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Storia e gloria del grande ciclismo prima della seconda guerra mondiale
#21
La corsa (Firenze-Pistoia) ebbe luogo una settimana dopo, il 2 febbraio, e fu un enorme successo. Ecco un altro commento de “La Nazione”, proprio di quel giorno: “Quest'oggi stesso avrà luogo la gara dei velocipedi nella corsa già annunciata fra Firenze e Pistoia. Gli iscritti raggiungono quasi il numero di 40, e perché l'insolita prova non sia turbata per via, alcuni dragoni a cavallo perlustreranno il terreno della corsa. La partenza è fissata per le 8 anti-meridiane dal Ponte alle Mosse”.
La gara fu vinta dal giovane americano di origine olandese Rynner Van Hest, un giramondo che amava tanto la Toscana,  che fece una corsa solitaria fin dalle prime battute. Coprì i trentatré chilometri del percorso in due ore e dodici minuti, facendo registrare una media di 15kmh. Alle sue spalle giunsero i  francesi Auguste Charles e il barone Alessandro De Sariette, distanziati rispettivamente di tre e quattro minuti, indi il pisano contemporaneamente ottimo ginnasta, Edoardo Ancillotti, a dieci minuti. In quinta posizione finì proprio il presidente del “Veloce Club Fiorentino”, Gustavo Langlade.
[Immagine: rynner-van-heste.jpg?w=326&h=384]
Rynner Van Hest

I primi quattro classificati, furono premiati con una medaglia d’oro ed un revolver al primo; una medaglia d’argento dorato e un oggetto artistico in bronzo al secondo; una medaglia di argento ed un oggetto d’arte al terzo; un medaglione di bronzo al quarto. Per tutti gli altri sedici che riuscirono a giungere a Pistoia nel tempo massimo di cinque ore, fu consegnata una medaglia di bronzo commemorativa. L’eco della manifestazione fu notevole e quello italiano, fu uno dei pochissimi casi internazionali, dove una prova su strada, anticipò la pratica della pista. Già, perché le prove di Padova del 25 e 26 luglio 1869, si svolsero sulla Piazza Vittorio Emanuele, gare dunque di poche centinaia di metri, in una morfologia ibrida, non da strada e nemmeno da pista. Ed all’uopo, sia gli echi padovani che quelli della Firenze-Pistoia, furono decisivi per trasformare, due anni dopo la corsa vinta da Van Hest, la piazza di Santa Maria Novella di Firenze, in un anello per le prime prove fiorentine su pista. Approfittando della morfologia della stessa piazza che consentiva pure un’ideale osservazione per lo stesso pubblico, il 4 febbraio 1872, si tennero le prime gare di velocità ed inseguimento a carattere nazionale. In queste prove si distinsero Giuliani e Isolani di Firenze, nonché il pisano Ancillotti, già protagonista sulla strada della Firenze Pistoia.

Maurizio Ricci detto Morris

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#22
Grazie Morris, ne sai veramente tanto di ciclismo, insieme a paglia sei davvero il migliore, un grazie anche per i tuoi racconti, mi aiuta anche per me crescere in ambito di cultura ciclistica .
 
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#23
Milano-Torino 1876, la prima classica d’Italia

Sempre nel 1870, a Milano, esattamente il 17 marzo, nacque il Veloce Club. A muovere i tasti per la sua nascita una parte in vista della città, che richiamava oltre allo sport, il mondo culturale e quello economico. L’interesse verso il mezzo spinto dalle gambe dell’uomo, stava progressivamente incidendo. Alla presidenza del neonato sodalizio, fu eletto un personaggio molto conosciuto come l’ingegner Angelo Genolini, mentre il dottor Mauro Sormanni, fu incaricato di svolgere il ruolo di segretario. Il Veloce Club,  alla propaganda verso il velocipede, aggiunse l’anno seguente l’organizzazione di manifestazioni di carattere nazionale. Nel 1871, infatti, fu proposto il Giro dei Bastioni Milanesi, di 11 chilometri che fu vinto da Giovanni Pasta, che, in seguito, diventerà uno dei primi corridori di livello internazionale. Il Giro si svolse l’8 gennaio, ed il tempo di Pasta per percorrere la distanza, fu di 37 minuti per una media che sfiorava i 18 chilometri l’ora. Successivamente il Veloce Club organizzò la Milano-Novara, di 46 chilometri, che fu vinta dal nobile Giuseppe Bagatti Valsecchi. Nel 1876, l’opera del sodalizio, fu di natura storica per il ciclismo italiano, in quanto, oltre alla distanza, l’importanza dei punti di partenza e d’arrivo, si giunse a mettere fondamenta a quella che è ancora oggi la più vecchia classica del pedale nazionale: la Milano-Torino.
La corsa fu preparata assai, ma la distanza così impegnativa, 150 chilometri, spaventò tanti velocipedisti possibili. Alla partenza, alle quattro del mattino, per poter far giungere ancora con la luce del pomeriggio i velocipedisti a Torino, furono solo in otto, di cui la metà erano associati al Veloce Club di Milano. Ciò non allontanò, nonostante fosse un giovedì, una buona folla di curiosi. Gli otto valenti pedalatori andarono incontro ad un‘avventura che, lungo il percorso, li dimezzò. Anche perché, per le prime tre ore di corsa, i velocipedisti furono avvolti da una fitta pioggia. Alla fine, a vincere sul traguardo di Corso Giulio Cesare di Torino, dove ad attendere questi valorosi c’erano diecimila persone, fu uno studente di ingegneria di Milano, socio del sodalizio organizzatore: Paolo Magretti. Egli non va confuso con l’omonimo, celebre naturalista ed entomologo, al quale sono intitolate vie e piazze e col quale tanti almanacchi portano coincidenti dati di nascita e morte, perché non si trattava della stessa persona, anche se è presumibile che i due fossero quasi coetanei. Del Magretti velocipedista, si sa solo che era, appunto, uno studente di ingegneria, ma non si conoscono date di nascita e morte. Quelle che si trovano, sono dell’entomologo. Comunque, il Paolo che spingeva i pedali, giunse a Torino in 10 ore e 9 minuti, percorrendo i 150 chilometri alla media di 14,778 kmh. Lasciò un altro socio del club milanese, Carlo Ricci Gariboldi a 1 ora e 15’, il comasco Bartolomeo Balbiani a 1h e 21’, ed il napoletano divenuto milanese, Luigi Greco, a 1 ora e 27’. Sulla lunghezza e, quindi, sulla media di quella Milano Torino, non ci sono però certezze. I quattro protagonisti, tornando in buona salute a Milano il giorno dopo, frenarono le critiche che s’erano mosse sulla lunghezza della prova e ciò favorì la cementazione delle corse su strada, anche su lunghe distanze.

