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Giro d'Italia, A che punto è il Giro
#1
Ciao a tutti!
Da un po' di tempo sto collaborando per l'Ultimo Uomo (una rivista sportiva online) come "opinionista" di ciclismo.
Qui sotto trovate il link all'articolo che abbiamo pubblicato stamattina sui protagonisti di questo Giro d'Italia.


A che punto è il Giro
Con le tappe più importanti in arrivo, un punto sulle condizioni dei vari corridori dopo undici giorni di corsa.
Dopo undici giorni di corsa è ancora presto per dire chi vincerà il Giro d’Italia. Non solo a causa dei ritiri in corsa di due grandi favoriti come Tom Dumoulin e Mikel Landa, che aumentano l’incertezza e fanno scendere l’appeal del giro, ma anche perché le tappe impegnative devono ancora tutte arrivare. Una di quelle già passate, ovvero la cronometro di domenica sulle colline toscane del Chianti, che avrebbe dovuto rompere alcuni equilibri, non ha avuto effetti sulla classifica generale.
 
Dopo undici giorni di corsa è però possibile mettere sul piatto le condizioni fisiche e psicologiche di chi ambisce alla maglia rosa. Mentre la schiera dei favoriti si dirada all’orizzonte emergono alcuni outsider che, da qui alla fine, potrebbero movimentare la corsa più di quanto avremmo potuto immaginare all’inizio.
 
Corridori poco quotati come Chaves, Majka, Jungels, Kruijswijk, hanno dimostrato di saper reggere il ritmo dei migliori. Pur stando ancora lontani dalle pendenze dei prossimi giorni, hanno dato prova di poter rappresentare un serio pericolo per i due favoriti assoluti di questa edizione: Aljeandro Valverde e Vincenzo Nibali, entrambi, in modo diverso, già padroni di questo Giro d’Italia. Non solo perché sono i corridori più forti, ma anche perché sono complessivamente i più completi. Un aspetto che sarà sempre più importante man mano che si avvicinerà il traguardo, e le difficoltà continueranno ad aumentare.
 
Eppure un grande giro rimane sempre aperto. L’insidia è sempre dietro l’angolo: basta un solo giorno di crisi, una curva designata male, un episodio sfortunato, o una tattica sbagliata per gettare al vento i sacrifici di una stagione intera.
 
Con tutte le salite all’orizzonte, vediamo intanto chi parte col serbatoio più pieno.
 

I favoriti
 
Vincenzo Nibali
di Marco Armillei
 
In un’edizione del Giro d’Italia senza vere stelle ma con molti buoni corridori, Vincenzo Nibali si è da subito candidato come favorito. Eppure “Lo squalo dello stertto” ha vissuto questa prima metà leggermente nascosto, offrendo prestazioni divise fra luci e ombre. Se è vero che la classifica lo vede in buona posizione (quinto) e a soli 2” da Valverde ( probabilmente il suo principale rivale), il messinese nelle due tappe più importanti ha avuto prestazioni antitetiche.
 
Nella cronometro del Chianti ha concluso al diciannovesimo posto, comportandosi bene nell’ottica dei candidati alla vittoria finale. Ha ceduto del tempo a Jungels, guadagnando però su tutti gli altri. Il vantaggio accumulato non è stato elevatissimo, ma in una prova dalla così difficile interpretazione ( oltre che dall’incredibile durezza), ogni secondo guadagnato può considerarsi prezioso.
 
Diverso, invece, è stato il suo rendimento nella sesta tappa con arrivo in salita a Roccaraso. Nibali ha pagato uno scatto tentato sulla cima della salita, quando avrebbe invece fatto bene a rimanere più coperto, vista la condizione non ottimale. I secondi persi non sono stati moltissimi, ma in un Giro così equilibrato potrebbero avere il loro peso.
 
