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Nazionale, svolta azzurra: via gli indagati, largo ai giovani
#21
ACCPI, i corridori si oppongono alla nuova linea federale
I corridori professionisti italiani si oppongono alla nuova linea della FCI che vieta la Nazionale a tutti gli atleti potenzialmente “inquisiti”.
Il rispetto dei principi fondamentali, quali quelli di essere messi in condizione di espletare la propria attività lavorativa senza subire discriminazioni e di essere condannati solo a seguito di un giusto processo, non può mai essere messo in discussione (e ciò anche nelle situazioni più delicate e difficili).
É indubbiamente grave che una federazione, con l'avallo del massimo ente sportivo italiano, contravvenga esplicitamente a tale principio.
Ed è grottesco che, mentre per i massimi dirigenti CONI solo una condanna passata definitivamente in giudicato può comportare la loro ineleggibilità (art. 5), per i corridori professionisti italiani sia invece sufficiente un'accusa, anche solo ventilata o ipotizzata, per escluderli dal partecipare alla corsa più importante dell'anno, con evidenti e permanenti danni contrattuali e di immagine.
Pertanto l'Associazione Corridori Ciclisti Professionisti Italiani (ACCPI) si attiverà in tutte le sedi affinché ai corridori professionisti vengano riconosciute le medesime garanzie che lo statuto CONI conferisce giustamente ai propri dirigenti.

comunicato stampa ACCPI
 
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#22
Articolo interessante:

Caso Federciclismo: Di Rocco fa a pezzi l'Italia di Bettini - E il ct? Ormai è un semplice passacarte