Maurizio Ricci detto Morris

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#24
L’affermazione della bicicletta e l’avvio delle grandi corse

La crescita delle gare sul velocipede, divenne notevole nella seconda parte degli anni ‘870. In Svizzera, nel 1879, nacque una corsa che era destinata, pur con qualche segmento vuoto, a giungere fino al nuovo millennio: il Giro del Lago di Lemano. In Francia, Belgio e Germania erano parecchie la gare da città a città, tutte però, contenute su percorsi dai 75 ai 140 km. In America, le corse su strada erano vietate, ma stava nascendo un’attività su pista che sarà intensissima e per tanti aspetti unica, fino al secondo conflitto mondiale. In Gran Bretagna, le gare, già particolari, più votate alla singola performance, come del resto l’intera storia di quel ciclismo, trovarono esaltazione nella ricerca dei record individuali e fu così che, nel 1886, l'inglese Mills, percorse la distanza da Land's End a John Greats e ritorno, per complessivi 1400 chilometri, in 121h45', ad una media di 11,5 kmh. La vita del biciclo era però destinata a finire: intorno al 1885 erano comparse le prime biciclette, aventi ruote uguali e la trasmissione a catena. Erano nati i primi conflitti tra "biciclisti" e "ciclisti", con questi ultimi che in più d'una occasione chiesero di confrontarsi coi bi ciclisti. Quando poi queste sfide vennero realmente disputate, il vecchio velocipede fu costretto a soccombere, tranne rarissime eccezioni, dovute essenzialmente al valore di chi pedalava. Nel 1888 poi, con l'invenzione delle gomme pneumatiche, che sostituivano le pesanti gomme piene, la bicicletta si presentò come un mezzo ideale di trasporto, di svago e da competizione, ed i bicicli passarono ai musei, anche se furono organizzate gare a loro riservate fino al 1895. La manifestazione sulla bicicletta, che segnò definitivamente il sorpasso del nuovo mezzo sul velocipede e l’ingresso nelle attenzioni più larghe del ciclismo su strada, in direzione del distinguo citato agli inizi del capitolo, ci porta nella città di Bordeaux, l’anno era il 1891, ed i protagonisti furono il Velo Club del capoluogo girondino, ed il periodico Veloce Sport, fondato nella medesima località, nel 1885. L’idea che mosse e che concretizzarono questi sportivi, fu quella d’organizzare una corsa da Bordeaux a Parigi, lunga 572 chilometri. Sembrava follia, invece, alla pratica attuazione, la corsa fu contrassegnata da un tale successo, che ad essa deve essere riconosciuto gran parte del merito dell’affermazione del ciclismo su strada. Ventotto corridori, ventitre francesi e cinque inglesi, si allinearono alla partenza, data alle 5 del 23 maggio 1891. Gli inglesi, che non erano dei dilettanti, ma professionisti a tutto tondo, anche se non ancora con lo status contemplante, sfruttando un’organizzazione accuratamente predisposta, dominarono apertamente, ed il ventiquattrenne Georges Pilkington Mills, impiegando 26h31’57", fu così il vincitore della prima grande prova su strada del ciclismo mondiale, disputata con biciclette.
[Immagine: D%C3%A9part_de_Bordeaux-Paris_1891%2C_de...C3%A9e.jpg]
Bordeaux - 23 maggio 1891: la partenza della Bordeaux-Parigi