Non credo che questo sia rivelativo di una scarsa condizione in salita. È più probabile che Nibali abbia sofferto i forti sbalzi di temperatura subiti nella tappa di Roccararso, che potrebbero avergli tolto brillantezza. In tutte le altre situazioni, come la tappa con tratti in sterrato, o quella vinta da Ulissi con un duro strappo nel finale, si è sempre comportato benissimo, mostrandosi in grande controllo della situazione. Una tranquillità che non deriva solo dalla sua grande esperienza ma anche dalla forza della squadra che lo sta supportando. Nell’Astana può contare, fra gli altri, sull’aiuto di Agnoli, Scarponi, Fulgsang e Kangert, quattro gregari che in salita sono fra i migliori al mondo. Sembra inoltre migliorato l’equilibrio complessivo della squadra. Durante lo scorso Tour de France Nibali si sentì quasi messo da parte dalla sua squadra: una situazione che ha trovato il suo apice quando il direttore sportivo Martinelli che si è assunto le responsabilità dello scatto provato da Nibali nella sesta tappa. Oggi l’ambiente appare finalmente unito attorno al suo capitano. Ed è un qualcosa che con l’avanzare della corsa peserà sempre di più negli equilibri generali, autorizzando Nibali a coltivare ottimismo.
 
Le principali tappe di montagna devono ancora essere affrontate. Probabilmente Nibali proverà a mettere una seria ipoteca alla maglia rosa fra la quattordicesima e la quindicesima tappa. La prima è caratterizzata da sei passi dolomitici e da un dislivello complessivo di circa 5400 metri. La seconda è invece una cronoscalata (salita di 9 km con pendenza media dell’8,3%). Nibali cercherà di imporsi sfruttando sia le sua grandi doti di scalatore che la sue regolarità, che su salite dalle pendenze severe come quelle in programma sarà una buona arma per evitare crisi e compromettere la classifica. Rispetto a un corridore come Valverde, la sua maggior conoscenza della tipologia di tappe del Giro potrebbe essere decisiva.
 
In alcuni frangenti nei prossimi giorni Nibali potrà apparire meno brillante dei suoi rivali, e sarebbe una scelta calcolata, volta a non fare “fuori giri”. Se poi dovesse accusare in qualche tappa un pesante ritardo, Nibali ha le qualità per portare un attacco da lontano (tattica già utilizzata in passato, spesso con buoni risultati).In un modo o nell’altro, insomma, Nibale sarà il grande protagonista di questa seconda parte di corsa.
 
 
Alejandro Valverde
di Andrea Minciaroni
 
Bastano i numeri e la storia a rendere Alejandro Valverde un corridore temibile per la vittoria finale. A prescindere dall’impressionante condizione di cui ha dato mostra finora, Valverde rappresenta il prototipo del ciclista completo, uno dei pochi ad essere competitivo in diverse specialità: classiche di un giorno, prove contro il tempo, volate e corse a tappe. Un corridore per certi versi estraneo a un ciclismo biomachines, in cui team e corridori programmano le preparazioni delle stagioni su pochi, singoli appuntamenti e che privilegia un modello di corridore tecnologico-razionale.
 
Valverde non sarà un fenomeno assoluto nelle lettura tattica delle corse, e molte volte si è fatto scappare occasioni importanti per troppo attendismo. Eppure è riuscito, nell’arco della sua carriera, a salire sei volte sul podio della Vuelta – da primo nel 2009 -, una volta sul podio del Tour de France – 2014 – e al contempo a vincere corse molto diverse tra loro, come la Freccia-Vallone – quattro volte – e la Liegi-Bastogne-Liegi – tre volte.
 
Quest’anno è supportato da una squadra di alto livello e, anche grazie al ritiro di Mikel Landa, è uno dei favoriti maggiori per la vittoria di questa edizione.
 
Valverde è stato il protagonista assoluto della prima parte di questo Giro d’Italia. È stato grazie ai suoi attacchi che Tom Dumoulin è passato, nel giro di due giorni, da possibile competitor per la vittoria finale a triste comparsa che non ha più nulla da dire.
 
Durante  l’ottava tappa, da Foligno ad Arezzo, sullo sterrato dell’Alpe di Poti, che ha lanciato  Brambilla verso la vittoria e la conquista della maglia rosa, Valverde è partito all’attacco costringendo Tom Dumoulin a una disperata rincorsa.
 
Lungo i 6,4 km della salita, con pendenza media del 6,5% e punte fino al 14%, il murciano ha imposto un ritmo impressionante, tirando il gruppo dei migliori composto da Nibali, Chaves, Zakarin, Uran, Kruisjwik, Maika e, successivamente, Landa.
 
Due giorni dopo la tappa di Arezzo, alla domanda di un giornalista che chiedeva chi fosse il favorito per la vittoria finale del Giro d’Italia, Valverde ha dichiarato: «Chi sono i favoriti ? lo avete visto sullo sterrato».
 
