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L’eco della memoria: Edith Piaf e Marcel Cerdan.
#1
Una storia che conobbi bambino, quando ascoltavo attento i discorsi dei grandi di famiglia, praticamente tutti, perché mio fratello e mia sorella erano così distanti da me per età, da essermi quasi dei secondi genitori. Di solito era la mia “dada”, già maestra da tempo, col dono della scrittura e la loquela dei comizianti, a spingere nostra madre, altrettanto loquace quanto sognatrice nel suo masochismo di cattolica che s’era fatta sfregiare dalla scomunica per il suo voto al PCI, verso le argomentazioni tabù delle famiglie del tempo. “Che non ci senta nessuno” – esordiva sempre mamma, quasi a voler chiedere un perdono anticipato verso quella dirittura che s’era data e di cui mai ho percepito i confini. “C’è Maurizio che ascolta dietro la tenda della cucina, ma non lo sgridare, è giusto che si faccia domande. E’ così carino quando mi chiede trenta volte perché!” – rispondeva mia sorella con sorriso compiaciuto. Mamma accettava, non già per quella condivisione che non faceva parte del suo patrimonio di cattolica tradizionalista, ma era così convinta che non potessi capire senza l’arma chiarificatrice dei miei tanti “perché?”, da concedersi una licenza sul fronte di una condotta che si imponeva da sola. Certo, perché babbo, pur di poche e pesanti parole, era di un'apertura decisamente fuori da quell’epoca meravigliosa, densa di povertà, dove ogni piccolo passo era apprezzato. Si dischiudeva così il permesso d’ascolto ed io, armato di curiosità e di quel tozzo di pane che mio zio Bonfiglio faceva così buono, mi rannicchiavo rizzando le orecchie, per capire meglio le voci e gli strani discorsi delle donne di famiglia. Memorizzavo tutto e da imberbe monello, tenevo quelle parole per il giorno in cui potevo capire, senza chiedere l’impegno di una difficile o non gradevole risposta. Altre volte il mio angolo d’ascolto era più semplice: bastava che mi mettessi su una sedia accanto alla poltrona di nonna Argia e far finta di addormentarmi fra le sue braccia. Occhi chiusi ovviamente, ma orecchie ben posizionate ed aperte. Questa versione però, nascondeva un pericoloso inconveniente: mamma vedendomi dormire mi portava a letto, mandando così in fumo la curiosità che m’animava. Ecco perché preferivo la prima soluzione. In quel vortice di discorsi, a volte esageratamente a bassa voce con mio rincrescimento, mamma e dada, facevano sempre riferimento ai riporti della radio, allora una vecchia cassetta che emanava un profumo acre e scottava nella parte retrostante, con due “manopolone” più grandi delle mie mani ed una luce interna che stuzzicava i miei voli di fantasia. Anche a me piaceva quel cassoncino, era un contatto col mondo che non vedevo e mi avvicinava ai miei già idoli, Baldini e Pambianco, così ben definiti nel mio intono e nei sogni ad occhi aperti che consumavo sulla biciclettina. Fu proprio il richiamo d’una canzone che la “dada” aveva appena ascoltata alla radio, a scatenare il risuono di un nome che avevo sentito ancora, ma non avevo ben capito fosse una cantante: Edith Piaf. Mia sorella era entusiasta della sua bravura e lo sottolineò con un “quanto mi piace!”, che risuonò male alle orecchie di mamma. “La bravura, cara Lina, conta poco quando le sottane si alzano!” – ebbe a rispondere con tono fermo nostra madre. Ne nacque una discussione fra le due che non tardò a sfociare sulle vie di nomi di uomini che, a dire di mamma, quella cantante aveva posseduto come strofinacci: Yves Montand, Charles Aznavour, George Moustaki, Marcel Cerdan. Quest’ultimo mi colpì, perché proprio la dada s’affrettò ad aggiungere che era un gran pugile con cervello e sentimenti, non un cretino. “No Lina, se era intelligente non si sarebbe messo con quella che se la faceva con tanti ed era brutta, ma soprattutto lui era sposato con figli” – sentenziò decisa, mamma. “Guarda che era mussulmano e loro possono avere più mogli e poi all’amor non si comanda” – replicò altrettanto decisa mia sorella.
[Immagine: edith-piaf-et-marcel-cerdan_portrait_w858.jpg]