Il 6 settembre del medesimo 1891, su un’idea di Pierre Giffard, il quotidiano "Petit Journal” di Parigi, organizzò una manifestazione ancor più mastodontica, la Parigi-Brest-Parigi, di 1200 chilometri senza soluzione di continuità. L’annuncio di questa gara suscitò un tale interesse che, in breve, gli iscritti raggiunsero la quota record di 575, anche se poi gli effettivi partenti, furono 205. Comunque sempre un numero impensabile. Dopo l’esperienza della Bordeaux-Parigi, la nascente industria del ciclo rivolse tutte le sue attenzioni alla nuova grande corsa, aiutando senza esitazioni i corridori ritenuti in grado di vincere. Anche gli industriali della gomma si dettero da fare. Edouard Michelin, per indurre l’asso Charles Terront, ad adottare la sua nuova gomma smontabile, dovette ricorrere ad atteggiamenti di vario genere, ma la sua lunga, e non sempre ortodossa opera di persuasione, fu coronata da successo, perché il vincitore della gara fu proprio Terront. Il tempo impiegato da questo autentico fenomeno di resistenza, fu di 71 ore e 22 minuti, ad una media di 16,012 kmh. In questo tempo, era compreso anche quello che dedicò al sonno. Qualche pisolino, l’estroso Terront, poté davvero farlo con relativa tranquillità, perché il secondo classificato, il connazionale Jiel Laval, arrivò al traguardo con otto ore di ritardo. Il tempo massimo fu stabilito in dieci giorni, ed i corridori che terminarono la corsa, furono 99. Fin da allora però, fu deciso che la Parigi-Brest-Parigi, dovesse avere un ritmo decennale, mentre per la Bordeaux-Parigi, fu stabilita la cadenza annuale.
L’eco dei clamorosi successi di queste due corse, varcò lautamente i confini della Francia e le prove di fondo ebbero uno sviluppo persino incredibile. Nessun paese d'Europa sfuggì a questa tendenza, ma a dimostrazione che la bicicletta stava incidendo in tutto il mondo, si svolsero gare su lunghe distanze, anche agli antipodi. Il 12 settembre 1891, in Germania, si svolse la Lipsia-Berlino-Lipsia-Dresda-Lipsia di 500 chilometri vinta da Paul Blank. Nel 1892, in Danimarca si corse il Giro dello Jutland di 502 chilometri vinto da tal Randrup, di cui poi s’è persa ogni traccia, che concluse il percorso in 30 ore e 54 minuti. Una Gran Fondo fu corsa anche in Svizzera, avente Ginevra come località di partenza ed arrivo: su quei 410 chilometri, vinse l’elvetico Louis Francois Masi. In Francia, si svolse un’altra prova di grande resistenza, la Parigi-Marsiglia di 790 chilometri, che fu vinta dall’asso transalpino Lucien Lesna, indi si corse la Parigi-Clermont Ferrand, riservata solo a concorrenti che montavano pneumatici Michelin, che fu vinta da Henri Farman. In Belgio, nacque la Liegi-Bastogne-Liegi, ancora superclassica dei nostri tempi e giustamente definita la “Doyenne”, la “Decana”. L’Impero austro ungarico non rimase a guardare e propose la Vienna-Trieste di km 512 chilometri, vinta dal viennese Josef Sobotka. Nel 1893, nacque la Parigi-Bruxelles di km 407, vinta da Andrè Henry in 19h51': una corsa giunta ai nostri giorni, che pur con tratti di vuoto, ha avuto punte di interesse ed attenzioni da classicissima. Sorse poi la Vienna-Berlino di km 585, vinta dal tedesco che sfidava i cavalli Josef Fischer, un corridore leggendario per il suo paese, la Germania, e non solo. Tutte queste corse, esclusa la Liegi Bastogne Liegi, si disputarono con allenatori in bicicletta.
Anche nel 1894 la Francia continuò a partorire manifestazioni ciclistiche su lunghissime distanze, trascinando il movimento ciclistico mondiale. Nacquero: la Parigi-Spa di 405, vinta da Auguste Stephane, il cui vero nome era Etienne Auguste; la Parigi-Dinant di 320 km, che si aggiudicò André Henry; la Parigi-Besancon di 410 km, che fu vinta da un diciottenne che poi diventerà leggenda nelle prove dietro motori, Paul Guignard; la terribile Lione-Parigi-Lione di 1040 km, che fu vinta da Gaston Rivierre; la  Parigi-St. Malo di 440 km, che andò a Lucien Lesna. In Svizzera, si corse la Basilea-Cleve di 620 chilometri, che fu di Friedrich Opel; con organizzazione tedesca si corse la Milano-Monaco di Baviera di 600 chilometri, che finì nel palmares di Josef Fischer.
L’Inghilterra e gli Stati Uniti, intanto, continuarono il loro “particolare” rapporto con le gare su strada, proponendosi come vertici di quelle su pista, comprese le prove di resistenza sugli anelli. A New York, nel 1891, si disputò una Sei Giorni che contemplava 18 ore di gara a giorno, che fu vinta da Bill Martin, detto “Plugger”, il quale, nelle 108 ore di corsa effettiva, percorse ben 2359 km. Nel 1892, un'altra Sei Giorni fu vinta da Charlie Ashinger, con 2450 km percorsi. Molte le prove di 24 ore in Gran Bretagna. Di nota quella di Londra nel 1895, quando John Shotfield percorse 610 chilometri. Anche a New York, nel medesimo anno, si tenne una gara della stessa morfologia, ed in essa “Plugger”, percorse nelle 24 ore, 564 km. Le corse di lunghissima durata su pista, non lasciarono indifferente la Francia, che, sul Velodromo Buffalo di Parigi prima, e quello di Roubaix poi, propose autentiche “pazzie”, ovvero sfide sui 1000 chilometri, le 72 e le 100 ore senza soluzione di continuità, che videro il già citato Charles Terront e il connazionale Jean Marie Corre, sfidarsi a colpi di incredibili episodi. Terront vinse una sfida, percorrendo 1000 km in 41h58’. 
Sempre la Francia, intanto, anche su strada continuava a sfornare nuove corse, come la Parigi-Royan nel 1895, vinta dal danese Charles Meyer, che già si era imposto all’inizio della stagione, nella Bordeaux-Parigi. Ma il 1895 fu un anno importante, perché un paese, che poi diverrà pilastro nel ciclismo come la Spagna, organizzò la sua prima grandissima corsa di resistenza su strada, la San Sebastian-Madrid di 585 chilometri, vinta da Orencio Pedros. E poi, sempre in quell’anno, altri due momenti importanti che ci portano a dire, oggi, quanto sia assurda la pretesa, operata dall’attuale e recente gestione dell’UCI, di aver dato luogo alla mondializzazione del ciclismo. Si corse in Russia la San Pietroburgo-Mosca di 700 chilometri, ed in Australia ebbe inizio la lunga avventura della Melbourne-Warrnambool, addirittura con due edizioni nello stesso anno: la prima gara fu vinta da Andrew Calder e la seconda da W. Nicol. Giova inoltre ricordare che, per quanto non classica di rango internazionale, la Melbourne-Warrnambool, che si corre ancora oggi, è la seconda corsa più anziana della storia, che non ha subito segmenti d’interruzione, dopo la “Doyenne” Liegi-Bastogne-Liegi. Inoltre, non si può certo dire che il ciclismo della terra dei canguri, sia giunto solo recentemente alla ribalta, visto che, alla luce dell’odierno, dopo la seconda corsa su strada per anzianità costante, vanta la più vecchia corsa su pista, nata nel 1887: la “Race Wheel Austral”. Una manifestazione che si svolge ancora oggi a Melbourne. Va altresì considerato, che nel periodo preso in esame in questo spezzone, ovvero l’ultima decade del 1800, in Australia un giornale come “The Sydney Mail”, trattava il ciclismo con spazi notevolissimi, ed era aggiornatissimo su ciò che la giovane disciplina sportiva svolgeva in Europa. 
Altre corse che si svolsero in Francia prima della fine del secolo, ma vennero rapidamente abbandonate, furono la Marsiglia-Nizza, la Parigi-Trouxille, la Parigi-Cobourg, la Tolosa-Agen e la Parigi-Dieppe che, però, si trasformò ben presto in una classica per dilettanti, capace di abbracciare tante generazioni. Ma le vere grandi corse sorte in quella decade in terra transalpina, che hanno ancora vita e che sono da considerare dei monumenti di questo sport, furono soprattutto la Parigi-Roubaix, sorta nel 1896 come prova di preparazione della Bordeaux-Parigi e poi divenuta classicissima, anzi, probabilmente, è da considerarsi la più grande di tutte, nonché la Parigi-Tours, nata anch’essa nel 1896, la quale, dopo una tortuosa storia, è riuscita a crearsi un solco ben vivo ancora oggi. E l’Italia?
Nel nostro paese, nel periodo d’avvento della bicicletta, le corse, non molto numerose per la verità, si svolsero su percorsi brevi fino al 1892. In quel segmento, si disputarono la Brescia-Cremona-Brescia di 104 chilometri, che ebbe vincitore Giuseppe Moreschi, la Novi-Serravalle-Novi, la Fi-renze-Montecatini, la Pavia-Lodi-Milano. Poi, nel 1894, arrivò l’adesione alla tendenza che si stava diffondendo dopo la nascita della Bordeaux-Parigi e della Parigi-Brest-Parigi, con la proposta della Gran Fondo-La Seicento chilometri, che sarà la prima corsa zoomata per intero, in questa rassegna. Tra il 1892 e la nascita delle corse italiane che poi diverranno classiche, fu riproposta, il 29 giugno 1893, una Milano-Torino che, però, aveva poco in comune con la precedente di 17 anni prima, corsa coi velocipedi. Si trattava infatti di una Torino-Milano, riservata ai corridori che non avessero mai vinto premi nelle gare disputate nei tre anni precedenti. Naturalmente, si corse con la bicicletta, o bicicletto, come ancora taluni chiamavano il nuovo mezzo. Su 255 partenti, si impose Luigi Airaldi. Costui, si costruì poi un ottimo palmares, vincendo altre prove italiane del periodo, come la Milano-Salsomaggiore del 1894 (2° Paolo Cominelli), la Firenze-Montevarchi 1894, Firenze-Bocca d'Arno 1895 e Firenze-Montevarchi 1896. Altre corse d’Italia nell’epoca: la Milano-Milano (1° Ernesto Costa; 2° Romolo Buni); la Firenze-Viareggio (1° Luigi Colombo; 2° Paolo Cominelli) e la Milano-Cremona-Brescia-Milano (1° Paolo Cominelli; 2° Massimiliano Porta). 