Le due incognite  principali che lo separano da una possibile vittoria sono due: la tenuta sulle tappe più dure e l’apparente incertezza che si respira in casa Movistar.
 
Per quanto riguarda la prima, Valverde dovrà impegnarsi molto per riuscire a limitare i danni sulle tappe alpine, terreno più ideale a scalatori puri come Nibali e Chaves. Per quanto riguarda la situazione della Movistar c’è da capire quale ruolo avrà Amador nei prossimi giorni.
 
Non c’è da escludere che, in vista della sua attuale posizione in classifica generale e delle sue abilità da scalatore, qualora Valverde non riuscisse a tenere le ruote dei migliori sulle tappe più impegnative, la Movistar potrebbe puntare anche su Amador per la classifica generale, designandolo come nuovo capitano.
 
 
Gli outsider
 
Bob Jungels
di Umberto Preite Martinez
 
L’ultimo lussemburghese ad aver indossato la Maglia Rosa al Giro d’Italia fu Charly Gaul, esattamente 50 anni fa. Oggi come allora, è un giovanissimo ciclista del Lussemburgo la più bella sorpresa del Giro d’Italia fin qui.
 
Bob Jungels, classe 1992, è la nuova promessa del ciclismo lussemburghese e mondiale. Per comprendere il personaggio con cui abbiamo a che fare, basti pensare che qualche anno fa dichiarò che il suo sogno non è semplicemente vincere il Tour, o una Classica, come tanti altri ciclisti della sua età, ma, più semplicemente, “essere una Leggenda”.
 
Dopo un’ottima prima settimana di Giro, Jungels si ritrova a metà percorso in testa alla classifica generale con 1’07” di vantaggio su Valverde e 1’09” su Nibali, i grandi favoriti.
 
Il suo obiettivo principale è la maglia Bianca di miglior giovane, ma non sarebbe il primo lussemburghese a vincere questa speciale classifica salendo anche sul podio finale. Charly Gaul aveva esattamente la sua età quando vinse il Giro nel 1956, Andy Schleck aveva un anno in meno quando salì sul secondo gradino del podio con indosso la maglia Bianca nel 2007.
 
La concorrenza non sembra spietata, l’unico a impensierirlo fra i giovani potrebbe essere Davide Formolo, ma i 5 minuti di vantaggio fin qui accumulati e la straordinaria forma fisica dimostrata in questi primi giorni, sembrano garantire che non ci sarà molta battaglia fra gli Under-25 quest’anno.
 
La vera domanda è dove potrà arrivare davvero Bob Jungels visto che la concorrenza per il podio, dopo l’addio di Landa, è invece più agguerrita che mai.
 
Il giovane capitano della Etixx-Quick Step ha disputato un’ottima cronometro riuscendo a guadagnare molto sui suoi diretti avversari, pur trattandosi di un percorso molto inusuale per una prova contro il tempo. Jungels ha recuperato tutto il tempo perduto nella tappa precedente, dove non era riuscito a tenere le ruote dei grandi favoriti sullo sterrato accusando sul traguardo di Arezzo un ritardo di 51” sul gruppo di Valverde.
 
A Roccaraso era invece arrivato insieme agli altri, precedendo di pochi secondi il gruppo di Nibali e Landa dopo lo scatto di Dumoulin.
 
Ma la sua condizione sembra essere in costante crescita. Infatti nella tappa di Sestola, gli attacchi dell’Astana sul Pian del Falco e di Amador nella discesa non l’hanno minimamente scalfito, tanto che grazie al preziosissimo aiuto di Brambilla (in maglia Rosa quel giorno) è riuscito a rintuzzare tutti gli attacchi. Ad Asolo è addirittura andato all’attacco con Amador e Ulissi, guadagnando ulteriore terreno e mostrando una forza inaspettata.
 
Viene dunque da chiedersi come si comporterà il campione nazionale del Lussemburgo sulle Alpi, la cartina tornasole per tutti i pretendenti al “Trofeo senza fine”.
 
Quel che è certo è che la sua crescita nel corso degli anni è stata rapida e costante. Partendo dalle sue ottime capacità a cronometro sta lavorando sodo per trasformarsi in un corridore da grandi corse a tappe, e non dubito che possa riuscire nel suo intento. È ancora giovanissimo ma sembra già avere una ottima consapevolezza dei suoi mezzi oltre che una mentalità vincente e ambiziosa.
 
