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La confessione di un dopato ITALIANO
#1
Non solo Epo, l’ex ciclista racconta il doping: “Coca e anfetamine per reggere”
Graziano Gasparre, ex corridore professionista, decide di raccontare la sua storia dopo la paura per un tumore provocato - secondo i medici - dalle infiltrazioni. "E' un sistema perverso: controlli farsa, soffiate, dirigenti e ispettori compiacenti. E se smetti sei finito, perché ti rendi conto che gli altri usano lo stesso metodo"


“Quando correvo non ho fatto solo uso di doping. Ho preso anche altra merda: tiravo cocaina per dimagrire, specie in inverno quando è facile mettere su qualche chilo di troppo; mi impasticcavo di anfetamine per fare super allenamenti di molte ore”. Quella dell’ex ciclista professionista Graziano Gasparre (leggi la scheda sulla sua carriera) è una confessione choc. La prima senza i filtri della televisione o degli avvocati. Perché dopo anni di droghe e di veleni il fisico presenta il conto. Tumore alla natica. Per i medici la causa potrebbe esser stata il doping. Intervento chirurgico ed esami di laboratorio. Gasparre è salvo, ma ha avuto paura. E ha deciso di parlare. Senza paracadute e in esclusiva a ilfattoquotidiano.it.

Perché racconta tutto proprio ora?
Per il bene del ciclismo, perché la mia testimonianza possa aiutare gli altri a non rovinarsi la vita per una stupida soddisfazione personale. A me è stato asportato un frammento nodulare di quasi 4 cm. L’operazione è perfettamente riuscita, ora sto bene e nei giorni scorsi ho ricevuto i risultati dell’esame istologico: il tumore era benigno.

Per il chirurgo che ha eseguito l’intervento potrebbe essersi trattato di un effetto collaterale del doping di cui ha abusato per anni.
Esatto: la formazione è cresciuta proprio nel punto in cui ho fatto tantissime iniezioni intramuscolari, il mio corpo non è riuscito ad assorbire quelle schifezze.

Di che schifezze stiamo parlando?
L’epo, ovviamente; ma anche Gh (l’ormone della crescita) e testosterone. Ma è quello che fanno un po’ tutti i corridori professionisti, né più né meno. Avevo un preparatore, da cui andavo un paio di volte al mese, e insieme alla tabella di allenamento mi somministrava anche i farmaci. Una preparazione mirata alle gare più importanti della stagione, nulla di eccezionale nel ciclismo.

Si dice che i ciclisti inizino a drogarsi sin da giovanissimi. E’ vero?
Da dilettante, quando andavo fortissimo, ero pulito: non posso dire che corressi a pane e acqua, perché tra vitamine e integratori c’è sempre una forte componente farmaceutica, ma niente doping. Ho cominciato quando ho lasciato la Mapei, con la squadra con cui ho corso la Milano-Sanremo e il Giro d’Italia (il nome non lo fa, ma si tratta della De Nardi-Colpack, in cui hanno militato alcuni pezzi da novanta del ciclismo – Honcar e Visconti su tutti – che negli anni successivi hanno avuto problemi con il doping, nda). In quei due anni ho fatto uso di sostanze illecite in maniera programmatica.

Come fa un corridore a procurarsi le sostanze illecite?
Fu un’idea che venne di comune accordo a me e alla squadra. Quando vedi sfrecciarti davanti corridori che hai sempre battuto, cominci a farti delle domande. Chiedevo ai miei manager se andassi piano e loro mi rispondevano di no, che avevo solo bisogno di un aiutino. Uno dei dirigenti della squadra mi propose: “Perché non proviamo a fare qualcosina?”. Fu lui a indicarmi il nome di un dottore da cui andare. Provammo e cominciai a volare. Da allora, finché ho corso per quella squadra, non ho più smesso.

Quindi la dirigenza della squadra era a conoscenza del doping?
Certo che sapevano! Ma la responsabilità è tutta dei corridori: il dottore era a carico mio, anche se erano stati loro ad indicarmelo, ero io a pagare profumatamente le sue prestazioni e le sostanze. E questo perché se poi ti pizzicano loro devono uscirne puliti: si scandalizzano, ti licenziano pure. Funziona così.

