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Spruzzi di Giro d'Italia...
#21
1960 - 15a tappa del 43° Giro d'Italia

Lecco - Verona

[Immagine: 17a.jpg]
Ho scelto questo arrivo a Verona perché qualche giorno fa, in un altro thread, ho ricordato l’episodio tragico della tappa finale del Tour de France 1958, con protagonista André “Dedè” Darrigade. Lì mi è venuto in mente che con la maglia iridata addosso, Dedè, vinse la tappa che si concludeva nella Città Scaligera nel 1960. Tra l’altro una tappa che doveva essere noiosa perché proposta il giorno dopo la crono di Lecco, ma non fu così. I centouno rimasti in gara, infatti, si diedero continua battaglia lungo i 150 chilometri della frazione, alzando la media, nonostante il vento a tratti contrario, e poco importa se, alla fine, lo spirito combattivo dei corridori produsse scarsi risultati. Un inizio scoppiettante con continue botte e risposte, poi ad Ospitaletto poco dopo un umoristico cartello che ricordava in modo pittoresco la disavventura della pipì patita da Gaul nel '56, Carlesi si inserì in una pattuglia di fuggitivi che scatenò la reazione di Anquetil e Nencini. Anche per il vento il plotone si ruppe in parecchi gruppetti. Quindici chilometri ventre a terra, poi Carlesi si arrese e tornò la calma. Ma, a Brescia, proprio Anquetil e Nencini schizzarono via. Ai due leaders si unirono Brugnami, Liviero, Elliott, Accordi, Stablinski, Fantini, Kazianka e Fontana e i dieci si scatenarono in una offensiva apparentemente abbastanza decisa. Ma alla lunga venne a meno l’accordo e il tentativo s concluse. Ancora scaramucce poi a filar via con piglio: Darrigade, Sorgeloos, Liviero, Costalunga, Fontana e Massignan. La presenza di Massignan, non fu vista come un pericolo da Anquetil che, invece si scatenò sui pedali per riprendere Hoevenaers che s'era posto all’inseguimento dei fuggitivi. Ed il drappello al comando, senza mai acquisire un vantaggio importante, arrivò a Verona. Qui Darrigade si impose senza sforzo, conquistando così la sua prima vittoria al Giro d'Italia. Il gruppo giunse diviso in due, un troncone con  migliori in classifica a 25" ed un troncone con Baldini a 45”. Nessun cambiamento in classifica generale, salvo il piccolo passo in avanti di Massignan. Jacques Anquetil, saldamente in Maglia Rosa.
[Immagine: Anefo_911-3766_Tour_de_France.jpg]

Ordine d’arrivo:

1° André Darrigade (Fra) km 150 in 3h25'16" alla media di 43,845 kmh
2° Edgard Sorgeloos (Bel)
3° Dino Liviero (Ita)
4° Bruno Costalunga (Ita)
5° Marino Fontana (Ita)
6° Imerio Massignan (Ita)
7° Antonio Uliana (Ita) a 22"
8° René Van Meenen (Bel)
9° Renzo Accordi (Ita)
10° Rino Benedetti (Ita) a 25"

Classifica Generale: 1° Anquetil, 65 ore 49' e 5"; 2° Nencini, a 3'40"; 3° Hoevenaers, a 4' e 19"; 4° Ronchini, a 6'49"; 5° Gaul, a 7'32"; 6° Massignan, a 7' e 33"; 7° Delberghc, a 8'26"; 8° Carlesi, a 8'28"; 9° Pambianco, a 8'41"; 10° Adriaensscns, a 11'51".

Il ritratto del vincitore di tappa:

Andre Darrigade
[Immagine: 1268978169Darrigade61.jpg]
Un corridore sempre sorridente che ha saputo ritagliarsi una grande notorietà nonostante abbia vissuto in contemporanea a delle autentiche icone del ciclismo francese, come Anquetil, Bobet, Riviere e Poulidor. Soprannominato "Dedè" o anche "il basco saltellante" (nomignolo che fu anche del grande tennista Jean Borotra), nonostante fosse delle Lande, è stato un corridore tanto forte quanto spettacolare, tanto corretto, quanto determinato. Anche la classificazione di "passista veloce" toglie qualcosa a quella completezza non certo in grado di fargli vincere una corsa a tappe di nota, ma era sufficiente per giungere a delle vittorie precluse a tanti suoi avversari-colleghi velocisti. E dire che la sua carriera era partita  come sprinter su pista e questo suo antico richiamo, gli fu utilissimo nel divenire quasi imbattibile nelle corse con arrivo sui velodromi. Furono infatti i risultati sui "tondini" i migliori, o i più evidenti nella carriera dilettantistica di "Dedè". Memorabile il suo successo, a Parigi, nella Medaille '49, ai danni di Antonio Maspes, poi divenuto il sire indiscusso della velocità fra i professionisti per quasi tre lustri. Dedizione, serietà ed espansività furono i tratti più evidenti dell'uomo-atleta Darrigade e che abbia raccolto la simpatia di un popolo che spesso si divideva nel tifo fra i propri "galletti" rappresenta un'altra delle peculiarità della sua storia. 
Le cifre della carriera di Andrè, sono impressionanti per continuità e si traducono solo richiamando i segni della grandezza. Qualche dato. Quattordici Tour de France disputati (dal '53 al '66, con un solo ritiro nel '63) nei quali ha conquistato ben 22 tappe, aggiudicandosi per un paio di volte la maglia verde della classifica a punti ('59 e '61), indossando in 19 occasioni quella gialla. Numeri che gli valsero la cementazione della popolarità. Altro aspetto unico nella storia del ciclismo: per ben cinque edizioni ('56, '57, '58, '59, '61) ha vinto la prima tappa del Tour de France. Sempre alla voce tappe, ne ha vinte 25 in manifestazioni contenute in una settimana di gara. Ha poi partecipato a due Giri d'Italia nel '59 e '60, vincendo una tappa nella seconda occasione. Ha vinto il campionato francese nel 1955 e, soprattutto il campionato mondiale nel 1959, a Zandvoort, dove superò l'italiano Michele Gismondi in uno sprint emozionantissimo, avvenuto dopo una fuga avviata a duecento chilometri dalla conclusione. Sempre ai mondiali giunse secondo dietro a Van Looy nel 1960, terzo in quelli del '57 e '58 e quarto a quelli del '63. Dunque con la vittoria nel '59 per quattro anni di seguito salì sul podio iridato. Una sola grande classica è finita nel suo palmares, ovvero il giro di Lombardia del 1956, dove al Vigorelli superò un maestoso e vecchio Coppi, che non riuscì a trattenere un pianto copioso (Dedè ci rimase malissimo). Altri piazzamenti di prestigio nelle  classiche: quarto nella Roubaix '57, terzo nella Sanremo '58 e secondo nella Parigi.Bruxelles '60. Altri successi di nota nel suo curriculum sono: la Bordeaux-Saintes '51, il G.P. di Mans '52, il Tour di Picardia '54, il Trofeo Baracchi '56 in coppia con lo svizzero Rolf Graf, la Roue d'Or del '57 e '58, in coppia con Jacques Anquetil, il G.P. d'Orchies '57, la Parigi Valenciennes '58, il Criterium National '59, il G.P.d'Aix '62, la Genova-Nizza '64 e la Ronda di Monaco nel 1966. 
Suo fratello Roger, di 6 anni più giovane, fu campione di Francia dilettanti nel '55, ovvero nella stagione in cui Dedé fu campione fra i professionisti. Anche il minore dei Darrigade passò a sua volta professionista nel '56. Il suo miglior successo fu il Tour de Loret del '60.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#22
Uguale a Dennis Hopper in quella foto

[Immagine: cfdaf30b1c27c663cb83e7c192af14d7.jpg]

Forse dovrei spostarmi nella sezione sosia dei ciclisti
 
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#23
Il Monte Zoncolan non è stata una scoperta della organizzazione del Giro d'Italia maschile, bensì della ben più povera, ma gloriosa, Unione Ciclistica Vittorio Veneto, che firmava il Giro d'Italia Femminile e che propose la vetta carnica nel 1997. Il sottoscritto, era allora il team manager della Gelati Sanson Mimosa Forlì, la squadra di Fabiana Luperini e faceva parte dello staff organizzativo della UC Vittorio Veneto con mansioni primarie prima della manifestazione, di addetto stampa e pubbliche relazioni durante le giornate di gara. Le due società erano consorelle per sponsor e potevano contare su consulenti tecnici ed organizzativi molti affiatati. Avevamo gli uffici presso lo Stadio di Vittorio Veneto e da lì iniziammo con l'organizzazione del Giro Femminile a portare una serie di innovazioni verso il movimento ciclistico e la principale corsa italiana, che mi rendono tutt'oggi orgoglioso. Novità che resero, e lo sono per diversi aspetti anche oggi, l'edizione del Girodonne '97, come generatrice di tante "prime" e di significative pagine per l'intero mondo ciclistico. L'aver portato ai "vertici" del pedale lo Zoncolan è solo una di queste.
Fatto sta che dal versante di Sutrio (il medesimo itinerario della tappa odierna della Corsa Rosa), senza gli ultimi terribili tre chilometri d’ascesa, improponibili allora per le cicliste, venerdì 11 luglio 1997, la vetta carnica iniziò a far parlare di sé. Il pedale maschile vide poi l’ingresso dello Zoncolan come sede d’arrivo al Giro d’Italia del 2003, sempre sul versante da Sutrio. 
Eccovi i resoconti delle prime avventure ciclistiche sullo Zoncolan. 