 
Esteban Chaves
di Flavio Fusi
 
Nella guida al Giro, avevo nominato Chaves tra gli outsider, sottolineando però come secondo me puntasse più ad una tappa che nella classifica. Dopo undici tappe siede all’ottavo posto della generale, a 2:43 minuti di ritardo dalla maglia rosa Jungels con circa un minuto e mezzo di distacco dai favoriti Nibali e Valverde. Finora, nelle tappe che contavano veramente è stato chirurgico, tagliando sempre il traguardo tra i primi dieci a Praia a Mare, Roccaraso, Arezzo e Sestola, arrivando con i migliori anche nell’insidiosa tappa di Asolo.
 
Di fatto, Chaves ha accumulato tutto il distacco che lo separa dai suoi avversari nelle due cronometro di Apeldoorn e del Chianti e in un certo senso il suo Giro inizia proprio da adesso, poiché da Palmanova in poi troverà il terreno a lui più congeniale e sulla carta anche l’ultima cronometro gli si addice, visto che si tratta di una cronoscalata.
 
La sua carriera ad alto livello è stata rallentata dallo spaventoso incidente del Trofeo Laigueglia 2013, in cui subì una lunga serie di fratture, lo schiacciamento di un polmone ed addirittura un’emorragia subaracnoidea, rischiando seriamente la vita. Ad oggi ha praticamente recuperato del tutto, fatta eccezione per la funzionalità del braccio destro, che è ridotta al 70% dopo la ricostruzione di due nervi dell’arto.
 
Nonostante questo brutto episodio, Chaves è comunque un corridore capace di arrivare quinto alla Vuelta dello scorso anno, vincendo anche una tappa nell’arrivo in salito di Sierra de Cazorla davanti a Daniel Martin, Dumoulin e Ruben Plaza, che ora è suo compagno di squadra ed insieme a Txurruka l’unico che può dargli una considerevole mano in montagna. L’Orica presente al Giro non è costruita per supportarlo in salita, visto che oltre ai due esperti spagnoli ci sono passisti come Hepburn, Bewley, Tuft ed Howson (l’unico che regge su pendenze dolci) in grado di dare una mano ai velocisti Megzec e Ewan, ma forse meno utili alla causa dello scalatore colombiano.
 
Eppure, per caratteristiche, la conformazione della squadra è pressoché la stessa di quella Vuelta e Chaves non sembra affatto spaventato dalla forza delle formazioni dei favoriti. Tra l’altro si trova in una posizione di classifica che potrebbe consentirgli maggior libertà e quindi la possibilità di lanciarsi in qualche fuga, anche da lontano, permettendogli di guadagnare terreno. Con tutte le salite che la corsa affronterà nelle prossime tappe, per Movistar e Astana sarà difficile controllare tutte le fughe e per lui ci saranno diverse possibilità di mettersi in mostra. La squadra spagnola prima o poi dovrà scegliere di sacrificare le ambizioni di Amador per il capitano Valverde e Jungels difficilmente reggerà a lungo in alta montagna, dunque credo che una nuova vittoria di tappa con top 5 in un Grande Giro sia ampiamente alla portata dell’ex corridore della Colombia. Se arrivasse addirittura il podio, sarebbe la decisiva conferma che finalmente anche l’Orica ha trovato un corridore da grandi corse a tappe.
 
Steven Kruijswijk
di Umberto Preite Martinez
 
Dopo un inizio di carriera promettente, Steven Kruijswijk, olandese classe 1987, si era un po’ perso. Il suo recupero è cominciato quando proprio sulle strade del Giro, quando lo scorso anno è riuscito a dimostrarsi come uno dei migliori in salita nella terza settimana, chiudendo al settimo posto in classifica generale nonostante un avvio disastroso.
 
Quest’anno sembra andargli tutto per il meglio. Ai piedi delle Alpi, Kruijswijk è lì a 1’07” dalla maglia Rosa, con lo stesso tempo di Valverde. È stato bravo a nascondersi, evitare incidenti e risparmiare energie preziose, aiutato da un buon lavoro di squadra.
 
