».

Bettini, invece, allontana dubbi sulla figura del manager di Alonso - Garcia Abad - che in questo progetto non ci credeva neanche un po'. «Non voglio dire questo, ma è vero che ha dovuto preoccuparsi di altre cose, quelle di cui ho appena parlato».

Altra domanda: quand’è l’ultima volta che vi siete visti? «A dicembre. E’ stato un colloquio franco, ci siamo guardati negli occhi, lui si è scusato personalmente».

Scognamiglio, alla fine gli chiede anche se non sia pentito di aver lasciato la guida della Nazionale? «Vista con gli occhi di adesso che l’ho preso in tasca… Se avessi saputo che il progetto non sarebbe decollato, sarei rimasto alla Nazionale».

E infine una battuta sul suo successore, Davide Cassani. «Posso dire che fino ad ora lui ha goduto di una indulgenza maggiore rispetto a quella che avevo io».

tuttobiciweb.it
 
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#45
sempre bello rivedere le grandi vittorie di Paolo, grande emozione, soprattutto vedere gare con 3 italiani sul podio o 5 italiani nei 5 della Liegi, ci manca assolutamente un corridore come lui
 
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#46
Down Under, la "leggenda" è Paolo Bettini
Il Grillo premiato in occasione della corsa australiana

Paolo Bettini è “la leggenda” di questa edizione del Tour Down Under. «Adelaide è una città molto bella e ho scoperto di avere molti fan in Australia», dice dal cuore della città capitale del South Australia.
Il Grillo entra a far parte del club esclusivo di campioni invitati negli anni precedenti per essere nominati "La leggenda": Greg LeMond, Sir Chris Hoy, Eddy Merckx, Bernard Hinault, Anna Meares e Cadel Evans.

Come si sente ad entrare in questo club?
«È una novità, è fantastico, è un piacere».

Dopo gli impegni istituzionali, Paolo si concede con disponibilità ad una chiacchierata. Partiamo dall'unica volta in cui ha corso in Australia: i Giochi Olimpici di Sydney 2000.
«È stata una grande esperienza, avevo 26 anni e in squadra con me c’erano Michele Bartoli e Marco Pantani. Io ero il più giovane, ho lavorato tutto il giorno, cercando di entrare in tutti gli attacchi».

Il soprannome di Paolo è stato "Il Grillo", che in inglese si traduce in The Cricket.
«Me l’hanno dato i giornalisti italiani - spiega sorridendo - perché in gruppo mi vedevano dappertuto, ora davanti, ora in coda, ora davanti ora in coda e poi partivo all’attacco...».

Come soprannome era appropriato?
«È perfetto per le mie caratteristiche».

E veniamo al progetto di Fernando Alonso. Lei ha lasciato il suo incarico alla guida della nazionale italiana per assumere un ruolo di coaching con Alonso.
«Il progetto era valido, la contaminazione con altri sport può solo aiutare il ciclismo a crescere. Quali corridori erano coinvolti? Dico solo che erano grandi corridori».

Pensa che il ciclismo attuale sia più pulito di qualche anno fa?
«È impossibile dire che tutto sia pulito, ma tutti stanno lavorando duramente per cambiare la mentalità. Il ciclismo ha dimostrato il coraggio di voler cambiare, altri sport non hanno avuto la forza di fare le stesse scelte».

Un’altra pagina triste, è quella legata a Marco Pantani.
«La storia di Marco? È sempre difficile parlare. Il suo non è stato solo un problema con lo sport, ma con la vita. Marco ha avuto grossi problemi nel mondo del ciclismo e nella sua vita personale, quando ha lasciato l’attività. In bicicletta era molto forte, giù di sella era molto debole»

Paolo, come molti altri che sono stati vicini a Pantani, fatica ancora a parlare del grande campione romagnolo. Il suo umore si risolleva quando torniamo a parlare di corridori moderni. E senza nemmeno chiederglielo, il discorso va subito su Peter Sagan.
«È un artista. Ha una grande personalità. Fa piacere guardarlo perché è molto felice. Peter era già forte, ora che ha vinto una gara importante come il mondiale lo è ancora di più».

La chiacchierata giunge al termine perché Paolo deve prepararsi per la serata delle Leggende che si svolge presso il Convention Centre di Adelaide: deve correre ad indossare abito scuro e cravatta nera. È lui la star dell’evento...

James Raison per tuttobiciweb.it
 
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#47
Bettini: «Nibali pensi a Rio, Ulissi pensi a crescere»
E poi Giro, Tour, Aru, Cassani, i Giochi, il tricolore...

