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Le corse dimenticate
#1
MILANO - MANTOVA

Nel 1906, lo Sport Club di Milano, fondato l’anno precedente da un gruppo di appassionati, parte dei quali provenienti dal Veloce Club meneghino, pensarono di proporre una corsa che congiungesse la città, con un’altra possibilmente non lontana. La scelta cadde ben presto su Mantova, in quanto diversi associati erano mantovani di origine. Proprio costoro, avevano mantenuto certi rapporti con gli appassionati della città di Virgilio e, conseguentemente, col  Veloce Club di Mantova, una delle società più antiche d’Italia, nata nel 1884. Fra i due sodalizi si creò una sinergia che vide nascere la creatura ideata, ed il 20 maggio 1906, si corse la prima Milano-Mantova, che s’avvalse della partecipazione dei più forti ciclisti italiani con la vittoria del pavese Giovanni Rossignoli. La storia della corsa che ne seguì, non fu però per nulla lineare. Dopo le prime tre edizioni, lo Sport Club, che nel 1908 aveva ideato e messo su strada anche la Coppa d’Inverno, manifestazione ancor oggi in vita, ma che rimase sempre a livello di dilettanti e indipendenti, non trovando sostegni appropriati da parte di un giornale, ritirò la corsa dal calendario. Per rivedere la Milano-Mantova, si dovrà attendere il 1932, con una prova riservata a dilettanti e indipendenti, organizzata dalla società “Mantova Sportiva”, la quale allargò la corsa, nel 1933, ai professionisti e, per mantenendo un chilometraggio non da massima categoria, raggiunse un risultato tecnico clamoroso, per la media fatta registrare dal vincitore, Fabio Battesini.. L’edizione del 1934 confermò l’allargamento ai professionisti, allungando il tracciato ad oltre 200 chilometri. Poi però, l’intasamento del calendario e le difficoltà degli operatori totalmente sportivi, con quelli politicizzati, o di vero e proprio regime, che sentivano e volevano percorrere altre strade, portò ad una corsa, nel 1935, riservata ai soli dilettanti, certo con qualche indipendente, ma abbastanza per considerarla al di fuori del novero delle corse definibili professionistiche. Fu quella l’ultima edizione della Milano-Mantova, prima della Seconda Guerra Mondiale. 
Qui, è doverosa una parentesi per spiegare il senso della mia scelta che, per taluni lettori più “consuetudinari” verso certe letture, potrà sembrare scorretta sul piano storico, quando invece è il contrario. Chi sfoglia  almanacchi ecc., vedrà quasi sempre inserito nell’albo d’oro di questa corsa, il Trofeo Moschini, il Trofeo Pino Moschini per la precisione (visto che solo il cognome può portare alla …vela), come se la Milano Mantova, ed il citato Trofeo, fossero di fatto la stessa prova, pur con denominazione diversa, come spesso è capitato e capita tutt’oggi. Nella realtà, ci troviamo di fronte a due corse totalmente diverse, per territori attraversati, particolarità tecniche e persino organizzatori, dato che i più fedeli propositori della classica delle due città, non furono, indipendentemente dalle denominazioni sportive imposte dal regime fascista, partecipi di quella nuova corsa. E non basta di certo il fatto che il citato Trofeo, avesse costante cuore in Mantova. Fatto sta che, mentre la classica vedeva partenza da Milano, ed attraversava la di questi provincia, nonché quelle di Bergamo, Brescia e Mantova, il “Pino Moschini”, si rivolgeva ad un enorme circuito con partenza ed arrivo nella città di Virgilio, attraverso le province di Mantova, Brescia, Trento e Verona. Nel 1939, ad esempio, il Trofeo, si consumò interamente sul piatto circuito di Belfiore, in provincia di Verona. Insomma, inserire il “Moschini” dentro, o semplicemente a segmento nella storia della Milano-Mantova, rappresenta un errore e poco importa se taluni almanacchi hanno superficialmente raccolto le risultanze di un errore a loro antecedente.
La classica delle due città, invece, tornò nel 1946, con tutti i migliori professionisti italiani e l’organizzazione di un gruppo di società mantovane. Il nuovo lancio però, durò solo un paio di stagioni, soprattutto per il crescente interesse delle società coinvolte, verso l’impegno diretto sul proselitismo ed i corridori. Come prosecuzione e finalizzazione di questo impegno sette anni dopo l’ultima edizione, fu proposta, nel 1954, una Milano-Mantova riservata a dilettanti scelti e indipendenti. Il ritorno vero e proprio avvenne nel 1957, grazie soprattutto al grande Learco Guerra, che si impegnò a garantire i giusti rapporti col ciclismo d’elite e ad invitare personalmente gli stessi ciclisti. Si aprì con quella edizione l’epoca “aurea” della classica, arricchita dalla partecipazione di assi stranieri e la caratterizzazione, per il suo tracciato pianeggiante, ben poco alterato della presenza del Colle di Sant’Eusebio, di “corsa freccia” nel panorama internazionale. Finì per determinarsi una risposta italiana alla Gand-Wevelmen belga, dove appunto il Sant’Eusebio, pur più impegnativo, svolgeva le medesime funzioni del Kemmel fiammingo. Poi, dopo l’edizione del 1961, lo stop che s’è rivelato definitivo. A causarlo, l’aggravamento delle condizioni di salute di Learco Guerra, che morì nel 1963 e che non trovò mai un sostituto in grado di stimolare un ritorno della classica. Anche qui però, c’è da annotare un altro motivo di confusione che può coinvolgere i lettori provenienti da consultazioni degli almanacchi. Come per il “Moschini”, taluni riporti, errando, presentano una Milano-Mantova anche nel 1962 (vinta da Pierino Baffi al fotofinish sull’Olimpionico Marino Vigna), ma in realtà quella fu una prova, la settima, del Trofeo Cougnet di quell’anno, svoltasi su un percorso dove il protagonista fu il “Circuito dei Colli” nell’alto mantovano, con punto focale a Monzambano. Un tracciato proposto il 29 luglio, in quelle modalità, per avvicinarsi il più possibile al tracciato del circuito iridato di Salò, ed accontentare il CT Antonio Covolo, che lo scelse come “indicativa” per stilare la formazione azzurra. Niente a che vedere con la “freccia” Milano-Mantova. Perciò, negli zoom che seguiranno ho ritenuto storicamente corretto, non inserire questo appuntamento. Morale: le edizioni della Milano Mantova reali, in un segmento di 55 anni di storia del ciclismo, furono 15, di cui 13 (quelle che riproporremo), definibili per professionisti. Gli almanacchi che ne aggiungono altre, senza presunzione alcuna, sono in errore.

Maurizio Ricci detto Morris

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#2
Prima Edizione 20 maggio 1906

La Milano-Mantova d’esordio, partì alle 9 del mattino da Rogoredo, allora frazione appena distinta di Milano, mentre oggi ne è quartiere. Allo start, si presentarono 31 dei 35 iscritti. Il percorso della corsa seguiva un itinerario che da Milano raggiungeva Bergamo per poi scendere a Brescia, ed infine a Mantova. La prova si mosse spedita e non registrò azioni di particolare rilevanza, se non un continuo assottogliemento del gruppo per il peso crescente della fatica, resa più aspra da uno dei tanti nemici dei ciclisti pionieri del tempo: la polvere. Alla fine saranno solo otto, ovvero i componenti del gruppo rimasto al comando a concludere la corsa ed a svolgere la volata decisiva. Una volata che a quei tempi era costituita soprattutto da progressioni sulla sella e dove il gioco dell’anticipo poteva essere ancor più vincente. E fu proprio giocando sull’anticipo, che Giovanni Rossignoli, detto “Baslot”, riuscì a battere un uomo veloce ed a dire di molti, anche abbastanza scorretto come Giovanni Cuniolo, detto, per questo, “Manina”. Terzo, finì un bolognese, Giulio Tagliavini, che alla storia del pedale, passerà con tanto di iscrizione sugli ordini d’arrivo, col semplice soprannome di Taylor. Ed egli, per quanto veloce, non aveva niente in comune col velocissimo Marshall Walter Taylor, lo sprinter statunitense di pelle nera, che imperava in quegli anni sui velodromi mondiali. 
Ordine d’arrivo:
1° Giovanni Rossignoli (Borgo Ticino di Pavia) km 220 in 7h39’10” alla media di 28,750 kmh; 

[Immagine: 11128.jpg]
2° Giovanni Cuniolo (Tortona di Alessandria); 3° Giulio Tagliavini detto “Taylor” (Bologna); 4° Luigi Ganna (Induno Olona di Varese); 5° Carlo Galetti (Corsico di Milano); 6° Battista Danesi (Asola di Mantova); 7° Cesare Luigi Brambilla (Bernareggio di Milano);  8° Eberado Pavesi (Milano).


Seconda Edizione 31 marzo 1907
La puntata numero due di questa classica, si svolse due settimana prima della Milano-Sanremo d’esordio, ma le rive del Po’, non potevano avere il fascino della città dei fiori e non stuzzicarono qualche osservatore, a presentarla come la classica di primavera. Forse, paradossalmente, anche questo particolare, piccolo quanto si vuole, avrebbe potuto cambiare il corso della storia della Milano Mantova. Nel 1907, orario di partenza ed itinerario, furono gli stessi dell’anno precedente, mentre i partenti furono due in più: 33. Anche lo svolgimento della corsa cambiò di poco, se non nel maggior numero di concorrenti che raggiunsero il traguardo. Non c’era “Taylor” e quindi venne a mancare un protagonista della volata decisiva, ben sostituito però, dal giovane legnanese, ancora dilettante, Cesare Zanzottera. Gli attori principali ancora loro, i due Giovanni: Rossignoli, vincitore uscente e Cuniolo che esibì in corsa, la sua maglia di Campione Italiano, dove il tricolore si evidenziava non a strisce orizzontali bensì verticali. Stavolta, al pavese “Baslot”, non bastò l’anticipo, ed il “Manina”, senza usare le mani, andò a vincere da par suo, prendendosi  una gra bella rivincita.

Sul vincitore.
[Immagine: 13681847495133FK-10-5.jpg]
Giovanni Cuniolo nacque il 25 gennaio a Tortona (AL), ed ivi morìil 25 dicembre 1955. Passista veloce. Professionista dal 1904 al 1913 con 34 vittorie. Un protagonista della prima decade del secolo in tutti i sensi, per le vittorie, per i primati e per la rivalità acerrima col corridore più popolare dell’epoca, ovvero Giovanni Gerbi. Ed il fatto di essere l’alter ego del “Diavolo Rosso”, ha certamente posto Cuniolo sulle bocche di tutti ed alla fine, guardando il curriculum, senza far pesare la spettacolarità delle vittorie, si può dire che il tortonese è stato vittorioso e tangibile quanto l’astigiano. Ovviamente, ha pesato sulle risultanze di Cuniolo, il suo spunto veloce, la sua progressione nelle volate, magari con talune scorrettezze che gli fecero ereditare il nomignolo di “Manina”, ma è indubbio che il suo cammino sia stato notevole e dorato, in misura tale, da porlo su un piano simile a quello del rivale, con qualcosa in più da una parte e meno dall’altra. Curioso poi il fatto che entrambi siano caduti nel tramonto in maniera repentina e quasi contemporanea. Cuniolo, era un atleta notevole, non solo un pedalatore, non a caso passò al ciclismo dopo essere stato un buon podista, tanto è che per un certo periodo praticò le due discipline, contemporaneamente. Alla bicicletta giunse a pieno regime nel 1904, dopo aver colto nell’anno precedente, una serie di grandi piazzamenti. Le vittorie nella Coppa del Re sia nel 1904 che nel 1905, furono i trampolini di lancio a stella del ciclismo, status che cementò col successo per tre anni consecutivi (1906-’07-’08) al Campionato Italiano, e, soprattutto, con la vittoria nel Giro di Lombardia del 1909, dove superò in volata diversi assi internazionali. Nel 1906, stabilì a Milano il primo record dell'ora italiano, percorrendo km 39,650, una distanza decisamente ragguardevole considerando l'epoca. Dopo la vittoria nella Coppa Bastogi del 1910, che aveva già vinto nel 1909, iniziò il suo fulmineo declino che lo portò a ritirarsi dall’attività nel 1913 a soli 29 anni. Nel dopo carriera divenne concessionario della Fiat nella sua Tortona, ma continuò ad essere un faro per i ciclisti più giovani, tanto è vero che, il suo stabilimento, rimase fino all’ultimo dei suoi giorni, una meta di tanti giovani ciclisti della zona. Ed uno di questi si chiamava Fausto Coppi, col quale strinse amicizia, oltre che essergli stato, agli inizi, uno dei principali consiglieri. 
Tutte le sue vittorie. 1904: Coppa del Re; Campionato piemontese. 1905: Coppa del Re; Tortona-Serravalle-Novi-Tortona; Coppa Megardi; Coppa Savona; Coppa Ivrea; Campionato piemontese. 1906: Campionato Italiano su strada;  Novi-Milano-Novi; Milano-Erba-Lecco-Milano; Milano-Pavia-Milano. 1907: Campionato Italiano su strada; Milano-Mantova; Grande Corsa Professionisti (Bologna-Lugo-Ravenna-Rimini-Bologna); Coppa Ivrea; Lecco-Milano-Bergamo-Lecco. 1908: Campionato Italiano su strada; Giro di Romagna; Milano-Modena; Coppa Rho; Coppa Savona; Circuito Bolognese. 1909: Giro di Lombardia; Coppa Bastogi (Firenze-Viareggio); Tre Coppe Parabiago; Coppa Rho; Coppa Savona; Coppa Brescia. 1910: Coppa Bastogi (Firenze-Viareggio); Giro delle Alpi Orobiche.