In questi giorni ha dimostrato di avere un’ottima gamba, riuscendo sempre a rimanere con i migliori in salita. A Roccaraso è sembrato uno dei più brillanti, capace di seguire l’allungo di Valverde nel finale pur non avendo nel suo repertorio delle grandi doti in volata. Stesso discorso ad Arezzo, dove sullo sterrato è sempre rimasto nelle prime posizioni del gruppo, senza apparenti difficoltà.
 
Anche nella cronometro ha fatto registrare un tempo in linea con le prestazioni dei suoi diretti avversari e oggi può affrontare la seconda metà di questo Giro d’Italia con grande tranquillità, sapendo di avere delle ottime carte da giocare.
 
Se dovesse ripetere la crescita avuta lo scorso anno durante le tre settimane, allora sarà sicuramente uno dei punti di riferimento nelle tappe di alta montagna.
 
In particolare le sue doti da fondista potranno risultare molto utili nelle tappe di Corvara (210 km con 6 Gpm e 5400 metri di dislivello) e di Risoul (dove si scalerà la Cima Coppi, il Colle dell’Agnello: 21 km d’Inferno).
 
A questo punto del Giro d’Italia, Kruijswijk sembra veramente essere l’outsider perfetto. Va fortissimo in salita, ha la maturità giusta per rimanere concentrato fino alla fine e ha un intero Paese che spera di aver finalmente trovato l’uomo giusto per portare la maglia Rosa in Olanda per la prima volta in oltre cento anni di storia.
 
Il problema per lui potrebbe però essere proprio la sua squadra. La Lotto NL-Jumbo non è costruita per vincere il Giro, non ha gli uomini adatti per controllare la corsa nelle grandi salite e questo potrebbe esporre Kruijswijk a continui attacchi dei suoi avversari ai quali l’olandese dovrebbe rispondere in prima persona, con un enorme dispendio di energie.
 
Insomma, se nel testa a testa non sembra per ora inferiore a nessuno dei suoi diretti contendenti, potrebbe pagare l’assenza di una squadra solida al suo fianco.
 
Per questo, se sembra difficile immaginarlo in Rosa a Torino, non lo è per niente credere che abbia le carte in regola per centrare il suo primo podio in una grande corsa a tappe.
 
Rigoberto Uran
di Umberto Preite Martinez
 
Inutile girarci intorno: Rigoberto “Ciccio” Uran è stata la grande delusione di questa prima parte di Giro d’Italia.
 
A questo punto della competizione ce lo aspettavamo molto più in alto in classifica generale, vista la sua esperienza e la sua grande abilità a cronometro. Dopo la vittoria nella Barbaresco-Barolo del 2014, si pensava che potesse ripetersi su un percorso simile, nella cronometro del Chianti. Ma, complice il maltempo e una caduta, il capitano della Cannondale ha addirittura perso terreno nei confronti degli altri favoriti per la vittoria finale chiudendo 64° a 4’12” dal vincitore di tappa e a 1’59” da Nibali.
 
Certo, la caduta può essere un’attenuante, ma se Armstrong in 7 anni al Tour non è mai caduto è segno che gli incidenti possono essere limitati, specie se si ha la gamba giusta e una squadra forte al fianco. È vero che in tutte e tre le tappe di media difficoltà incontrate finora (Roccaraso, Arezzo e Sestola) il colombiano è sempre rimasto con i migliori, ma non ha mai mostrato una grande brillantezza.
 
Oggi si ritrova 11° in classifica generale a 3’12” dalla maglia Rosa di Bob Jungels e a più di 2 minuti da Nibali, Valverde e Kruijswijk. Davanti a lui, oltre a questi quattro, ci sono corridori come Amador, Majka, Chaves e Zakarin, tutta gente che sarà molto difficile da togliersi di ruota sulle grandi montagne, soprattutto per quanto visto fino ad ora.
 
Sarà per lui un’impresa durissima recuperare posizioni in classifica. Per farlo potrà sfruttare la buona condizione mostrata in questi giorni da Davide Formolo, mentre Joe Dombrowski sembra ancora un po’ troppo indietro rispetto alle aspettative per poter essere concretamente d’aiuto al suo capitano.
 
Se riuscirà a mettere in mostra una buona condizione nelle tappe più impegnative, le sue caratteristiche da regolarista potrebbero senz’altro farlo rientrare fra i primi 10, considerando che verosimilmente usciranno presto di classifica Ulissi e Brambilla. Riuscire ad immaginarlo sul podio a Torino risulta però alquanto complicato.
 