Chi meglio di Paolo Bettini può commentare i prossimi, 70 giorni cruciali della stagione ciclistica 2016? Il 29 maggio si è concluso il Giro d'Italia con il trionfo di “Squalo” Nibali, il 26 giugno si disputerà il campionato italiano professionisti a Darfo Boario Terme, dal 2 al 24 luglio andrà in onda il Tour de France e, dulcis in fundo, sabato 6 agosto toccherà alla – si dice durissima – prova olimpica di Rio de Janeiro. Di questo e di molto altro parliamo in questa intervista con il “Grillo” della California, da anni residente a Riparbella con la moglie Monica e la figlioletta Veronica.

Il tuo è il classico riposo del guerriero?
«Assolutamente no. E' vero che mi dedico con piacere ai doveri familiari, come ad esempio venerdì quando ho accompagnato Veronica alla recita scolastica di fine anno. Comunque i legami con il ciclismo rimangono sempre solidi, poiché è inossidabile l'amicizia con Ernesto Colnago, sono testimonial degli storici marchi Sidi e Sportful e al Giro d'Italia ho prestato la mia immagine a Banca Mediolanum».

Cominciamo allora a parlare del recente Giro d'Italia...
«Nibali ha vinto meritatamente, grazie a due imprese memorabili. Eppure nessuno sembrava più credere al suo recupero dopo la tappa di Andalo. Anch'io, quella sera , ho pensato che il suo Giro fosse finito, così sono contento di essermi sbagliato».

E' stata decisiva la caduta di Kruijswijk?
«Sì, ma ritengo che sia stato Nibali, con la sua rabbia agonistica e la temerarietà nell'affrontare la discesa dell'Agnello, a indurre all'errore l'olandese. Kruijswijk mi è sembrato rigido sulla bici, intimorito dall'attacco di Nibali e sotto stress nell'affrontare una situazione che non aveva mai vissuto prima, cioè da maglia rosa. Così ha commesso lo sbaglio fatale, forse penalizzato da una scivolata sul pulviscolo di neve ghiacciata».

Qual è l'immagine che porterai nel cuore del Giro 2016?
«Il sorriso di Esteban Chaves e quella sua frase bellissima con la quale si diceva contento anche nella sconfitta perché fuori dallo sport è la vita vera quello che conta, con le sue gioie e i suoi dolori. Commovente. Confesso che mi sono rivisto mentre tagliavo il traguardo da vincitore al Giro di Lombardia, con lo sguardo rivolto al cielo per ricordare mio fratello Sauro».

Andiamo per ordine e parliamo del campionato italiano di Darfo Boario Terme.
«Non è così facile come sembra, è un percorso ingannevole, che si presta ai colpi di mano. Ho visionato il circuito tricolore e a poco più di 4 chilometri dall'arrivo c'è uno strappo da Classica del Nord: 800 metri al 10/15% di pendenza. Lì si può decidere la gara, magari resterà al comado un gruppetto di una ventina di concorrenti oppure qualcuno tenterà la carta dell'attacco in solitaria. E' un tracciato che mi sembra perfetto per Ulissi».

Quì si impone un tuo giudizio su Diego.
«Tutti sanno che lo stimo, che mi alleno spesso insieme a lui. Diego ha grosse doti tecniche, è scaltro, mi assomiglia come caratteristiche, anzi, in salita va meglio di me. Ma ora deve prendere in mano la sua vita, chiedere di avere una parte della squadra al suo servizio, degli uomini fidati che lo sostengano nel migliore dei modi . Diego quest'anno è migliorato ulteriormente e perciò deve convincersi di poter puntare a grossi traguardi, soprattutto alle Classiche e alle gare in linea. Lasci però perdere la classifica dei grandi Giri a tappe, correrebbe il rischio di snaturare le sue caratteristiche tecniche, un po' come è capitato a Damiano Cunego».

Il Tour 2016?
«Sono favoriti un Quintana pronto e maturo per vincere ma che non mi entusiasma, il solito, inossidabile Contador e ovviamente l'immancabile Froome».

Nibali e Aru?
«Ritengo che Nibali debba correre il Tour unicamente in funzione delle Olimpiadi di Rio, senza tirarsi troppo il collo. Aru mi sembra ancora un po' indietro come condizione atletica, può fare bene ma è al suo primo Tour perciò lo inserirei tra gli outsider, insieme a Richie Porte e a Purito Rodriguez. Valverde sarà concentrato su Rio 2016 e quindi non dovrebbe lottare per la classifica».

