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UCI e contraddizioni: Zio Pat si riscopre femminista... ma solo a parole!
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UCI e contraddizioni: Zio Pat si riscopre femminista... - Ma solo a parole: McQuaid parla di donne
Qualche tempo fa il ciclismo femminile è stato scosso dalla protesta di Chloe Hosking, giovane ciclista australiana che ha molto elegantemente mandato a quel paese il presidente UCI Pat McQuaid, per il fatto che costui, in occasione dei Mondiali, ebbe la bella faccia di contestare alle atlete la richiesta di un salario minimo garantito per chi corre da professionista, «perché quello femminile è un movimento ancora troppo di nicchia».

Espertissimo e mondialista quando si tratta di drenare risorse e vendere il prodotto ciclismo in paesi esotici (con lauti guadagni), il chairman irlandese diventa all'improvviso un buzzurro di provincia quando gli si chiede conto dello stato dei diritti dei corridori, siano essi uomini o donne. È proprio un linguaggio che non comprende, e non si fa scrupolo di esporre la sua gretta visione come se fosse normalissimo pensarla come lui; come se fosse normalissimo - nel nostro caso - che atlete che girano il mondo per correre in bicicletta non abbiano alcun ritorno economico da un'attività che comporta loro sacrifici in termini di tempo ed energie.

Ora zio Pat si è riscoperto di colpo femminista: l'occasione gliel'ha data la quinta Conferenza Mondiale sulle donne nello sport (sottotitolo: Together Stronger, più forti insieme per il futuro dello sport), tenutasi a Los Angeles dal 16 al 18 febbraio, incontro a cui è stato inopinatamente invitato a dire la sua. E siccome un fine settimana in California - a spese del CIO - non lo si può proprio rifiutare, McQuaid si è sentito in obbligo di giustificare la propria presenza alla Conferenza con grandi e belle parole.

Il suo intervento (in inglese) lo si può leggere qui.

Un sunto del testo: il nostro amato Patrick dice all'inizio che le donne stanno via via abbattendo barriere che in passato le tenevano in qualche modo segregate rispetto ai colleghi uomini, e ciò lo si verifica anche in sport di resistenza che un tempo erano riservati ai maschietti, come il ciclismo; e che, sebbene molto resti da fare, la sua UCI molto ha fatto per creare le precondizioni per un'effettiva situazione di pari opportunità.

McQ fa un excursus sulle tappe che il ciclismo femminile ha percorso, a partire dall'introduzione nelle Olimpiadi della prova su strada per le donne (a Los Angeles '84), passando per l'inserimento della pista femminile (Seul '88), e poi della MTB (Atlanta '96) e della BMX (Pechino '08), per arrivare al culmine che verrà toccato a Londra 2012 con la completa parificazione del numero di medaglie per uomini e donne (fatto che ha reso necessario rivoluzionare - in molto peggio, secondo molti - il programma della pista).

Il fatto che il ciclismo femminile sia ormai radicato nel programma olimpico fa sì che le atlete coinvolte nei Giochi ricavino una notevole visibilità nei rispettivi paesi, e ciò facilita il reperimento di fondi per proseguire l'attività, oltre che rendere queste atlete più appetibili a livello pubblicitario (e oltre a muovere i sussidi nazionali per gli sport olimpici).

La diretta conseguenza di questa politica è, secondo McQuaid, un notevole aumento delle atlete e delle squadre d'élite nell'ultimo decennio (si parla di un +153% per le cicliste della massima categoria, e di un +68% per le squadre). Innamorato com'è poi della Coppa del Mondo su strada (tanto innamorato da aver cancellato quella maschile), il presidente sottolinea quanto quella femminile goda della copertura televisiva in Europa, Asia e Australia (probabilmente la gente comune non riesce a sintonizzarsi sui canali - anche via web - a cui ha accesso lui), e si bea del fatto che il Mondiale donne, data la concomitanza con quello degli uomini, attiri sulle ragazze le attenzioni di tutti i media.

Altro miglioramento che l'amico d'Irlanda vanta è l'imposizione, nel 2009, di precisi criteri di garanzie bancarie per le squadre, fatto che avrebbe migliorato lo status delle atlete (questa norma aspettiamo che venga applicata anche nella realtà oltre che nel mondo fatato di Aigle), quindi il successo più grosso sarebbe, sempre secondo McQuaid, lo sviluppo del World Cycling Centre, struttura che ha permesso, negli ultimi anni, a molti atleti provenienti da paesi ciclisticamente marginali di allenarsi con profitto e migliorarsi fino a raggiungere risultati di livello mondiale (o olimpico). Si fa l'esempio (tra le 180 ragazze passate dal Centro) di Vicky Pendleton, Shuang Guo e Lisandra Guerra, che in pista hanno fatto molto bene, ma Pat trascura di dire che ciò che ha spinto alla creazione di un tale polo ciclistico è una logica di mondializzazione del ciclismo, e non certo di "femminilizzazione". Insomma, all'UCI, quando (copiando peraltro quanto avviene in tutte le federazioni nazionali) 10 anni fa si è creato il Centro, non si pensava certo alle donne.