Andarono avanti per un bel po’ di tempo, fino a quando dada non disse che Cerdan era morto su quell’aereo per un atto d’amore e che la loro storia meritava un romanzo. Stizzita come non l’avevo mai sentita, mia sorella che le qualità per scrivere un libro le aveva davvero, accese la radio ed il caso volle che da quel cassoncino uscissero le note e la voce di quella cantante, mentre intonava il brano che più piaceva a dada. “Ecco mamma, ascolta in silenzio “La vie en rose”, e smettila di far la bacchettona. Edith Piaff è un’artista grandiosa, una donna che ha sofferto, altro che una puttana!”. Con quella frase di mia sorella, avevo completato il mio quadro di memorizzazione, avevo capito poco, ma volevo sciogliere quel cruccio quanto prima e conoscere. Sta di fatto che mia madre, da quella sera, cambiò atteggiamento verso la cantante. Fu proprio lei, qualche anno dopo, quando dada s’era sposata ed io ero un giovanissimo zio, a dirmi che il cuore di Edith s’era veramente donato a quello di Cerdan e che il loro era veramente un amore, macchiato dalla sfortuna e dall’irreparabile. Quella storia e quel condensato di emozioni viste attraverso il diaframma di un bambino curioso, mi donò un legame profondo coi protagonisti. Mi aiutò a concepire il pugilato con la giusta ottica antropologica, come un’arte dove si intrecciano i valori umani su un credo sincronico alla vita, dove la violenza è un passaggio per esistere, ma proprio per questo si apprezza e si sviluppa l’intelligenza per evitarne i dolori ed i sempre pesanti effetti. L’acume che serve per vedere la luce senza disperdere l’affetto e il rispetto per chi ti sta di fronte, proprio perché, come te, è preso dai tuoi medesimi problemi e dalle tue stesse paure. Marcel Cerdan era l’incarnazione di questi echi essenziali per capire la boxe nelle pagine estreme, nella sofferenza e nel dolore, nella gentilezza e nel fair play, nell’intelligenza che scioglie le vetuste cariche della determinazione, ed il cuore che non deve mai essere lontano dai furori, perché è peculiare a forgiare l’uomo anche in quel contesto. Un mussulmano, Cerdan, alla faccia di chi, più babbeo dei babbei, stabilisce le coordinate dei confronti sulla base della supposta superiorità di una religione o di una razza. L’altra metà di Marcel, era una donna non bella, che nella sofferenza dell’abbandono e del fisico cagionevole ammazzato dai vizi nella vana speranza di dimenticare, sprigionava la voce del sentimento, degli epigoni che l’esistenza ti mostra a volte come chimerici messaggi, per farti deviare o sognare nell’ebbrezza dell’illusione. Era la cantante che trasformava in artisti i suoi uomini, Montand e Aznavour su tutti, che si sciolse di fronte all’uomo che meglio rappresentava il sogno della sua epopea, uscita dalla più grande tragedia del secolo, nata e concepita come sempre dall’immane ignoranza umana, nel vivere i credi della propria ragione esclusiva sull’immondizia degli altri. Le guerre sono sempre un atto di scemenza, ma quella era stata ancor più devastante, perché aveva arrestato nel sangue un processo storico che portava ad una radicale modificazione della quotidianità essa stessa rivoluzionaria. Edith, vedeva riassunti in Marcel, tutti quei percorsi. Lui era gentile, cordiale, acuto e non aveva bisogno di lei per acquisire la fama dell’interesse; era un orgoglio nazionale da solo, aveva donne anche fatali che gli cadevano ai piedi, ma lui aveva scelto lei, perché la vedeva piena di quel piacere che è tale solo se al sesso si unisce la testa.
[Immagine: 81e-edith-marcel.jpg]
La loro storia era un intreccio delle componenti che fanno l’amore, che superano i livelli dell’infatuazione e che nascono dalle viscere dell’intelligenza istintiva, non comandabile secondo i lenti ragionamenti della razionalità. Edith Piaff, ed il campione del ring Marcel Cerdan, si legarono così su un percorso che trovò un tragico arresto, nell’infausto atteggiamento di quel destino che, a volte, è supremo nel voler concorrere all’immortalità delle ferite. Lui, il pugile della scarica elettrica nelle braccia e dalla gentilezza e generosità d’un missionario, morì all’interno dell’aereo di linea che precipitò sul Mare delle Azorre il 27 ottobre 1949. Nessuno si salvò. Stava raggiungendo, col primo viaggio utile, il suo amore.