Maurizio Ricci detto Morris

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#25
Torino - Milano 1893

Un evento grandioso. Per quei tempi poi, davvero indimenticabile. Dalle 7 di mattina alle 22 di sera di mercoledì 28 giugno, gli operatori del Veloce Club torinese, lavorarono alacremente presso la sede sociale nel Parco del Valentino per le operazioni di verifica, di peso delle biciclette, ed apposizione dei piombi alle stesse, qualora non arrivassero ai 18 chilogrammi stabiliti. Operazioni che si svolsero correttamente, grazie a tanti giovani che, fra curiosità e spirito sociale, inorgoglirono non poco gli attenti occhi del presidente dell’Unione Velocipedistica Italiana, nonché presidente del Veloce-Club torinese, Avvocato Agostino Biglione di Viarigi, del presidente della Società Velocipedistica di Torino, signor Mario Piacenza e del presidente del Biciclettisti-Club, Avvocato Gatti-Goria. Le operazioni di punzonatura furono altresì complicate e laboriose, sia per il numero dei partecipanti, che raddoppiò le più ottimistiche previsioni, ben 333 e, di questi, 255 si presentarono, sia per l’ora d’arrivo dei concorrenti, che si consumò lungo l’arco dell’intera giornata (allora non c’erano ammiraglie e direttori sportivi…). Inoltre, accanto ad ogni nome e cognome dei concorrenti, venne registrato il numero di produzione delle loro rispettive biciclette. Ogni punzonante estraeva da un cesto di vimini il numero che avrebbe portato in gara, numero che poi riceveva applicato su una fascia di tela da cingersi al braccio destro. Alla corsa erano iscritte anche cinque donne, ma non si presentarono alla punzonatura. Prima del “via”, era giunta la notizia che un reggimento d'artiglieria, dovendo lasciare Novara per spostarsi a Vercelli, avrebbe potuto incrociare la strada dei corridori, causando ritardi e blocchi che avrebbero potuto falsare la corsa. Ma l’interessamento dei dirigenti sul comando, trovò piena soddisfazione ed il reggimento si spostò tre ore prima del previsto, lasciando così campo libero alla ormai partente Torino-Milano. Nel frattempo, mentre il villaggio di punzonatura si stava ulteriormente gonfiando di appassionati, si registrarono un paio di fatti che portarono ulteriore interesse alla corsa. Il signor Stucchi, della Ditta Prinetti e Stucchi, destinò in premio una fiammante bicicletta della casa, per chi fosse giunto primo a Milano su una “macchina” (altro termine usato a lungo in alternativa a bicicletta) di fabbricazione e con marca Prinetti e Stucchi. Inoltre, Federico Johnson, eminente industriale milanese nonché sportivissimo, sia per pratica che per passione, sfidò un altrettanto nobile assai in vista ed assai sportivo, della medesima città: Giuseppe Bagatti Valsecchi. Fra i due, il perdente, avrebbe dovuto versare al vincente, la somma di 1000 lire (circa 4000 euro odierni). I due personaggi erano associati al Veloce Club Milano, sodalizio che sosteneva la Torino-Milano, per la parte riguardante l’arrivo. Insomma due note in più, per rendere la corsa maggiormente interessante. Tanti gli ispettori ed i controllori lungo il percorso, così come tanti gli assistenti all’itinerario di gara, dotati di apposite bandiere gialle e azzurre.
La partenza offrì uno spettacolo originale e pittoresco e si consumò fra ali di folla, nonostante l’orario nel cuore della notte. Non erano ancora le tre del mattino di giovedì 29 giugno, allora giorno festivo dei Santi Apostoli Pietro e Paolo (festività abolita nel 1977), quando i primi velocipedisti (il termine “ciclisti” s’affermò solo nel nuovo secolo), giunsero sull'ampio piazzale della Barriera per Milano. Mezzora dopo, si poté capire quanto Torino sentisse l’evento: alla folla piena zeppa tra l’altro di signore e signorine, fece eco un numero notevole di guardie municipali, seguite dal comandante Cavalier Ferrari, ed un numero di vetture ancora perlopiù sperimentali e di fabbricazione straniera (la Fiat nascerà oltre un lustro dopo), davvero inaspettato. A coordinare le operazioni, l’assessore Tacconis, in prima persona. Insomma un evento nel vero senso della parola, per la Città e che coprì appieno gli scopi del “Corriere della Sera”, il giornale che patrocinava la cor-sa. Il via, che scattò alle 4,10 del mattino, secondo griglie preparate in base ai numeri, fu salutato da colpi di mortaio.

