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Saronni: "Il ciclismo italiano è finito"
#1
Beppe Saronni: «Il ciclismo italiano? Purtroppo è finito»
«Non ci sono più risorse interne. E senza soldi, si chiude».

La sua carriera agonistica resterà eterna per quella che venne chiamata “la fucilata di Goodwood”, lo scatto fulmineo nelle campagne del Sussex che gli valse la maglia iridata professionisti su strada in linea del 1982. Sceso di bicicletta dopo la una carriera di notevole spessore, Beppe Saronni da Parabiago è diventato team manager dal 1991, da sempre legato alla famiglia Galbusera che è titolare dell’azienda Lampre. Nella settimana tra Fiandre e Roubaix, pur avendo un corridore come Pippo Pozzato che promette di essere un protagonista assoluto sul pavé di domenica prossima, Saronni s’è lasciato andare a un... urlo di dolore, nel tentativo di salvare il ciclismo italiano.

Signor Saronni, il ciclismo resta uno spettacolo ineguagliabile, ma noi italiani facciamo sempre più fatica a emergere sia come singoli che (soprattutto) come team a livello d’eccellenza. Concorda?

«Sì, purtroppo. E’ finita!».

Cosa significa “è finita?”
«E’ finita per il ciclismo italiano».

Abbiamo capito bene? Il ciclismo italiano non ha futuro?
«Ha capito bene, di questo passo non ci sarà più niente da fare».

Perché le sembra tutto così irrimediabile?
«Se l’Europa sta male, noi stiamo peggio. Non ci sono più risorse interne. E senza soldi, si chiude».

Nel World Tour restano due squadre italiane, la sua Lampre e la Cannondale...
«Per quel che riguarda noi, la famiglia Galbusera è quasi eroica nel profondere una passione straordinaria, ma ormai il 60% del capitale è straniero, ossia coreano, grazie a Merida, Champion System e Samsung. E anche la Cannondale mi risulta che abbia sempre più una connotazione americana».

Lei dice che il ciclismo italiano muore, mentre a livello federale si stanno facendo molti sforzi per ristrutturare l’intero movimento. Qual è la verità?
«Dalle mie parti si dice che i soldi tirano soldi e le balle tirano balle. Senza risorse si parla e basta».

E allora che cosa si può fare?
«Ma ci rendiamo conto di come funziona l’Italia? C’è qualcuno che vuole capire quali tremende difficoltà debba affrontare un’impresa nel nostro Paese?».

Ma all’estero come fanno?
«Il ciclismo è tenuto in piedi da pool di aziende nazionali, oppure da soldi versati direttamente dallo Stato o ancora da sovvenzioni governative sulla base di 20-25 milioni di euro a stagione. Funziona così in Russia, in Kazakhstan o in Australia».

Quindi per noi nessun futuro, visto che in Italia invece di darteli i soldi te li prelevano con tasse eccessive...
«E in più nessuno ti dice grazie se per caso cerchi di tenere sù il giocatotolo facendo gli straordinari. Anzi, visto che hai una squadra, ti uccidono o fanno di tutto per farti chiudere! La fine è dietro l’angolo, lo ripeto senza paura di smentite».

Perché questo sfogo adesso?
«Adesso? Sono cinque anni che vado urlando queste cose, ma nessuno ha mai accettato di divulgare i miei contenuti. Evidentemente si cerca di far finta di niente per non creare allarmismi».

Per fortuna abbiamo qualche corridore giovane che promette bene: Moser, il suo Ulissi...
«E’ il famoso miracolo italiano, il frutto di una passione infinita della nostra gente, la stessa che per amore continua ad aspettarci sulle strade per applaudirci. Ma anche le categorie minori sono in agonia, una società su due chiude, e sarà sempre più difficile veder sbocciare dei futuri campioncini».

Perché lei è ancora nell’ambiente?
«Proprio per quella passione che le accennavo poc’anzi. E poi perché la Lampre è un gruppo di persone che si vogliono bene e che lavorano in sintonia. Chiudere tutto dall’oggi al domani significherebbe lasciare per strada una settantina di persone e gettare nel panico altrettante famiglie. E allora si fanno sacrifici e si vanno a
chiedere soldi in quei Paesi dove ancora c’è disponibilità. Ma se non cambiano le strutture, in questo Paese, il ciclismo morirà presto. Perché il nostro è il grande specchio dell’Italia intera!».

da «Tuttosport» del 3 aprile 2013 a firma Paolo Viberti

tuttobiciweb.it
 
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#2
La politica italiana ci ha messo in croce, e purtroppo non parlo solo ciclisticamente, questi porci si sono mangiati tutto
Elezioni, non cambia nulla mangiano sempre loro, stiamo andando a rotoli

In Belgio stanziano 3 milioni non so per cosa, se ne parlava al Fiandre : qui la casta si riempie le tasche
 
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#3
Vergogna...sono senza parole...
 
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#4
Saronni comunque invece che star qui a far sceneggiate dovrebbe pensare per sé, se non si investe sul ciclismo è anche perché le nostre squadre ed i nostri atleti non vincono quasi mai le corse che contano e quindi nessuno ha interesse a sponsorizzare gente che ha pochissima visibilità.

Poi effettivamente doping e World Tour hanno fatto danni più gravi.
 
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#5
Magari se lo Stato non investe nel ciclismo (non ho capito poi per quale motivo dovrebbe farlo) è perché Saronni e i suoi amici l'hanno reso uno sport di criminali Occhiolino

Comunque se dobbiamo imitare Russia e Kazakhistan, che sono all'avanguardia solo nella lotta all'antidoping, preferisco che scompaiano le squadre italiane
 
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#6
Qualcuno che ha visto Radiocorsa ieri mi può dire se Saronni ha detto ancora qualcosa riguardo questo argomento?
 
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#7
Faranno fare al ciclismo italiano la stessa fine che han fatto fare all'ippica Arrabbiato
 
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#8
Speriamo di no. Ancora mi sembra siamo lontani da quello, anche perchè vedo che l'interesse della gente c'è ancora, nonostante tutto.
Stamattina ho sentito un'intervista (molto breve a dir la verità) a Di Rocco proprio su questo argomento. Inutile dire che ha addossato tutte le colpe alla crisi economica e non gli è passato per la mente che in questi anni che lui è al potere, qualche errore a livello federale è stato fatto...
 
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#9
Sì ma l'interesse della gente verso il ciclismo è massiccio. I soldi invece scarseggiano
 
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