CAMPIONATO DEL MONDO SU STRADA 2012 Alessandro Ballan Alessandro Petacchi Damiano Cunego Danilo Di Luca Davide Rebellin Enrico Gasparotto Filippo Pozzato Francesco Gavazzi Franco Pellizotti Giovanni Visconti Mauro Santambrogio Michele Scarponi Paolo Bettini Simone Ponzi Uomini Doping Politica
Versione stampabile
Chi ne esce peggio è senz'altro Paolo Bettini. Anche se forse lui non se ne rende bene conto, l'idea che il commissario tecnico possa essere degradato al ruolo di passacarte federale senza che batta ciglio, toglie qualcosa, anzi forse toglie molto, all'immagine del campione coraggioso e quasi sfacciato nella sua ciclisticamente guerrigliera voglia di sovvertire le regole. L'uomo che coi suoi attacchi garibaldini ci ha fatto sognare per anni, non sa più nemmeno piazzare uno scattino. Uno scattino d'orgoglio, s'intende.
Gli servirebbe per reagire a quanto, incredibilmente, sta succedendo in questi giorni, in queste ore. La Gazzetta dello Sport ha rivelato che Renato Di Rocco, ormai referente unico della Federciclismo (visto che ha depotenziato tutti gli altri organi istituzionali, a partire dal già floscissimo Consiglio Federale), ha proceduto coi suoi intenti "rivoluzionari": e, non contento di aver tenuto fuori dalla Nazionale i corridori che in passato abbiano subìto almeno 6 mesi di squalifica per doping, ha esteso il diktat restrittivo anche a quelli che hanno in corso un coinvolgimento (sia esso sostanziale o blando, non fa ovviamente differenza) in inchieste della magistratura.
E quindi non solo Di Luca, Rebellin, Pellizotti, Scarponi, Petacchi e compagnia cantante, ma anche Ballan, Cunego, Gavazzi, Ponzi, Santambrogio (affaire Lampre, inchiesta di Mantova), Gasparotto (che comunque è infortunato), Pozzato, Visconti (frequentazioni con Ferrari, inchiesta di Padova), fanno ciao ciao con la manina alla maglia azzurra. Alcuni di essi sarebbero stati titolari sicuri a Valkenburg, altri si sarebbero giocati un posto in nazionale. Importa che molti di loro non abbiano alcun addebito presso la giustizia sportiva? No.
Finché la decisione riguardava gli ex positivi, eravamo comunque nel campo di una decisione illegittima (chi sconta la sua pena dovrebbe avere il diritto di tornare un ciclista come tutti gli altri) ma ci si poteva trovare un barlume di senso logico, o al minimo il riferimento a una delibera (presidenziale) della FCI, quella del 7 maggio 2012. Adesso abbiamo scavalcato a pie' pari anche l'incombenza di dare una liceità giuridica quantomeno di facciata a tali misure, e siamo entrati nel campo delle liste di proscrizione.
Ma la cosa più ridicola è che ora da Roma pretendono che noi crediamo alla favola che ciò che muove Di Rocco sia la volontà di fare pulizia, di arrivare "ancora una volta primi". Sì, primi in una spirale antistorica, nel senso che la storia, a conti fatti, ha sempre condannato le cacce alle streghe, dalla Santa Inquisizione al maccarthismo. E di certo non sarà clemente, nel piccolo ambito dello sport, con questa levata di scudi federale.
Di Rocco non è una verginella di campagna. Al pari dei Petrucci e dei Pagnozzi, porta in sé tutte le responsabilità dei casi di doping che hanno ammorbato 30 anni di sport italiano; lui, come gli altri papaveri del CONI, fa parte di un apparato sportivo (e politico-sportivo), inamovibile da decenni, che ha a lungo flirtato con medici dopatori, ne ha sostenuto finanziariamente le ricerche, ha chiuso occhi e orecchie quando faceva comodo, ha tirato scheletri fuori dall'armadio quando era necessario per ragioni extrasportive, e non ha mai pagato mezzo centesimo per nessuno scandalo, non s'è mai assunto davanti ai cittadini le responsabilità del caso.
Si è sempre e solo fatto finta: Carraro o Pescante caduti per un attimo per Moggiopoli o per lo scandalo dell'Acqua Acetosa? Li ritroviamo poco dopo in un altro incarico pieno di lustro e ritorni (d'immagine e non solo). Sono sempre lì. E Renato Di Rocco è uno di loro, è uno dei protagonisti di una stagione che per il bene dello sport italiano sarebbe bene si chiudesse una buona volta. Lui lo sa, noi lo sappiamo, e allora basta manfrine, giù la maschera ragazzi, e per piacere non ci si venga a dire che personaggi del genere hanno la credibilità per affermare una vera (almeno negli ideali, per quanto magari utopistica nei fatti) lotta al doping.
Dov'era Di Rocco quando il professor Donati scriveva il suo dossier, quasi 20 anni fa? Era segretario generale della FCI, ma già all'epoca pieno di potere e possibilità, e già all'epoca cocco del CONI, che poi lo ricollocò alla FIDAL quando temporaneamente la Federciclismo fece a meno dei suoi servigi. Poi è tornato "tra noi", è stato eletto presidente e aveva delle belle idee, tanto che lo appoggiammo, ma negli anni qualcosa è cambiato.
Il presidente che si contrapponeva alle politiche dell'UCI oggi siede allo stesso tavolo dei McQuaid, è vicepresidente dell'Unione Ciclistica Internazionale, e naturalmente è anche istituzionalmente responsabile di quanto viene fuori dagli Stati Uniti in merito alla vicenda Armstrong. Il presidente che si contrapponeva (fintamente) alla svendita dell'immagine dei ciclisti operata dalle politiche del CONI, è seduto oggi allo stesso tavolo dei Petrucci e dei Pagnozzi, visto che è vicepresidente pure del Comitato Nazionale Olimpico.
Insomma, Di Rocco è sempre presente, seduto però dalla parte giusta del tavolo, dalla parte dei signorotti dello sport, ovvero quei dirigenti che lo sport l'hanno spolpato vivo, a livello di risultati, di dignità, di spessore sociale; in Italia, e nel ciclismo internazionale.
Dobbiamo smettere di ritenere credibili personaggi simili, dobbiamo finirla di dar loro retta quando si dicono estranei a tutto quel che passa sotto di loro (abbiamo ancora negli occhi un altro presidente federale "affranto", un mesetto fa a Londra...): non si può avere un'idea di quanto, un presidente come Di Rocco, possa influenzare qualsiasi ambito dell'istituzione da lui retta. Può tutto, oggi più che mai, oggi che ha tolto di mezzo ogni vincolo all'esercizio del suo potere, oggi che si sente intoccabile, al di sopra del diritto e delle umane regole. Ma questo delirio d'onnipotenza è ciò che lo perderà, perché chi è troppo sicuro di sé prima o poi commette l'errore stupido ma decisivo. Al Capone venne incastrato per evasione fiscale.
Notare che non abbiamo parlato dei corridori, anche se qualcosa da dire, almeno su qualcuno di loro, ci sarebbe pure... ma che un ciclista sia scemo o scafatissimo, resta sempre un ciclista, e cioè l'anello più debole dell'intera catena. Lo scriviamo da anni, da anni lottiamo contro i furori giustizialisti che hanno depresso questo meraviglioso sport, da anni invochiamo una soluzione politica (il progetto del Passaporto Biologico, ma gestito in maniera differente rispetto ad oggi, continua a piacerci) che esuli dalla gogna per "le mele marce" ma che restituisca un ciclismo comunque credibile e per quanto possibile sicuro per la salute degli atleti.
Oggi finalmente (è un finalmente amaro, s'intende) qualcuno capisce meglio tutto quanto ruota intorno a queste vicende. La pazienza di tanti appassionati è al limite, dopo anni si nota un'inversione di tendenza rispetto all'acquiescenza della rana nella pentola d'acqua bollente: la storiella è nota, una rana messa in una pentola d'acqua su un fornello, non si rende conto del graduale aumento della temperatura, e prima che prenda finalmente coscienza di quanto le sta avvenendo, è già morta.
Nel ciclismo abbiamo vissuto proprio un'escalation del genere, ci siamo via via abituati a tutto, convinti che le successive misure (sempre più) restrittive ci avrebbero reso uno sport pulito, e invece siamo ancora e sempre qui ad avvitarci su noi stessi e a mandar giù bocconi sempre più amari. Amari per il diritto, innanzitutto, perché punire un atleta prima che egli venga giudicato dagli organi preposti è una forma di arbitrio, ma noi siamo già oltre, siamo alla delazione istituzionalizzata: cos'è altrimenti il caso Pozzato? Un corridore "inchiodato" a un non-reato per mezzo di prove rubate (una telefonata registrata da un suo ex amico) e quindi non utilizzabili contro di lui.
E in ogni caso non c'è tempo di aspettare il giudizio dei tribunali, il nostro presidente etico ha già emesso il suo verdetto, ha già esibito il suo pollice verso e va a portare in giro la sua faccia da severo e integerrimo garante del ciclismo pulito. E se abbiamo scritto "faccia" e non "coscienza", un motivo c'è.
Marco Grassi