Sono le società a organizzare ‘collettivamente’ le assunzioni di sostanze vietate?
A parte i casi di doping di squadra, di solito ognuno se la vede da solo. Non so, per esempio, se come me anche i miei compagni di allora si dopassero. Ma dal preparatore che frequentavo ho incontrato spesso altri ciclisti. Il dottore ci fissava gli appuntamenti in maniera che noi ciclisti non ci incontrassimo. “Per rispettare la privacy” ci rassicurava. Ma nel corso di quei due tre anni avrò incontrato una decina di ciclisti: pezzi da novanta del ciclismo italiano, gente che ha vinto tappe al Giro d’Italia o prove di Coppa del Mondo, alcuni sono ancora in attività. Adesso non me la sento di dire chi sono: ci sarebbero delle ovvie conseguenze, anche legali, e in questo momento io devo pensare innanzitutto alla mia salute. Quando tutto sarà finito, farò anche i nomi.

Due anni di doping ‘programmato’ e nessuna positività ai controlli. Come è possibile?
C’è poco da sorprendersi. Il medico che mi seguiva era bravo, programmava i trattamenti in modo da non incappare in questo genere di problemi: assumevo il doping soprattutto in inverno, ed arrivavo in primavera pulito e al massimo della forma. E i controlli non sono poi così efficaci: quelli regolari vengono elusi in questa maniera, quelli a sorpresa spesso non sono davvero a sorpresa…

Significa che i corridori vengono avvisati?
Non è raro che arrivi la ‘soffiata’. Ricordo un episodio in particolare: nel 2006 avevo vinto una tappa di una corsa italiana importante e ricevetti una telefonata da un mio ex compagno di squadra, che mi disse che il giorno dopo ci sarebbero stati dei test a sorpresa. Era vero. Io quella volta stavo tranquillo, ero pulito. Ma se non lo fossi stato avrei potuto salvarmi. Cosa che sicuramente avranno fatto altri.

La lotta al doping senza quartiere condotta dall’Uci è solo una messa in scena?
Non so se il pesce puzzi dalla testa, o siano solo alcuni ispettori Uci ad essere conniventi. Di certo ci sono troppi interessi in ballo, che legano squadre, case farmaceutiche, dirigenti. Per fare un piccolo esempio, sono quasi certo che il manager che mi fece il nome del medico da cui mi dopavo, avesse una percentuale sulla sua parcella: più corridori gli portava, più soldi facevano. La verità è che il doping è un business, a molti fa comodo che resti in piedi.

Ma c’è qualche mosca bianca o i ciclisti sono davvero tutti dopati?
E’ difficile dirlo. Sicuramente c’è ancora chi crede in uno sport pulito: incontrare le persone giuste può fare la differenza. Penso a dirigenti seri, come Giorgio Squinzi, il patron della Mapei. O Ivano Fanini, che mi diede una chance dopo l’infortunio. Ivano una volta mi mise addirittura le mani addosso, quando sospettava che mi dopassi: ma ero pulito, glielo dimostrai e facemmo pace. Con Ivano siamo rimasti legatissimi, è una delle persone che più mi è stata vicina in questo periodo difficile. Ma purtroppo sono delle eccezioni. Anche alla Mapei, nonostante tutti i controlli del professor Sassi, ci sono stati dei casi di positività. Per questo credo che almeno il 90% dei corridori professionisti faccia uso di doping: si dopano i capitani per vincere e i gregari per aiutarli. Nessuno si salva da questo sistema.

E non c’è nessuno che si ribella perché vinto dal rimorso?
Io non ho mai avuto rimorsi. Quando vai forte ti senti bene, ti dimentichi di tutto. E’ come andare giù in discesa a 90 all’ora, l’adrenalina cancella la paura: quando finisci di correre e sei sotto la doccia magari ci pensi, ma il giorno dopo rifai tutto da capo. Anche perché non mi sentivo un dopato, non avevo sensi di colpa: mi comportavo come tutti gli altri, lo facevo solo per competere ad armi pari. Una volta che cominci e che vedi gli effetti, è difficile uscirne: temi di andare piano, di restare senza contratto. Chi non l’ha provato probabilmente non può capire. La squadra ti dà ‘solo’ un consiglio, nessuno ti obbliga a doparti, ma quando sei in gruppo ti rendi conto che o ti adegui al sistema o smetti di correre.