Uran ha ormai 29 anni e nonostante le grandi doti mostrate da giovane, non è mai riuscito a fare quel salto di qualità che tutti si aspettavano da lui. E anche quest’anno, costretto a dover fare i conti con una folta schiera di seri contendenti, sembra girargli tutto per il verso sbagliato.
 
Rafal Majka
di Umberto Preite Martinez
 
La sensazione che sempre più si fa strada è che il Giro di Rafal Majka debba ancora cominciare. Finora il polacco della Tinkoff è sempre rimasto con i migliori, su tutti i terreni fin qui affrontati. A Roccaraso e ad Arezzo ha mostrato di essere in ottima forma e anche nella cronometro del Chianti si è classificato al 31° posto a 2’52” da Roglic e a meno di un minuto da Nibali e Valverde. Con la complicità della pioggia, Majka è riuscito a limitare i danni nella prova contro il tempo e lo straordinario lavoro di Matteo Tosatto, il più anziano del Giro con i suoi 42 anni, gli ha evitato qualsiasi problema durante la prima settimana, dove l’incidente è sempre dietro l’angolo.
 
La Tinkoff è stata abile a pilotare il suo capitano fuori da tutte le possibili imboscate e oggi Majka è al 6° posto nella classifica generale a solo 2’01” da Jungels e a 52” da Nibali.
 
L’obiettivo è sempre stato quello di salire sul podio e, soprattutto dopo il ritiro di Landa, le possibilità di riuscirci sono considerevolmente aumentate. Per completare l’opera Majka dovrà dimostrare di aver fatto quel salto di qualità decisivo per essere competitivo nelle corse di tre settimane.
 
La sua crescita in carriera è stata sempre costante, anche se forse troppo lenta rispetto a quanto mostrato nel biennio 2013/2014, quando fu capace di piazzarsi per due volte nella top-10 al Giro e di vincere la maglia a Pois al Tour de France del 2014.
 
L’anno scorso i sogni di gloria di Contador gli hanno impedito di partecipare alla Corsa Rosa per fare da gregario allo fuoriclasse spagnolo al Tour, dove non ha però particolarmente brillato pur riuscendo comunque a vincere una tappa.
 
Quest’anno ha una grande occasione per dimostrare tutto il suo valore e ci sono tanti segnali più o meno razionali che giocano in suo favore. Innanzi tutto il percorso della terza settimana sembra disegnato su misura per le sue doti da fondista. Majka ha sempre fatto della regolarità la sua arma vincente, ma spesso è stata proprio la sua difficoltà nei cambi di ritmo il suo tallone d’Achille.
 
Da questo punto di vista Rafal Majka ricorda il Vincenzo Nibali di qualche anno fa, ma come lo “Squalo dello stretto” è riuscito nel tempo a fare di questa caratteristica il suo punto di forza, così il polacco dovrà avere un’evoluzione simile se vuole realmente vincere una grande corsa a tappe.
 
Parlando invece delle motivazioni irrazionali, è impossibile non citare la tappa di Risoul. Due anni fa, al Tour 2014, mentre Nibali staccava tutti i suoi diretti avversari e sanciva il suo dominio sulla Grand Boucle, Majka con una grande azione andava a vincere quella tappa che si concludeva proprio a Risoul dopo aver scalato il Col du Lautaret e l’Izoard.
 
Se questa coincidenza sarà di buon auspicio per lui solo il tempo ce lo potrà dire. Nel frattempo la Tinkoff dovrà esser brava a mantenere il suo capitano nelle migliori posizioni in corsa sperando che Majka riesca finalmente a tirar fuori tutto il suo enorme potenziale.
 
 
Il’Nur Zakarin
di Marco Armillei
 
“Forse non è poi così vero che la fortuna aiuta gli audaci”. Il’nur Zakarin deve aver pensato qualcosa di simile dopo la cronometro del Chianti. Lui, corridore coraggioso e pronto all’attacco come pochi, si è visto costretto ad accantonare il sogno della maglia rosa, cullato per buona parte della frazione. Zakarin si è reso autore, come da pronostico, di una grande prova, almeno fino alla parte finale, quando a causa dell’asfalto reso scivoloso dalla pioggia ha pagato carissimo due sbavature corredate da altrettante cadute.
 