Cosa potrebbe accadere se Aru perdesse tempo nella, tradizionalmente insidiosa, prima settimana?
«Fossi in Nibali, in caso di caduta, foratura o incidente, farei il signore e mi fermerei ad attendere Aru per riportarlo in gruppo. L'obiettivo principale di Vincenzo deve restare l'Olimpiade».

Ecco il momento di mettere nel mirino Rio 2016.
«E' un percorso per scattisti con doti di fondo, non è per scalatori puri. C'è tanta salita ma non si sale fino ai duemila metri come nei grandi Giri a tappe. Detto ciò vedo nel ruolo di favoriti Valverde e Nibali, con Gilbert e Purito Rodriguez come outsider».

La nazionale italiana?
«Nibali sarà ovviamente il faro e accanto a lui vedrei bene Ulissi. Poi non si dovrebbe prescindere da Gianluca Brambilla, ottimo finora ed estremamente utile in quel ruolo che anni addietro ricopriva il mio amico Paolini, ormai a fine carriera a causa del terribile tranello nel quale è caduto».

Andiamo avanti: Visconti si è candidato per una maglia azzurra, dichiarandosi disponibile a lavorare per la squadra, cosa ne pensi?
«Giovanni può essere una pedina preziosa per Cassani e sono certo che saprà sacrificarsi, se necessario. Non ho dubbi sulla sua lealtà, anche se è compagno di squadra di Valverde».

Non hai accennato ad Aru...
«Ovviamente Fabio sarà tra gli azzurri a Rio, ma personalmente non lo vedo adatto alle gare di un giorno, specialmente sui chilometraggi lunghi. Quest'anno non ha gareggiato nelle Classiche delle Ardenne come era invece nei suoi programmi e poi all'Amstel non si è visto. Troppo poco per essere considerato uno dei capitani alle Olimpiadi, in una gara con tanta salita ma che a mio parere vedrà protagonisti gli scattisti da grandi Classiche».

Hai rimpianti per avere rinunciato all'incarico di CT azzurro dopo Firenze 2013?
«No, credevo fermamente che il progetto targato Alonso sarebbe andato a buon fine. Piuttosto mi hanno ferito tante critiche preconcette che ho subito fin dal momento in cui decisi di accettare l'incarico di CT. Ricordo che io e Monica ci recammo a Roma, al CONI, per incontrare Petrucci. Ero consapevole che, per il mio passato importante di ciclista, tutti sarebbero stati ad aspettarmi al varco con il fucile puntato per sottolineare ogni mio minimo errore. Tuttavia, per dare continuità al suo lavoro e per la profonda amicizia che mi legava a Ballerini, accettai con entusiasmo la proposta».

Ma le critiche arrivarono puntuali per i tuoi quattro mondiali da CT senza medaglie...
«Troppa sfortuna. A Melbourne Pippo Pozzato gettò al vento una medaglia sicura facendo una volata incomprensibile. Da Pinotti e Malori potevano arrivare, senza cadute o incidenti, due medaglie nella crono, mentre quello che capitò a Nibali a Firenze lo ricordano ancora tutti».

Pure il tuo successore, Davide Cassani, è tuttora a secco di medaglie, cosa ne dici?
«Stimo Davide, non mi piace fare paragoni, tuttavia noto che non c'è nei suoi confronti – da parte dei media – l'atteggiamento spesso negativo che fu riservato a me. Sarà perché Davide ha fatto 16 anni da ciclista e 19 anni da giornalista, quindi un po' di benevolenza a livello mediatico probabilmente è risucito a conquistarsela. A me purtroppo non è successo. Comunque ho uno splendido ricordo del mio periodo da CT e ancora oggi ci sono tanti ragazzi che ho guidato che mi contattano per avere consigli: si sono creati dei rapporti umani importanti che mi inorgogliscono».

Un giudizio sulla trattativa Nibali-Baharain?
«Voglio pensare che ci siano delle proposte concrete e che non finisca come capitò a me e ad Alonso, con quel progetto caduto nel nulla e certo senza alcuna responsabilità da parte mia. Si vocifera che gli arabi garantiranno un ingente capitale e che la gestione amministrativa e tecnica del team si avvarrà di uno staff europeo. Staremo a vedere, faccio i miei auguri a Vincenzo anche se sono convinto che Vinokourov sfrutterà ogni minimo spiraglio per cercare di tenere all'Astana quell'atleta che gli ha regalato i trionfi più significativi».

Intanto continuano gli incidenti in gara causati da moto o auto: la tua opinione?
«Certe tragedie erano inevitabili, altre no. Non si devono concedere “patenti” con troppa leggerezza a chi segue le gare, ma ormai anche l'UCI deve tirare una linea su certe situazioni. Il fondo stradale è peggiorato ovunque e le licenze World Tour sono diventate troppe, addirittura ne avanzano. Per garantire maggiore sicurezza basterebbe togliere la deprecabile pratica degli inviti, o wild card e ammettere alle corse più importanti al massimo 18 squadre, composte ciascuna da 8 corridori».