La cronaca di quella corsa, non ci è dato conoscere nei dettagli, anche perché a quei tempi il seguito era quello che era, ed i corridori stessi, erano privi di qualsiasi cognizione tattica. Praticamente tutti correvano insieme la loro cronometro e la selezione, anche per lo stato delle strade, sorgeva più dalla parte posteriore del gruppo, piuttosto che da quella anteriore. Di grande rilievo, invece, la media che apparve sin dalle zone di rilevamento, ben oltre i limiti più ottimistici. Altro aspetto che favorì non poco l’alone propagandistico della prova, la constatazione che sui 154 chilometri del percorso, non si erano riscontrati incidenti di particolare rilevanza fra i concorrenti, o su chi si trovava ad osservare i loro furori agonistici. Una grande folla, non meno di diecimila persone, aspettò l’arrivo dei corridori a Porta Magenta, dove gli operatori del Veloce Club Milano, avevano predisposto il traguardo. Un pubblico che andò progressivamente ad aumentare, proprio perché i più pensavano ad una velocità assai meno sostenuta da parte di quel folto gruppo di uomini sulle biciclette. Fatto sta, che alle 9,25 del mattino, dopo cinque ore ed un quarto esatte dalla partenza da Torino, arrivò in perfetta solitudine il vincitore, Luigi Airaldi, un simpatico milanese di venti anni, della Società Velocipedistica. Un tipo tarchiato, robusto, sugli ottanta chili, dalla carnagione olivastra che rendeva meno evidenti i baffoni neri. Araldi, sulla bici inglese Raleigh, aveva percorso la distanza, ad una media di poco superiore ai 29 kmh. Il doppio della velocità stabilita col velocipede da Paolo Magretti, 17 anni prima. Secondo fu Giacomo Capella, pavese, arrivato 15’ dopo. Terzo finì Luigi Musetti, che giunse alle 9,44. Gli arrivi proseguirono fino alle 14 circa, ed a concludere la prova nelle 10 ore, furono in 170 dei 255 partiti. Fu un trionfo della bicicletta. A testimonianza del valore dell’evento, il contorno sul traguardo. Gli arrivati, coperti d’applausi, poterono usufruire di quanto era necessario per rinfrescarsi, ripulirsi, lavarsi. L'Isola Europa, fuori Porta Magenta, presentò, fin dalle prime ore del  mattino un aspetto animatissimo per i tanti operatori che avevano reso la zona un insieme di servizi e di colore. Il fabbricato catalizzatore delle operazioni, di ampia metratura, sul quale fu posto un grande stendardo giallo incorniciato di blu, portante la scritta “Arrivo” e contornato di bandiere giallo-blu alle finestre, nonché l’ampia area adiacente, poterono garantire tutto il disbrigo possibile, alle operazioni di controllo post gara. Un salone del palazzo fu destinato alla Giuria, un altro alla Stampa e un altro ancora agli atleti. Un quarto salone, fu riservato alle premiazioni più sostanziose, ovvero alla prosecuzione della passerella svolta nel piazzale, ove era stato coinvolto quel festoso pubblico che restò in Isola Europa anche per gran parte del pomeriggio. Insomma, un qualcosa di moderno, quasi fosse proveniente da un viaggio nel futuro, ma s’era solo nel 1893, all’alba del ciclismo. Infine, per la curiosità di chi legge, la scommessa fra Federico Johnson e Giuseppe Bagatti Valsecchi, fu vinta dal primo con ampio margine, mentre la fiammante Stucchi, messa in palio dal titolare della ditta produttrice delle “macchine” Prinetti-Stucchi, per il primo giunto al traguardo su quei mezzi, fu vinta dall’Avvocato Felice Pizzagalli, quinto arrivato.
[Immagine: 13972155465133LuigiAiraldi-1894-Italie.jpg]
Luigi Araldi

Ordine d’arrivo:
1° Luigi Araldi (Società Velocipedistica Milano) km 154 in 5h15’ alla media di 29,300 kmh; 2° Giacomo Capella (Veloce Club Pavia) a 15’; 3° Luigi Musetti (Società Velocipedistica Milano) a 19’; 4° Giovanni Battista Capietti (Veloce Club Milano) a 25’; 5° Felice Pizzagalli (Veloce Club Milano) a 30’; 6° Vittorio Salvaneschi a 31’; 7° Ernesto Cotti a 38’; 8° Mario Mazzocotelli a 39’; 9° Luigi Guscetti a 42’;10° Ernesto Gilardi a 49’; 11° Humber Caminada a 51’; 12° Giuseppe Bazzani a 52’; 13° Bonacina Bianchi a 52’30”; 14° Valentino Corsi a 55’; 15° Felice Bonetti a 56’; 16° Giovanni Bruschi a 1h; 17° Aristide Molinari a 1h10’; 18° Pietro Rotia a 1h10’; 19° Giuseppe Ferrando a 1h12’; 20° Nicola Parodi a 1h13’; 21° Giovanni Mutti a 1h14’; 22° Giulio Alberti a 1h15’; 23° Costante Panigatti; 24° Guerrino Felice; 25° Giovanni Omboni; 26° Edmondo Tachaus; 27° Teodoro Persico; 28° Fedele Doglia a 1h19. Seguono altri 122 ciclisti con distacchi maggiori.