cicloweb.com
 
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#23
Caso Federciclismo: La legge è uguale solo per qualcuno - Santilli minimizza le invasioni di campo di Di Rocco
L'antefatto è una delibera urgente con cui il presidente Renato Di Rocco ha cancellato una multa nei confronti di una società umbra. Ce ne siamo occupati (in qualche modo...) in questo articolo, mentre la delibera in questione la riproduciamo qui sotto.

In estrema sintesi, è successo che la società AC Ruota Libera, multata di 160 euro dal Giudice Sportivo Nazionale per non aver presenziato alla riunione tecnica prima di una gara di fuoristrada (BikeStore DH Race del 14 maggio 2011) a cui aveva iscritto un solo atleta (che poi non ha neanche gareggiato), alla fine non ha pagato la multa, perché il presidente Di Rocco ha emesso la citata delibera con cui l'ammenda viene annullata.

Ci siamo chiesti se un'invasione di campo del genere sia legittima, e a leggere l'articolo 18, comma 4 del nuovo statuto federale, non si direbbe: [...] Il Presidente vigila e controlla tutti gli organi e le strutture della Federazione, con esclusione di quelli di giustizia e di controllo [...]. Nello statuto non si trova traccia, tra le competenze del Presidente, della possibilità di annullare le multe...

Non solo: ci sarebbe anche da obiettare sui motivi di urgenza che avrebbero reso necessaria questa delibera. Sempre dallo statuto, stesso articolo e comma: Il Presidente può assumere [...] provvedimenti di estrema urgenza e necessità [...] in particolare quando sia necessario provvedere ad atti dovuti ovvero ad adempimenti indifferibili [...]. Quali sarebbero gli adempimenti indifferibili in gioco?

Per approfondire la questione, chi meglio del procuratore federale Gianluca Santilli, vecchio amico di Cicloweb? L'abbiamo sentito in merito alla vicenda, e dobbiamo riconoscere che è stato molto disponibile nello spiegarci le cose dal suo punto di vista, e per dirci se Di Rocco può fare quello che ha fatto, scavalcando gli organi di giustizia della Federazione.

«Se c'è una situazione di particolare urgenza, e se se ne mette a conoscenza la procura e chi sovrintende ai giudici di gara, considerando che parliamo di un semplice provvedimento di tipo amministrativo, ritengo che sia nelle facoltà del presidente agire in questo modo».