Nota. Quella femminile, per il ruolo che il sottoscritto ricopriva per edizione e giornata, ed anche per non incensarsi ulteriormente, la lascio alle parole della brava Stefania Grimoldi de “La Gazzetta dello Sport”.  


1997 – 10a tappa dell’8° Giro d’Italia Femminile

Forgaria bel Friuli  – Monte Zoncolan di 79 km

Monte Zoncolan (Udine) - Neppure il tempo di un saluto, un breve "mandi" come si usa da queste parti. A 2,5 km dal traguardo, Fabiana Luperini ha lasciato sulle ruote l'iridata Barbara Heeb ed e' andata a conquistarsi il terzo successo, il secondo consecutivo, di questo Giro. "Avevo detto che avrei rinunciato a vincere - ha poi spiegato la maglia rosa - "solo se" il successo fosse andato a una mia compagna. Eravamo d'accordo che avrebbe tentato la fuga una tra Luisiana Pegoraro, Roberta Bonanomi, Valeria o Alessandra Cappellotto. Con una di loro davanti, io non mi sarei mossa". Un disegno tattico gia' sperimentato con successo lo scorso anno nella tappa del Selvino, quando Alessandra Cappellotto, partita da lontano, fu poi raggiunta in salita dalla Luperini che le lascio' il passo sul traguardo. Ieri, 12 km dopo il via che e' stato dato a Trasaghis davanti al monumento costruito dove il 15 giugno di 70 anni fa mori' Ottavio Bottecchia, dal gruppo e' uscita la vicentina Luisiana Pegoraro con Cinzia Faccin, rientrata nei ranghi dopo pochi chilometri. La 25enne della Sanson Vittorio Veneto ha invece proseguito sola, arrivando ad accumulare un vantaggio massimo di 2'10" sul gruppo a 20 km dall'arrivo. Ai piedi del monte Zoncolan, pero', dov'era posto l'unico arrivo in quota di questo Giro, il suo vantaggio era gia' sceso a 1'45" e a 7 km dall'arrivo l'arredatrice di Cartigliano e' stata ripresa e superata dall'iridata Heeb e dalla lituana Edita Pucinskaite, alla cui ruota c'era la sua capitana Fabiana Luperini. "Quando la Heeb e' andata a prendere la mia compagna - ha poi spiegato la Luperini - ho deciso che avrei vinto io, proprio per rispetto di Luisiana e di tutta la squadra". Stupita e un po' delusa da questo atteggiamento la campionessa del mondo, nel frattempo rimasta sola alla ruota della ventitreenne di Cascine di Buti: "Pensavo che Fabiana mi avrebbe lasciato vincere la tappa - ha detto a papa' Luperini al traguardo -, di solito chi ha gia' vinto il Giro si accontenta...". Comprensibile l'amarezza della Heeb che, ieri, ha anche accarezzato il sogno di salire sul podio della generale, dove ora la precedono la 38enne canadese Linda Jackson (ieri 3a al traguardo), che ha scalzato la bergamasca Imelda Chiappa, e la  lituana Edita Pucinskaite. Sincero pero' anche il rammarico della Luperini, pur nella gioia della vittoria. "Quest'anno - si e' giustificata la campionessa d'Italia - ho vinto molto poco rispetto allo scorso anno, quindi non posso rinunciare anche ai traguardi che si addicono a me". Tra l'altro, con 25 chili di vernice bianca, sugli ultimi tornanti dello Zoncolan i suoi fans di Cascine di Buti le hanno chiesto a chiare lettere di regalare loro un altro volo, fornendole addirittura le indicazioni per l'attacco finale. "Vai da qui, straordinaria Fabiana - hanno scritto per terra - regalaci 2 km da sogno". E lei, con la magnanimita' che contraddistingue i veri campioni, li ha accontentati, abbondando di 500 metri e scavando il solco piu' grande che mai, una vincitrice di Giro, abbia saputo aprire dietro di se': 4'46". 
[Immagine: pd4VHX6KOoT87zleQgSjc9cQC-JJ64lZcvOAqHcb...ma_nQkQTU5]
Ordine d’arrivo: 
1. Fabiana LUPERINI (Sanson Mimosa) km 79 in 2.26'58". media di 32,252 kmh; 
2. Heeb (Svi) a 34"; 3. Jackson (Can) a 1'33"; 4. E. Pucinskaite (Lit) a 2'14"; 5. L. Pegoraro a 2'17"; 6. Chevanne Brunel (Fra) a 2'20"; 7. Ziliute (Lit) a 3'56"; 8. Cappellotto a 3'56"; 9. Chiappa s.t.; 10. Sundstedt (Fin) s.t. 
Classifica: 1. Fabiana LUPERINI (Sanson Mimosa) km 945 in 25.37'23", media 36,881 km / h; 2. Jackson (Can) a 4'46"; 3. Pucinskaite (Lit) a 5'35"; 4. Heeb (Svi) a 6'31"; 5. Chiappa a 7'03"; 8. Chevanne Brunel (Fra) a 12'21"; 9. Ziliute (Lit) a 13'24"; 10. Bonanomi a 13'36".



2003 – 12a tappa del 86° Giro d’Italia


San Donà di Pave – Monte Zoncolan di 188 km

Una salita ancora inedita, per la corsa rosa, ma subito degna di confronti elitari con il Mont Ventoux del Tour, l'Angliru della Vuelta o il nostro Mortirolo. La 12a tappa del Giro, partita da San Donà  e conclusasi sulla meravigliosa vetta carnica, si è decisa, come previsto, negli ultimi spaventosi tre chilometri, in mezzo a centomila persone, a favore della Maglia Rosa Gilberto Simoni. Un uomo solo al comando, sempre più signore della corsa, anche se non ancora dittatore assoluto come avrebbe desiderato. Simoni si è involato tutto solo a 2 km e mezzo dal traguardo, quando cioè la strada era diventata terreno per animali selvatici e mezzi agricoli con pendenze a tratti fino al 27 per cento. Uno spettacolo memorabile ed una pagina di fatica e sacrificio che riconcilia appassionati e profani col ciclismo epico. Dietro l'inarrestabile Maglia Rosa hanno infatti limitato i danni nell'ordine: Garzelli a 34", Casagrande a 39", il sorprendente ucraino Popovych a 42" e il ritrovato e commovente Pantani a 43". Al Pirata sono andati, come era prevedibile, i segni più intensi di un immutato affetto del pubblico presente e l'affetto particolare intinto di stupore per chi, oggi davanti alla TV, conosce meglio le peripezie e le difficoltà quotidiane del grande campione di Cesenatico. Fra questi ultimi anche chi scrive che, al pari di centinaia d'altri, ha avuto dallo Zoncolan la prova di quanto la natura sua stata generosa con Marco, scalatore come nessuno, probabilmente nella stessa storia. 
Una salita terribile questa dell'altura carnica, ben riassunta dalle parole a caldo del vincitore Gilberto Simoni: "Questa salita è stata troppo dura anche per me - ha detto Simoni dopo il traguardo - L'avevo già visionata due volte e tutto sommato si è confermata terribile. Per fortuna la gente mi ha sostenuto, altrimenti credo che avrei messo i piedi in terra e sarei venuto su spingendo a mano la bici. Sinceramente pensavo di fare danni anche maggiori. Resta però una delle mie imprese più belle». 
Ed un ulteriore attestato alle rarità delle difficoltà di questa salita è venuto dalle parole della grande novità di questa tappa,  quel Marco Pantani, in leggera difficoltà quando la strada ha cominciato ad aggrapparsi alla montagna, poi capace di rimontare Scarponi, Popovych, Casagrande, Garzelli, dando persino l'impressione di puntare sulla lepre Simoni. "Mi manca ancora qualcosa - ha dichiarato - Non pensavo che fosse così dura, la fatica ha superato il piacere del risultato. Posso essere più brillante".
[Immagine: Gilberto-Simoni-Zoncolan-777x437.jpg]