Cos’altro imponeva il sistema?
Quando correvo io non ho fatto uso solo di doping, ho preso anche altra merda, come cocaina e anfetamine. Nel ciclismo la droga è più diffusa di quanto si pensi: ho cominciato su consiglio di un compagno di allenamenti che pure lo faceva, poi è diventato un vizio che mi ha accompagnato negli anni. E non solo per il gusto dello ‘sballo’, ma sempre a fini professionali: tiravo per dimagrire, specie in inverno quando è facile mettere su qualche chilo di troppo; mi impasticcavo per fare super allenamenti di molte ore. Chi si dopa è in qualche maniera ‘predisposto’ a fare uso di stupefacenti. E pure questa diventa una dipendenza: il vizio della cocaina mi ha accompagnato negli anni, anche dopo il 2005. Poi sono riuscito a smettere, di botto, perché stavo perdendo la mia famiglia, mia moglie e mio figlio, quel che ho di più caro al mondo. E adesso c’è stato il tumore.

Ora come vive un ex dopato?
Ho accettato di piegarmi al sistema e di drogarmi per una stupida soddisfazione personale. Un errore che mi stava distruggendo la vita. E’ una cosa che non può succedere. Per questo oggi parlo. E spero che qualcuno mi ascolti.


fonte: fattoquotidiano.it


Dedico quest'articolo a chi, come Manuel Devolder, continua stupidamente a puntare il dito contro una nazione non arrivando a capire che il mondo è tutto uguale.

E se l'Epo è il 2° prodotto farmaceutico più venduto al mondo (secondo solo all'aspirina) non venitemi a dire che lo usano solo i ciclisti e solo gli spagnoli.
 
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#2
Graziano Gasparre in pratica ha avuto un tumore a causa del doping, però a detta sua si è dopato solo due anni in carriera. Quindi se così fosse quelli che si son dopati per molti più anni tipo Armstrong dovrebbero essere già belli che morti, no?

Graziano Gasparre ha avuto un tumore perchè era un cocainomane e penso nessun medico gliela somministrasse la "polverina bianca" quindi invece che sparare a zero contro tutto e tutti(in certi frangenti ha pure ragione eh) si facesse lui prima un esame di coscienza...

Tra l'altro penso non ci sia bisogno che qualcuno dimostri che non si dopano solo i ciclisti spagnoli, in Italia è stata squalificata gente ben più importante di un Gasparre qualsiasi, il discorso è un altro, e spero tu riesca a comprenderlo, in Italia, così come negli Stati Uniti o in Francia i corridori vengono processati dalla loro federazione(e certe volte si esagera pure, soprattutto qua da noi), in Spagna invece vengono tutelati oltre ogni limite possibile immaginabile, ti sembra una cosa corretta?

Ah comunque vedendo a chi ha rilasciato l'intervista e come parla di quel simpaticone di Fanini io non prenderei come oro colato quello che dice questo qua...
 
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#3
Dimmi dove chi come e quando io e la gente come me ha scritto "solo gli Spagnoli si dopano, quelli delle altre nazioni sono tutti degli angioletti che vanno a pane e acqua". Che il doping in quegli anni fosse prassi è oramai cosa risaputa, che lo prendevano Italiani, Olandesi, Americani, Uzbeki ecc. è risaputo.
La mia critica verso la Spagna era rivolta verso il Tribunale Nazionale Antidoping, che preferisce, diciamo così, assolvere un corridore per poi vedersi lo stesso condannato da un tribunale più importante.
 
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#4
(06-02-2013, 06:36 PM)Pagliarini Ha scritto: Ah comunque vedendo a chi ha rilasciato l'intervista e come parla di quel simpaticone di Fanini io non prenderei come oro colato quello che dice questo qua...

Non discuto sul valore del giornale perchè è soggettivo e perchè non mi interessa sapere cosa ne pensi, ma a me pare che Fanini su tante cose si stia riscattando e la "Storia" gli stia dando ragione...

(06-02-2013, 06:37 PM)ManuelDevolder Ha scritto: Dimmi dove chi come e quando io e la gente come me ha scritto "solo gli Spagnoli si dopano, quelli delle altre nazioni sono tutti degli angioletti che vanno a pane e acqua". Che il doping in quegli anni fosse prassi è oramai cosa risaputa, che lo prendevano Italiani, Olandesi, Americani, Uzbeki ecc. è risaputo.
La mia critica verso la Spagna era rivolta verso il Tribunale Nazionale Antidoping, che preferisce, diciamo così, assolvere un corridore per poi vedersi lo stesso condannato da un tribunale più importante.

