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Il doping elettronico
#1
Il doping elettronico contro la fatica
Una serie di impulsi in specifiche aree cerebrali «ricarica» di energia

Rischiano di diventare preistoria la squalifica della ex maglia gialla Rasmussen dal 94° Tour de France e la denuncia del quotidiano Le Parisien sull'impiego di sostanze illecite da parte dei ciclisti che nelle loro borse avrebbero almeno una quindicina di farmaci potenzialmente dopanti. In realtà, l' elenco delle sostanze da sempre usate per combattere la fatica non solo nello sport, ma in qualsiasi attività in cui sia richiesto uno sforzo fisico è praticamente infinito: dal khat, derivato dai germogli e dalle foglie della Catha edulis, masticato dai cammellieri del Corno d' Africa perché infonde un' energia inesauribile; al ginseng cinese recentemente usato nella famosa Mayo Clinic degli Stati Uniti contro la sindrome da affaticamento da tumore, fino a note droghe come la cocaina o addirittura al caffè che beviamo tutti i giorni... Ma adesso questo lungo elenco potrebbe bruscamente interrompersi. I ricercatori diretti da Alberto Priori, del Dipartimento di scienze neurologiche dell' Università di Milano hanno pubblicato sull'ultimo numero dell' European Journal of Neuroscienze, uno studio che potrebbe inaugurare l' era del «doping cibernetico» in cui particolari microimpulsi elettrici, inviati in determinate aree cerebrali, vincono stanchezza e fatica come gli agenti dopanti, ma senza i devastanti effetti collaterali che possono provocare sostanze come l' Epo o il testosterone in dosi massicce. Il nuovo doping che potremmo anche definire «galvanico» si basa sulla cosiddetta stimolazione elettrica transcranica diretta (in sigla t-DCS), una tecnica del tutto indolore e non invasiva con la quale, senza accedere direttamente al tessuto cerebrale, è possibile indurre variazioni funzionali del cervello semplicemente appoggiando degli elettrodi sulla testa. Nello studio, quattordici donne e dieci uomini, che non svolgevano attività sportiva di tipo agonistico, sono stati sottoposti a un semplice esercizio muscolare isometrico. Stando seduti, dovevano sollevare l' avambraccio contro un trasduttore di forza collegato a un computer esercitando per tre secondi la massima spinta possibile. Dopo averlo fatto per nove volte, potevano riposare per un minuto. Facendo una media delle migliori prestazioni di ogni partecipante si otteneva così il suo valore di contrazione volontaria massimale che poteva poi essere confrontato con quelli più bassi che sopraggiungevano con l' inevitabile affaticamento che si verificava nella successiva prova di resistenza nella quale occorreva mantenere un livello di forza isometrica costante pari almeno al 35% del valore massimale. Il monitor del computer mostrava se qualcuno, cedendo alla stanchezza, stava per scendere al di sotto di quel valore e allora i ricercatori cercavano di incoraggiarlo verbalmente, ma se entro tre secondi non riusciva a far risalire il valore, il prestante volontario era considerato out e la prova veniva interrotta. Se però sul cuoio capelluto dei soggetti «bolliti» venivano applicati gli elettrodi della t-DCS che inviavano per pochi minuti microscariche di polarità positiva all' area cerebrale motoria, i soggetti tornavano a mantenere per un tempo più lungo lo sforzo muscolare prolungato oltre la fatidica soglia del 35 per cento. Gli stimoli, infatti, facevano aumentare l' eccitabilità dei neuroni cerebrali, riducendo l' affatticabilità del 15 per cento, con un aumento della capacità di sopportare esercizi di media-bassa intensità per tempi più lunghi. «La stimolazione t-DCS faciliterebbe l' invio di impulsi dai centri cerebrali superiori ai motoneuroni del midollo spinale inducendone una prolungata attivazione che si traduce in una maggior durata dello sforzo: questi sorprendenti risultati costituiscono un rilevante passo avanti nella comprensione dei meccanismi che limitano l' esecuzione di sforzi intensi e prolungati - dice Filippo Cogiamanian, uno degli autori dello studio e stretto collaboratore di Priori-. Abbiamo già depositato una richiesta di brevetto internazionale per lo sviluppo di nuove apparecchiature da associare alle tradizionali tecniche di allenamento di sportivi professionisti e amanti del fitness e per combattere la fatica in malattie come lo stroke o i tumori. La fatica non è infatti legata solo agli sforzi fisici, ma rappresenta anche un sintomo comune e spesso disabilitante di varie malattie: poterla controllare ne migliorerebbe certamente la prognosi»

di Peccarisi Cesare - corriere.it
 
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#2
Questo articolo risale a circa 3 anni fa, non per nulla si parla del chicken Rasmussen. Quindi questa tecnica, se ha avuto successo, ad oggi dovrebbe essere più che collaudata.

L'ho inserita qui perchè ci sono i post di parecchie tipologie di doping. Solo per quello. Perchè nel ciclismo la vedo abbastanza improbabile: vabbè che c'è il casco, ma gli elettrodi sarebbe impossibile farli passare inosservati. Andrebbe fatto un impianto sottocutaneo, con controllo a distanza. Un gran casino insomma. Asd E non servirebbe a nulla neanche a farlo nel dopo corsa, visto che non sarebbe un gran metodo per far passare la stanchezza: meglio un bel massaggio, molto più efficace in vista del giorno dopo...

Però in sport che prevedono delle pause, magari passate in degli spogliatoi al riparo da ogni occhio indiscreto, sarebbe la manna dal cielo. A me, di primo acchito, me ne viene subito uno in mente...
:D
 
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