Ordine d’arrivo:

1° Gilberto Simoni (Ita) km 188 in 5h10'30" alla media di 36,328 kmh
2° Stefano Garzelli (Ita) a 34"
3° Francesco Casagrande (Ita) a 39"
4° Yaroslav Popovych (Ukr) a 42"
5° Marco Pantani (Ita) a 43"
6° Julio Alberto Perez Cuapio (Mex) a 1'05"
7° Andrea Noe (Ita) a 1'07"
8° Eddy Mazzoleni (Ita) a 1'20"
9° Aitor Gonzalez (Esp) a 1'30"
10° Kim Kirchen (Lux) a 1'31"

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#24
1963 – 17a tappa del 46° Giro d’Italia

Treviso – Gorizia di 213 km

[Immagine: 17agiro1963.jpg]
Una tappa vissuta sulla linea della preoccupazione per le due frazioni seguenti di irta montagna, che  favorì la poca combattività, anche per la fastidiosa pioggia che accompagnò gran parte dei 213 chilometri di questa Treviso-Gorizia. Oltre tre ore di “noia” rotte soltanto da una breve fermata di Taccone per cambiare una ruota a Monfalcone e dal capitombolo di De Rosso a causa delle rotaie tramviarie a Trieste. Entrambi poterono ritornare in gruppo senza soverchie difficoltà. Poi la corsa si ravvivò salendo sull'altura di Opicina, l’unico dentino di tappa, ma ogni tentativo di rompere la compattezza del gruppo fallì. A venti chilometri dal termine però, l’episodio decisivo, con la fuga  di un drappelo di sei uomini: il passista Battista Babini, la giovane speranza esordiente al Giro Italo Zilioli, il già predisposto ad un grande lavoro di gregariato Pietro Partesotti, il combattente fra strada e pista Armando Pellegrini, ed i veloci, entrambi azzurri a Roma ’60, Vendramino Bariviera e Giuseppe Tonucci. Ed il gruppetto, compatto e con bella andatura, andò al traguardo, rintuzzando bellamente ogni tentativo di ritorno di un gruppo finalmente deciso a non sbadigliare. La linea d’arrivo, in Gorizia, era posto sulla breve, ma ripida salita che, dal centro della città, porta al bellissimo Castello costruito  nell’XI secolo. Una volata particolare dunque, dove le ruote veloci di  Tonucci e, soprattutto di Bariviera, già vincitore sui piatti rettilinei conclusivi delle tappe di Viterbo e di Arezzo, potevano perdere. Invece, l’aitante trevigiano della Carpano, portato in testa dal giovane compagno Zilioli ai trecento metri, fu autore di un acuto straordinario, forse il migliore della sua carriera, ed andò a vincere distanziando di qualche secondo quel Babini col quale aveva già duellato fra i dilettanti in terra di Romagna. Per Bariviera si trattava dunque del terzo successo di tappa a quel Giro. A poco meno di un minuto Vito Taccone regolò il gruppo.

Ordine d'arrivo:

1° Vendramino Bariviera (Ita) km 213 in 5h34'30" alla media di 38,206 kmh
2° Battista Babini (Ita) a 4"
3° Italo Zilioli (Ita)
4° Pietro Partesotti (Ita)
5° Armando Pellegrini (Ita)
6° Giuseppe Tonucci (Ita)
7° Vito Taccone (Ita) a 51"
8° Jaime Alomar (Esp)
9° Marino Fontana (Ita)
10° Giorgio Zancanaro (Ita) a 54" 

Sul vincitore di tappa:

Vendramino Bariviera  “il Giaguaro”
Nato a Roma il 25 ottobre 1937, deceduto a Conegliano il 23 novembre 2001. Velocista, alto m. 1,87 per kg. 70. Professionista dal 1961 al 1967, con 11 vittorie.
[Immagine: Vendramino_Bariviera.jpg]
Alto e di quel magro naturale, come avveniva ai suoi tempi. Potente ed agile, nonostante l’altezza, veloce. Un giaguaro, come lo chiamavano. Insomma uno stereotipo di corridore che “sbagliò epoca”. Sia subito chiaro, forte e di buona carriera in ogni caso, ma, mi si permetta, uno come lui, oggi, con quello che il ciclismo ha scoperto di legale, rischioso o molto meno legale, nonché sull’onda dei dogmi trasformistici di taluni troppi preparatori, sarebbe divenuto corridore completo, capace di vincere ovunque e su tutto. Battute? No, personali convinzioni se volete, ma nel ciclismo ne ho viste troppe di evoluzioni, mai così vistose nei tanti altri sport seguiti. 
Vendramino è stato un evidente del ciclismo per una decina d’anni, uno che mi è molto caro perché ha corso da dilettante nel Pedale Ravennate, nel momento in cui Ravenna poteva essere considerata una sorta di capitale ciclistica italiana e non solo della mia Romagna. Poi perché l’ho conosciuto nel dopo carriera sulla bici, quando lanciava giovani ciclisti e mi dimostrava un’apertura mentale verso lo sport più in generale, rara fra gli operatori ciclistici di un quarto di secolo fa. Ed era così, forse, perché fratello maggiore di Renzo, un giocatore di pallacanestro che vedrò sempre come un idolo per consistenza tecnica e militanza nelle mie squadre del cuore, Olimpia Milano e Libertas Forlì. Quel Renzo, di 12 anni più giovane, che Mino aveva messo in bicicletta per farne un corridore e che  prometteva pure fra gli esordienti, ma che aveva l’handicap ciclistico, di  essere ancora più alto di lui e di essere un difficile per le misure di telai idonei e corretti a livello biomeccanico. Meglio così, perché Renzo, che racconta tutt’oggi delle emozioni che gli aveva lasciato il fratellone corridore, è divenuto un astro della Nazionale di pallacanestro ed uno dei più longevi, quindi un’icona per il movimento sportivo italiano.
Quel Mino, che mi raccontava di quanto fiero fosse per aver vestito la maglia del Pedale Ravennate di Celso Minardi, dove imparò tanto umanamente e sportivamente. Quel Mino che non si capacitava di come fosse andata a finire la carriera della sua scoperta principale, Gianni Giacomini, iridato a Valkenburg ’79 fra i dilettanti. E quel Mino che mi sembrava ancora più alto quando mi raccontava di come gli piacesse la schiettezza di Teofilo Sanson  o di come puntasse sul suo corridore del momento, quel giovanissimo Alessio Cancelier che pareva destinato e che invece non fu. 
Insomma quel Mino Bariviera, che mi ha spinto a scrivere di questa tappa vinta sullo strappo del Castello di Gorizia, quando non pensava di poter essere capace di vincere lì. 
[Immagine: 5-18.jpg]
Ma chi è stato da corridore, Bariviera?     
A dispetto dell’altezza, dotato da subito di acuto velocistico e di gran passo, trionfò nel 1955 da allievo, assieme ai compagni Da Ros, Mariotto e Favero, nella Coppa Adriana. Nel 1956 da dilettante si determinò come un autentico vincente e l’anno seguente, fra le tante vittorie, riuscì a cogliere un successo di grande valore: il Trofeo San Pellegrino a tappe. Nel 1958, emigrò al Pedale Ravennate, dove divenne ancor più razziatore di traguardi al punto di essere soprannominato “il Giaguaro” e si guadagnò il prestigio nazionale più riconosciuto, vestendo l’azzurro alla Corsa della Pace dove vinse una tappa e ai Campionati Mondiali di Reins chiuso all11° posto. Continuò a mietere successi nel 1959 (notevoli le vittorie al Trofeo Minardi e al Trofeo Piva a Vicenza) e nel 1960 quando colse la famosa “Popolarissima” a due passi da casa e divenne azzurro alle Olimpiadi di Roma nella prova in linea, dove sui ritirò.  
Nel 1961 passò professionista in seno alla Ghigi. L’esordio fu piuttosto macchinoso, un po’ per vari malanni, ed un po’ per debito circa le distanze delle corse. I  piazzamenti ci furono, ma non degni delle attese (fu 5° nel GP di Como e 9° nel Fenaroli) ed al Giro d’Italia si ritirò. I successi arrivarono l’anno seguente, quando fece sua la Milano Vignola e la Verona-San Pellegrino per retrocessione di Rino Benedetti. Fu poi 2° nel Trofeo Mirandola, 3° nella Coppa Placci e 4° nella Classifica finale del Trofeo Cougnet. 
Nel 1963 passò alla Carpano di Vincenzo Giacotto, dimostrando più volte di essere veramente…”il Giaguaro”. Vinse dapprima il GP di Cotignola, poi il Gran Premio Industria e Commercio e al Giro d’Italia iniziò la sua collezione di tappe. Ne vinse tre: la Pescara-Viterbo, la Bolsena–Arezzo e la Treviso-Gorizia. Nelle tappe di Bari e Cremona colse il 3° posto. Chiuse la Corsa Rosa 46°. Partecipò al Tour de France, ma dopo il 7° posto di Angers, si ritirò nell’ottava tappa, quella che si concludeva a Bordeaux. Tornato in Italia vinse la “Tipo Pista” di San Polo di Piave. Nell’anno fu poi 2° nel Campionato Italiano a punti, 3° nel Campionato di Zurigo e 5° nel Giro di Toscana.
Il 1964 confermò un ottimo ruolino per “il Guaguaro”. Al Giro d’Italia vinse la tappa Parma-Verona, fu 2° in quella di Parma e 3° nella frazione che si concludeva a Castelgandolfo. Chiuse il Giro al 61° posto. Al Tour de Suisse, dopo il 2° posto nella tappa di Kussnacht, chiuse 19°. Fu 2° nella tappa di Santa Teresa di Gallura del Giro di Sardegna, 4° nel Gran Premio Molteni e 6° nella St Vincent-Meda. 
Non fu particolarmente brillante la stagione 1965 del Giaguaro, passato nel frattempo alla Sanson. Solo piazzamenti. Fra questi i migliori furono il 2° posto nel GP Col San Martino il 6° nel GP di Antibes, il 9° nel GP Mirandola e il 10°  nella Coppa Bernocchi. Al Giro chiuse 43°. Buonissima invece la stagione 1966. Bariviera tornò a ruggire nella Corsa Rosa: vinse le tappe Viareggio-Chianciano Terme e Vittorio Veneto-Trieste concludendo il Giro 53°. L’anno seguente passò alla Filotex, ma diversi malanni lo frenarono. Fu 2° nel GP Aiello del Friuli e si ritirò al Giro d’Italia. A fine stagione appese la bici al chiodo.  