Scusa nel messaggio che avevo letto mi sembrava ben diverso il tuo pensiero Occhiolino mi da' fastidio l'idea che noi siam quelli buoni e gli altri quelli marci!

Oggi sulla gazzetta ho letto che nel calcio ci sono 30mila controlli sangue+urine all'anno, nel ciclismo 20mila.
Quanti calciatori ci sono? In media, in Italia, tra Serie A e Serie B ci saranno 1200-1500 professionisti? E questo numero va moltiplicato per le decine di campionati professionistici esistenti. Quindi la media quant'è? 1 controllo all'anno ogni 100 giocatori?
 
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#5
Se non ti interessa sapere come la pensiamo, allora non capisco perchè chiami in causa...
 
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#6
Le discussioni tra Carles Puyol è il resto del mondo sono migliori di quelle tra gli altri perchè la fase in cui si fa finta di volersi bene vicendevolmente viene saltata di netto...
Comunque Gasparre va in giro da un po' parlando di doping e di questo tumore. Magari dice cose vere che andrebbero ascoltate, ma bene o male lui è Graziano Gasparre, non Lance Armstrong o Marco Pantani, quindi di quello che dice lui non gliene frega niente a nessuno, è un dato di fatto
 
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#7
Il caso: Gasparre, il Fatto e quello che non torna
L'ex corridore ha detto proprio tutta la verità?

Qualcuno potrà prendere queste poche righe come una difesa corporativistica del ciclismo, o come un tentativo di spaccare il capello in quattro o in altri termini di cavillare, ma questo pezzo è sgorgato quasi da sé dopo la lettura dell'ennesima "intervista shock" a un ex corridore. Rieccoci a commentare cose già sentite 100 volte, e lette quasi altrettante, stavolta per bocca di Graziano Gasparre, attivo negli anni '00 in due fasi, la prima, fino al 2004, nel ciclismo "mainstream" (prima tra le giovani leve Mapei, poi in un team di seconda fascia, la De Nardi), la seconda, dal 2006 al 2009, in un team "promozionale" come la Amore & Vita.

Gasparre è stato intervistato dal Fatto Quotidiano (qui l'articolo), e ha fatto alcune rivelazioni che comproverebbero alcune cose parecchio risapute. Ovvero che ci si dopa tra i professionisti, che le squadre lo sanno ma fanno in modo di scaricare ogni responsabilità sui corridori, che il sistema spinge in maniera sottile ma permanente verso le pratiche illecite, che si usano anche sostanze come la cocaina (per non ingrassare) accanto ai farmaci dopanti, che a volte ci sono delle soffiate che mettono al riparo dai controlli a sorpresa, e che qualcuno di corretto c'è. Qui Gasparre fa riferimento a Squinzi, patron della Mapei, definito un dirigente serio, così come Ivano Fanini (della Amore & Vita).

Qualche domanda, tuttavia, viene spontanea, in merito a questa "confessione". Tanto per cominciare, la scintilla che ha spinto Gasparre a contattare il Fatto (irreale pensare che sia stato il giornale a rivolgersi a un ex corridore semisconosciuto): Graziano racconta di aver avuto un tumore (per fortuna benigno) alla natica proprio a causa del doping, e di voler vuotare il sacco «per il bene del ciclismo, perché la mia testimonianza personale possa aiutare gli altri a non rovinarsi la vita».

In tal caso, però, ci si aspetterebbe una maggiore trasparenza, perché la stampa generalista (sempre pronta a gettarsi sul tema del doping nel ciclismo, e mai che proponga uno specialone su una Roubaix, per dire...) magari non si sofferma su determinati particolari (oltre a fare grossolani errori, tipo asserire che Visconti avrebbe militato nella De Nardi), ma noi sì. Gasparre dice di essere stato "pulito" finché ha militato nella Mapei giovanile (fino al 2002, quindi), e di aver iniziato a doparsi nel 2003, alla De Nardi-Colpack (non lo dice esplicitamente, ma ciò è facilmente desumibile). «Fu un'idea che venne di comune accordo a me e alla squadra. Quando vedi sfrecciarti davanti corridori che hai sempre battuto, cominci a farti delle domande. Chiedevo ai miei manager se andassi piano e loro mi rispondevano di no, che avevo solo bisogno di un aiutino. Uno dei dirigenti della squadra mi propose: "Perché non proviamo a fare qualcosina?". Fu lui a indicarmi il nome di un dottore da cui andare. Provammo e cominciai a volare».