“Stasera canto per Marcel Cerdan". Così, la notte seguente, Edith Piaf annunciò al pubblico e alle celebrità del "Versailles", il night francese di New York, l’inizio di una esibizione tanto forzata quanto sentita. Per il suo Marcel cantò. 
"Se un giorno la vita ti strapperà a me / se muori, che tu sia lontano da me". Erano i versi dell'"Hymne à l'amour", il suo inno personale, il brano che sapeva trasportare la sala, che dava la spinta alla trasmissione della sua voce coinvolgente. Ma quella sera fu diverso. Quelle parole così immanenti afflosciarono la voce di Edith che di colpo si spezzò e il "passerotto" della canzone cadde a terra svenuta. Il dolore lancinante che gli stringeva il cuore, aveva abbattuto la sua arte, i lampi geniali della sua recita sulle note, il suo messaggio profondo. Ma anche nell’imprevedibilità di quello straziante epilogo, lei, la cantante dalle mille tonalità, che riassumeva sulle corde vocali l’odissea della povera gente, di quelli che non contano, degli umili che fanno le realtà maggioritarie della vita, stava ancora tracciando uno spaccato della grandiosità umana, ove sulla costante ricerca della verità e della felicità si alternano sugli istmi del cammino gioie, idiomi, passioni, dolori, tragedie. Era una donna straziata Edith, appunto, era uno splendido essere umano.
Chiusi in lei, i frammenti delle ultime ore del grande pugile, il campione gentile, il suo Marcel Cerdan, il grande amore della sua vita. S’era schiantato con l'aereo che da Parigi doveva riportarlo a New York, da lei. Qualche ora prima, al telefono, Edith l'aveva implorato: "Vieni presto! Lascia perdere la nave. Ho bisogno di te!". 
La Piaf tornò a donare la sua grandezza, a legarsi ad altri uomini, a lanciare altri artisti, ad essere il “passerotto” che vola su Parigi, portando la voce del mondo sotterraneo della vita di cui mai si parla, ma il suo cuore non fu più quello di prima. Il dolore per Marcel, si tramutò in un lancio schizzato verso l’evasione sui viali dell’instabilità annaffiata nell’alcol e nella droga: erano i momenti in cui non doveva donare agli altri e lei uccideva se stessa. Il suo cuore straziato dai dolori della sua profonda immensità cessò di battere l’undici ottobre 1963. 
Successivamente scoprii che la discussione fra mia madre e mia sorella, che mi scatenò l’interesse verso l’ellisse di questi due grandi personaggi, avvenuta un anno prima della morte della grande artista parigina, era nata proprio dalle notizie apparse sui giornali dell’epoca circa il tramonto fisico di quella voce immortale.
Una storia fra sport e arte, due facce impresse sullo stesso tronco, come scolpite da un regista che non conosco, ma che ha saputo rendere perfezione alla sua opera indelebile di significati nella corsa verso l’onestà della morte che coinvolge il genere umano. 
Ancora oggi, quando ascolto “Milord” o “La vie en rose”, mi immergo nei ricordi, nel sogno di un’epopea che sento vicina, anche se precedente la mia stessa nascita. Un giorno questa stupenda trance mi coinvolse in auto, sulle note di "Les amantes d'un jour", uno dei brani più belli e coinvolgenti del “passerotto”. Ero giovane, una gazzella con trenta chili in meno, ed i capelli lunghi come quelli odierni, ma tanti in più. Mi fermai. Accanto a me c’era una donna bellissima e tenera, tanto somigliante a Mirelle Mathieu, considerata l’erede artistica di Edith Piaf. Una ragazza di cui mi stavo perdutamente innamorando, corrisposto, e che, per questo assurdo timore, lasciai andare sulle nebulose della mia incipiente immaturità. Portai al volto le mani per nascondere l’imbarazzo, pensavo e volavo a velocità istantanea, come fossi sul ring per evitare i pugni e colpire a mia volta. Lei s’appoggiò a me, con la solita dolcezza mi prese le mani e mi sussurrò: “Maurizio, le emozioni sono il pane della vita, non disperderle, tienile strette. Per questo, prima o poi, le dovrai trasformare in figlie. Trasportale sulla carta, perché tutti le possano leggere. Sarà come dare gambe a te stesso”.