Maurizio Ricci detto Morris

P.S. Perdonate i refusi, ma ho scritto veloce e senza rileggere. Ho problemi col computer.
 
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#25
1948 – 16a tappa del 31° Giro d’Italia

Auronzo – Cortina d’Ampezzo di 90 km

[Immagine: 16a.jpg]

https://www.youtube.com/watch?v=RNR3WdSxGQU

[Immagine: 25432_25432.jpg]

Ordine d’arrivo: 

1° Fausto Coppi km 90 in 2h20'33" alla media di 38,330 kmh
2° Gino Bartali a 3'32"
3° Giordano Cottur
4° Alfredo Pasotti
5° Angelo Brignole
6° Serafino Biagioni
7° Giulio Bresci
8° Primo Volpi
9° Fiorenzo Magni
10° Ezio Cecchi

La carriera di Fausto Coppi
Centodiciotto vittorie su strada, la metà raggiunte dopo fughe solitarie talune di decine di chilometri: 3041 km, per l'esattezza, da solo, la lunghezza di un Giro d'Italia di oggi, per intenderci. Di qui, l'estrema giustezza della frase di Ferretti. Cinque Giri d'Italia, due Tour de France, tre Milano-Sanremo, quattro Giri di Lombardia, una Parigi-Roubaix, una Freccia Vallone,  tre titoli mondiali, uno su strada e due su pista. Due accoppiate Giro-Tour nello stesso anno (1949-'52), ventitré le tappe vinte nei vari Giri d'Italia e trentuno le maglie rosa; nove tappe e diciannove maglie gialle nei tre Tour disputati. Il record mondiale dell'ora nel 1942 con 45,780 km. Ottantacinque vittorie nell'inseguimento, con tempi impressionanti all'epoca. Un esempio per tutti il 6'07" sui cinque chilometri (a 49 di media!), con cui batté Gillen, ottenuto a trentasei anni nel 1955! Vent'anni di carriera professionistica, diciotto anni di vittorie, l'ultima con Ercole Baldini, al "Trofeo Baracchi" nel 1957. Un successo davvero memorabile, perché il "vecchio" campione e la "grande promessa", furono costretti a soffrire non poco e colsero la vittoria per soli cinque secondi. Le cifre, è vero, sono spesso fredde, ma rimangono significative per i più profani. E' stato però, il modo unico di Coppi di vincere e di perdere, quello che più ha dipinto la sua leggenda.
Dalla fantastica galoppata solitaria di 192 chilometri, attraverso cinque mitici colli, Maddalena, Vars, Izoard, Monginevro e Sestriere, conclusasi con 11'42" di vantaggio sull'eterno rivale Gino Bartali, fino alla formidabile crisi di Montpellier, in cui il ritiro pareva la soluzione più logica. In quell'occasione furono i suoi gregari, Ettore Milano in testa, a fargli cambiare idea, ma non fu facile, tant'è che per ravvivarlo Luciano Pezzi fu costretto a versargli un'intera borraccia di vino in testa.

Un altro aspetto del suo mito ci viene dalla sua sfortuna e da quelle cadute che gli hanno provocato fratture come in nessun'altra carriera di grande corridore e tali da scoraggiare qualsiasi atleta. Coppi ha sempre saputo reagire anche quando tanti lo davano per finito, d'altronde dopo essersi rotto clavicole, scapole, pube, collo del femore, ed aver subito l'incrinatura della scatola cranica, la lesione del legamento collaterale del ginocchio e contuso la colonna vertebrale, l'essere pessimisti sui recuperi era logica conseguenza.
Alle disgrazie fisiche aggiunse quelle umane, come la sua tribolata storia sentimentale con Giulia Occhini (la "Dama Bianca") e la tragica perdita dell'amato fratello Serse.
Seppe sempre tornare in sella e, da gagliardo quarantenne, si poneva ancora come un faro del gruppo, pronto a lanciare e consigliare giovani, nonché difendersi onorevolmente a cronometro, come dimostra il suo quinto posto al G.P. Tendicollo Universal di Forlì nel 1959, dove arrivò a ridosso di quel formidabile cronoman che rispondeva al nome di Roger Riviere.

Gli albori degli anni Sessanta dovevano vederlo ancora in bici, alla San Pellegrino, per pilotare, assieme al suo amico-nemico di tante battaglie Gino Bartali che avrebbe svolto i compiti di direttore sportivo, quello che era considerato il suo probabile erede: Romeo Venturelli.
La stessa sua morte, evitabilissima, avvenuta per la malaria contratta nell'Alto Volta, liberò le penne e contribuì ad accrescerne il mito. Sono ancora vivi i rincrescimenti per il clamoroso errore dei medici italiani che non capirono la malattia e a nulla valsero le telefonate dei congiunti di Raffaele Geminiani (uno dei compagni di Coppi nella trasferta) che, dalla Francia, informavano casa Coppi e il relativo contorno medico di usare il chinino, perché si trattava, appunto, di malaria.
Ma la peculiarità che ha fatto di Coppi lo sportivo che ogni famiglia italiana conosce sono stati gli apogei storici in cui la sua figura di campione andava a proiettarsi. Si era all'indomani di un conflitto immane che aveva messo l'Italia sulle ginocchia e c'era la consapevolezza di essere usciti sconfitti ed umiliati. Dell'Italia pomposa, in perfetto stile mussoliniano, erano rimaste le vergogne. Coppi, al pari del suo alter ego Bartali, dava alla giovane Repubblica Italiana l'unico segno vincente internazionalmente riconosciuto. Le sue vittorie poi, colte nel segno di quell'impresa e di quella superiorità che l'uomo non credeva possibile, facevano di questo personaggio qualcosa di straordinario e di incomparabile, aumentando l'orgoglio degli italiani e la loro personale sfida con quelle nazioni che erano le leader nell'opera di rinascita. Coppi era il più forte e tutti lo sapevano, in Italia e in Europa. In condizioni solo normali era imbattibile e il suo passo in salita su quelle strade polverose e non asfaltate, raccolto dalle immagini sfuocate del tempo, si presenta ancor oggi come dimostrativo di sublime superiorità. Se poi a questo aggiungiamo la serie terribile di infortuni che ha subito, i tre anni di stop causati della guerra dove incontrò una prima volta la malaria, capiamo come la definizione di "Campionissimo", fosse solo un atto di estremo realismo.
 