Ordine d’arrivo:
1° Giovanni Cuniolo (Tortona di Alessandria) km 220 in 7h23’30’52” alla media 29,800 kmh; 2° Giovanni Rossignoli (Borgo Ticino di Pavia), 3° Cesare Zanzottera (Legnano di Milano), 4° Cesare Brambilla, 5° Luigi Ganna, 6° Battista Danesi, 7° Egisto Carapezzi, 8° Clemente Canepari, 9° Eberardo Pavesi, 10° Ernesto Azzini, 11° Gualtiero Farina.

Maurizio Ricci detto Morris

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#3
Terza Edizione 28 settembre 1908
L’edizione arrivò con lo Sport Club di Milano, impegnatissimo ad organizzare anche la Coppa d’Inverno, e lo slittamento alla fine di settembre della Milano Mantova, quindi con poco spazio per essere pronti meno di due mesi dopo con la nuova proposta, incentivò la volontà nel sodalizio di fare quella scelta che, purtroppo, non andò nella direzione dell’ormai classica corsa virgiliana. Uno spirito non buono, dunque, accompagnò lo start di Rogoredo. C’erano malumori. I 35 atleti partenti però, risposero al meglio con una corsa combattuta e sviluppata a grande andatura, nonostante il vento spesso contrario alla loro marcia. Poco dopo Brescia, si formò al comando un drappello di 5 uomini che pur cercando di staccarsi andarono all’arrivo di Mantova, a disputarsi allo sprint la terza edizione. Fra di loro, due mantovani: Ernesto Ferrari praticamente al debutto fra i professionisti e Battista Danesi, ormai trapiantato a Milano. Fu proprio quest’ultimo a capire che fra Zanzottera e il Tricolore Cuniolo, ci sarebbero state scintille e li anticipò al punto giusto, andando a vincere fra l’entusiasmo della folla.

Sul vincitore.
[Immagine: 15684872472_2def2d75cf_b.jpg]
Battista Danesi nacque ad Asola (MN) il 6 ottobre 1886, deceduto a Milano il 22 ottobre 1952. Passista veloce, fondista e stayer. Professionista dal 1905 al 1914 con 5 vittorie. Un pedalatore ardimentoso che sfruttò appieno il suo colpo d’occhio in occasione della sua vittoria più prestigiosa, la Milano-Mantova 1908, e che non uscì mai dal novero dei protagonisti delle corse in linea, nella prima decade del secolo scorso, anche se più che vittorie raccolse piazzamenti. Una bella figura, atleticamente di valore medio, che scoprì troppo tardi la sua naturale elezione al ruolo di stayer d’evidenza, che poi la guerra gli precluse. Perlomeno per quelle risultanze internazionali che erano nel suo potenziale. Una carriera comunque meritevole, che lo vide vincente su strada nell’anno d’esordio fra i professionisti, in seno alla Turkheimer, nella Milano-Paullo-Milano e nel Campionato di Milano; indi nel 1907, nella Coppa Regina Madre e, nel 1908 nella citata Milano-Mantova. Poi il passaggio sui velodromi lo vide trionfare nel Campionato Italiano di mezzofondo (Stayer) nel 1911 e nel 1914. I suoi piazzamenti migliori. 1905: 7° nel Giro di Lombardia. 1906: 3° nel Campionato Italiano; 2° nel Giro del Piemonte, Milano-Alessandria-Milano; Brescia-Pallanza. 1907: 2° nella Milano Torino; 3° nella Bologna-Rimini-Bologna e nella Milano-Torino-Milano; 4° Nel Campionato Italiano. 1908: 3° nella Targa Legnano e nel GP di Milano. 1909: 2° nel Giro della Provincia di Pavia; 4° nella Roma-Napoli-Roma; 5° nella Milano-Modena; 7° nel Campionato Italiano. 1910: 6° nel Giro d’Italia; 9° nel Giro di Lombardia.

Ordine d’arrivo:
1° Battista Danesi (Asola di Mantova) km 220 in 7h19’30” alla media 30,050 kmh;
2° Cesare Zanzottera (Legnano di Milano); 3° Giovanni Cuniolo (Tortona di Alessandria); 4° Luigi Ganna (Induno Olona di Varese); 5° Ernesto Ferrari (Roverbella di Mantova).



Quarta Edizione 22 aprile 1932
La Società “Mantova Sportiva” che raccoglieva per “motivi superiori” la vivacità organizzativa e di proposta nei vari sport del territorio mantovano, ripropose venerdì 22 aprile 1932, la Milano-Mantova. 
Si trattava di una corsa diversa, assai meno prestigiosa rispetto alle prime tre edizioni, con un percorso ridotto a soli 147 chilometri, riservata a indipendenti e dilettanti seniores. 
Basti citare che il già grandissimo ciclista mantovano Learco Guerra, non vi poté partecipare. Il tracciato, che vedeva partenza da Rogoredo, raggiungeva direttamente la città virgiliana, senza proporre nessuna asperità. Come era facilmente prevedibile, data la natura del percorso, l’edizione si concluse sulla pista di Mantova, dove, nell’attesa, s’erano svolte delle corse di velocità per dilettanti, con uno sprint cui parteciparono 95 corridori dei 107 partenti. Vinse il tre volte Tricolore della velocità allievi, il cremasco Carlo Bonfanti.

Sul vincitore.
Carlo Bonfanti nacque il 9 dicembre 1913 a Crema ed ivi decedito nel 2001. Passista veloce. Professionista nel 1934, con una vittoria, colta ancora da dilettante. La Milano-Mantova 1932, per essere stata corsa aperta agli indipendente donò all’allora “puro” Bonfanti, l’unica vittoria di carattere superiore alla sua categoria. Quando passò fra gli indipendenti, due anni dopo, non colse nessuna affermazione. Una carriera ononima, aldilà di quella vittoria e dire che, perlomeno su pista, nel 1929-’30-’31, aveva vinto i Campionati Italiani della velocità fra gli allievi.  

Ordine d’arrivo:
1° Carlo Bonfanti (U.S. Milanese) km 147 in 4h4’ alla media di 38,800 kmh; 2° Adamo Dabini ((U.S.Legnanese) primo degli Indipendenti; 3° Ezio Migliorini (Club Ciclistico Lombardo); 4° Luigi Tasselli (Pedale Mantovano); 5° Ennio Bruschi (Pedale Piacentino); 6° Antonio Andretta (Veloce Club Vicenza); 7° Luigi Tosi (U.S. Azzini Milano); 8° Carlo Pelacani (Nicolo Biondo Carpi); 9° Rolando Ferrari (Pedale Mantovano); 10° rodolfo Magni (C.S.Oberdan Milano).

Maurizio Ricci detto Morris

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#4
Quinta Edizione 22 ottobre 1933
L’edizione del 1933 fu fortunata, perché pur presentandosi ancora lontana da un percorso classico per professionisti, ovvero oltre i 200 chilometri, poté contare sul meglio degli indipendenti fra i quali anche l’anziano, ma ancor vigoroso Gaioni, i dilettanti scelti e su diversi giovani prof che, per età, anche se prestigiosissimi, potevano schierarsi alla corsa. Alla partenza da Rogoredo, sui 150 chilometri d’un tracciato interamente pianeggiante che li avrebbe condotto i concorrenti a Mantova, ci furono così anche il virgiliano Fabio Battesini, l’enfant prodige del ciclismo italiano, ed un altro giovane della medesima terra, di cui si diceva un gran bene, che poi divenne un gigante dell’ultimo decennio anteguerra, Vasco Bergamaschi. Ed i due la fecero davvero da padroni, andando a correre la distanza ad una media incredibile, nonostante le non ideali condizioni atmosferiche, gli asfalti dei tempi, ed i tratti semi-sterrati: 42,210 kmh! 
Fra i 65 partenti ci fu subito battaglia e dopo soli cinque chilometri, la fuga che caratterizzò la prima partte di gara, ad opera di quattro dilettanti, i mantovani Rutilli, Bugarelli e Tovagliari e il milanese Brunetti. In poco tempo scavarono un vantaggio impressionante, ma poi, vuoi per la veemente rincorsa di Bergamaschi, vuoi per i guasti al mezzo che coinvolsero Tovagliari e Rutilli a Pizzighettone, al 51 chilometro di gara, il gruppo ritornò compatto. Per poco però, perché a Cremona, Bergamaschi allungò deciso, ed alla sua ruota si pose il solo Battesini. I due alfieri della Maino andarono al traguardo, grazie soprattutto alle tirate imperiose del più anziano, che domostrò tutto quello che di buono si diceva di lui. Battesini, da par suo, poté stare a ruota e nella decisiva volata, andare a vincere in scioltezza. Staccatissimi tutti gli altri.