[Immagine: Marcel_Cerdan.jpg]

Marcel Cerdan, un fuoriclasse della noble art 
Quando mandava KO un avversario, prima dell’arbitro e dei “secondi” c’era proprio lui a soccorrerlo, a verificare le sue condizioni, ad aiutarlo a rialzarsi. Era il suo modo di dimostrare che la determinazione agonistica che l’aveva fatto uno dei più grandi picchiatori della storia, non aveva scalfito l’uomo che vi stava dietro. Aveva sofferto da giovane e sapeva che il suo sport non poteva cancellare nell’esteriorità violenta, quella profonda nobiltà interna che dovrebbe contraddistinguere ogni essere umano. 
Marcel era nato il 22 luglio 1916 a Sidi Bel Abbes in Algeria, primo figlio dei tre di un padre francese, spostatosi nella colonia fin dalla tenera età. La famiglia Cerdan non era ricca, ma nemmeno poverissima, anche se le difficoltà non mancavano. Il Marcel ragazzino si dimostrava sveglio, fedele all’indottrinamento mussulmano, ma con una spiccata cura verso i rapporti interpersonali e famigliari. Ben presto accettò di prestarsi all’aiuto economico verso genitori e fratelli, cercando nei più vari lavori i franchi necessari per vedersi utile. L’incontro col pugilato avvenne perché era l’unica opportunità sportiva del suo intorno e per la grande capacità dimostrata nel difendere gli amici più deboli. Col Marcel ragazzino nessun coetaneo cercava il litigio, proprio per le vistose dimostrazioni di forza che testimoniava con naturalezza, senza ricercarle. Il giovane Cerdan, dopo qualche incontro sempre vincente nel 1932, con la canottiera dei dilettanti, si rese conto che la boxe poteva essere un lavoro ed a soli diciassette anni passò professionista, incontrando il 4 giugno 1933 sul ring di Casablanca, in Marocco (dove nel frattempo s’era trasferita la sua famiglia), Marc Gomez. Vinse ai punti in sei riprese, iniziando così la sua leggenda.

[Immagine: Marcel-Cerdan-un-mythe-immortel.jpg]
Un'immagine del match iridato fra Cerdan e Zale 

Note tecniche 
Atleta dal fisico compatto e ben proporzionato (era alto 1,71 con un peso di 72,5 Kg), Cerdan, fu uno straordinario picchiatore in possesso di una notevole tecnica. Boxava in guardia ortodossa ed aveva nella velocità dei colpi, che sapeva portare tutti con straordinaria facilità, la sua arma letale. Era capace di colpire anche sette volte in poco più di tre secondi, una peculiarità rarissima, che solo lui ha saputo mostrare nella sua epopea. La sua difesa, si basava su rapidi spostamenti del tronco che esaltavano una guardia ben impostata a protezione del bersaglio grosso e del volto. Il suo gioco di gambe, sempre decisivo nel pugilato, non conteneva pecche. Capace di soffrire come pochi, possedeva pure una grande capacità di assorbire i colpi, non a caso non fu mai messo al tappeto. Si potrebbe dire che era un pugile perfetto, perché alle doti tecniche, aggiungeva una spettacolarità e generosità straordinarie.

I tratti più importanti della sua carriera 
Il suo segmento agonistico partito il 4 giugno 1933 e chiuso il 16 giugno 1949, si consumò in due diverse categorie di peso: i superwelter ed i medi. In entrambe conquistò i titoli di campione di Francia e d’Europa. Fu però la più nobile delle due categorie a donargli la massima notorietà, grazie ai successi straordinari e limpidi, uno dopo l’altro, sui primi quattro delle classifiche degli sfidanti al titolo mondiale del grandissimo Tony Zale. Arrivò poi ad abbattere questi, in casa sua, a Jersey City, il 21 settembre 1948. Fu un incontro fra titani, ma Cerdan aveva qualcosa in più, che si cementò, ripresa dopo ripresa, con un terrificante epilogo per KO al dodicesimo round. La conquista della cintura iridata, fu un evento che ebbe una vasta risonanza in Europa e rappresentò per la Francia uno degli orgogli più grandi dell’intera storia dello sport transalpino. Basti citare che Marcel Cerdan, nei sondaggi più recenti, è ancora considerato come “atleta del secolo”. Soprannominato “bombardiere di Casablanca”, perse poi il titolo contro Jack La Motta sul ring del Briggs Stadium di Detroit, ma fu un incontro falsato. Dapprima, il grande pugile francese, respinse le avances della mafia al servizio del boss Frankie Carbo che gli offrì 400.000 dollari perché perdesse il match e poi perché, sul ring, alla seconda ripresa, si lussò una spalla. Impossibilitato ad usare il sinistro e con dolori lancinanti, Marcel Cerdan arrivò al decimo round (trasformando ugualmente la faccia del “Toro del Bronx” in un melone) e sarebbe andato avanti ancora, se in quella ripresa, non fosse intervenuto il medico a fermare l’incontro. Anche nella sconfitta, la fama e l’ammirazione verso questo straordinario artista del ring, non scesero. Ci sarebbe stata rivincita, ma poche settimane prima di quello che s’annunciava un evento dalle proporzioni enormi per quei tempi, Marcel Cerdan, il pugile gentile, trovò la morte sull’aereo che precipitò nel Mar delle Azorre, il 27 ottobre 1949.