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#26
1978 - 15a tappa del 61° Giro d'Italia

Treviso – Canazei di 240 km

[Immagine: 15a.jpg]
Ciò che è avvenuto oggi verso Cortina, mi ha spinto a riproporre il simile caso che capitò nella tappa che si concludeva a Canazei, al Giro del 1978. Anche lì un cambiamento di percorso, dovuto al rischio di valanghe sul Falzarego e sul Pordoi, che però non snaturò il Giro d'Italia, come molti temevano, e non servì a Moser, come i suoi tifosi speravano, al fine di capovolgere una situazione che per il trentino era già compromessa da alcuni giorni. Modificare la tappa era indispensabile si disse allora (come del resto oggi), ma il dubbio che si cercasse qualcosa per aiutare qualcuno (ieri come oggi) resta. D’altronde, come diceva Giulio Andreotti (mai votato, ma anni luce migliore per intellighenzia e aperture, ai due Matteo d’oggi), “a pensar male, si fa  peccato, ma spesso ci si azzecca”! Di sicuro, allora come in questo lunedì 24 maggio 2021, s’è concretizzato un risultato negativo: il danno per i tifosi assiepati sui passi tagliati. Purtroppo è un prezzo che gli appassionati di ciclismo, a volte, devono pagare. 
La battaglia nella Treviso-Canazei 1978, iniziò sulla seconda salita, il Rolle. Nessuno attaccò con decisione, eppure la corsa si spaccò già in due: davanti, un gruppetto con tutti i migliori, eccetto Battaglin, malato da giorni e, più indietro, il plotone. Pioveva e faceva freddo e verso la cima, i girini trovarono neve e nebbia, al punto di sembrare sagome senza volto. Si attaccò il Vales, che era divenuto il “tetto” del Giro e Tista Baronchelli iniziò il suo capolavoro: scattò con decisione e soltanto De Muynck e Moser riuscirono a riportarsi alla sua ruota. Ma il campione del mondo faceva una fatica tremenda e si vide. A quel punto il Tista iniziò a martellare con quegli scatti che per Moser  erano coltellate. Più avanti rientrarono sulla testa Vandi, De Witte e Bortolotto, questi ultimi due, erano spalle di Moser. A quel punto  Baronchelli allungò ancora e resta solo con De Muynck. Sulla divenuta “Cima Coppi” passarono Baronchelli, De Muynck e Bortolotto nell'ordine, poi Vandi e Moser e, più staccato,  De Witte. Lungo la discesa, Bortolotto perse contatto, mentre mentre De Witte, Moser e Vandi raggiunsero Baronchelli e De Muynck. Ma il quintetto si spezzò subito sulle prime rampre del San Pellegrino. Stavolta a scattare fu la Maglia Rosa De Muynck, con Tista a ruota, e gli altri iniziarono a perdere terreno. Sulla Baronchelli anticipò De Muynck, con . Vandi a 15", De Witte e Bortolotto a 1’10” e Moser a 1’20”. Nella discesa verso Canazei, Vandi raggiunse i due di testa e Moser rischiando ad ogni curva superò i due gregari De Witte e Bortolotto, quando sarebbe forse stato meglio aspettarli. Sta di fatto, che sul falsopiano di fine discesa, davanti il trio pedalò con cambi regolari, mentre dietro, il solitario Moser, iniziò a perdere gran parte del terreno guadagnato ad inizio discesa. A Canazei lo sprint fu un gioco da ragazzi per Baronchelli, che anticipò Vandi e De Muynck.
[Immagine: giro-1978-vttoria-a-Canazei.jpg]

Ordine d’arrivo:

1° Giambattista Baronchelli (Ita) km 240 in 7h34'30" alla media di 31,683 kmh
2° Alfio Vandi (Ita)
3° Johan De Muynck (Bel)
4° Francesco Moser (Ita) a 1'09"
5° Claudio Bortolotto (Ita) a 2'14"
6° Ronald De Witte (Bel)
7° Bernt Johansson (Swe) a 4'41"
8° Felice Gimondi (Ita) a 5'11"
9° Alfredo Chinetti (Ita)
10° Giuseppe Saronni (Ita)

Sul vincitore di tappa:

Gian Battista "Gibì" o "Tista" Baronchelli è passato, o si cerca di farlo passare, alla storia, come un incompiuto, quando in realtà, semmai, può essere considerato un corridore dal quale ci si aspettava di più. Ogni giudizio, aldilà degli errori e della sfortuna di questo comunque stupendo atleta, non può non partire dall'analisi dei tempi in cui Gibì ha corso, e dalle non poche storture e contraddizioni del ciclismo italiano di quel periodo. Le ragioni oggettive che hanno pesato in quel contesto storico si muovevano, dapprima, nell'esigenza ossessiva tipicamente italiana di trovare un indigeno in grado di mettere alle corde Eddy Merckx, poi, nello stravalutare le corse della penisola a danno di quel Tour per anni dribblato malamente dai nostri migliori ciclisti, indi, nell'esagerazione di vedere il dualismo Moser Saronni come un chiasma che, di fatto, bruciava tutto il resto, ed infine nel non considerare nel giusto merito chi giungeva secondo dietro Bernard Hinault. Se analizziamo passo su passo questi aspetti, Baronchelli, esce più cospicuo e il suo comunque ottimo palmares, assume ben altri significati. 