Maurizio Ricci detto Morris

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L’arrivo del Ciclismo e le sue corse….. più dimenticate

Le risultanze della Torino-Milano in termini di velocità e di partecipazione, segnarono anche in Italia la definitiva scomparsa dalle attenzioni ciclistiche del velocipede, le cui ultime corse, assai marginali, segnarono la data, come detto, del 1895. Il nostro Paese, si stava proponendo sempre meglio sul panorama internazionale, completando il valore di un movimento notevole su pista, con la crescente e sempre più convinta variabile su strada, sia come teatro ideale di resistenza, sia per il lancio più generale della bicicletta anche come mezzo di locomozione e trasporto, e sia per l’esaltazione di valori agonistici, fino a quel momento riservati solo alle manifestazioni sugli anelli. Nel 1894 poi, fu raccolta anche da noi, l’onda  internazionale che circolava sulle prove di grande resistenza: in quell’anno infatti, nacque la Granfondo d’Italia, poi presto definita anche “La Seicento”, che sarà la prima prova interamente approfondita in quest’opera. Nel 1896 fu riproposta la Milano-Torino, stavolta con traguardo in Piemonte: una gara per liberi, non classificati, professionisti e dilettanti, passata inosservata forse perché vissuta come manifestazione estemporanea del nuovo mezzo a pedali, in una Italia che stava vivendo gli echi pesanti della disfatta di Adua e della Guerra di Abissinia. Vinse quella corsa Giovanni Moro, poi letteralmente scomparso dall’alveo ciclistico, che percorse la distanza di 150 km in 4h33’, ad una media di quasi 33 kmh, per quei tempi considerata sbalorditiva. Nel 1897, fu istituita una gara per dilettanti denominata Coppa del Re, vinta dal milanese Mario Ciceri, davanti a Numa Cisotti e Gustavo Beccaria. Solo quest’ultimo, poi, riuscì a determinarsi professionista con l’arrivo del nuovo secolo. Questa Coppa, sempre riservata ai dilettanti, ebbe un periodo assai lungo di splendore, ma poi, anche a causa degli eventi politici, andò via via decadendo, fino a disperdersi nel grigiore della dimenticanza. È pur vero che, fino al 1910, la promiscuità delle prove fra professionisti e dilettanti, era un dato costante e non deve ingannare il lettore o ricercatore che sia, il fatto di vedere nell’albo d’oro, nomi poi ritrovati in grandi prove contemporanee alla Coppa del Re, definite per professionisti. 
Col ‘900, si cementarono altre manifestazioni ciclistiche che segneranno i calendari, fino a definirsi classiche nazionali e, in taluni casi, internazionali. Al 1902, appartiene la genesi della “XX Settembre” sul percorso Roma-Napoli-Roma, che va vista antecedente la ripartenza, con continuità degna, della Milano-Torino, nel 1903. Questa bella corsa del centro-sud, fra modificazioni di tipologia e partner organizzativi, riuscì a spingersi fino agli anni ’60 del Novecento, praticamente fino a quando il ciclismo restò primo sport in Italia, con un ultimo segmento, originale ed ineguagliato per termini di continuità, dietro motoscooter. Di lì, appunto, il nome di Gran Premio Ciclomotoristico. Sempre nel ‘902 fu riproposta “La Gran Fondo” definita “Corsa Nazionale” dal 1905 al 1908 compreso. Sempre nel 1905, nacque il Giro di Lombardia, nel 1906 il Giro del Piemonte, la Milano-Modena e la Milano-Mantova. Nel 1907, la Milano-Sanremo e la prima corsa a tappe italiana: il Giro di Sicilia. Su queste manifestazioni e con l’arrivo nel 1909 del Giro d’Italia, si costruì l’ossatura del nostro ciclismo. In mezzo, altre prove che ben presto furono dimenticate e che qui, al pari di talune già citate, andrò a riportare alle memorie.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#26
[Immagine: tour-oud.jpg]

Allora rimaniamo sempre negli anni '30 e parliamo un po' di Vicente Trueba, la Pulce dei Pirenei.

Premessa: per motivi di tempo dividerò il post in due parti.

Al di là del fatto che Vicente, per via delle sue caratteristiche estreme, è parte integrante del folklore ciclistico, il suo ruolo nella storia non si limita affatto a quello di mera macchietta.

Benché il ciclismo, in Spagna, sia popolare già negli anni '10/'20, tanto che le prime Vuelte al Pais Vasco, sovente per non dire sempre, sono delle autentiche parate di stelle (di tanto in tanto non solo ciclistiche, Ernest Hemingway segue, in veste di giornalista, la prima edizione dell'Itzulia), a livello internazionale i corridori iberici non riescono a ottenere risultati di spicco.

In particolare il Tour de France, durante i suoi primi 25 anni di vita, è tabù per i pochi corridori spagnoli che provano a parteciparvi. Vicente Blanco è il primo, al Tour 1910, ma è costretto a ritirarsi. Stessa sorte, 9 anni dopo, per José Orduna, mentre Antonio Guillermo e Jaime Janier alzano bandiera bianca nel '20. Janier sarà il primo spagnolo, insieme a Victorino Otero, a concludere la Grande Boucle nel 1924. Saranno, rispettivamente, 30esimo e 42esimo.

Bisognerà, tuttavia, aspettare il finire del decennio per trovare uno spagnolo in grado di competere coi grossi calibri europei. Salvador Cardona Balbastre, valenciano di Alfahuir, nel 1928 riesce a piazzarsi 15° al Tour de France, ma è nel '29 che mette definitivamente il suo paese sulla mappa.