Sul vincitore.
[Immagine: 1210493321Battesini,%20Fabio.jpg]
Fabio Battesini nacque a Virgilio (MN) il 19 febbraio 1912, deceduto a Roma il 17 giugno 1987. Ciclista completo. Professionista dal 1930 al 1946 con 22 vittorie. Uno dei più grandi atleti per precocità dell’intera storia del ciclismo italiano. Un talento enorme, scialacquato in parte, per gli sforzi esosi sostenuti quando ancora era necessario attendere, ed in parte, per una condotta di vita, spesso lontana dalle voci necessarie per sostenersi di fronte alle esigenze dello sport e del ciclismo in particolare. Atleticamente non aveva nulla in meno dei grandi della sua epoca, anzi, forse anche qualcosa in più, ma la “testa” no, era troppo distante dai colleghi dotati di particolare sangue blu. È stato però uno dei ciclisti più in vista degli anni trenta, ed il suo curriculum, se studiato bene, rispecchiò appieno il potenziale di cui era dotato. Qualche dato che ne testimonia lo straordinario talento. A 17 anni, l’11 ottobre 1929, al Velodromo Sempione di Milano, stabilì il Record Mondiale dell’Ora per dilettanti percorrendo 42,029 chilometri. A 18 anni, era già professionista, vinse tre corse discretamente importanti e partecipò al Giro d’Italia, finendo 17° dopo 4 piazzamenti di frazione. Nel 1931, a 19 anni, lo start alle due più grandi manifestazioni a tappe: al Giro, si ritirò per una caduta, ma in tempo utile per finire 2° nella seconda tappa e 5° nella prima; al Tour de France, finì 30°, ma si piazzò in ben sette tappe e ne vinse una, a Brest, irridendo gli avversari. A 20 anni vinse la tappa di Ferrara al Giro, battendo super velocisti come Raffaele Di Paco e il suo amico Learco Guerra. Poi, cominciò a perdere colpi, scegliendo la vita più facile, sull’onda del suo carattere da mattacchione, anche perché, pur perdendo la possibilità di eleggersi super, la scarsa condotta quotidiana non poteva impedirgli quei momenti di genio atletico che gli davano comunque successi e danaro. Di Learco Guerra, non solo fu amico, ma pure fidata spalla, ed a sua volta, dalla “Locomotiva”, anche Battesini ricevette qualcosa di importante: quelle uscite insieme in allenamento, che gli frenarono le derivazioni negative. A carriera già calante, l’incredibile peperino della terra di Virgilio, si rischierò su pista, per dimostrare che era ancora, volendo, una prima ruota. Il 26 maggio 1937, al Vigorelli di Milano stabilì il Primato Mondiale nel Chilometro Lanciato con 1’01”1; l’anno seguente, il 17 e 18 agosto, sempre sul magico impianto milanese, stabilì i Record Mondiali nel Chilometro con partenza da fermo, fermando il cronometro a 1’04”2 (roba che ancora oggi potrebbe consentirgli di vincere il Tricolore), ed il giorno dopo, quello sui 5 chilometri in 6’21”. Alla pista dedicò il finale di carriera: fu 4° al Mondiale dell’Inseguimento nel 1939 e, già ultratrentenne, vinse i Tricolori fra gli stayer nel 1943 e nel 1945. 
Tutte le vittorie di Battesini. 1929: Record Mondiale dell’Ora dilettanti con 42,029 km. 1930: Coppa Del Grande; Criterium Virgiliano a cronometro; Coppa d’Inverno. 1931: tappa di Brest al Tour de France. 1932: tappa di Ferrara al Giro d’Italia. 1933: Milano-Mantova. 1934: tappa di Trieste al Giro d’Italia; 2° tappa del Giro della Tripolitania. 1935: prova in linea del Giro della Provincia di Milano; Cronocoppie (con Learco Guerra) del Giro della Provincia di Milano; Criterium degli assi a Cremona. 1936: tappa di Grosseto al Giro d’Italia; GP dell’Industria a cronometro; prova su pista del Giro della Provincia di Milano. 1937: Record Mondiale del Km Lanciato con 1’01”1; Cronosquadre a Marina di Massa (con la Legnano) al Giro d’Italia; prova su pista del Giro della Provincia di Milano; prova di inseguimento all’australiana del Giro della Provincia di Milano. 1938: Record Mondiale del Km con partenza da fermo in 1’04”2;Record Mondiale sui 5 Km con 6’21”; Criterium degli Assi a Piacenza. 1939: Coppa di Spagna a Barcellona. 1941: Criterium di Firenze dietro motori. 1943: Campionato Italiano Stayer. 1945 Campionato Italiano Stayer. 
I piazzamenti più importanti. 1930: 3° nel Giro del Piemonte, nella Coppa Bernocchi e nella Predappio Roma. 1931: 2° nel Campionarto Italiano; 4° nel Campionato del Mondo; 4° nella Milano Sanremo; 2° nella tappa di Ravenna al Giro d’Italia; 3° nella tappa di Bordeaux al Tour de France. 1932: 2° nella tappa di Teramo al Giro d’Italia. 1934: 2° nel Giro della Tripolitania. 1936: 3° nella tappa di Gardone Roviera al Giro d’Italia. 1937: 2° nel Campionato Italiano della Velocità. 1939: 2° nel Campionato Italiano dell’Inseguimento.

Ordine d’arrivo: 
1° Fabio Battesini (Maino Clement) km 150 in 3h28’ alla media di 42,210 kmh;  
2° Vasco Bergamaschi (id);  3° Luigi Mutti (Ciclo Club Lombardo), primo dei dilettanti, a 2’; 4° Dabini (U.S. Legnanese) primo degli indipendenti a 3’; 5° Alfredo Bulgarelli (Mantova Sportiva) a 7’; 6° Edgardo Scappini (S.C. Cantore di Milano); 7° Giuseppe Mantovani; 8° Osvaldo Bailo; 9° Bruno Tosi; 10° Rutilli a 8’; 11° Fila; 12° Enrico Bovet a 15’; 13° Miriamoli, 14° Madini; 15° Enrico Tumicelli; 16° Aldo Tumicelli, seguono altri in tempo massimo.

Maurizio Ricci detto Morris

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#5
Sesta Edizione 19 agosto 1934
La Milano-Mantova 1934, giunse finalmente al percorso degno di una prova di vertice. Gli organizzatori della “Mantova Sportiva”, prepararono al meglio l’edizione, inserendo per la prima volta nel percorso le rampe del Colle di Sant’Eusebio e numerosi saliscendi per un tracciato complessivo di 218 chilometri. Fra i 93 presenti alla partenza da Rogoredo, tutte le più quotate speranze del ciclismo italiano, ovvero Rogora, Sella, Cipriani, Fraccaroli, Borsari, Luisiani, Andretta, ed il più giovane degli italo-svizzeri Bovet, Enrico. Nonostante il nuovo percorso e la buona battaglia, non fu evitata la conclusione allo sprint di un folto gruppo, composto da 42 corridori. All’ultimo chilometro, Enrico Bovet scattò e guadagnò una trentina di metri che difese fino all’ultimo, anticipando sulla linea d’arrivo, di un metro Luisiani e di una bicicletta Piubellini. Un colpo da maestro, purtroppo rimasto isolato nella carriera del ragazzo di Losanna, dalle movenze di un furetto.

Sul vincitore.
[Immagine: 1248077331BOVET%20Enrico.JPG]
Enrico Bovet nacque a Losanna (Svizzera) il 6 gennaio 1911, deceduto a Malaga  (Spagna) il 14 luglio 2001. Passista veloce. Professionista nel 1930 e dal 1934 al 1935, con una vittoria. Fratello minore del ben più celebre e forte Alfredo, si segnalò solamente nel 1934 quando ha vinto la Milano-Mantova, gara nella quale s’era piazzato dodicesimo l’anno prima. Dopo quella vittoria pur correndo nella Bianchi col fratello, non si mise più in luce, a parte un comunque modesto 41° posto alla Milano Sanremo ’35. Terminò alla fine di quell’anno una carriera poco felice. Emigrò in Spagna dove si diede all’attività commerciale e vi morì novantenne, a Malaga.

Ordine d’arrivo:

1° Enrico Bovet (Bianchi) km 218 in 7h13’alla media di 31,118 kmh; 2° Mario Lusiani (S.C. Cesare Battisti Milano) primo degli indipendenti; 3° Isidoro Piubellini; 4° Nino Borsari; 5° Mario Cipriani; 6° Nino Sella; seguono altri 37 corridori classificati a pari merito al 7°, con lo stesso tempo del vincitore.  



Settima Edizione 2 giugno 1935
Nel 1935 la corsa scese di tono in tutti i sensi, chilometraggio e apertura ai dilettanti con qualche indipendente comunque di fresco passaggio. Non a caso, con quella edizione, la Milano Mantova si fermò nuovamente. Sui 144 chilometri tutti pianeggianti, si impose in un volatone di una quarantina di concorrenti il modenese di Carpi, Vasco Reggianini alla media di 39,813 kmh. Al posto d’onore il veneto Edgardo Scappini, di Monselice, ed il podio fu completato dal toscano di Fucecchio, Franco Maggioni. Tutti e tre, erano al primo anno fra gli indipendenti. Fra costoro poi, la carriera migliore la svolse Scappini (nella foto accanto), che arrivò a correre fra i professionisti nel 1938 e nel 1940 con la Azzini e la Viscontea, partecipò e finì il Giro d’Italia nel ’38 (24°) e nel ’40 (36°) e proseguì da indipendente fino al 1944. Si distinse soprattutto su pista, dove arrivò a registrare, nel '37, il Record Italiano dell'Ora dietro motori con 66,499 km. Maggioni, invece, non passò mai fra i prof, ma continuò fra gli indipendenti, riuscendo a correre anche corse importanti come Sanremo e Lombardia e vincendo, nel 1937, la dura Bassano-Montegrappa. Il vincitore della Milano-Mantova, invece, che fra i dilettanti era stato azzurrabile, dopo quello scorcio fra gli indipendenti, chiuse col ciclismo.

Ordine d’arrivo:
1° Vasco Reggianini (U.C.Modenese) Km 144 in 3h37’ alla media di 39, 813 kmh; 2° Edgardo Scappini (S.C. Battisti Milano); 3° Franco Maggioni (Audace Club Osnago), tutti e tre indipendenti; 4° Elio Bavutti (1° dei dilettanti), 5° Francesco Albani; 6° Franco Denti; 7° Ambrogio Valli; 8° Luigi Mutti; 9° Aldo Rigamonti; 10° Giorgio Lena.



Ottava Edizione 14 aprile 1946
Il ritorno della Milano-Mantova per professionisti, a meno do un anno dalla fine del conflitto, per molti, fu una sorpresa, anche perché ben si conoscevano le tribolate vicende della classica. La società “Mantova Sportiva” che aveva organizzato le ultime edizioni, con la caduta del fascismo, si sciolse e lasciò posto ad un consorzio di società mantovane e milanesi che nel breve volgere di qualche mese, recuperò il terreno perduto e propose appunto, un ritorno coi fiocchi. I 61 atleti che partirono da Milano, risposero come meglio non si poteva, nonostante lo stato delle strade davvero pessimo e la giornata non ideale. 
Subito forte la media e dopo soli 15 chilometri, attaccò il varesino ormai svizzero Capelli. Ripreso dopo una decina di minuti, partirono il favorito Leoni e Casola, sui quali ritornarono prima Rebella, poi Zanazzi, indi Ricci e Bevilacqua. Sulla salita del Sant’Eusebio, sul drappello di testa si riportarono pure gli italo-francesi Tacca ed il fortissimo Fermo Camellini. Sulle ultime rampe mollò irrimediabilmente Tacca, mentre Rebella e Bevilacqua, che pure scollinarono staccati riuscirono a rientrare in discesa. Dopo pochi chilometri, causa una foratura, si staccò Casola, ed una decina di chilometri dopo, la stessa sorte toccò a Camellini. Rimasti in quattro al comando, grazie alle doti sul passo, di almeno tre dei quattro componenti il drappello dei battistrada, gli inseguitori furono tolti da ogni velleità di ricongiungimento. Negli ultimi chilometri forò un paio di volte Rebella, ma approfittando della relativa andatura degli altri che si controllavano, perché la gara era ormai nelle loro mani, riuscì a rientrare. L’ultima volta, proprio appena imboccata la pista e per la veemenza dell’inseguimento, proseguì finendo per sorprendere soprattutto il favorito Leoni, il quale si perse un attimo, proprio quando su Rebella si riportò Ricci, che passò in testa ed andò a vincere, contenendo il tardivo ritorno di Leoni e di Bevilacqua.

Sul vincitore.
[Immagine: 1231924415RICCI%20Mario.jpg]
Mario Ricci nacque a Soriano (Padova) il 23 agosto 1914, deceduto a Como il 22 febbraio 2005. Passista veloce. Professionista dal 1938 al 1950 con 24 vittorie. Un corridore dai modi garbati, ma determinato e completo come pochi nelle corse di un giorno. Molto veloce. Nonostante l’era in cui ha corso, s’è ritagliato un bel palmares, anche se gli mancano acuti nelle classifiche a tempo di quelle corse a tappe, dove pativa la mancanza di recupero. Ciononostante, nelle sue 4 partecipazioni al Giro, vinse altrettante frazioni. Le due vittorie al Lombardia sono le chicche della sua carriera: la prima nel 1941 in volata su Cinelli ed un grup-petto di una dozzina di corridori e, la seconda, nel 1945, con una grandiosa fuga solitaria che lo portò al traguardo con 6’23” su Bini. Fu anche Campione Italiano nel 1943 a Roma, superando allo sprint Fiorenzo Magni e altri dieci compagni di fuga. Nel suo palmares sono poi finite diverse classiche italiane, qualche significativa all’estero, nonché dei piazzamenti di pregio, come ad esempio, il 2° posto alla Milano-Sanremo del '41 e nel Campionato Italiano del '42. Di pregio anche le sue ottime prove ai Campionati del Mondo, dove fu 4° nel 1946 (primo degli italiani) e il 6° nel 1948. Alle sue indubbie qualità atletiche, sapeva aggiungere quelle morali: ad esempio fu sempre fedele alla Legnano, generoso con tutti i colleghi, prezioso per i suoi vari capisquadra. Coppi lo ricordava come il miglior amico fino al 1942 tra i verdi della Legnano e nel ‘49 al Tour (unica partecipazione di Ricci alla Grande Boucle, dove chiuse 41°). Qualità umane che lo portarono, nel dopo carriera, dal 1967 al 1972, a divenire uno dei migliori CT azzurri dei professionisti di sempre: in quel periodo di piena era Merckx, gli italiano vinsero due mondiali con Adorni nel ’68 e Basso nel  ’72. 
Di seguito tutte le vittorie di Ricci, anno per anno. 1941: Giro di Lombardia; Giro Provincia di Milano (cronocoppie con Coppi); Circuit de la Forteresse; Coppa Valle Scrivia; Circuito di Bologna. 1942: Circuito di Benevento; Circuito dell’Impero. 1943: Campionato Italiano. 1944: Roma-Subiaco-Roma; 2 tappe della Roma-Subiaco-Roma. 1945: Giro di Lombardia; Trofeo Matteotti; tappa Terni Giro Quattro Province; Circuito di Bollate. 1946: tappa di Napoli al Giro d’Italia; Milano-Mantova; Circuito di Bollate. 1947: tap-pa di Foggia al Giro d'Italia; tappa di Ginevra al Giro di Romandia; Coppa Bernocchi. 1948: tappa di Genova al Giro d’Italia. 1949: tappa di Roma al Giro d'Italia; Coppa Bernocchi. 1950: tappa di Tortosa al Giro Catalogna.