Gibì, aveva vinto nel 1973, a vent'anni, il Giro d'Italia per dilettanti e il Tour de L'Avenir, nonostante in questa corsa avesse dovuto superare una caduta che gli aveva reso un ginocchio gonfio come un melone. Quanto basta per essere atteso al professionismo con molto interesse. Nel 1974 però, il suo comportamento eccezionale nel Giro d'Italia d'esordio fra i prof, fu tale da stravolgere la ragionevolezza dell'osservatorio italiano. Si dimenticava che i 12" secondi che alla fine separarono Baronchelli da Merckx, potevano creare eccessivo peso nella tempra di Gibì e sottovalutavano il peso della forma del belga che non superava l'80%. Già, perché se un Eddy in quelle condizioni è sempre bastato per superare Gimondi in una grande corsa a tappe, sempre l'80% rimaneva. E che Baronchelli avesse potuto superare l'uomo di Sedrina, ci stava, semplicemente perché andare più forte di Gimondi in salita, non era impresa da marziani. Invece di covare e tutelare il ragazzino, certo pieno di qualità, gli si buttò addosso l'attesa di una nazione. Arrivò poi il '75 e l'esordio vincente di Gibì a Laugueglia, confermato da un successo di tappa al Giro di  Sardegna, diede ulteriore fiato alle trombe in vista del Giro d'Italia. Qui però, Baronchelli, contrasse una malattia virale che ne limitò il rendimento in corsa e che forse non fu mai completamente superata. La sottovalutazione del fatto da parte di un osservatorio che vedeva quel Giro disegnato per lui, pose Gibì (che finì la corsa rosa al decimo posto), già sull'alone di una certa delusione. Nel frattempo, il comportamento di Francesco Moser al Tour di quell'anno, dove fu maglia gialla nelle frazioni di pianura per poi essere seppellito di minuti in salita, portò l'osservatorio a incentrare sul trentino attese esagerate su corse, come quelle a tappe, dove, checché se ne dicesse, difficilmente poteva essere un evidente. E fu così che il Giro d'Italia, cominciò a proporre percorsi che per troppi anni incrinarono la tradizione di manifestazione legittimamente equilibrata.
L'edizione della corsa rosa del '76, una delle più scarse della storia, quasi tutta vissuta sul rallentatore, con anziani in evidente declino e giovani poco adatti all'attacco o di scarsa  personalità, provocò un verdetto che il nostro Gibì pagò a lungo. Vinse il vecchio Gimondi, Moser arrivò 4° e Baronchelli solo quinto. Poco importava se non stava bene: era ormai un normale per quell'osservatorio che stava ingigantendo Moser su corse le cui qualità erano contrarie a quelle che dimostrava nelle classiche e che esaltava a dismisura un vecchio come Gimondi, che aveva vinto senza brillare come del resto tutti gli altri. Gibì poi, fece un errore grave: andò al Tour senza condizione e concentrazione uscendone distrutto e ritirato, fino al punto di considerare, in cuor suo, la Grande Boucle come una manifestazione da evitare. E ciò fu disastroso per la sua carriera limitatamente alle corse a tappe. Nel '77, in un Giro che si distingueva per il suo "piattume" e per il tanto crono, Gibì si difese bene, vinse il tappone di Pinzolo, ma non poté evitare di finire terzo, dietro a Pollentier e, ancora, Moser: un fatto capitale nella già poca lucidità dell'osservatorio. Dietro l'angolo, c'era proprio nella sua medesima squadra, il piccolo fenomeno Saronni e poco importava se, in quel '77, Baronchelli aveva vinto, fra le diverse corse, il Giro dell'Appennino (una gara vinta sempre da campioni), il Giro di Romandia e, soprattutto, alla grande, il Giro di Lombardia, grazie ad un arrivo solitario e dopo aver seppellito di minuti il miglior cast del ciclismo mondiale. Col '78 si alzarono i sipari del dualismo Moser-Saronni e Gibì, pur vincendo 11 corse, tra le quali una sfilza di classiche nazionali come il Giro dell'Appennino (la sua corsa), il Giro del Piemonte, la Coppa Placci, il Giro dell'Umbria, facendo cilecca al Giro d'Italia, si giocò le residue speranze, in chiave nazionale, per la giusta considerazione dei suoi mezzi. Certo, a Milano giunse secondo a 59" dalla maglia rosa De Muynck e vinse la difficile tappa di Canazei, ma quel Giro, pur considerando che qualcuno doveva riparare verso il belga la scorrettezza di un attacco dopo una caduta che gli costò la corsa rosa di due anni prima (frazione di Bergamo), doveva essere suo. Altro errore, che ripeteva il già fatto nel '77 e che poi rappresentò una costante, fu quello di non andare al Tour. Col '79, stagione per Gibì davvero tribolata per acciacchi vari (ciononostante colse diversi traguardi compreso nuovamente l'Appennino e il Giro di Romagna) esplose il dualismo fra Moser e Saronni e per gli altri, in Italia, fu notte fonda. Baronchelli, tra l'altro, cominciò a dover pagare sulle strade l'ostracismo dei tifosi di Moser (i più calcistici mai visti sulle strade) che non disdegnavano di seppellirlo di insulti e di ....tutto il resto del corredo calciofilo. La stessa cosa capitò a Visentini poco dopo e, mi si permetta, considero queste idiote escandescenze, come un segmento tra i più tristi che abbia vissuto o letto nello sport.
[Immagine: 10Baronchelli-Gianbattista-76.jpg?w=400&ssl=1]
Nel 1980, quando il mondo fu costretto a sancire lo spessore di un similare di Merckx, nelle vestigia del francese Bernard Hinault, Baronchelli fu il primo degli umani. Non solo perché nella gara crogiolo dell'anno, una volta tanto coincidente col campionato mondiale, in quel di Sallanches, fu l'ultimo a piegarsi al marziano bretone, ma per le vittorie raccolte nell'anno: ben ventuno, fra le quali l'Henninger Turm, il Giro dell'Appennino, il Giro della Provincia di Reggio Calabria, il Giro dell'Emilia, la Coppa Sabatini, il Giro del Piemonte, il GP di Montelupo, la tappa di Campotenese al Giro (dove finì 5°), una tappa del Giro del Trentino ed una di quello di Puglia. Insomma quanto bastava per essere qualcosa di più nella considerazione tutta per gente come Moser e Saronni che, ai mondiali di Sallanches, quando Hinault decise di fare sul serio, non poterono far altro che andare in albergo a farsi una doccia. Ed il mondiale, Gibì, lo avrebbe vinto l'anno dopo a Praga, se gli italiani in una delle giornate più nere dell'era Martini, non avessero inseguito con veemenza il duo Millar-Baronchelli, con l'azzurro sicuro vincente allo sprint. Furono ripresi a seicento metri dall'arrivo e Gibì, che nella fuga non aveva tirato per rispettare le consegne, fece il suo lavoro nello sprint decisivo a favore di Saronni, per poi prendersi gli improperi dei soliti imprecisi, per aver lasciato al vento troppo presto il Beppe nazionale. In realtà, quando Baronchelli si spostò, dietro ci doveva essere Moser per completare il lavoro per Saronni.....ma i due dovevano essere immuni da critiche. La lapidazione del "Tista" per quel mondiale sfumato, da parte dei tifosi saronniani, rappresenta un'altra pagina triste di quel periodo del nostro ciclismo. Nel 1981, le sue belle corse per dimostrarsi iridato degno, Gibì, come al solito, le aveva vinte. Solo per citarne alcune: il Giro del Lazio, il Giro dell'Appennino, il Giro di Toscana e la dura tappa di Cascia al Giro d'Italia (chiuso al 10° posto). Anche nel 1982, il suo ruolino fu positivo grazie a nove successi fra i quali il GP Industria e Commercio, il Giro dell'Umbria e il suo siamese Giro dell'Appennino. Non vinse tappe al Giro d'Italia, dove si piazzò al quinto posto.

Col 1983, iniziò la lenta flessione del "Tista": solo due successi in gare di secondo piano. Idem l'anno successivo, ma stavolta nell'ambo di vittorie ci stava il Giro di Toscana. Nel 1985 provò la Vuelta di Spagna e prima di abbandonare per un'indisposizione, vinse la tappa di Santiago. Tornò a ruggire nella stagione '86, quando a Nicotera, rivinse una tappa del Giro d'Italia (si ritirò poi qualche giorno dopo) e, soprattutto, trionfò nuovamente in una classica monumento, come il Giro di Lombardia. Nell'occasione, fu ancora capace di staccare tutti. Anche nel 1987, il suo spunto in salita, ebbe modo di farsi vedere: vinse infatti la Cronoscalata del Ghisallo, valevole per il Trofeo dello Scalatore. Passò ancora due anni fra i professionisti prima di abbandonare l'attività e vinse ancora gare minori. Lasciò i giudizi dell'osservatorio a fine '89. Campione mancato? Direi proprio di no, perché campione lo è stato eccome, viste le 94 vittorie, i piazzamenti di prestigio e, soprattutto, il modo di giungere al successo. Poteva essere più grande? Per quanti si può dire la stessa cosa nella storia del ciclismo? Tanti! Per me, che non sono mai stato suo tifoso, "Tista" Baronchelli è la figura italiana più bella del segmento del ciclismo che mi è piaciuto di meno, nonché l'uomo di quell'epoca che più mi ha ricordato i valori dei decenni precedenti.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#27
Il "mio" Gibi  Wub . Bella classe ma mancava qualcosa per le eventuali vittorie nei GT, anche con buone dosi di sfiga. Però, ce l'avessimo oggi un Tista 21enne... 
 
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#28
Bellissimo l'articolo su Baronchelli. È importante ridare dignità a figure ostracizzate dalla narrazione imperante oggi.
 
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#29
Bellissimo l'articolo su Baronchelli, grazie Morris.

Anche io anni fa quando ero ignorante (lo sono anche ora ma all'epoca ero convinto di saperne) lo consideravo un incompiuto. Non consideravo l'importanza di certe corse al di fuori dei GT e di quelle cinque classiche che qualcuno ha deciso essere più importanti.
 
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#30
Su Baronchelli, nel thread “Storie e ricordi di corse e personaggi”, posterò fra poco un approfondimento-riflessione sulla vicenda di Foppolo al Giro d'Italia 1986…….
 
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#31
1959 – 14a tappa del 47° Giro d’Italia

Verona - Rovereto

[Immagine: 14a.jpg]

Una tappa che fu vissuta dai 105 girini partenti da Verona, con l'inconscia preoccupazione di risparmiare energie, per averle a disposizione nei tapponi seguenti. E dire che verso Rovereto, da Valli del Pasubio, avrebbero trovato il Passo Pian delle Fugazze: una bella salita di circa 12 chilometri avente una pendenza media d poco superiore al 7%, quindi abbastanza per scatenare le possibilità di movimentazione, per non dire addirittura d'attacco ai vertici della classifica. Qualcosa di interessante prima della salita comunque ci fu, oltre alle solite scaramucce. Nei pressi di Valdagno, Catalano, con un tentativo velleitario, avviò una reazione di una certa consistenza, che vide in Arturo Neri l’iniziatore. Su di lui si portarono Ronchini e Oreste Magni. Fu Van Looy a raggiungere il terzetto poco dopo e mentre Magni decise di mollare, gli altri con un minutino di vantaggio arrivarono ai piedi del Passo Pian delle Fugazze. Qui, non appena l'erta si fece sensibile, Gaul, in Maglia Rosa, ritenne giunto il momento di mettere in mostra il perché lo si definiva l’Angelo della Montagna. Con la sua pedalata agile (i suoi rapporti oggi sarebbero considerati durissimi), il grande lussemburghese si liberò di tutti in pochissimi metri, il solo Nencini tentò di resistergli, ma fu vana fatica. Charly, senza lasciar trasparire lo sforzo, acciuffò prima Neri, decisamente stanco, poi si portò all'altezza di Van Looy e di Ronchini. I due si misero alla sua ruota. Gaul non volle insistere, si limitò a pedalare sempre con lo stesso ritmo, quasi evitando di scattare. Eppure senza forzare, come fosse un’azione dimostrativa, fece cedere prima l’asso belga e, poi, l’imolese. Sulla vetta la Maglia Rosa, preoccupata per il maltempo arrivante, passò con mezzo minuto su Vito Favero, indi Massignan a 45” poi Ronchini e la pattuglia dei migliori con in testa Junkermann, Conterno e Baldini. Van Looy, che aveva pagato lo sforzo per resistere a Gaul, inseguiva a cento metri di distanza dal drappello dei big. Ma il “Sire di Herentals” che era un campione, a dispetto di pioggia e vento, affrontò i 30 chilometri di discesa che separavano i corridori da Rovereto, come fosse la corsa della vita. Raggiunse il gruppetto davanti a lui, li staccò tutti e si portò su Favero, Massignan e Ronchini che, nel frattempo, erano rientrati su un assai prudente Charly Gaul. La Maglia Rosa però, proprio mentre si stava scorgendo Rovereto con un vero e proprio fortunale in arrivo, offrì il brivido dell'imprevisto, scivolando in una curva. Non si fece nulla, ma impiegò tempo prezioso a rimettersi in piedi, ed il suo inseguimento fu all’insegna di chi non ama le acrobazie, ed alla fine, a poco meno di mezzo chilometro dall’arrivo, fu ripreso dalle avanguardie degli inseguitori. 
La volata decisiva a quattro vide ovviamente Van Looy dominare, mentre Gaul, nonostante tutto, guadagnò undici secondi sul principale dei rivali, Jacques Anquetil.
[Immagine: 13881580033810vanlooy60.jpeg]