Cardona vince, superando in volata Victor Fontan, la prima tappa Pirenaica, 363 km da Bayonne a Bagnères-de-Luchon. 3°, a oltre 8', Maurice Dewaele, che quel Tour lo conquisterà. E' la prima vittoria spagnola alla Grande Boucle. Inoltre, il valenciano, non sazio, battaglia con i grossi calibri per tutte e tre le settimane e conclude la gara a tappe francese con un 4° posto, vetta mai toccata prima da un ciclista battente bandiera giallo-rossa.

Sono queste prestazioni che convincono Desgrange, nella stagione successiva, a invitare la selezione spagnola al primo Tour per nazionali. Cardona guida la truppa, ma tra le sue fila vi è anche un corridore estremamente minuto, un metro e cinquantaquattro per cinquanta chilogrammi, che si dice essere fortissimo in salita: Vicente Trueba.

Trueba, terzo di otto fratelli, viene da una famiglia di ciclisti. Lui e i fratelli maggiori, José e Federico, lavorano come coltivatori di patate e grazie ai soldi guadagnati riescono a comprarsi una bicicletta. José, successivamente, diventa un corridore abbastanza importante e può permettersi di comprare dei nuovi mezzi, inclusa una Favor che, poi, la futura Pulce dei Pirenei erediterà.

Vicente passa professionista nel 1926 e la prima vittoria non tarda ad arrivare. Quello stesso anno, infatti, in una giornata a dir poco torrida, conquista il Gran Premio Gorordo, nella sua Cantabria. Il fratello José prende in testa la salita de La Braguía, ma fora, e così la pulce ha l'occasione di correre per sé. Trueba scatta e nessuno, lungo quelle rampe così arcigne, riesce minimamente a contenerlo. Vince con 6 minuti di vantaggio sul secondo.

Durante quella stessa gara, a causa del caldo infernale, un corridore si sente male in salita e muore. Trueba, con grande signorilità, donerà i soldi vinti quel giorno alla famiglia del defunto, in modo che possano permettersi di organizzare il funerale.

In breve tempo Trueba diventa uno dei nomi di spicco della scena spagnola. Nel 1929 è 5° alla Volta a Catalunya, corsa più importante della sua nazione, a 18' dal vincitore Mariano Cañardo. Inoltre, in quella stessa stagione, conquista anche il Circuito Ribera Jalón. L'anno successivo, invece, si guadagna la chiamata alla Grande Boucle trionfando in ben quattro gare: il Circuito de Pascuas, il Circuito de Pamplona, il G.P. de Burgos e il Circuito de Sodupe.
 
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#27
Grande Trueba, avevo letto un po' di cose su di lui quando facemmo il torneo dei corridori diversi anni fa
 
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#28
(18-10-2018, 08:56 PM)Gerro Ha scritto: Grazie Morris, ne sai veramente tanto di ciclismo, insieme a paglia sei davvero il migliore, un grazie anche per i tuoi racconti, mi aiuta anche per me crescere in ambito di cultura ciclistica .

Scusami Gerro, non avevo visto questo tuo intervento.
Ho letto sopra che puoi scrivere dell'annunciato Giro d'Italia 1908.... Fallo, è un quadrante importante, perché oltre ad alimentare la leggenda del Giro, evidenzia grandi personaggi e spiega attraverso un protagonista in particolare, il ruolo del giornalismo nella crescita del ciclismo in questo paese, dello sport in generale e della stessa economia. In quanto ai ringraziamenti .... non li merito, perché il mio è quel dovere che m'ha animato tutta la vita, sia come divulgatore che come professionista. E se poi trovo dei giovani diversi dalla massa di mediocri, ignavi, qualunquisti o cosparsi d'anomia, che la mia stra-pessima generazione ha creato, mi sciolgo e dono tutto quel che posso donare. 
Ciao! .......e scrivi!
 
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#29
[Immagine: webvicentetrueba-kKk-U2014977218432hC-57...ntanes.jpg]

Nel 1930 Vicente Trueba partecipa al Tour, tra le fila della selezione spagnola, insieme al fratello José e a Salvador Cardona, Valeriano Riera, Francisco Cepeda, Juan Mateu, Jesus Dermit, Nicola Tubu. Cardona, in virtù del 4° posto ottenuto nella stagione precedente, è il leader della squadra, oltreché uno dei favoriti per la vittoria finale.

La Grande Boucle, tuttavia, non va come previsto, gli spagnoli sono di rado protagonisti, in classifica generale i migliori sono Cardona e Riera, rispettivamente 16° e 17°, mentre il più giovane dei Trueba arriva solo 24°. Inoltre, vi furono anche delle tensioni tra gli iberici e il direttore del Tour Desgrange. Una sera, infatti, a Perpignan, gli spagnoli notano gli italiani bere del vino e decidono di fare altrettanto, tuttavia la cosa gli sfugge di mano e finiscono per alzare un po' troppo il gomito. La bravata non passa inosservata agli occhi del vulcanico Henri, il quale, il giorno seguente, tramite la stampa, accusa pubblicamente Trueba e compagni di essere un gruppo di ubriaconi.

Scottato da quanto successo in Francia, Vicente, decide di non tornare al Tour nel 1931. Passa la stagione a correre in spagne e ottiene, tra gli altri risultati, un 2° posto nella prima storica edizione della Subida a Urkiola. A batterlo è Ricardo Montero, autentico ciclone (vincerà oltre 100 corse in carriera) nonché nemesi per eccellenza, sul suolo nazionale, della Pulce dei Pirenei.

Montero, che come Vicente proviene da una famiglia di ciclisti (il fratello Luciano è un altro tra i nomi più famosi della scena spagnola dell'epoca), a cavallo tra gli anni '20 e gli anni '30 batte innumerevoli volte Trueba. Citiamo, tra le altre corse degne di nota, oltre alla Subida a Urkiola del '31, anche la Santikutz Klasika del '30 e la Clásica de los Puertos de Guadarrama del '32.