Ordine d’arrivo:
1° Mario Ricci (Legnano) km 222 in 3h38’ alla media di 39,400 kmh; 2° Adolfo Leoni (Bianchi); 3° Antonio Bevolacqua (Willier Triestina); 4° Carlo Rebella (Olmo); 5° Vito Ortelli (Willier Triestina) a 3’30”; 6° Mario De Benedetti (Olmo); 7° Gino Bartali (Legnano) a 5’; 8° Glauco Servadei (Bianchi); 9° Luigi Casola (V.C. Bustese); 10° Osvaldo Bailo (Gestri); 11° Giulio Bresci (Welter)  12° Vincenzo Rossello (Olmo); 13° Fausto Coppi (Bianchi); 14° Andrea Giacometti (Delux); 15° Aldo Bini (Legnano); 16° Angelo Brignole (Legnano) a 6’30”.

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#6
Nona Edizione 20 aprile 1947
A dispetto del rango dei partenti, che confermava l’ottimo dell’edizione precedente, la Milano-Mantova ’47, ebbe un andamento deludente. I 76 partenti svilupparono poco, veramente poco. Nemmeno sulla salita di Sant'Eusebio, si ebbe una selezione come si pensava, a parte una quindicina di non preparati che si staccarono, come da copione di tutte le corse. Davanti non ci fu nessuno disposto a tentare l'avventura e più che una competizione, quella Milano-Mantova, apparve a lungo, troppo a lungo, come un viaggio turistico. Unico episodio rilevante fu l'inseguimento di Fiorenzo Magni attardato nei pressi di Trescorre per una foratura, e la volata di Bizzi per un traguardo a premio intermedio. Tutto tornò poi nella tranquillità, ed un grosso gruppo infilò l'inizio della pista di Mantova, distribuendosi poi in quei nove che si piazzarono nettamente, mentre il resto arrivò appiccicato come era partito. I fatti di tutta quell’edizione si svilupparono dunque sull’anello mantovano, dove emerse il più lucido e sicuramente, quel giorno, il più forte: Quirino Toccaceli. Il corridore romano rimase a ruota di Bizzi, Covolo e Martini fino all'imbocco della pista, poi qui anticipò tutti con uno scatto imperioso, prendendo gli altri di sorpresa e riuscì a resistere vincendo nettamente sul torinese Covolo, Bizzi e gli altri.

Sul vincitore.
[Immagine: 4370.jpg]
Quirino Toccaceli nacque il 25 dicembre 1916 a Roma ed ivi deceduto il 24 maggio 1982. Passista veloce. Professionista dal 1940 al 1950 con 12 vittorie. Una bella figura del ciclismo romano a cavallo della Seconda Guerra Mondiale. Passò al ciclismo sull’onda delle belle esperienze e della popolarità del fratello maggiore Edmondo, che pur non passando mai al professionismo, era un’icona del movimento ciclistico nella Capitale. Quirino fu un fortissimo dilettante, vincitore per due volte della Coppa Italia a squadre nel 1935 e nel 1937. Dopo una fase di difficoltà per raggiungere la categoria maggiore, riuscì ad entrare fra gli indipendenti eletti ed a partire, nel 1940, per il Giro d’Italia, dove, pur ritirandosi, riuscì a cogliere un bel 2° posto nella tappa di Roma, dietro l’amico di tante battaglie fra i dilettanti Glauco Servadei. Nell’anno comunque colse subito un successo nella Coppa Costanzo Ciano. Nel ’42, fra una bella serie di piazzamenti, vinse il Titolo Italiano Indipendenti e nella stagione successiva trionfò nel Giro del Lazio. Divenuto un ciclista d’evidenza, pur in quegli anni martoriati, continuò a cogliere qualche bel successo, su tutti la Milano-Mantova ’47, che fu anche l’ultima,  e la solita serie di piazzamenti, ma non esplose mai come qualcuno a Roma s’aspettava. In realtà, la sua fu una buona carriera, forse il massimo ottenibile per le sue qualità certo buone, ma non eccezionali. In più, causa le traversie di quell’epoca, dove comunque non mancavano i campioni, si trovò ad affrontare la rinascita del dopoguerra, già trentenne. In carriera ha concluso due Giri d’Italia, nel 1947, 32°, e nel 1948, 25°. Le sue squadre più importanti fra i professionisti, furono la Olmo e la Viscontea. 
Tutte le sue vittorie. 1940: Coppa Costanzo Ciano. 1942: Campionato Italiano Indipendenti. 1943: Giro del Lazio; Trofeo Tonetti. 1945: Giro della Valle del Liri; tappa del Giro delle Quattro Province; Circuito di Ancona. 1946: Giro della Valle del Liri; Giro del Golfo di Napoli; Coppa Mariani; GP Jesi. 1947: Milano-Mantova. 

I suoi migliori piazzamenti. 1940: 2° nella tappa di Roma al Giro d’Italia. 1942:  2° nel Trofeo Moschini; 3° nel Giro di Lombardia; 3° nella Coppa Avezzano; 4° nella Milano-Modena; 6° nel Giro dell’Emilia. 1943: 3° nella Milano Sanremo; 7° nel Campionato Italiano. 1945: 2° nella Coppa Mariani; 2° nella Coppa Gelsomini; 3° nel Giro di Campania; 9° nel Giro di Lombardia. 1946:  3° nel GP Industria e Commercio;  3° nel Trofeo Banfo; 4° nel Trofeo Matteotti; 5° nel Giro dell’Emilia. 1947: 3° nella tappa di Roma al Giro d'Italia. 1948: 2° nella tappa di Firenze al Giro d’Italia; 3° nella tappa di Milano al Giro d’Italia; 4° nel Giro di Catalogna. 1949: 6° nel Giro del Lazio; 8° nella Milano-Torino.

Ordine d’arrivo:
1° Quirino Toccaceli (Olmo) km 221 in 6h25' alla media di 34,909; 2° Antonio Covolo (Monterosa); 3° Olimpio Bizzi (Viscontea); 4° Alfredo Martini (Welter); Vittorio Seghetti (Lygie) 6° Italo De Zan (Lygie); 7° Giovanni Ronco (Willier Triestina); 8° Angelo Menon (Lygie); 9° Remo Sala (Fuchs), seguono a pari merito al 10° posto, altri trentotto corridori.

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#7
Decima Edizione 4 luglio 1954
La decima edizione, che riportiamo per rispetto a chi l’organizzò, non fu per professionisti, ma per soli dilettanti. Nemmeno gli indipendenti, pure di fresco passaggio, poterono partecipare. Vinse il pavese Giuseppe Calvi, che poi, alla fine dell’anno seguente, passò professionista, in volata sul bresciano Germano Marinoni e il laziale trapiantato in Lombardia, Mirco Ciapparelli. I battuti, non passarono mai fra i professionisti. La media sui 151 km del percorso, fu di 39,592 kmh. 



Undicesima Edizione 16 giugno 1957
L’edizione della rinascita e dell’epoca aurea della Milano-Mantova, grazie soprattutto a Learco Guerra che portò allo start autentici assi belgi con Van Looy in testa, vide la partecipazione di 65 corridori. Non tanti, ma in quel 16 giugno si sovrapposero diversi appuntamenti internazionali. La qualità però, c’era eccome. Una giornata tanto calda ed afosa, quanto minacciosa di pioggia, accolse gli atleti che, forse per liberarsi presto della pratica, partirono di buona lena. Già nei primi chilometri attaccò Grosso, poi sulle ceneri del suo tentativo, partì Angelo Miserocchi, il 24enne neoprofessionista ravennate, che s’era reso famoso per aver battuto, da dilettante, il record di scalata del Monte Ghisallo, che apparteneva a Coppi. Anche il tentativo del giovane alfiere della Bianchi, non andò lontano ed in contropiede, stavolta partirono in diciannove. Arrivò la pioggia temuta, che non disturbò più di tanto la buona marcia dei battistrada. Sul Sant’Eusebio, fra i primi, attaccarono Sabbadin e Baffi, con lo scopo di mandare in crisi il pericoloso belga Leon Van Daele, vincitore in primavera della Parigi Bruxelles e dei Campionato delle Fiandre, ma il fiammingo si staccò meno di altri e parve farlo, consapevole di poter rinvenire in discesa. E così fu. Furono altri a cedere, ed il drappello ridotto a nove unità si ricompattò ed andò al traguardo sulla pista di Mantova, dove, è il caso di dirlo, Van Daele vinse con una facilità disarmante. Tanto pubblico, ed ennesima dimostrazione di quanto fosse fornito di talenti, il serbatoio del Belgio.

Sul vincitore.
[Immagine: May-Product-LVD-F-7.jpg]
Leon Van Daele nacque il 24 Febbraio 1933 a Bruges, deceduto a Oostkamp, il 30 aprile 2000. Passista veloce. Professionista dal 1952 al 1964 con 87 vittorie. Un gigante buono. Grandissimo velocista e con la classe per essere molto di più, ma era troppo poco ambizioso. Le sue volate erano corrette ed estremamente potenti. Ha corso in un periodo dove il Belgio possedeva quattro velocisti fra i più grandi della storia: lui (troppo buono), Van Steenbergen (il più vicino alla perfezione, ma troppo più anziano degli altri), Vannitsen (il più giovane, probabilmente il più sfrecciante, ma troppo amante della bella vita) e Rik Van Looy (il meno dotato, ma il più determi-nato). Alla fine, solo l’Imperatore di Herentals, è giunto ben stampato sulle orbite dell’os-servatorio sempre più superficiale odierno. Ma Leon Van Daele era un signor corridore che in volata poteva stendere chiunque. Basti citare la sua affermazione nella Pari-gi-Roubaix del '58, quando mise in fila le ruote più veloci che ci fossero in circolazione, vale a dire lo spagnolo Poblet, Van Looy, Van Steenbergen e il finisseur De Bruyne. Nel '57 aveva vinto la Parigi-Bruxelles e nel '59, fece sua la Gand-We-velgem. Numerosi i suoi successi in semiclas-siche del suo paese e anche all'estero, come la Milano-Mantova del '57. Di seguito tutte le sue vittorie anno per anno. 1952: Roubaix-Cassel-Roubaix; Criterium di Ancin. 1953: Criterium di Ruddervoorde e di Mele. 1954: Kuurne-Bruxelles-Kuurne; 1a Tappa Tour de Picardie; Criterium di Handzame, Malines, Scheldewindeke e Ostende. 1955: 2a Tappa Tour de Picardie; 9a Tappa Tour dell’Ovest; Criterium di Wingene. 1956: Campionato delle Fiandre; 9a Tappa dell’Ovest; Criterium di Emelgem, Oedelem, Wervik, Izenberge, Nazareth e Lichtervelde. 1957: Parigi-Bruxelles; Bruxelles-Ingooigem; Milano-Mantova; Campionati delle Fiandre; Tre Giorni di Anversa; 1° Tappa della Tre Giorni di Anversa; 5a Tappa del Giro d’Olanda; Criterium di Ruddervoorde, Westrozebeke, Beer-velde, Izenberge, Zeebrugge. 1958: Parigi-Roubaix; Bruxelles-Izegem; Campionati delle Fiandre Orientali; Campionati delle Fiandre; Circuito delle Regioni Frontaliere; Freccia Flamande; GP Flandria; 5a e 6a Tappa Giro Levante; Criterium di Herentals, Heist-aan-Zee, Aartrijke, Ruddervoorde, Izenberge, Courtrai, Eeklo e Oedelem. 1959: Gand-Wevelgem; Trofeo Fiandre; 3a Tappa della Parigi-Nizza-Roma; 1a Tappa Giro Lussemburgo; Criterium d’Houtland, Oostwinkel, Aartrijke, Herve e Anzegem. 1960: Tielt-Anversa-Tielt; Circuito d’Houtland, Criterium di La Panne e Aartrijke. 1961: Kuurne-Bruxelles-Kuurne; 2a Tappa del Giro di Lussemburgo; Criterium di Nokere, Bruges, Aartrijke, Gistel e Lendelede. 1962: Bruxelles-Meulebeke, Criterium di Meerhout, Haacht, St-Andries, Breendonk, Izenberge, Eede, Houthulst, Aalter e Anversa. 1963: Criterium di Beervelde, Zonnebeke e Assebroek. 1964: Circuit des XI Villes; Giro delle Tre Province; GP 1° Maggio, Criterium di Handzame.