Lo statuto federale però recita, all'articolo 18, che il presidente non può di fatto interferire con gli organi di giustizia.
«Ma qui siamo in presenza di una sanzione che non è stata decisa da un organo di giustizia, bensì direttamente dal giudice di gara».

In realtà la multa, di 160 euro, è stata proprio comminata dal Giudice Sportivo Nazionale, secondo quanto riportato nel comunicato ufficiale n. 11 dell'11 luglio 2011 (cliccare sull'immagine a destra).
«D'accordo, ma il Giudice Sportivo Nazionale non è un organo di giustizia».

Sempre dallo statuto federale, l'articolo 7 elenca chiaramente, tra gli organi di giustizia e disciplina, il Giudice Sportivo Nazionale. Quindi deduciamo che il Giudice Sportivo Nazionale sia un organo di giustizia, e che Di Rocco non possa interferire col suo operato.
«Qui però parliamo di un provvedimento amministrativo, di una sanzione e non di un provvedimento giudiziario. Sono cose diverse, se fossimo in presenza di un provvedimento giudiziario allora Di Rocco sarebbe in errore».

Ci può spiegare in quale parte dello statuto o dei vari regolamenti di giustizia della Federciclismo è indicata questa differenziazione tra provvedimento amministrativo e giudiziario? A quanto ne sappiamo non risulta esserci, e sia che si parli di multa, sia che si parli di squalifica, siamo sempre nel campo di atti di un organo di giustizia nei confronti del quale, in questo caso, c'è un'interferenza illegittima del presidente federale.
«Questa di annullare certe multe è una prassi che ritroviamo anche in parecchi comitati regionali, dovremmo andare a cercare bene ogni situazione per contestualizzare il tutto. Comunque dietro a questa delibera c'è una ratio che spiega tutto: il presidente, annullando la multa, dà mandato alla Struttura Tecnica Federale affinché si predisponga una normativa per regolamentare tali situazioni riguardanti le riunioni tecniche. Lo scopo dell'annullamento di questa multa è di spingere in questa direzione».

Come mai il presidente, per cui la parola è legge (visto che in Consiglio non trova opposizione), sente la necessità di annullare una multa (con delibera d'urgenza, poi!) per cambiare una regola? Non poteva direttamente far cambiare la regola senza andare lui oltre le regole? Tra l'altro il nuovo statuto è di pochi mesi fa, si sarebbe potuta inserire la modifica alla norma sulle riunioni tecniche, se proprio c'era tutta quest'urgenza.
«Ripeto, la ratio che sta dietro alla decisione spiega tutto, è un'applicazione di regolamento che mi sembra condivisibile nella forma e nella sostanza».

È palese che parliamo di una cosa di poco conto, di una multa irrisoria, ma il principio secondo cui il presidente può fare cose non previste dallo statuto è formalmente molto importante. Lei ci insegna che nel diritto la forma è sostanza.
«Sì, ma il diritto deve sempre supportare una sostanza, a mio avviso».

Suona strano, poi, che si sia severi oltre ogni limite con i corridori, e poi i dirigenti facciano un po' come vogliono. E ci riferiamo al diktat che tiene fuori dalla Nazionale gli indagati.
«È una decisione che ritengo giusta e che verrà imitata dalla WADA e dal CIO. Un'idea che dovrebbe riguardare tutte le manifestazioni, non solo quelle ciclistiche, e non è una discriminazione, bensì una semplice richiesta di requisiti».

Ma non è troppo punire dei corridori che sono solo indagati?
«Diciamo rinviati a giudizio: è anche un modo per spingere le procure penali (o gli stessi corridori) a segnalarci i rinvii a giudizio per fatti di doping».

Non ci risulta che tutti i corridori sospesi dalla Nazionale siano stati rinviati a giudizio.
«E secondo voi un corridore che viene rinviato a giudizio viene a dirlo a voi? Penso che se lo tenga per sé».

Quindi hanno mentito quelli che hanno detto di non essere stati rinviati a giudizio? I corridori vanno considerati, sulla fiducia, dei malfattori?
«Non ho detto questo, ma ho dei dubbi che una persona che riceve un rinvio a giudizio vada a sbandierarlo in giro. Ripeto, bisognerebbe appoggiare certe difficili scelte della Federazione, e una linea che ci pone all'avanguardia nel mondo, anziché andare a guardare tutti i possibili cavilli».