Analizziamo un po' questo "volo" alla luce dei risultati ottenuti da Gasparre in quel 2003. Dal racconto dell'ex corridore, si sarebbe portati a pensare che, dopo un periodo di scarsi risultati («quando vedi sfrecciarti davanti corridori che hai sempre battuto»...), l'aiuto del doping sia stato determinante per fare un salto di qualità. Sorprende allora scoprire come già a metà febbraio, al Giro del Mediterraneo, Gasparre abbia ottenuto un ottimo terzo posto di tappa, alle spalle di Baden Cooke e Paolo Bettini (corridori che hai sempre battuto?), davanti - tra gli altri - a Bennati e Hushovd.

Nel marzo di quell'anno ecco un decimo posto al Giro della Provincia di Reggio Calabria (vinto da Aitor González su Pozzato e Baldato. Corridori che hai sempre battuto?); un nono di tappa alla Tirreno (quel giorno vinse Pozzato davanti a Bettini, Vainsteins, Paolini, Di Luca, Marzoli, Bennati e Figueras: tutti corridori che hai sempre battuto, si sa); un lusinghiero 15esimo posto nella Sanremo vinta da Bettini su Celestino, Paolini e Cipollini (corridori che hai sempre battuto?); un settimo posto di tappa alla Coppi e Bartali (dietro a gente come Svorada, Loddo, Quaranta, Cancellara... corridori che hai sempre battuto?). In aprile, buone prestazioni di tappa alla Settimana Lombarda (preceduto tra gli altri da Pérez Cuapio, Laverde, Baliani, Lanfranchi. Corridori che hai sempre battuto, ovviamente...), quindi un vero e proprio acuto al Giro del Trentino, col quinto posto in classifica dietro a Simoni, Garzelli, Valjavec e Bertagnolli. Corridori che hai sempre battuto???

Al Giro, infine, 31esimo posto finale (niente male) e un quinto di tappa nella volata di Pavia (vinta da Petacchi su Casper, Svorada e Bennati) come miglior risultato, ma si contano altre 4 top ten in frazioni vinte ancora da Petacchi e da McEwen e Garzelli. Da giugno in poi, praticamente più nulla per quell'anno.

Ordunque, quale sarebbe, in questa trafila di risultati, il momento dell'epifania, ovvero quello in cui Gasparre, in accordo con la squadra, capisce all'improvviso di aver bisogno dell'aiutino? Il racconto dell'ex corridore, in pratica, non è minimamente coerente con lo sviluppo della sua stagione 2003, perché per ottenere i risultati che ebbe già dal febbraio di quell'anno, se dobbiamo stare alle sue parole, avrebbe dovuto rendersi conto già prima di essere nelle condizioni di dover ricorrere al doping per competere alla pari; ma prima quando? A gennaio, quando era in ritiro? O nell'anno precedente, quando con la Mapei Espoirs correva gare di secondo piano?

Per cui delle due l'una: o Gasparre si dopava già prima, oppure non ha certo iniziato a un dato momento di quell'anno a farlo, ma magari più avanti (e però anche lo studio del suo 2004 non sembra congruo con questo racconto). Di sicuro i risultati che ottenne nel 2003 ci raccontano qualcosa di diverso rispetto a quanto "confessato". Perché? Perché l'analisi di un periodo del ciclismo passa dalla santificazione della potente Mapei e dal fango gettato su una piccola e trascurabile squadra? Cosa ha spinto realmente Gasparre a raccontare questa versione della storia della sua carriera?