Ordine d’arrivo:
1° Leon Van Daele (Faema-Guerra) km 224 in 6h alla media di 37,666 kmh; 2° Gino Guerrini (Asborno); 3° Alfredo Sabbadin (San Pellegrino); 4° Angiolino Piscaglia (San Pellegrino); 5° Pierino Baffi (Arbos); 6° Mario Gervasoni (Asborno); 7° Mino De Rossi (Ignis); 8° Alfredo Zagano (Arbos); 9° Giovanni Ferlenghi (Arbos); 10° Jozef Schils (Faema-Guerra) a 1’51”; 11° Alberto Negro (Asborno) a 2’15”; 12° Antonio Uliana (Bottecchia) a 2’22”; 13° Mario Baroni (Leo Chlorodont) che regolò in volata il gruppo a 2’43”.

Maurizio Ricci detto Morris

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#8
Dodicesima Edizione 15 giugno 1958
I 59 corridori partenti, iniziarono la gara ad andatura velocissima, con Vannitsen e i suoi uomini nelle prime posizioni. A Vaprio d'Adda si ritirò Petrucci. A Palosco, Giuseppe Carizzoni, della San Pellegrino, vinse il primo traguardo a premio, davanti a Galeaz. Dopo tanti tentativi, finalmente a Rovato la fuga buona: 16 corridori, tra cui Van Looy, Metra, Armando Pellegrini, Costalunga, Gaggero, evasero dal gruppo e, in breve, acquistarono un discreto vantaggio. A Brescia il gruppo di testa perse Gaggero, che rallentò per noie meccaniche. Dopo Brescia la strada cominciò a salire. I quindici di testa aumentarono ancora il distacco e proseguirono indisturbati. Poco dopo, sgranati in fila indiana, affrontarono le rampe del Sant'Eusebio. Galeaz mollò e inseguì staccato. In vetta passò primo Baffi, seguito da Nicolo, Costalunga, Grassi e Metra, gli altri passarono con leggeri distacchi. A quattro minuti circa, scollinò il gruppo. A Pressiglio, dopo 123 chilometri, il drappello si spezzò un poco e restarono in testa, Ranucci, Carizzoni, Van Looy, Hoevenaers, Mori, Michelon, Nicolo, Schils, Metra, Armando Pellegrini, Grassi, Costalunga, Baffi e Galeaz che, dopo essersi staccato sul Sant’Eusebio, era rientrato in discesa. Nonostante i 100 chilometri ancora mancanti al traguardo, i tredici al comando (Carizzoni si staccò nel finale causa foratura), andarono all’arrivo, dove Van Looy impose i diritti delle sue doti velocistiche.   
Ordine d'arrivo:
1° Rik Van Looy (Faema) km. 218,6 in ore 5h17’ alla media 41,340 kmh; 2° Jozef Schils (Faema); 3° Armando Pellegrini (Faema);  4° Pierino Baffi (Arbos); 5° Lino Grassi (Allegro); 6° Bruno Costalunga (Leo Chlorodont); 7° Jos Hoevenaers (Faema); 8° Sante Ranucci (Legnano); 9° Giuliano Michelon (Asborno Frejus); 10° Giovanni Metra (Faema); 11° Federico Galeaz (Leo Chlorodont); 12° Mario Mori (Arbos); 13° Carlo Nicolo (San Pellegrino); 14° Giuseppe Carizzoni (San Pellegrino) a 1’21”; 15° Tranquillo Scudellaro (Torpado) a 7’12”.

Tredicesima Edizione 22 marzo 1959
Un’edizione, velocissima, combattuta, senza un attimo di pausa. L'episodio determinante l'intero svolgimento della corsa, cominciò poco prima di Caravaggio, una trentina di chilometri dalla partenza, alla quale si erano presentati in 128.  Alla località citata, il gruppone era giunto compatto, ma a buona andatura: 41 kmh. Qui, fuggirono in 19, esattamente: i belgi Vannitsen e Schils e gli italiani, Baffi, Conterno, Martin, Brandolini, Ciampi, Cassano, Michelon, Cestari, Zagano, Nascimbene, Bono, Vignolo, Viani, Girardini, Calvi, Salza e Tamagni. Dopo 10 chilometri, i battistrada vantavano 45” di vantaggio su altri undici corridori, Padovan, Fallarinl, Albani, Guglielmoni, Aru, Ulìana, Kazianka, Mori, Baroni, Dubach e Moelenars, dietro ai quali veniva il grosso staccato di 1’10” dai primi. Da quel punto, la situazione non cambiò più, per quanti sforzi facessero gli inseguitori. Ne guadagnò enormemente la media che, a fine gara, sarà record. Fuori Chiari, dopo 57 chilometri di corsa, gli scarti salirono a 1'20" e a 2'35" ed a Brescia, dopo 82 chilometri di corsa ad una media 43,200 kmh, registrarono 2'20" sui primi inseguitori e 2'50" sul gruppo col favorito Van Looy che si stava prodigando senza ottenere nessuna tangibilità. Dopo il rifornimento di Peschiera (Km. 124), la corsa infilò una strada sterrata, dapprima in salita leggera, poi più ripida. Bastò quell'ostacolo di un chilometro o poco più, per produrre delle novità. Mentre i sette rimasti a inseguire l'avanguardia venivano raggiunti dal grosso, i diciannove di testa si frazionarono. Conterno partì all'attacco, e non tutti riuscirono a seguirlo. A Costermanno, un cocuzzolo, a 144 km da Milano, alla ruota del torinese rimasero soltanto Cestari, Baffi, Vannitsen e Martin. Ciampi, Brandolini e Tamagni, i più vicini ai nuovi battistrada, diedero tutto su un successivo falsopiano e riuscirono a riportarsi sui primi. Poi però, per la fatica, Tamagni mollò. Dietro intanto, il gruppo, che aveva ripreso ogni contrattaccante, rilanciò l’inseguimento degli otto rimasti al comando, con tanta veemenza. Gli ultimi 70 km furono davvero emozionanti. Al rilevamento posto al km 157, i battistrada avevano rimasto un vantaggio di 50”. Per circa un'ora di caccia, lo scarto fra lepri e cacciatori, oscillò su quello scarto. Ci si aspettava il ricongiungimento generale, ma la strenua difesa degli otto, alla fine, prese il sopravvento. A  Goito, a venti chilometri dall'arrivo, l’anticipo dei battistrada s’elevò a 1'15". Senza un minimo di rilassamento il drappello entrò così sulla pista di Mantova, teatro d’arrivo. Il primo a entrarvi fu Brandolini, sulla cui ruota s’era posto Baffi, sorprendendo Conterno, che fu subito preceduto anche da Vannitsen. Alla campana, Brandolini mollò di schianto, mentre Baffi iniziò una poderosa volata. Sul rettilineo opposto, proprio mentre Ciampi, scattato dalla quinta posizione avanzava velocemente, il belga Vannitsen iniziò il suo attacco a Baffi. Per un attimo, Ciampi e Vannitsen si trovano gomito a gomito e si vide il toscano appoggiarsi sull'avversario, interrompendogli l'azione. Quando Vannitsen poté liberarsi, Baffi era ormai due lunghezze avanti, al riparo dall'inutile e veloce ritorno del belga. A 1’25” dagli otto, giunse Dante, che era uscito dal grosso a tre chilometri dall’arrivo, mentre Benedetti, 10” dopo, regolò il gruppone dei battuti. Straordinaria la media: 43,688 km, nonostante i tratti di sterrato!

Ordine d’arrivo:
1° Pierino Baffi (Ignis-Frejus) km 229 in 05h14'30'' alla media di 43.688 kmh; 2° Willy Vannitsen (Ghigi-Ganna); 3° Angelo Conterno (Carpano); 4° Silvano Ciampi (Bianchi-Pirelli); 5° Aurelio Cestari (Atala); 6° Pietro Nascimbene (Molteni); 7° Fernando Brandolini (Carpano); 8° Walter Martin (Carpano); 9° Giuseppe Dante (Ignis-Frejus) a 1’25”; 10° Rino Benedetti (Ghigi-Ganna) a 1’35”.



Quattordicesima Edizione 15 maggio 1960
Un’edizione che fui segnata dal caldo soffocante che fece seguito a giornate di pioggia. Un aspetto che si rivelerà decisivo per la falcidia di ritiri fra i 98 partenti e spinse all’abulia diversi big in gara. La prima parte fu combattuta, con soventi tentativi ed una media a lungo sui 45 orari. Un tentativo di Pambianco sulla pianura di Gorgonzola, portò lo scompiglio che divenne enorme sullo strappo di Castermanno, non asfaltato e con condizioni davvero proibitive. In molti salirono con la bici in spalla e non a caso, ad emergere, fu il re del ciclocross Renato Longo. Poi tornò la calma, ed il gruppo si ricompattò anche se con le fila ridotte. Fra chi scelse l’albergo anche il favorito Van Looy. Il “tutti insieme” però durò poco e, fra scatti e contro-scatti da contarsi a decine, a Curtatone si concretizzò la fuga che poi si rivelerà decisiva. Protagonisti in sei: Baffi, il belga Molenaers, Sartore, Kazianka, Gentina e Vanzella. Questi battistrada non furono più ripresi, nonostante un vantaggio mai di una certa portata. Nella volata decisiva sulla pista in terra battuta dell’Ippodromo del Tè, tutti s’aspettavano una lotta accanita fra Baffi e Molinaers, invece il trevigiano Giuseppe Vanzella, che correva per l’Atala, ma era l’unico in gara del sodalizio, ed il direttore sportivo scelse di non portare l’ammiraglia, privandolo dell’assistenza (ma gli andò tutto bene), anticipò tutti, con una gran progressione e seppe contenere con ampio margine, il tentativo di ritorno dei due favoriti. Una grande e meritata soddisfazione per l’alfiere di un’Atala che, quel giorno, non lo meritò.

Sul vincitore.
[Immagine: 5028.jpg]
Giuseppe Vanzella nacque a Vazzola (Treviso) il primo febbraio 1934, deceduto a Conegliano (Treviso) il 25 ottobre 2011. Passista veloce. Alto m. 1,78 per kg. 77. Professionista dal 1959 al 1961, con una vittoria. Un corridore che a differenza di altri che erano stati come lui ottimi dilettanti (vinse la Coppa Italia a Squadre nel ’54 e ’58), capì che fra i professionisti il ruolo possibile, era quello della spalla o del gregario, ed a tali mansioni si adeguò. E come tante di quelle incommensurabili figure, è passato nel silenzio generale, ma nell’incanto delle sostanze. Nel suo caso ci fu pure la giornata di gloria alla Milano-Mantova, nel 1960, la sua unica, ma prestigiosa, vittoria. Per il resto, tanto lavoro dietro le quinte e qualche piazzamento, sempre o quasi in appoggio ai propri capitani, come ad esempio l’11° e il 12° posto nella Milano-Vignola ’60 e ’61; il 6° nel GP di Pistoia ’61; il 18° nel Giro del Lazio ’61, il 21° nel Giro di Lombardia ’59. Concluse il Giro d’Italia del 1960, 87°. In carriera, ha corso per la San Pellegrino nel 1959 e per l’Atala nel ’60 e ’61. Suo figlio Flavio, è stato un ottimo professionista dal 1989 al 1998, con diverse vittorie. 