La tappa che poteva condurlo in testa alla classifica, allora, lo ha visto invece scivolare in basso, avendo ceduto 3 minuti e 51 secondi al vincitore di giornata. Al netto della altre frazioni, Zakarin si trova in nona posizione, a 2’08” da Bob Jungels. Questo perché il russo ha finora mostrato una condizione eccellente. Terzo al traguardo a Roccaraso (con tanto di abbuono guadagnato),con il gruppo dei migliori ad Arezzo e a Sestola, dando sempre l’idea di stare facilmente fra i primi.
 
La seconda parte di gara è però per lui, più che per ogni altro, un’enorme incognita. Nonostante non sia un atleta giovanissimo (compirà 27 anni a Settembre) Zakarin ha alle spalle solo un Grande Giro  portato al termine, ovvero l’edizione 2015 della Corsa Rosa, chiusa in 44esima posizione. Risulta evidente che fra coloro destinati a “saltare” (termine gergale che indica chi va in crisi nelle ultime tappe per via di un mancato recupero) il suo nome è in cima lista, non avendo esperienza nel gestire una terza settimana di corsa né dal punto di vista fisico né da quello, non meno importante, mentale.
 
A lasciare qualche speranza a Zakarin di arrivare tra le prime posizioni di classifica c’è il livello generalmente non altissimo del Giro. C’è moltissima differenza fra correre per vincere e per ottenere solo un piazzamento. Se Zakarin puntasse con decisione a questo secondo obiettivo, eviterebbe potenziali “fuori giri” per cercare di seguire due corridori che in salita potrebbero essere di una cilindrata superiore.
 
La chiave di volta della sua corsa sarà resistere alla tentazione di attaccare continuamente (caratteristica che contraddistingue il capitano della Katusha). Finora si comportato bene in questo senso, e solo proseguendo sulla stessa strada Zakarin potrà ottenere un risultato su cui porre le basi per un gran futuro.
 
Il giro che non c’è più
 
Mikel Landa
di Andrea Minciaroni

Il ritiro di Mikel Landa è la cosa più triste di questo Giro d’Italia. Il suo abbandono riduce sensibilmente la competizione generale della corsa e in parte ridimensiona la portata della futura vittoria dei corridori rimasti.
 
A differenza del ritiro di Tom Dumoulin, in un totale crollo di condizione atletica e psicologica, Mikel Landa è stato costretto a ritirarsi nel suo momento migliore. Ai nastri di partenza tutti lo davano come uno dei favoriti assoluti di questa edizione, un pronostico però che ha iniziato a scricchiolare già dopo le prime, deludenti performance.
 
Landa non ha mai subito una crisi vera e propria, ma tutte le volte che la strada iniziava a salire – su pendenze ridicole rispetto a quelle che vedremo a breve – ha sempre avuto qualche difficoltà in più rispetto ai suoi rivali. È sempre stato costretto a rincorrere e rientrare sul gruppo dei migliori, e in molti hanno iniziato a gettare qualche dubbio sulla sua condizione.
 
Il punto di svolta del suo Giro d’Italia è avvenuto durante la cronoscalata da Radda in Chianti a Greve in Chianti. Una prova contro il tempo lunga 40,5 km, uno degli appuntamenti più importanti di questa prima parte di corsa, in cui tutti lo davano come sicuro sconfitto.
 
Al termine di questa giornata c’è chi ipotizzava un minuto – due minuti di ritardo rispetto ai suoi avversari, ma alla fine è riuscito a chiudere con soli 4 secondi di ritardo da Nibali e 7 da Valverde, molti più abili di lui nelle prove contro il tempo.
 
Una performance oltre ogni aspettativa, che lo aveva rilanciato ancora di più come il probabile vincitore di questo Giro d’Italia. Per questo motivo il suo abbandono lascia in sospeso alcune questioni: quale sarebbe stato il Giro d’Italia di Mikel Landa.
 
È improbabile che l’ottima prova nella cronometro di domenica scorsa sia stata il semplice frutto del caso, ma è altrettanto assurdo immaginare che da quel giorno in poi Landa avrebbe fatto a pezzi tutti i suoi rivali. Certo è che dopo il Giro dello scorso anno, in cui fu costretto a fare da gregario ad Aru, arrivando terzo, quest’anno sarebbe stato interessante vedere a che punto potevano spingersi le sue ambizioni di vittoria.
 
Non ci resta che aspettare e, nel caso prendesse parte, vedere se la sua rivincita si compirà sul palcoscenico più prestigioso in assoluto: il Tour de France.
 