L’albo d’oro di Cerdan 
123 combattimenti - 119 vittorie (di cui 61 per K.O.) 4 sconfitte (di cui 2 per squalifica con Craster e Buttin, una ai punti di fronte a Delannoit e per abbandono su ferita di fronte a Jack Motta). Non ha subito alcun KO. 

Le date importanti della sua vita. 
22 luglio 1916 Marcel Cerdan nasce Sidi Bel Abbès in Algeria 
22 luglio 1937 Al compimento dei 21 anni firma il suo primo importante contratto con Lucien Roupp 
21 febbraio 1938 Casablanca - batte Omar Kouidri ai punti ed è Campione di Francia dei superwelter 
03 giugno 1939 Milano – batte Saverio Turiello ed è Campione d’Europa del superwelter. 
30 settembre 1942 Parigi – batte Ferrer per abbandono al 1° round ed Campione d'Europa superwelter. 
23 gennaio 1943 Marcel sposa Marinette Lopez 
04 dicembre 1943 Nasce Marcel Junior, il suo primo figlio. 
01 aprile 1945 Nasce Renè il suo secondo figlio. 
30 novembre 1945 Parigi - batte Assane Diouf per K.O. al 3° round ed Campione di Francia dei medi. 
07 luglio 1946 Cerdan assiste per la prima volta allo spettacolo di Edith Piaf. 
02 febbraio 1947 Parigi – batte Léon Fouquet per K.O al 1° round ed è Campione d'Europa dei medi. 
23 maggio 1948 Bruxelles – perde ai punti con Delannoit il Titolo Europeo dei medi. 
10 luglio 1948 Bruxelles – batte ai punti Delannoit ed nuovamente Campione d'Europa dei medi. 
Gennaio-marzo 1948 Edith Piaf canta al Versailles di New York. Nasce la loro storia d’amore. 
21 settembre 1948 Jersey City – batte Tony Zale per KO al 12° round ed è Campione del Mondo dei medi. 
16 giugno 1949 Detroit – perde per intervento medico al 10° round con Jake La Motta il Titolo Mondiale. 
01 ottobre 1949 Nasce Paul il suo terzo figlio. 
27 ottobre 1949 Marcel Cerdan muore in un incidente aereo sul Mar delle Azorre. 
11 ottobre 1963 Scompare Edith Piaf, l’artista che fino all’ultimo considerò Marcel, il suo più grande amore. 

Note 
Anche suo figlio Marcel Jr. tentò la strada del pugilato, ma non avendo il talento del padre, non arrivò mai a combattere per un titolo. Era comunque un buon pugile. Fra i suoi risultati, spicca un pari imposto all’italiano Sandro Lopopolo, ex campione mondiale dei superwelter.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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[+] A 2 utenti piace il post di Morris
#2
Tra i tuoi tanti splendidi ritratti, un pezzo tra i più belli, semplicemente da applausi.
 
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#3
Grazie Old!
Questo racconto mi è molto caro, perché fa emergere colei che ha significato tanto nella mia vita: "Dada" Giovanna; Lina per tutti noi di famiglia. E' scomparsa poco più di un anno fa. Pensa, divenne maestra il giorno stesso della mia nascita, ed è in seguito divenuta una insegnante di valore internazionale. A sostenerlo addirittura Zoltan Paul Dienes.
 
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