Ordine d'arrivo:

1° Giuseppe Vanzella (Atala) km 231 in 5h58' alla media di 39,120 kmh; 2° Pierino Baffi (Ignis); 3° Yvo Molenaers (Carpano); 4° Giuseppe Sartore (Bianchi); 5° Addo Kazianka (Emi); 6° Giancarlo Gentina (San Pellegrino); 7° Carlo Bru-gnami (Torpado) a 25”; 8° Frans Van Looveren (Faema) a 30”; 9° Gilbert Desmet (Carpano); 10° Walter Martin (Carpano) a 55”; 11° Ciampi; 12° Pellegrini; 13° Liviero; 14° Zambini; 15° Mazzacurati ed il rresto del gruppo col tempo di Martin.
 
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#9
Quindicesima Edizione 23 luglio 1961
L’ultima vera Milano-Mantova, vide punzonare e partire 93 dei 101 iscritti. Il caldo afoso ed il percorso nervoso, ma senza difficoltà sensibili, spingeva ad un pronostico rivolto alle ruote veloci. Secondo l’osservatorio, c’era spazio per vedere qualcosa di diverso, solo a patto di grandi azioni. Anche la lunghezza, ben 244 chilometri, poteva in qualche modo giocare un ruolo sulle risultanze, ma era pur vero che gli uomini veloci erano abituati a simili distanze, tanto più a quel punto della stagione. Alla partenza, tutti i big del ciclismo italiano, ad eccezione di Arnaldo Pambianco, vincitore del Giro d’Italia del Centenario e Guido Carlesi, 2° al Tour de France, impegnati entrambi in Francia, a Parigi. Non c’era invece l’atteso belga Emile Daems, perché squalificato dalla sua Federazione, per il ritiro ingiustificato dal Tour de France. La corsa scattò alle 10,45, da via Mecenate a Milano, dove un tempo c’erano gli stabilimenti Caproni e fu subito battagliata, ed a media elevata. Già all’uscita dal capoluogo lombardo, la prima azione con due grandi nomi, micidiali sul passo, il Treno di Forlì Ercole Baldini, voglioso più che mai di rompere il ghiaccio che s’era formato dopo la sua vittoria al GP delle Nazioni dell’anno precedente e un altro Olimpionico, Giacomo Fornoni, uno che se poteva tirare prendendo fiato per un cambio, era capace di tenere i 50 all’ora per un giorno. Sui due si riportarono, cinque chilometri dopo, ventiquattro corridori, Il folto gruppo al comando, rimase in avanscoperta fino a Rezzato. A Desenzano, dopo 110 chilometri di gara, partirono in dieci: Zamboni, lo svizzero Moresi, Braga, Sartore, Brandolini, Bruni, Accorsi, Barale, Casati e Nencini. Da questi battistrada si staccò Brandolini, poco prima di Monzambano, dove i concorrenti avrebbero percorso per cinque volte un circuito comprendente lo strappo del Borghetto, unico vero cucuzzolo della corsa. Durante il quarto passaggio sulla cittadina mantovana, le poderose trenate di Baldini, riportarono il gruppo sui battistrada. Iniziò a piovere e la calma agonistica non arrivò, perché in contropiede partì Fornoni. 
In mezzo a tuoni e grandine, il grande passista di Gromo, restò al comando per qualche chilometro, poi col cielo rimessosi a più miti consigli, il fuggitivo fu ripreso. Proprio nel centro di Rivalta, partì un’altra fuga, stavolta di 10 uomini: il sempre più ritrovato Baldini, Baffi, Zamboni, Conterno, Giusti, Coletto, Liviero, Maggioni, Zorzi e Spinello. Il gruppo, non si diede per vinto, ma i dieci, con Baldini in stato di grazia, seppero mantenere al meglio l’esiguo vantaggio fino a Mantova. A tre chilometri dal termine, quando si dava per scontata la conclusione in volata, Ercole Baldini, trovò la forza per operare un allungo da fuoriclasse quale era. La sua azione, sciolta e potente, fu tale, che a nulla valse l’inseguimento degli altri nove. Sul traguardo posto sul viale delle Aquile, l’ex iridato andò a vincere con 7” secondi sugli altri, regolati da Pierino Baffi. Un trionfo per Baldini, che dopo oltre un anno d’astinenza, diede libertà alla sua classe sopraffina, irradiando quella giornata. Un’apoteosi che si immerse negli osanna della folla.
Ordine d'arrivo:
1° Ercole Baldini (Ignis) km 244 in 5h 40' alla media di 43.059 kmh;
2° Pierino Baffi (Fides) a 7"; 3°Renato Giusti (Torpado); 4° Dino Liviero (Torpado); 5° Adriano Zamboni (Molteni); 6° Angelo Conterno (Baratti); 7° Agostino Coletto (Caballero); 8° Renato Spinello (Atala); 9° Sergio Maggioni (Bianchi); 10° Giuseppe Zorzi (Torpado); 11° Walter Martin (Carpano); 12° Dino Bruni (Ignis); 13° Pietro Zoppas (Atala); 14° Rino Benedetti (Ignis); 15° Alfredo Bonariva (Vov).

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#10
Sei scatenato oggi Morris Applausi
 
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#11
Mi piacerebbe, quando hai un attimo, approfondire un po' i rapporti di forza tra i quattro velocisti belgi di fine 50s.
 
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#12
(18-12-2018, 12:57 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Sei scatenato oggi Morris Applausi

Neve e freddo, hanno modificato i programmi del cantiere della casa che sto ristrutturando, perciò mi son trovato del tempo e ..... Il Nuovo Ciclismo è il luogo ideale per passare un po' di tempo e postare questi semi-inediti.... :)     

(18-12-2018, 03:53 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Mi piacerebbe, quando hai un attimo, approfondire un po' i rapporti di forza tra i quattro velocisti belgi di fine 50s.

Oggi mi pare un giorno buono. Dimmi chi sono per te i 4, perché qualcuno potrebbe considerarne di più (6) e risponderò... Occhiolino
 
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#13
Van Deale, Vannitsen, Van Steenbergen e Van Looy che citavi prima.

Ma se vuoi aggiungerne altri fa pure.
 
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#14
Colgo l'occasione per chiedere a Morris se prima o poi può parlarci del GP Wolber. Soprattutto mi interesserebbe sapere come funzionava il formato, quali corse davano il diritto di partecipare e come erano composte le squadre.
 
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#15
(19-12-2018, 09:55 PM)Hiko Ha scritto: Colgo l'occasione per chiedere a Morris se prima o poi può parlarci del GP Wolber. Soprattutto mi interesserebbe sapere come funzionava il formato, quali corse davano il diritto di partecipare e come erano composte le squadre.

"Una corsa che rappresenta nell’ottica di un appassionato che sta diventando ricercatore, una grande delusione". Fu questa la prima sensazione che ebbi, quando circa mezzo secolo fa, incontrai e mi interessai al GP Wolber. Era la corsa considerata Campionato del Mondo, quando ancora i Mondiali per professionisti non c’erano (la rassegna iridata per dilettanti, infatti, iniziò sei anni prima, nel 1921), ma di fatto, nella sostanza, era solo una corsa ricca come nessuna all’epoca fra le prove in linea. Icona iridata virtuale però, lo è stata solo un triennio (forse anche solo un biennio), quindi meno del lustro d’anticipo sull’arrivo dei Mondiali. Il regolamento di questa corsa prevedeva la partecipazione dei primi tre corridori arrivati nelle principali gare in Francia, Italia, Belgio e Svizzera, ma così non fu praticamente sempre, perlomeno al netto di vistose defezioni, in particolare italiane e, forse, sarebbe più giusto definirla una corsa ad inviti. La prima edizione di questa gara fu disputata nel 1922, l’ultima nel 1931. Poi dal ’32 si svolse un G.P Wolber  a tappe, di una settimana circa, riservato a dilettanti  e indipendenti. Diciamo un Tour de l’Avenir anticipato  di poco più di due lustri, con stop nel 1950. 
Nel GP Wolber per prof, lo svizzero Henri Suter (grandissimo corridore) è stato l'unico a vincerlo più di un volta (due, bel ’22 e ’25). Cinque i successi dei belgi, due di francesi e svizzeri ed uno italiano con Costante Girardengo. 
Lo score dei partecipanti anno per anno con zoom per la prima edizione.
1922 - 15 belgi: Félix Sellier, Léon Scieur, Albert Dejonghe, Louis Mottiat, Jean Rossius, Hector Heusghem, Firmin Lambot, Victor Leenaers, Emile Masson, Laurent Seret, Philippe Thys, Alfons Van Hecke, Jules Van Hevel, René Vermandel, Léon Devos 
16 francesi: Jean Hillarion, Marcel Godard, Jean Brunier, Henri Pélissier, Georges Detreille, Jean Alavoine, Romain Bellenger, Honoré Barthélémy, Eugène Dhers, Robert Grassin, Marcel Huot, Robert Jacquinot, Francis Pélissier, Robert Reboul, Achille Souchard, Eugène Christophe.

2 svizzeri: Henri Suter, Charles Guyot. 
2 italiani: Federico Gay, Costante Girardengo 

1923 18 francesi 16 belgi  3 svizzeri 1 italiano (Ottavio Bottecchia) 1 lussemburghese (Nicolas Frantz)

1924 17 francesi 17 belgi  3 svizzeri 3 italiani (Girardengo, Bestetti, Bottecchia) 1 lussemburghese

1925 26 francesi 18 belgi  2 svizzeri 10 italiani 

1926 10 francesi 3 svizzeri 1 lussemburghese

1927 Squadre di marca (4 alla part. 3 classificate) corridori solo francesi (15) e belgi (12), più il solo Frantz che, coi compagni della Alcyon, non fu classificato, perché arrivarono solo in 3 dei 7 partenti per equipe. 

1928  21 francesi 20 belgi  2 svizzeri 1 lussemburghese 1 spagnolo (Ricardo Montero)

1929 24 francesi 10 belgi  

1930 16 francesi 19 belgi 1 lussemburghese

1931 15 francesi 14 belgi 1 lussemburghese (Nick Engel)

Prove di selezione:
Francia: Parigi-Roubaix, Parigi-Tours, Bordeaux-Parigi, Tappe del Tour de France.
Belgio: Liegi-Bastogne-Liegi, Parigi Bruxelles, Giro delle Fiandre.
Svizzera: Monaco Zurigo, Campionato di Zurigo.
Itala: Milano-Sanremo, Giro di Lombardia.

Ciao Hiko!
 
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#16
Ti ringrazio tanto perchè erano due curiosità che avevo da tempo (questa e quell'altra nei confronti) ed ero sicuro che tu mi avresti saputo rispondere in modo esaustivo.
 
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#17
Grazie. Anch io ero curioso di approfondire il discorso sul gp Wolber. Bellissimi anche i pezzi sulla Milano Mantova.
 