 
Tom Dumoulin
di Flavio Fusi
 
Dumoulin ha cominciato il Giro con il chiaro obiettivo di vincere la prima tappa in patria, la breve crono olandese di Apeldoorn, e lo ha centrato in pieno, con il supporto del re in persona, Gugliemo Alessandro dei Paesi Bassi, che lo ha accompagnato nella vittoria a bordo della ammiraglia della Giant-Alpecin.
 
Conquistata la prima maglia rosa, battendo di appena undici millesimi Primoz Roglic, si è subito aperto il dibattitto sulla sue reali possibilità di ottenere la vittoria finale. Lui stesso aveva provato a negare questa eventualità, dicendo che prima del Giro non aveva nemmeno partecipato ad un ritiro in altura, a voler indirettamente confermare la rinuncia in partenza ad ambizioni di classifica.
 
Ma evidentemente i 20 secondi guadagnati su Nibali, rimbalzato dopo essersi reso protagonista di un mal congegnato attacco controvento sulla salita di Roccaraso, gli avevano ridato fiducia tanto da portarlo a dire “Sono sorpreso da me stesso! Posso combattere per la maglia rosa”. Ma come si sa, la prima settimana di corsa di un Grande Giro è molto spesso ben poco significativa: alla prima vera difficoltà della corsa, la salita dell’Alpe di Poti (che probabilmente verrà intitolata a Pantani) affrontata durante la sesta tappa, l’olandese non solo ha perso la maglia per la seconda volta (era già successo al termine della terza tappa), ma non è nemmeno riuscito a rimanere con i corridori di classifica, cedendo 2’.
 
L’occasione per rifarsi gli si è presentata il giorno dopo nella cronometro del Chianti, ma tra la pioggia che gli impedito di correre al massimo delle sue possibilità, penalizzandolo rispetto a chi era partito prima (tra cui il vincitore Roglic) e i postumi della mezza (?) crisi del giorno precedente, Dumoulin è riuscito a riguadagnare solo una manciata di secondi in classifica.
 
La mazzata finale, e di fatto la prematura conclusione del suo Giro d’Italia, è arrivata sotto forma degli oltre 13 minuti di distacco patiti rispetto a Ciccone sull’arrivo di Sestola, dopo che si era staccato nel punto più facile, il falsopiano che spezza la salita di Pian del Falco. Usando una metonimia, Dumoulin ha spiegato che la causa della sua débâcle è stata il “mal di sella” che gli ha impedito di mantenere il ritmo in salita.
 
Acciaccato e senza più nulla da chiedere ad un Giro che ha esaurito le cronometro adatte alle sue caratteristiche e che comincerà a salire vertiginosamente, il corridore della Giant-Alpecin ha deciso di ritirarsi per non compromettere le sue chances nella cronometro olimpica di Rio, vero obiettivo della sua stagione.
 
Al 88.esimo chilometro dell’undicesima tappa ha così scelto di smontare di sella e salire in ammiraglia, abbandonando mestamente la corsa. Nel proseguo della sua carriera, Dumoulin potrà ambire alla vittoria di qualche corsa a tappa di minor durata, oppure sperare che prima o poi, gli si presenti un’altra occasione come quella della Vuelta dello scorso anno, in cui la cronometro, le ripide ascese che minimizzano i distacchi per l’impossibilità di fare velocità ed un pool di favoriti relativamente ridotto, lo misero nella condizione di poter cogliere un’occasione più unica che rara.

http://www.ultimouomo.com/a-che-punto-e-il-giro/
di Marco Armillei, Andrea Minciaroni, Umberto Preite Martinez e Flavio Fusi per ultimouomo.com

Ogni commento è ben accetto! 

PS: vi sfido a scoprire quale dei quattro autori sono io Ghgh
 
Rispondi
#2
Sei Umberto.
 
Rispondi
#3
(19-05-2016, 03:25 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Sei Umberto.

Hai imbrogliato.
Non so come, ma hai imbrogliato. Mazza
 
Rispondi
#4
Lo avevi scritto qua da qualche parte.
 
Rispondi


[+] A 1 utente piace il post di Luciano Pagliarini
#5
(19-05-2016, 03:40 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Lo avevi scritto qua da qualche parte.

Manco me lo ricordavo... Facepalm
 
Rispondi
  


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