Non è però pensabile che, se anche una questione è sostanzialmente di poco conto, si debba lasciar correre chiudendo gli occhi.
«Non chiudo gli occhi, se qualcuno presenterà una denuncia circostanziata, la valuterò con la consueta imparzialità e serenità, e nel caso potrei procedere (come non procedere) al deferimento del presidente. Poi va detto che, in base alla discrezionalità dell'azione della procura, può essere fissato un ordine di priorità, mettendo in cima ai casi da esaminare quelli più gravi, e lasciando in coda queste questioni di poco conto».

Al di là della confusione tra "discrezionalità" e "obbligatorietà" nell'ultima frase riportata, ringraziamo il procuratore federale Gianluca Santilli per la cortesia, anche se sarà il caso che si ripassi alcuni articoli dello statuto federale, visto che li ha evidentemente dimenticati durante le ferie (il non sapere che il Giudice Sportivo Nazionale è un organo di giustizia della FCI non può che essere un'amnesia, da parte del procuratore...).

Quanto alla vicenda dei corridori esclusi dalla nazionale, confermiamo quanto detto allo stesso procuratore: per quanto riguarda l'indagine di Padova, non solo non ci sono ancora rinvii a giudizio, ma non è stata nemmeno dichiarata la chiusura delle indagini.

[Al contempo - e en passant - la Giunta CONI proprio oggi ha stabilito che i dirigenti che siano per qualsiasi motivo rinviati a giudizio non devono essere sospesi. Bella coerenza lo sport italiano, vero? Esplicitiamo meglio: i corridori non rinviati a giudizio non vanno in Nazionale; i dirigenti rinviati a giudizio potrebbero dirigere una federazione...]

Dopo aver sentito Santilli, comunque, per avere un quadro più completo della situazione abbiamo provato a contattare le società che, come la AC Ruota Libera, sono state multate in quell'occasione. Siamo riusciti a sentire Loredana Ruggeri della ASD BikeStore Racing Team (che ha anche organizzato la gara in questione), e Andrea Chiavazza del TuttoCiclo Racing Team. Saltiamo i convenevoli e andiamo al nocciolo.

Signora Ruggeri, voi avete pagato la multa di 160 euro inflittavi dal Giudice Sportivo Nazionale con comunicato n. 11 dell'11 luglio 2011?
«E sì, l'abbiamo dovuta pagare per forza perché altrimenti ci avrebbero bloccato la società alla vigilia dei campionati italiani del Sestrière».

Quando avete pagato?
«A luglio di quest'anno».

Ci può dare qualche ragguaglio sulla vicenda?
«Fummo noi a organizzare la gara, ma fu il giudice di gara in persona, una volta considerato che c'erano poche persone convenute, a decidere di annullare la riunione tecnica. Poi ci siamo ritrovati questa multa. Abbiamo anche fatto ricorso, inviando una mail al settore fuoristrada della FCI. In quella mail, all'attenzione di Mauro Centenaro, segretario del settore, spiegavamo nel dettaglio la faccenda, ma non abbiamo mai ricevuto risposta».

Si stupirebbe di sapere che invece una società che, come voi, venne multata, è riuscita - tramite il Comitato Regionale umbro - ad avere udienza addirittura presso il presidente Di Rocco, il quale ha annullato l'ammenda con una delibera d'urgenza?
«Ah, quindi loro non hanno pagato e noi sì? Che dire, sono doppiamente arrabbiata per la cosa, in qualità di società e di organizzatrice della manifestazione».

Come si può commentare questa vicenda?
«Purtroppo devo solo dire che la FCI è come la politica. Se hai le giuste conoscenze vai avanti, sennò paghi».

Andrea Chiavazza del TuttoCiclo Racing Team è più tranchant in merito alle motivazioni della multa.
«La punizione è stata giusta, siamo noi che siamo degli ignorantoni. La riunione tecnica va fatta, anche per segnalare agli atleti eventuali pericoli lungo il percorso. Al nord tutto viene fatto secondo le regole, noi invece soprassediamo e poi ci lamentiamo delle multe».

Voi quindi avete pagato questa multa.
«Sì, all'inizio gli organizzatori della corsa ci avevano detto di non pagare, ma poi si sa come succede, magari ti bloccano la squadra, o vengono dei controlli in negozio... e allora, per evitare problemi, abbiamo pagato, anche perché si trattava di quattro soldi, in fondo».

Indipendentemente da tutto ciò, le sembra normale che, per intercessione del presidente Di Rocco, una sola delle società multate abbia evitato il pagamento?
«No, questa mi sembra una vergogna. O pagano tutti, o non paga nessuno».