Recentemente è scomparso Giacomo Pasqui, il tuo primo presidente tra i dilettanti.
«Una perdita dolorosa, alla Monsummanese ho imparato il mestiere del ciclista. Sono rimasto tre anni nel club e per la prima volta ho vissuto lontano da casa. Giacomo era come un padre per tutti noi ciclisti e al di là delle vicissitudini che lo avevano coinvolto negli anni scorsi e sulle quali non mi pronuncio, conserverò di lui un bellisismo ricordo».

Il ciclismo italiano ha due leader per le grandi gare a tappe, Nibali e Aru. Ma per puntare alle Classiche, c'è in giro un nuovo Bettini?
«Magari, ho già detto che Ulissi mi assomiglia...Tra i giovani, un ragazzo che ha dimostrato buone attitudiini per le Classiche è Gianni Moscon. Ha debuttato tra i Pro quest'anno e si è già fatto vedere alla Roubaix. Lasciamolo in pace e attendiamolo con fiducia».

Un rimpianto e la gioia più grande della tua carriera?
«Il rimpianto riguarda una Classica che amavo parecchio, per il suo percorso e per la sua atmosfera unica grantita da un pubblico da campionato del mondo: il Giro delle Fiandre. Vi ho preso parte 6 volte e il miglior piazzamento è stato 7° nel 2006. Forse il pubblico mi distraeva, oppure mi perdevo tra quelle stradine in pavé delle Fiandre, chissà. La gioia più grande è stata la vittoria alle Olimpiadi di Atene nel 2004. Vivere dall'interno l'esperienza di un'Olimpiade resta nel bagaglio degli atleti di ogni sport come un arricchimento unico e indimenticabile».

Per concludere, un tuo ricordo di Franco Ballerini?
«Un campione da atleta e un CT senza eguali, da accomunare al leggendario Alfredo Martini. Per me era come un fratello, a lui devo molto e la sua fine mi ha devastato. Accettare di proseguire il suo lavoro come CT mi è sembrato il modo giusto per rendergli onore. Ricordo l'ultima volta che ci parlammo, all'arrivo della gara di Donoratico, il pomeriggio precedente la sua partecipazione al fatale Rally di Larciano. Dopo parecchi Rally corsi insieme, Franco mi comunicò che mi avrebbe “tradito” dicendomi: “Paolo, mica ti offendi se domani corro a Larciano con un pilota vero, uno che va molto più forte di te?”. Cosa mai potevo rispondergli? Sorrisi alla battuta e lo salutai. Per l'ultima volta».

IL CURRICULUM DI PAOLO BETTINI (Cecina, 1°aprile 1974)
205 vittorie in totale, delle quali 133 ottenute nelle categorie minori.
Tra i 72 successi totalizzati da Professionista (dal 1997 al 2008) figurano l'oro olimpico di Atene 2004, i campionati mondiali 2006 e 2007, 3 coppe del mondo, 2 Liegi-Bastogne-Liegi, 2 Giri di Lombardia, 1 Milano Sanremo, 2 campionati italiani, tappe al Giro d'Italia, al Tour de France, alla Vuelta di Spagna, una Tirreno-Adriatico e numerose gare in Italia e all'estero. E' stato CT della nazionale italiana di ciclismo professionisti dal 2010 al 2013.

Stefano Fiori per tuttobiciweb.it
http://www.tuttobiciweb.it/index.php?pag...&cod=91319
 
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#48
L'intervistatore ignora che Cassani ha vinto una medaglia da CT
 
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#49
Paolo Bettini operato al tendine: tutto ok
Una banale caduta ha richiesto l'intervento chirurgico

[Immagine: showimg.php?cod=94064&resize=10&tp=n]

Paolo Bettini è stato operato questa mattina per la ricostruzione del tendine del pollice della mano destra, lesionato in maniera incredibile.
«Sono caduto in casa e nel rialzarmi mi sono lesionato il tendine - racconta a tuttobiciweb lo stesso Paolo, appena svegliatosi dall'anestesia -: inizialmente non ho sentito dolore, poi la situazione è peggiorata e quindi sono stato costretto a ricorrere al chirurgo,. L'operazione è durata più di un'ora, si è rivelata anche piuttosto complessa ma adesso sto bene e spero che domani i medici mi diano il permesso di tornare a casa».

tuttobiciweb.it
 
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