Ordine d’arrivo:

1° Rik Van Looy (Bel) km 143 in 4h07'30" alla media 34,667 kmh
2° Vito Favero
3° Diego Ronchini
4° Imerio Massignan a 4"
5° Cleto Maule a 22"
6° Alessandro Fantini a 27"
7° Gastine Nencini
8° Guido Carlesi
9° Charly Gaul a 30"
10° Jacques Anquetil a 41"

Classifica Generale a Rovereto: 1° Gaul in 57 ore 9'38"; 2° Anquetil a 45"; 3° Van Looy a 2'27"; 4° Zamboni a 2'57"; 5° Ronchini a 3'58"; 6° Carlesi a 4'3"; 7° Massignan a 4'49"; 8° Poblet a 4'53"; 9° Defllippis a 5'28"; 10° Couvreur a 6'30".
[Immagine: 1959-Gaul-Delberghe-Anqueti.jpg]

Sul vincitore di tappa: Rik Van Looy:

https://www.ilnuovociclismo.com/forum/Thr...k-Van-Looy

[Immagine: Rik_Van_Looy_%281962%29.jpg]

Sulla Maglia Rosa di Rovereto e Vincitore del Giro d’Italia 1959: Charly Gaul.

Ero amico di Charly, su di lui ho scritto tanto, anche buona parte di un libro, ma qui, sicuro di interpretare il suo quanto mio pensiero, voglio che il ritratto del leggendario Angelo della Montagna, porti l’incanto della passione, del lavoro e della bravura di un giovane come Luca Saugo. Quando festeggiavo il mio 43° compleanno a casa di Charly, con Acacio Da Silva a far da mattacchione, Luca era un bimbo che non andava ancora a scuola, ma oggi ha uno spessore di conoscenza ciclistica, tanto storica quanto d’attualità, ed una capacità narrativa da vertice del panorama giornalistico italiano. Non vado oltre, perché chiunque se ne potrà farà un’idea, leggendo il suo ritratto dell’Angelo della Montagna:

https://www.suiveur.it/storie/mano-liber...-montagna/

[Immagine: Charly-Gaul-1.jpg]
 
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#32
Grande Maurizio e oggi anche grande Luca, bravi!!
L'ideuzza che ho accennato a inizio thread tenetela da conto... 
Topic dell'anno a mani basse!!
 
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#33
1918 - 18a tappa del 101° Giro d'Italia

Abbiategrasso – Prato Nevoso di 196 km

[Immagine: 18-tappa-giro-ditalia-2018-giro-ditalia-...998919.jpg]


https://www.youtube.com/watch?v=5WvQk39X5j4

[Immagine: img.jpeg]

Ordine d’Arrivo:

1° Maximilian Schachmann (All) in 4h55'42" 
2° Ruben Plaza (Esp) a 10" 
3° Mattia Cattaneo (Ita) a 16" 
4° Christoph Pfingsten (All) a 1'10" 
5° Marco Marcato (Ita) a 1'26" 
6° Michael Mørkøv (Dan) a 1'36" 
7° Viacheslav Kuznetsov (Rus) a 1'52" 
8° Jos van Emden (Hol) a 3'22" 
9° Alex Turrin (Ita) a 3'29" 
10° Davide Ballerini (Ita) a 5'09"

Sul vincitore di tappa:

Maximilian Schachmann 
[Immagine: 16110895941325Schachmann.jpg]
Nato a Berlino il 9 gennaio 1994. Passista, alto 1,83 m. per 70kg. Professionista dal 2017 con 14 vittorie ad oggi. Un corridore che, a mio giudizio, ha ancora margini di crescita e, pur non essendo un fenomeno, ha saputo mantenere in questi primi cinque anni di professionismo un livello più che discreto. Qualche colpo di sfortuna, anche vistosa, ed una non ancora arrivata predisposizione verso quella specializzazione che, nel ciclismo di oggi, si impone e si propaga oltremodo, fino a cambiare in molto peggio i connotati di questo sport. Sinceramente spero che Maximilian cresca ancora tanto, ma senza abbracciare quella che è la dottrina più putrefatta dei santoni. E ad oggi, il corridore tedesco non è un ciclista specialista, ma uno possibile quasi ovunque e, questo, è di per sé positivo. 

La sua maturazione lenta ma costante, era ben visibile anche quando militava fra gli under. Qui, è stato un piazzato più che un vincente a livello internazionale, ma ha saputo mettere assieme mattoncini significativi, su tutti il successo con tappa nel Giro d’Alsazia nel 2016. 
Ha esordito fra i professionisti l’anno seguente, in seno alla fortissima Quick Step, evidenziando dei buoni piazzamenti non solo sull’amico cronometro. Nel 2018, sempre con la squadra belga, ha mostrato una bella fetta del suo talento, vincendo una frazione del Catalunya e, soprattutto, la tappa sul traguardo in salita di Prato Nevoso al Giro d’Italia. Con la Quick Step ha poi vinto il Mondiale nella Cronosquadre. Divenuto un evidente, la tedesca Bora, lo ha voluto nel proprio organico nel 2019 e Schachmann ha ripagato il team con 6 vittorie, fra le quali la prova in linea valevole per il Titolo Nazionale. Di gran nota anche il suo 3° posto nella Liegi Bastogne Liegi.

Nell’ultimo anno e mezzo, ovvero il segmento che resterà noto per la pandemia, Maximilian è diventato “mister Parigi Nizza”, vincendo l’dizione 2020 e quella 2021 della celebre corsa a tappe francese d’inizio stagione. Nel 2020 è giunto 3° nell’ormai classica “Strade Bianche” ed al Giro di Lombardia, mentre era in lotta per il podio, è stato investito da una automobile non di gara che si era inserita nella corsa, fortunatamente senza danni seri. Ha poi chiuso la classica al 7° posto. 
Tutte le vittorie di Schachmann ad oggi:
2018 (Quick-Step Floors, due vittorie): 6a tappa Volta Ciclista a Catalunya; 18a tappa Giro d'Italia (Abbiategrasso-Prato Nevoso); 2a tappa Giro di Germania; Campionato Mondiale Cronosquadre.
2019 (Bora-Hansgrohe, sei vittorie): 5a tappa Volta Ciclista a Catalunya; Gran Premio Industria e Artigianato; 1a, 3a, 4a tappa e Classifica a punti de Itzulia Basque Country; Campionati tedeschi.
2020 (Bora-Hansgrohe, due vittorie): 1a tappa Parigi-Nizza; Classifica generale Parigi-Nizza.
2021 (Bora-Hansgrohe, una vittoria): Classifica generale Parigi-Nizza.
 