L'altro punto dell'intervista che sta facendo discutere è quello delle presunte soffiate sui controlli a sorpresa. Gasparre fa riferimento a una tappa della Settimana Lombarda vinta nel 2006, dopo la quale sarebbe stato avvisato dell'imminenza di un test "inatteso". Quella tappa vinta fu la quarta e penultima di quell'edizione, ed era nella conoscenza di tutti, in gruppo, che se per quattro tappe su cinque non ci sono stati controlli a sorpresa, è facilissimo che ci siano nell'ultima; al contempo, non è impossibile capire se ci saranno controlli in hotel, basta che qualcuno faccia due chiacchiere col concierge per sapere se ci sono "prenotazioni particolari" (di ispettori antidoping internazionali, ad esempio) in quell'albergo, e che poi faccia girare la voce. Quindi anche qui siamo forse di fronte a un polverone destinato ad essere ridimensionato.

Infine, le reazioni, riportate oggi dal Fatto, da parte di Antonio Bevilacqua (ex direttore sportivo di quella squadra) e di Gianluigi Stanga (ex team manager). «Ho fatto ciclismo per 25 anni, non ho mai avuto a che fare con problemi di doping, con controlli falsati, con nessuno di questi tipi di discorsi. Figuriamoci alla De Nardi, che era una squadra piccola, di giovani, senza grandi ambizioni. Mi suona tutto molto strano», questo l'angelicato responso di Stanga, che cade dalle nuvole come se fosse vissuto per 25 anni in un convento di clausura e non in un mondo di cui sappiamo tutto e che è ben diverso da come lo tratteggia il Gianluigi (che ovviamente, essendo in campagna elettorale - candidato con Maroni e la Lega - fa di tutto per gettare acqua sul fuoco).

Molto più ruspante Bevilacqua, che erompe con un «sono tutte cavolate che uno si inventa quando è un fallito per avere un briciolo di notorietà. Dopo dieci anni uno se ne viene fuori con 'ste balle. Se ha fatto qualcosa sono cazzi suoi, ora si arrangi. [...] Avrà fatto tutto da solo, perché se lo avessimo scoperto lo avremmo buttato fuori immediatamente. La verità è che i ciclisti si rovinano da soli, e poi dopo anni accampano scuse».

Ecco, la risposta del mitico "ambiente" (quello dell'epoca, in questo caso) è invece una spettacolare conferma a quanto dichiarato da Gasparre in un pezzo dell'intervista: «Ma la responsabilità è tutta dei corridori: il dottore era a carico mio, anche se erano stati loro ad indicarmelo, ero io a pagare profumatamente le sue prestazioni e le sostanze. E questo perché se poi ti pizzicano loro devono uscirne puliti: si scandalizzano, ti licenziano pure. Funziona così». Funzionava così, certo, e funziona ancora così (vedi il recente caso Rabobank). In questo senso, veramente non è cambiato nulla nel ciclismo rispetto a 10 anni fa. Malgrado codici etici e cavolate simili, con le quali il sistema si è autoprotetto nel corso del tempo, e alle quali i corridori non hanno saputo opporre altro che qualche stupido e disorganizzato mugugno.

Marco Grassi - cicloweb.it
 
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#8
Visconti ha corso nella De Nardi come stagista e comunque la Domina Vacanzi è la De Nardi, solo che ha cambiato sponsor, quindi il grossolano errore lo fa Grassi... ([Immagine: MostraImmaginePP.asp?Tipo=FG&JpegImage=stat2.jpg])
Comunque, sui risultati, immagino che Gasparre si riferisca al periodo in cui era dilettante (ha vinto Campionati Europei e Giro delle Regioni nel 2000, una tappa dell'Avenir nel 2001) quando andava veramente forte (almeno a giudicare da quei pochi risultati che ho trovato in giro). Evidentemente Grassi fa parte di quel gruppo di persone che quando sentono parlar bene di Squinzi e della Mapei deve subito cercare di infamare chi lo fa...
 
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#9
Non c'entra molto con la discussione, ma non sapevo quale topic scegliere e questo mi sembrava quello più vicino. Nel libro di Mentheour vengono fatti mille nomi ma in un caso, non so perchè, non c'è il nome ma solo una descrizione. E' il passaggio in cui parla del metodo italiano e cita come esempio emblematico un corridore emerso improvvisamente e che ha ottenuto ottimi risultati in una stagione a giro e vuelta e che lui stesso ha visto svolgere pratiche illecite e che era diventato così suonato da scrivere messaggi filosofici sul manubrio della bicicletta. Io credo possa trattarsi di Faustini, ma mi è sempre rimasta la curiosità. Qualcuno ne sa di più?
 
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