Ma tant'è, molti pensano che una mezza verità possa equivalere a una mezza bugia, e non a una bugia totale.

I prossimi passi del WCC saranno, secondo i programmi di McQuaid, nella direzione di aumentare la presenza femminile nel ciclismo, anche in ruoli fin qui ricoperti sempre da uomini (direttori sportivi, allenatori, commissari di gara, operatori di radiocorsa...), e a tal proposito verrà lanciato quest'anno un programma di training ad hoc, allo scopo di formare figure anche in ambito organizzativo.

Infine, arrivano i dati - quelli sì, va riconosciuto, molto positivi - della presenza femminile nello staff UCI, una presenza che, secondo quanto conferma McQuaid, si avvicina al 50% del totale, fattore che si può facilmente riscontrare nelle occasioni ufficiali in cui è coinvolta l'Unione Ciclistica Internazionale.

Dato di cui diamo atto a Pat, ma che non può assumere una valenza totalizzante nel momento in cui le politiche di Aigle sono comunque chiaramente e largamente insufficienti per la promozione del ciclismo femminile. Una considerazione figlia non solo e non tanto della dichiarazione sui salari minimi riportata in apertura, quanto dell'osservazione della realtà, realtà che ci dice che il calendario d'élite delle donne è misero, con ampi vuoti tra una corsa e l'altra (oggi si torna a gareggiare, in Nuova Zelanda, a 20 giorni di distanza dal Qatar), con gare che soffrono malgrado un antico splendore (è sicuramente il caso del Tour - anzi della Route - de France, ma che dire di un Giro d'Italia che 10 anni fa contava due settimane di gara e oggi solo 10 tappe?), con l'abdicazione al tentativo di rendere effettiva la sovrapposizione di grandi classiche maschili e femminili, cosa che avviene solo in occasione di Giro delle Fiandre e Freccia Vallone (mentre noi italiani ancora rimpiangiamo la Primavera Rosa, sorellina della Milano-Sanremo).

Ma anche a livello di visibilità, l'unico momento reale in cui il grande pubblico si accorge delle ragazze è il Mondiale. La Coppa del Mondo è di fatto invisibile, quasi nessuna gara gode di una diretta televisiva o quantomeno della possibilità di essere trasmessa (pur in sintesi) in concomitanza con le classiche degli uomini (anche qui, si vede qualcosa giusto nelle due citate gare belghe). L'UCI maneggia annualmente montagne di soldi, ma non è stata in grado, nonostante le tante donne al suo interno (ma in ruoli decisionali o marginali?), di capire che una parte di quegli euro dovrebbero essere destinati a rafforzare la presenza sui media del ciclismo femminile.

Non si crea un evento, non si dà la giusta visibilità alle gare delle donne, tutto è praticamente fermo, malgrado i proclami di McQuaid. L'unica buona novità di questi ultimi anni è l'aumento delle squadre che fanno doppia attività d'alto livello, sia maschile che femminile. Ma il discorso delle corse è decisivo: se non si corre con continuità, a che serve avere una squadra?

In fondo, come accennavamo più su, 10-15 anni fa il ciclismo femminile godeva di un seguito che oggi si sogna (per credere, basta cercare qualche video su YouTube degli arrivi di tappa dei Tour femminili anni '90). Come mai abbiamo dovuto assistere a una simile regressione? Serve realmente avere il 50% di staff femminile all'UCI se poi il movimento che da quel 50% dovrebbe essere rappresentato viene tuttora tenuto completamente ai margini?

Attendendo quindi degli interventi concreti e non solo oratori da parte del regnante di Aigle, non possiamo che concludere con la stessa citazione (da Einstein) proposta da Pat alla fine del suo intervento losangelino: «La vita è come andare in bicicletta: per raggiungere il tuo equilibrio ti devi muovere». Appunto: muoviamoci, Lord.

Marco Grassi - cicloweb.it
 
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#2
Per la cronaca, il commento alla contrarietà espressa dal presidente dell'UCI al garantimento del minimo salariale per le atlete da parte di Chloe Hosking è stato "what can you say, Pat McQuaid is a dick".
 
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