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#34
Grandissimo morris, il tuo modo di raccontare lo sport è pura poesia, ti leggo sempre molto volentieri
 
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#35
1952 – 19a tappa del 35° Giro d’Italia

St Vincent – Verbania di 298 chilometri

[Immagine: 19a.jpg]

https://www.youtube.com/watch?v=6VUYk0X8WM8

Ordine d’arrivo:
1° Fritz Schaer (Sui) km 298 in 10h05'37" alla media di 29,530 kmh
2° Alfredo Martini (Ita)
3° Armando Barducci (Ita)
4° Luciano Pezzi (Ita)
5° Vittorio Rossello (Ita)
6° Ferdi Kübler (Sui) a 12"
7° Donato Zampini (Ita)
8° Gino Bartali (Ita)
9° Stan Ockers (Bel)
10° Raphael Géminiani (Fra)

Sul vincitore di tappa:

Fritz Schaer
[Immagine: Wielerprofs_Fritz_Sch%C3%A4r_%28Zwitserl...5-0601.jpg]
Nato a Kaltenbach il 13 marzo 1926, deceduto a Frauenfeld il  29 settembre 1997. Stradista completo, pistard e ciclocrossista svizzero. Alto 1,70 m. per 67kg. Professionista dal 1947 al 1958 con 37 vittorie. 
Si scoprì potenziale corridore di pregio, facendo il postino. Fritz, era un giovane vivace e simpatico, poco svizzero nei comportamenti ed ardimentoso in gara. La sua voglia di cimentarsi sul mezzo bicicletta e le possibilità che la neutralità della Svizzera consentiva nel periodo di guerra, lo portarono da dilettante alla fama nazionale, fra il 1944 e i primi mesi del 1947. In quel lasso i suoi successi più importanti furono l'Attraverso Losanna nel '44, il Giro dei Quattro Cantoni, il Giro del Ticino, il Giro del Lago Lemano ed il Titolo Nazionale nell’Inseguimento su pista nel 1946 ed il Titolo Nazionale, categoria unica, di Ciclocross nel 1947. Poche settimane dopo quest’ultimo successo, a maggio ’47, passò professionista. Di sette anni più anziano di Kubler e di uno più giovane di Koblet, divenne il "terzo uomo" del ciclismo elvetico, in quello che può essere considerato, ancora oggi, il segmento d’oro del pedale dei Quattro Cantoni. Anche da professionista mantenne il suo eclettismo ed il suo non comune spirito battagliero gli consentì di emergere ripetutamente nelle grandi corse a tappe. Il miglior piazzamento negli otto Giri d'Italia disputati (con due tappe nel '50 e '52 e cinque giorni in maglia rosa) fu il nono posto del '54. Al Tour de France (dove vestì la gialla per sei volte) fece addirittura meglio, finendo 6° nel '53 con 2 tappe e la maglia verde, e addirittura 3° nel '54, quando nella decisiva cronometro da Epinal a Nancy (72 km, a tre giorni dalla conclusione) fu 3° dietro Luison Bobet e Ferdy Kubler, secondo una graduatoria che rispecchiò anche la classifica finale. Nonostante ottimi comportamenti non riuscì a conquistare la vittoria finale in nessuno dei 9 Giri di Svizzera disputati (con 5 tappe complessive). Al Suisse fu il '53 il suo anno migliore: indossò la maglia oro, conquistò il Gran Premio della Montagna, due tappe e il secondo posto finale (piazzamento ribadito anche nel '56).
Nelle corse di un giorno vinse due Campionati di Zurigo nel 1949 e nel 1950, fu terzo nel Lombardia del '48, dietro Coppi e Leoni, nel '53 fu Campione Nazionale e finì secondo ai Mondiali di Solingen nel ‘54. Su pista fu Campione Nazionale nel mezzofondo nel 1953. Cessò l'attività agonistica nel '58, a soli 32 anni. 
[Immagine: 394404.jpg]
Tutte le sue 37 vittorie: 

1948 (due vittorie): GP Schaffouse, Criterium di Basilea.
1949 (nove successi): Campionato di Zurigo, Tour del Lago Lemano, Attraverso Losanna, 8a tappa del Tour de Suisse, GP Olten, GP Lucerna, Criterium di Schöneweld, Zurzach e Nyon.
1950 (tre vittorie): Campionato di Zurigo, 14a tappa del Giro d'Italia, GP Rapperswill.
1951 (tre successi): 13a tappa del Giro di Germania, Criterium di Berna, Criterium di Balsthal.
1952 (quattro vittorie): 19a tappa Giro d'Italia, 2a tappa del Toiur de Suisse, Giro dei 4 Cantoni,  Criterium di Balsthal.
1953 (otto vittorie): Campionato di Svizzera, 1a e 2a tappa e Classifica a Punti Tour de France, Campionato di Svizzera di Mezzofondo, Criterium di Regensdorf, Rapperswill e Schaffouse.
1954 (quattro successi): Tour del Nord-Ovest, 4a tappa (cronosquadre) Tour de France, Criterium di Bienne e di Balsthal.
1955 (una vittoria): 1a tappa Tour de Suisse.
1956 (due successi): 7a tappa e Classifica a Punti Tour de Suisse. 

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#36
1979 – 19a e ultima tappa del 62° Giro d’Italia

Cesano Maderno – Milano di 44 km a cronometro

[Immagine: 19a_tappa_79.gif]

https://www.youtube.com/watch?v=OCqG_DTrypc

[Immagine: EZzfFjqXkAAMfVr?format=jpg&name=small]
Ordine d’arrivo:
1° Giuseppe Saronni (Ita) km 44 in 52'59" alla media di 49,811 kmh
2° Roberto Visentini (Ita) a 15"
3° Francesco Moser (Ita) a 21"
4° Gregor Braun (Ger) a 40"
5° Bernt Johansson (Swe) a 1'06"
6° Michel Laurent (Fra) a 1'17"
7° Roy Schuiten (Ned) a 1'34"
8° Silvano Contini (Ita) a 1'40"
9° Mario Beccia (Ita) a 2'17"
10° Fausto Bertoglio (Ita) a 2'21"

Sul vincitore di tappa e del Giro:

Giuseppe Saronni

Un talento precoce e orizzontale (la sua dimensione internazionale si vide su pista, dove eccelleva nella velocità, prima che sulla strada), potremmo dire prodigio. Nel suo palmares giovanile 127 affermazioni con titoli e azzurro, ed una tangibilità che spinse ad aprire un caso: il passaggio al professionismo anticipato sull'età minima. Giuseppe, infatti, fece il salto a 19 anni e mezzo, dimostrandosi subito un vincente. Nella stagione d'esordio, il 1977, colse qualcosa come 9 vittorie: esattamente il Trofeo Pantalica, il Giro di Sicilia ed una tappa dello stesso, la Tre Valli Varesine, il Giro del Veneto, il Giro del Friuli e tre circuiti. Di queste nove vittorie, ben sette furono raggiunte prima del compimento dei 20 anni. Solo il belga Frank Vandenbroucke, nel ciclismo moderno, può reggere il confronto in quanto a tangibilità prima dei vent'anni. Il crescendo di Saronni, continuò imperioso nel '78 e nel '79 vinse il suo primo Giro d'Italia. Nel 1980, con la vittoria nella Freccia Vallone, dove staccò di ruota Bernard Hinault, mise in saccoccia la sua prima grande classica. 
I massimi livelli di rendimento li raggiunse nei 14 mesi che vanno dal febbraio '82 al giugno '83. In questo favoloso periodo centrò una splendida collana di grandi successi. In ordine di tempo: Giro della Sardegna, Milano-Torino, Tirreno-Adriatico, Giro del Trentino, Giro della Svizzera, Coppa Agostoni, Campionato Mondiale a Goodwood con la celebre fucilata finale che resterà perenne nella storia, il Giro di Lombardia e, quindi, nella nuova stagione la Sassari-Cagliari, la Milano-Sanremo e il suo secondo Giro d'Italia! 
[Immagine: saronni.jpg]

A quel punto però, la sua macchina cominciò a dare segni di tosse: per il resto dell'83 solo vittorie in circuito e, nella stagione successiva, addirittura solo i successi in due tappe del Giro di Norvegia. Si riprese nel 1985, dove vinse un paio di tappe al Giro, ma per il resto delle nove vittorie dell'anno furono i circuiti a sorridergli maggiormente. Andò meglio nel 1986, dove raccolse sette successi, giunse secondo al Giro (dietro a Visentini, ma davanti a Moser) e chiuse l'anno col terzo posto al mondiale di Colorado Springs vinto da Argentin su Mottet. La stagione '87 confermò il suo calo e le rimanenti tre che passò nel ciclismo non segnarino nessuna inversione. Un tramonto dunque repentino, ed è stucchevole pensare, che ben 170 delle sue 195 vittorie di carriera, furono colte prima del compimento dei 26 anni. Sulla sua ellisse sarebbero tante le riflessioni da compiere, ma non è il momento.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#37
Su Saronni è presente un errore: non mi sono accorto di aver copia incollato quanto scrissi tanto tempo fa, senza gli opportuni aggiornamenti. 
La frase “sbagliata” è questa:
“Solo il belga Frank Vandenbroucke, nel ciclismo moderno, può reggere il confronto in quanto a tangibilità prima dei vent'anni”, (a cui aggiungere, al fine di correggere) mentre un altro belga, l’attualissimo Remco Evenepoel, ha abbondantemente superato entrambi. Val la pena comunque di ricordare che ai primordi della fase moderna del pedale (inizio anni ’60), ancora un belga fu capace, a diciannove anni, di vincere una gran classica come la Parigi-Tours, nonché il G.P. d’Orchies ed il Tour du Brabant, Jozef  “Jos” Wouters. 

Mi scuso.
 
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