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#18
ROMA – NAPOLI – ROMA

(Corsa del XX Settembre)
(Gran Premio Ciclomotoristico delle Nazioni)

Una manifestazione che ha fortemente segnato la storia del nostro ciclismo e che, per lungo tempo, è riuscita da sola a mantenere vivo l’entusiasmo della gente del centro sud verso lo sport del pedale. Ad una disamina attenta, la Roma-Napoli-Roma, nelle varie versioni, richiamò a sé diversi primati, ed è oggi, a ben più di mezzo secolo dalla sua ultima edizione, una misura, nella sua evoluzione, di altre tendenze che, se vogliamo, hanno evidenziato quanto l’Italia ciclistica, abbia sottostimato il patrimonio di talune corse, soprattutto a sud della Toscana. Intanto, va pesato il pubblico che l’ha sempre accompagnata: spesso tracimante per la passione, presente copioso sulle strade, quanto sui paesini attraversati; imponente come per eventi di grande portata, sugli arrivi. Per ritrovare simili entità, resta solo il Giro d’Italia. Cosa significhi tutto questo, è evidente e non servono commenti. Poi, per l’originalità, che ha mostrato versioni non comuni nel periodo dei corridori-forzati della strada, per arrivare a giungere, nell’ultima fase, ad una proposta ciclo-motoristica che, a ben vedere, si sposerebbe ancora oggi, se l’idrovora UCI non fosse tale e la FCI, pensasse con più acume alla gestione e alla verve che servono al ciclismo italiano. La storia di questa corsa, infine, sempre consumata in condivisione e accostamento a giornali, ha evidenziato quanto diversi fogli del settentrione, abbiano di fatto sostenuto ed incentivato la tendenza a vedere il nord ricco, operoso ed intelligente, ed il sud povero, corrotto e vagabondo. È una verità, questa, tanto evidente quanto insolvibile a quel politicamente corretto che spesso rincretinisce la gente. Checché se ne dica, anche lo sport, ed il ciclismo è stato a lungo la prima disciplina sportiva di questo paese, divenne ben presto un pretesto per sostenere quella stupida linea culturale (che meriterebbe il “colturale”, per le beffe che s’è fatta di una di una corretta analisi storica), che tanto sta infangando questo martoriato paese. La Roma-Napoli-Roma non ha dunque mai avuto la giusta riconoscenza nei giornali del nord e non per le logiche di concorrenza, dettate dal fatto che essa era abbinata a giornali del centro-sud, bensì per un qualcosa, purtroppo, di assai più ampio. Basta sfogliarli quei fogli, leggerli e fare una disamina con traduzione statistica. Punto.
La Roma-Napoli-Roma vide genesi nel 1902, grazie ad una volontà dei tanti sodalizi ciclistici della Capitale, che ebbero nella Società “Forza e Coraggio” la trascinatrice e poi, dopo pochi anni e per tanti, il peso dell’unica firma della manifestazione. A spalleggiare il progetto e la citata società, il giornale “Il Messaggero” di Roma, che restò anch’esso l’unico sostenitore per tanto tempo. Dopo il primo conflitto mondiale, ci fu un avvicinamento e qualche parziale sostegno da parte della testata “Il Mattino” di Napoli, che poi si indirizzò verso il “Giro dei Tre Mari”. L’impegno dei giornali sulla Roma-Napoli-Roma, divenne primario e diretto nell’ultima versione della corsa, quella ciclo-motoristica, che ebbe inizio nel 1950, grazie a “Il Tempo” e al “Corriere dello sport” in coabitazione e, poi, con una coda di sostegno, da parte de “Il Giornale d’Italia”, testata che sarà successivamente il fulcro sostenitore del Giro di Sardegna. 
Anche la stessa denominazione della corsa, subì delle trasformazioni negli anni, mantenendo comunque la riconoscibilità popolare nella dicitura citata. In sintesi, dal 1902 al 1914 e dal 1928 al 1954 si definì Roma-Napoli-Roma, dal 1918 al 1927, Corsa del XX Settembre e, Gran Premio Ciclomotoristico, dal 1955 al 1961. Nei primi due casi, si intrecciavano dei distinguo particolari e pure conviventi: da una parte il percorso che ebbe cuore da Roma a Napoli e ritorno e, dall’altra, la data che si concentrò quasi sempre in occasione del XX Settembre, festa Nazionale per ricordare il giorno della presa di Porta Pia, in Roma, nel 1970. L’interscambiabilità della denominazione si determinò negli organizzatori, per andare incontro alle tendenze dell’osservatorio di quei tempi. Nel terzo caso, invece, per caratterizzare fino in fondo il distinguo della corsa che, nel frattempo, aveva assunto percorsi a tappe ben più vari, su quell’aspetto di grande novità dettato dalla presenza, nel programma, di spezzoni, quasi sempre alla fine delle frazioni, dove i corridori correvano al rullo dei motoscooter, nonché la rilevanza internazionale dell’evento. Questi passaggi, al pari delle succinte cronache, saranno approfonditi nel corso delle singole edizioni che seguono questa anteprima.


Prima Edizione – 20 settembre 1902
Con l’organizzazione dell’Unione Velocipedistica romana, che si avvalse di tutte le società della Capitale ed il patrocinio del giornale “Il Messaggero”, partirono alle 7,30 del mattino del 19 settembre, 27 dei 28 iscritti. La prima fuga della prova, lunga 460 chilometri, fu ad opera di Spadoni, Acorossi, Grammel, Derossi, Calligari e Remondino. Successivamente, rientrarono su questi, Gerbi, Galadini, Galli, Micci, Valau e Frasca. A cinquanta chilometri dall’arrivo, uscirono dal drappello di testa, Grammel, Jacorossi e Spadoni che non vennero più ripresi e, nella volata decisiva, terminarono nell’ordine. Il primo inseguitore fu Gerbi, che ancor dilettante, vinse la specifica Coppa del Re. Una folla notevole accompagnò l’intera corsa.

Sul vincitore.
Ferdinando Grammel, detto “Fernandino”, nacque a Freudenstadt, in Germania, nel 1978, deceduto a Roma il 23 giugno 1951. Ciclista professionista dal 1902 al 1906, con due vittorie accertate nella massima categoria. Figlio di padre tedesco e madre italiana, si trasferì a Roma in tenerissima età, causa morte del padre. Nella capitale visse fino alla morte, ma non divenne maiì cittadino italiano, tanto da essere sepolto nel "cimitero degli stranieri". Grande sportivo, oltre al ciclismo, praticò con buone risultanze anche l’atletica leggera, in particolare le prove di mezzofondo. Sul mezzo a pedali, oltre ad una miriade di vittorie minori, riuscì a cogliere il successo più prestigioso nella prima edizione della Roma-Napoli-Roma, manifestazione nella quale diede il meglio di sé: fu infatti 3° nel 1904 e nel 1906. In occasione della sua vittoria, superò in volata Jacorossi e Spadoni, entrambi della “Forza e Coraggio” di Roma, mentre Grammel correva per lo “Sporting Club” della Capitale. Quarto, giunse Gerbi, 10’ minuti dopo il terzetto. Animatore di diverse prove di inizio novecento, Fernandino, nel suo ultimo anno d’attività, vinse il Campionato Romano e provò anche il Giro di Lombardia, chiudendo 20°.

Ordine d’arrivo:
1° Fernando Grammel Km 460 in 19h51’ alla media di 19,170 kmh; 2° Alfredo Jacorossi; 3° Enzo Spadoni; 4° Giovanni Gerbi a 10’ 5° Calligari a 20’, 6° Lupi, 7° Valau, 8° Gasperini, 9° Micci, 10 Bazzini

Maurizio Ricci detto Morris

...segue
 
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#19
Seconda Edizione – 20 settembre 1903
Coi medesimi presupposti organizzativi dell’anno precedente, partirono da Porta Maggiore per Napoli, 29 concorrenti dei 33 iscritti. Non fu una gara di grande combattività, complice probabilmente il vento. A Napoli la folla, fu addirittura superiore alla già tanta del 1902 e fu notevole il dispiegamento di sostegno alla corsa che il Touring Club, impiegò nella città partenopea. La gara però, fu all’insegna del “tutti in gruppo”, con cedimenti solo da dietro. Ed infatti, a Roma, si presentò un drappello di una decina di ciclisti, che si giocarono il traguardo allo sprint. Vinse il romano Spadoni, su altri due corridori della Capitale: Angelo De Rossi e Mauro Mancinelli, detto “Maurino”.

Sul vincitore.
Di Enzo Spadoni, si sa che era romano, perlomeno per residenza e vita. Correva per la “Forza e Coraggio” di Roma, ed è stato corridore professionista dal 1902 e 1906. Il successo in volata, sui romani De Rossi e Mancinelli alla corsa del XX settembre, è l’unico da professionista, perlomeno da quanto è emerso fino ad oggi dalle ricerche storiche. Di Enzo Spadoni, che nella Roma-Napoli-Roma diede il meglio di sé, non si conosce la data di nascita, ed il luogo di morte.

Ordine d’arrivo:
1° Enzo Spadoni Km 460 in 24h15'55" alla media di 18,957 kmh; 2° Angelo De Rossi; 3° Mauro Mancinelli; 4° Erminio Cavedini; 5° Alfredo Sartini; 6° Umberto Gasperini; 7° Lieto Di Laudadio; 8° Ernesto Bazzini; 9° Leone Azzali; 10°.Federico Giordano.



Terza Edizione–20 settembre 1904
Un’edizione in tono minore e di cui si sa poco. Dei 40 iscritti, partirono in 26. A Napoli passò un gruppo composto da Jacocetti, Cognara, Fortini, Piacenti, Galadini, Grammel, Mancinelli, Albini, Pinto, Gasperini, Filani e Jacobini. A Roma giunse solo Achille Galadini, mentre Pierino Albini regolò in volata Ferdinando Grammel e Alfredo Jacobini. A distacchi maggiori gli altri.

Sul vincitore.
Achille Galadini, nacque nel 1975 a Roma e qui morì il 7 aprile 1942. Professionista dal 1902 al 1905 con una vittoria su strada. Iniziò su pista, tanto che nel 1902 si guadagnò la selezione per i Campionati del Mondo nella velocità. Qui, fu eliminato in semifinale. L'anno seguente divenne stradista e per un paio di stagioni si distinse come piccolo gladiatore. Un indomito che seppe giungere ad un successo di prestigio nella corsa del XX settembre, nel 1904, quando staccò tutti i migliori nei chilometri finali. Poche mesi dopo però, abbandonò il ciclismo.

Ordine d’arrivo:
1°  Achille Galadini Km 460 in 23h12’04” alla media di 19,827 kmh; 2° Pierino Albini a 5’; 3° Ferdinando Grammel; 4° Alfredo Jacobini; a distacchi maggiori, 5° Gasperini, 6° Mancinelli, 7° Piacenti; 8° Pinto, 9° Cognara; 10° Fortini.



Quarta Edizione – 20 settembre 1905
La quarta, fu un’edizione che entrerà nella storia del ciclismo, ben aldilà di quanto si deve ad ogni corsa. Al record di partecipanti, 72 iscritti si cui 67 i partenti, va subito aggiunto un finale che ha pochissimi paragoni nel romanzo ciclistico: solo tre concorrenti arrivarono al traguardo in tempo massimo. A farla da padrone, fu il maltempo, che accompagnò costantemente con pioggia copiosa e vento elevato, la marcia dei corridori. Le strade, ovviamente dissestate a dismisura e fangose oltre ogni limite, resero la prova, una corsa di cross lunga 460 chilometri. Di certo, un po’ per le condizioni atmosferiche, ed un po’ per la voglia di finire quanto prima quel martirio, fu una gara combattuta e densa di episodi. Sin da subito tra l’altro. Prima di Cassino, si ritirarono, ma erano già staccati dai primi, tre corridori molto attesi: Giovanni Gerbi, il “Diavolo Rosso”, per la rottura di tutte le gomme a sua disposizione, Mauro Mancinelli, “Maurino”, per una caduta che non gli aveva creato conseguenze personali, ma aveva piegato irrimediabilmente il telaio della bicicletta e rotta una forcella; Fernandino Grammel, per una caduta.  A Cassino, passò in testa un drappello composto da: Pavesi, Albini, Virgav, Galetti, Modesti e Conti, seguiti a 26’ da Masironi a 31’ da Piacenti,  Quadri, Cuniolo, Castellaccio e Zoffoli, a 57’ da Ronzio, ad 1h01’ da Faravelli, ad 1h06’ da Cioffi, ad 1h07’ da Quaranta, Alessandrini, Romagnoli, Gaioni e Fioravanti. Più staccati altri undici corridori. In gara dunque erano rimasti meno della metà dei partenti. A Napoli, giunsero insieme Pavesi ed Albini, con un vantaggio di più di 3 ore su De Rossi, Conto, Jacobini e Modesti; a distacchi sensibilmente maggiori Virgav, Gaioni, Quadro, Cuniolo, Masironi, Fioravanti, Zoffoli, Faravelli, Baiocchi e Ronzio. Sedici corridori in tutto, gli unici rimasti in gara. Il ritorno verso Roma, fu un martirio per Albini che, dopo vari incidenti e cedimenti si ritirò. Rimasto solo al comando e con un vantaggio enorme, Pavesi, fece tutto con calma, comprese fermate per “assistere” la bicicletta e il suo corpo martoriato, cercando al contempo di risparmiare energie. Dietro, intanto, emersero i romani Modesti e Jacobini, mentre gli altri, più o meno, stavano andando tutti alla deriva fisica, o al ritiro. A Roma, sul traguardo finale degli Spiriti, fuori Porta San Giovanni, Eberardo Pavesi, arrivò felicemente vittorioso, ed applauditissimo da una folla incredibile, tanto più in considerazione del tempo inclemente. Aveva pedalato per un giorno e 11 minuti. Ad un quarto d’ora, arrivò Giulio Modesti, un diciassettenne di Roma, che diede prova di muscoli d’acciaio,  ma che non seppe più ripetersi a quei livelli. Mezzora dopo Pavesi, giunse Alfredo Jacobini, imprecante per le forature, ma ugualmente festeggiatissimo dai suoi concittadini. Poi, più nulla per ore. Gli altri, o s’erano ritirati, o finirono quando il traguardo era stato smontato, per i limiti del tempo massimo.