Sante parole, quelle del signor Chiavazza. O pagano tutti o non paga nessuno: la legge dovrebbe essere uguale per tutti, ma si sa che c'è sempre qualcuno per cui la legge è più uguale. Vorrà dire che ribattezzeremo la FCI come Fattoria Ciclistica Italiana; Orwell non se la prenderà; e poi Napoleon potrebbe essere un bel soprannome per il nostro amato presidente Di Rocco...

Marco Grassi
Cicloweb.it
 
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#24
Di Rocco riammette in azzurro gli ex squalificati: «Togliamo la retroattività, ripartiamo da ora con la norma»
Un Renato Di Rocco rasserenato dalla terza vittoria elettorale per la presidenza FCI lancia un annuncio subito dopo l'assemblea di Levico Terme: «Manteniamo la norma per cui chi viene squalificato per doping per più di 6 mesi non può vestire la maglia azzurra; ma cancelliamo il pregresso e ripartiamo ora, da 0». Un annuncio clamoroso, che riapre le porte della Nazionale a diversi corridori, e che cancella la retroattività che aveva caratterizzato l'introduzione di tale norma. Gente come Di Luca, Petacchi, Basso, Scarponi, Pellizotti (per fare qualche nome) potrà quindi tornare a lottare per un posto in azzurro.

cicloweb.it
 
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#25
Beh almeno su questo torna sui propri passi, meglio di niente
 
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#26
Praticamente da ora in poi chi viene squalificato per più di 6 mesi dovrà vedere i mondiali sul divano, mentre gli ex squalificati potranno andare in nazionale. Quindi si parte gia con una non equità di giudizio. Perchè chi viene squalificato nel 2013 non può più vestire azzurro, mentre chi viene squalificato nel 2011 può ?
 
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#27
Che incoerenza,peggio ancora...
 
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#28
(13-01-2013, 12:38 PM)ManuelDevolder Ha scritto: Praticamente da ora in poi chi viene squalificato per più di 6 mesi dovrà vedere i mondiali sul divano, mentre gli ex squalificati potranno andare in nazionale. Quindi si parte gia con una non equità di giudizio. Perchè chi viene squalificato nel 2013 non può più vestire azzurro, mentre chi viene squalificato nel 2011 può ?

Perchè tanto, a meno che non venga squalificato in questi primi mesi dell'anno, non potrebbe comunque partecipare al Mondiale se avesse una squalifica di sei mesi. E' l'unica spiegazione che mi viene in mente.
 
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#29
Perchè è una norma nuova, le leggi cambiano...metti che prima l'omocidio fosse legale e ora mettono una legge contro l'omicidio, in galera vanno quelli che uccidono da ora in poi, non quelli che hanno ucciso prima della legge
 
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#30
Esattamente. Si viene processati con la legge in vigore al momento del crimine, io trovavo ingiusto il fatto che fosse retroattivo e sono uno che andrebbe giu pesante con le sanzioni antidoping.
 
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#31
Appunto era la retroattività la vera ingiustizia. Poi io comunque con la politica di Di Rocco resto contrario e ammetterei gli ex dopati sia per un fatto sportivo sia perchè uno che ha pagato non vedo perchè deve essere perseguitato a vita, ma qui si entra in un altro discorso...
 
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#32
Beh, diciamo che più che una legge retroattiva voleva essere una sorta di prerequisito: un po' come si vorrebbe fare con il togliere l'accesso al Parlamento a chi è stato condannato.
E insomma, l'intento può esser considerato buono e soprattutto si tratta di un azione dal forte impatto: tizio o caio non hanno l'onore morale di rappresentare il paese in Italia e all'estero, prima conta essere grandi uomini e poi grandi corridori ecc ecc. Però è una decisione davvero pesante, che per me potrebbe essere presa solamente dagli alti vertici dell'Uci (e non da una federazione isolata): Di Rocco doveva partire fin da subito togliendo la retroattività, avanzando così questa proposta in maniera un po più soft. Se poi vedeva che anche altre federazioni seguivano la sua strada, che anche l'Uci spendeva buone parole per la sua idea... beh, allora poteva infilare pure la proposta del prerequisito. Ma muoversi in solitaria e in questo modo è stato solo un errore...

(Probabilmente, per raccogliere qualche voto in più per la sua rielezione, ha dovuto scendere a patti su questa norma Mmm )
 
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