Sul vincitore.
[Immagine: 15154045671453PAVESIEberardo1912.jpg]
Eberardo Pavesi, detto “l’Avocatt”, nacque a Colturano il 2 novenbre 1883, deceduto a Milano l’11 novembre 1974. Passista scalatore. Professionista dal 1904 al 1919 con 15 vittorie. Grande figura del ciclismo eroico, nonché personaggio di grande popolarità nell’intera storia ciclistica italiana, per essere riuscito ad unire entrambi i versanti possibili, quello di corridore e di direttore sportivo. Già perché Pavesi, divenne nel dopo carriera l’immagine vincente della Legnano e dei grandi campioni che hanno indossato e fatto brillare la mitica maglia verde-oliva. Incredibile il suo ruolino al Giro d’Italia, che lo vide partente in bicicletta prima e sull’ammiraglia poi, per le prime 49 edizioni, dal 1909 al 1966, ovvero fino a quando la Legnano allestì una squadra professionistica. Alla grande “corsa rosa” s’era legato da subito, per protagonismo e tangibilità:  vinse l'edizione del 1912, disputata a squadre, con Galetti e  Micheletto, difendendo i colori dell'Atala; si ritirò nella prima edizione  del 1909 per una caduta impossibile da assorbire, si piazzò 2° nel 1910, fu 8° nel 1911, ancora 2° nel 1913 e si ritirò infine nel 1914.
Tangibile come atleta anche per vittorie di peso iniziate già all’anno di esordio fra i professionisti, il 1904, quando conquistò il Giro del Lario e la Pavia-Bologna. Nel 1905 dominò la “XX Settembre” (nella foto accanto dopo la trionfale conclusione), infliggendo alla meteora romana, il diciassettenne Giulio Modesti, secondo, un distacco di quasi un quarto d’ora e all’altro romano Jacobini, 29’. Sempre nel 1905 vinse il Circuito di Brescia. Nell’anno successivo, pur piazzandosi tantissimo (costante della sua carriera) vinse solo il Circuito di Brescia, ma nel 1907 trionfò nella Milano-Bergamo-Milano e fu il primo italiano al Tour de France, dove chiuse 6°.
Dopo un 1908 sfortunato, ritornò a ruggire nell’anno della prima “Corsa Rosa”, vincendo il Giro dell’Emilia e finendo 2° nella Roma-Napoli-Roma. Ottimo il suo 1910, quando, alle vittorie in due tappe del Giro d’Italia e il 2° posto finale, unì il successo in una frazione della “Ai mari, ai laghi, ai  monti”, chiusa 2°, medesimo piazzamento che poi colse alla Genova Nizza. Fu poi 3° nel Campionato Italiano. Nel 1911 e 1912, non tagliò mai primo il traguardo, ma vinse la 4° edizione del Giro d’Italia, l’unica nella storia riservata alle Squadre. Molto positivo il 1913, quando conquistò due tappe del Giro d’Italia e chiuse ancora una volta 2°, mentre l’anno successivo, stabilì per due volte il Record Italiano dell’Ora: la prima volta sul velodromo di Pavia, con 40,562 kmh e la seconda, al velodromo del Sempione di Milano, con 40,856 kmh.
Dopo la Prima Guerra Mondiale, tornò in sella ancora per un paio di stagioni, nel 1918 e 1919, cogliendo un bel secondo posto al Giro dei Tre Mari nel 1919. Appesa la bicicletta al chiodo, passò subito sull’ammiraglia, prima alla  Bianchi e, poi, nel '21, alla Legnano, creando qui una leggenda. Ai suoi ordini sono passati, fra gli altri: Brunero, Aimo, Binda, Linari, Belloni, Girardengo, Bartali, Favalli, Coppi, Ronconi, Leoni, Ricci, Albani, Petrucci, Minardi, Baldini, Nencini, Pambianco, Defilippis, Massignan, Battistini e Durante. Lo chiamarono “Avvocat”, per come seppe difendere la categoria per una vecchia questione di premi e per la sua scaltrezza.

Ordine d’arrivo:
1°  Eberardo Pavesi Km 460 in 24h11’ alla media di 19,021 kmh;
2° Giulio Modesti a 14’’; 3° Alfredo Jacobini; a 29’.


Maurizio Ricci detto Morris

...segue
 
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#20
Quinta Edizione – 20 settembre 1906
Anche nel 1906, la sempre più nobile corsa del 20 settembre, visse sulla stessa falsariga dell’edizione precedente. Stavolta, il maltempo sopraggiunse a gara iniziata da qualche ora, ma fu ugualmente in grado di falcidiare la prova e di far giungere al traguardo solo tre corridori in tempo massimo. Poco dopo la partenza dei 31 corridori sui 35 iscritti, cadde Spadoni, che si fece molto male, al punto di essere ricoverato in ospedale e di finire praticamente lì, la sua carriera. Il “Diavolo Rosso” Giovanni Gerbi, attaccante per antonomasia, approfittò degli sbandamenti per l’arrivo di una forte pioggia, per involarsi: con lui il corregionale Giuseppe Ceretti e, poco dopo, si unì ai due, anche il romano Alfredo Jacobini. I tre proseguirono di buona lena, Gerbi si impose sui traguardi di Capua e di Napoli, dove, poco prima, mollò uno svuotato Ceretti. Nella città partenopea, i due battistrada rimasti, anticiparono di 5' il gruppo guidato da Galetti e Rossignoli. L’arrivo della notte, unito al maltempo, con strade orribili, provocò incidenti e forature che iniziarono a mietere vittime fra i concorrenti rimasti in gara: non più di 15. 
Galetti, che a Napoli era appena rientrato dopo un inseguimento dovuto allo sgonfiamento d’un pneumatico, si scatenò. Davanti, Jacobini, esausto, si ritirò e Gerbi, che era rimasto solo al comando, si trovò a Capua raggiunto da Galetti, senza più la forza di tenere il passo del milanese. Sconfortato, anche il Diavolo Rosso si ritirò, come diversi dietro. Senza cedimenti e senza pensare agli ancor tanti chilometri da percorrere, Galetti continuò a macinare pedalate, giungendo vincitore sul traguardo dei Cessati Spiriti a Roma, 22 ore e 40 minuti circa, dopo la partenza. A poco più di cinque minuti, giunsero a disputarsi lo sprint per la piazza d’onore, Amadeo Baiocco e Ferdinando Grammel. Quest’ultimo partì lungo, ma fu rimontato molto bene dal romano Baiocco, autore della sua “gara della vita”. Degli altri dietro loro, nessuno arrivò all’interno del tempo massimo. E la Roma-Napoli-Roma, andava così a suggellare, un altro risultato da sottolineare nella storia del ciclismo.

Sul vincitore.
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Nato a Corsico (Milano) il 26 agosto 1882. Completo. Professionista dal 1901 al 1921 e dal 1930 al 1931 con 40 vittorie. Piccolino, dall’andatura screziata pur considerando le difficoltà suppletive delle biciclette dei suoi tempi; “succhiaruote”, come fu definito quando ancora il gioco dello stare a ruota era meno conosciuto, con una smorfia che pareva fare a pugni coi suoi baffetti, il Galetti di Corsico, in realtà, era “solo” un gran corridore. Ma come poteva esserlo, nella considerazione dell’osservatorio, quando passava inosservato su tutti e lo si vedeva in gara solo quando veniva  premiato come primo arrivato? Sembra un paradosso, ma la sua ubiquità coinvolgeva spesso pure gli avversari, che s’accorgevano di quella “silenziosa zanzara”, quando vedevano il suo fondoschiena sulle linee d’arrivo. 
Nato a Corsico, dunque, praticamente nella città di Milano, il piccolo Carlo, riuscì ad imparare a leggere e scrivere molto presto, senza darlo a vedere, come il resto della sua vita, verrebbe da dire, e questa volontà di giungere ai fatti senza usare le parole, o di arrivare a codeste scrivendole, per dar loro un tono di ufficialità, sembrava il suo massimo distinguo. E cosa poteva fare uno così, nel momento in cui si doveva avvicinare ad un mestiere? Il tipografo, ovvio! Infatti, divenne ben presto un garzone di tipografia, col sogno di farsene una per lui. Un’aspirazione che crebbe sempre più forte con gli anni, perché tardò poco a superare il maestro-padrone nell’arte dello stampare quelle parole, quelle immagini e quelle grafiche che, pur conoscendole e vivendole benissimo, preferiva lasciarle senza il suono del protagonismo, o la pubblicità di chi, prima ancora di essere, pensa di riceverne gli onori. Un pragmatico eccelso, insomma.
Il piccolo Galetti, intanto, andando alla tipografia in bicicletta, superava tutti, ma non lo diceva agli altri di bottega: era già gratificante sapere che nel taschino dei pantaloni aveva messo i soldini delle scommesse vinte sui pedali. Quando lo scoprirono anche i colleghi e mastro-tipografo, fu davvero costretto a correre di professione, ed a vincere, ovvio! E dire che pur avendo iniziato con le corse ufficiali fra i massimi alfieri a soli 19 anni, Carlino da Corsico, all’inizio non credeva molto nei suoi mezzi, impegnato com’era ad accontentarsi dei piazzamenti e di quei quattrini che pure racimolava...pensando alla tipografia. L’avesse fatto, il suo solco nel ciclismo, sarebbe stato ancor più imperiale del già enorme ottenuto. Pedalatore regolarissimo e scaltro, discretamente veloce, aspettava i finali  e non si lanciava in dispendiosi attacchi da lontano: erano troppo alti i prezzi fisici da pagare, ed i rischi degli insuccessi, anche! Ma era un fondista eccezionale, che aveva nelle corse a tappe il vestito su misura e nella capacità di distribuzione della fatica, un asso d’enormi dimensioni. Esplose nel 1906, aggiudicandosi le tre competizioni più lunghe dell'anno: Corsa Nazionale, Milano-Roma e Roma-Napoli-Roma. In quest’ultima gara vinse in solitudine, con un vantaggio abissale su Baiocco e Grammel, dopo aver repentinamente rintuzzato un lungo attacco di Gerbi che, per lo sforzo, andò in crisi e si ritirò  Galetti, si consacrò definitivamente tra i grandi del ciclismo italiano con le due vittorie consecutive nel Giro d'Italia nel 1910 e ’11, seguite dalla vittoria con l'Atala nel ‘12, dopo la piazza d’onore nel Giro inaugurale del 1909. Non amava il Tour che gli faceva perdere troppo bussola e bilancini, ed infatti non lo concluse mai, nelle 3 volte (1907-‘08-’09) in cui vi partecipò. Ma la sua carriera non poteva stare tutta lì…Dopo lo stop imposto dalla Prima Guerra Mondiale, durante la quale fece il postino-ciclista, tornò 35enne nel 1917, vincendo la Milano-Roma a tappe e il Campionato Italiano di Mezzofondo, allora assai prestigioso. Si tagliò i baffetti per scacciare quei fastidi che le polverose strade gli procuravano, giusto per bilanciare l’anzianità e il lavoro ormai suo di tipografo e continuò a correre anche con marchi di gran nome come la Legnano, fino alla veneranda età di 49 anni (nel ‘31 chiuse 69° la Milano Sanremo!). 
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Nel ‘20 fondò a Milano il marchio Galetti, grazie ad  una piccola azienda produttrice di biciclette che continuò la sua attività fino alla morte di Carlino il 31 agosto 1949. Nel ‘52 l’azienda fu acquisita da una famiglia veneta, che ancor oggi produce bici con tal nome. Lo spirito di Carlino, continua a vivere.

Ordine d’arrivo:
1° Carlo Galetti km 460 in 22h39’38” alla media di 20,309 kmh; 2° Amadeo Baiocco a 5’17”; 3° Ferdinando Grammel a 5’22”. Tutti gli altri arrivati fuori tempo massimo.

Maurizio Ricci detto Morris

....segue
 
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