Nel frattempo, al Tour del '31, solo Cepeda prende il via tra le fila della nazionale spagnola, mentre Cardona vi partecipa come cicloturista. Questo fa si che Desgrange decida di non invitare la Spagna all'edizione del '32 e, così, Trueba, il quale decide di tornare in Francia dopo che un ragazzo del suo paese lo accusa di essere malato di tubercolosi (all'epoca era considerato uno smacco enorme), vi prende parte come isolato.

Trueba, pur correndo da solo, è autore di una gara degna di nota, in cui ottiene anche un 5° posto di tappa nella decima frazione, che arriva a Nizza. Ma è il suo modo di correre, con la ciliegina del passaggio per primo in cima all'Aubisque, in una giornata da tregenda, nel corso della Pau - Bagnères-de-Luchon, a non passare indifferente. Trueba, con quel suo stile unico in bicicletta, che oggi definiremmo en danseuse, strega Desgrange, il quale, per l'anno seguente, decide di inserire una particolare classifica che possa premiare i corridori come Trueba, cioè coloro che passano per primi in cima alle grandi vette di Alpi e Pirenei. Nasce la classifica dei GPM.

Arriviamo, così, a quel 1933 che consegna Vicente Trueba alla storia. Prima prende parte al Giro d'Italia, l'ultimo vinto da Alfredo Binda, dove non è mai protagonista, tuttavia. Poi si ripresenta al Tour, nuovamente come cicloturista, il che voleva dire, sostanzialmente, doversi pagari vitto e alloggio e non avere l'assistenza tecnica.

Il Tour di Vicente è semplicemente magnifico. In salita è il più forte, ottiene quattro piazzamenti nei primi dieci, di cui due top-5 e un podio (a Tarbes arriva a giocarsi la tappa, ma viene battuto in volata da Jean Aerts), in classifica generale è 6° a 27'27" dal vincitore Speicher, scollina in testa sul Peyresourde, sul Vars, sul Tourmalet, sul Ballon d'Alsace, sul Brauss, sull'Aspin, sull'Aubisque e, soprattutto, sul Galibier, dove passa per primo con 11' minuti di vantaggio su Learco Guerra che poi andrà a riprenderlo e a vincere la tappa, ascesa in cui stabilisce il nuovo record di scalata.

Tanto fenomenale in salita, quanto disastroso in discesa, Trueba diventa, comunque, estremamente popolare per le sue prestazioni ed è il primo, nella storia, a vincere la classifica dei GPM della Grande Boucle, totalizzando 134 punti contro gli 81 del secondo, vale a dire Antonin Magne. Inoltre, le sue prestazioni, gli permettono di guadagnare oltre settantacinquemila pesetas.

Trueba, oltretutto, è uno dei sei corridori che arrivano dentro il tempo massimo nel corso della decima tappa, la Digne-les-Bains - Nice. Purtroppo per lui Henri Desgrange, che nel frattempo aveva coniato il soprannome Pulce dei Pirenei, decide di salvare buona parte dei corridori che avrebbero dovuto abbandonare la corsa (ripartiranno in 43). Senza questo provvedimento Trueba avrebbe vinto il Tour.

Grazie alla prova decisamente convincente di Trueba, la selezione spagnola torna al Tour de France nel '34, anche se, gli iberici, devono accontentarsi di spartire la squadra con la Svizzera (4 spagnoli e 4 svizzeri). La Pulce dei Pirenei è autore di un'altra ottima prestazione, conquista 5 top-10 di tappa, fra cui due podi, e conclude decimo in classifica generale, penalizzato anche da una cronometro di 90 km. Tra lo stupore generale, però, perde la classifica dei GPM, oltretutto abbastanza nettamente (111 a 95), per mano di René Vietto.

Nel 1935 la Spagna ha una squadra tutta per sé al Tour. Tuttavia, Trueba decide di abbandonare la gara nel corso della quinta frazione, dopo che lungo la discesa del Galibier cade e muore il connazionale cicloturista Francisco Cepeda. Sarà l'ultima partecipazione della Pulce dei Pirenei alla Grande Boucle. Nel '36, in Spagna, scoppia la guerra civile e questo costringe Vicente ad abbandonare l'attività agonistica a soli 31 anni. Proverà a riprenderà, ma non riuscirà mai a tornare il corridore visto nella prima metà degli anni '30.

A 81 anni, il 10 novembre 1986, Vicente Trueba si spegne. Ancora oggi, tuttavia, l'immagine di quell'uomo minuto che scala le montagne ballando sulla bicicletta è impressa nella storia di questo bellissimo sport. Se oggi esiste la maglia a pois (e tutti i derivati) lo dobbiamo a lui.
 
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#30
Di lui ho letto qualcosa in francese nel libro 1000 maillot de tour de France, che mi hanno regalato i miei francesi
 
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#31
[Immagine: 1485939288280.JPG]

Gaetano Belloni, Tano per gli amici, è sicuramente una delle figure più affascinanti dell'immediato post prima guerra Mondiale. Eterno secondo che, oltre alla strada, amava anche la pista, gli Stati Uniti e il biliardo. Un eclettico che raccontava di aver fatto quasi 50 traversate dell'atlantico. E non si stenta a credergli, in fondo, visto che parliamo di un atleta che seppe conquistare traguardi prestigiosi anche al di là dell'oceano. In carriera, infatti, vinse sia la sei giorni di New York che quella di Chicago.

Tano nasce a Pizzighettone, in provincia di Cremona, ma si trasferisce ben presto a Milano insieme alla sua famiglia. Non tocca una bici fino ai 20 anni, prima lavora come apprendista in una manifattura tessile e allo stesso tempo si dedica alla lotta Greco Romana.

Inizia a correre nel 1912, alternando l'attività su strada a quella sulla pista in cemento del Velodromo Sempione, ma non si trova a suo agio e in un primo momento sembra intenzionato a mollare. Sarà un medico a convincerlo a continuare, facendogli capire di essere in possesso di un fisico straordinario, perfettamente adatto all'attività del ciclista.

Rincuorato, Tano, si rende autore di un 1914 da autentico dominatore tra i dilettanti. Vince il campionato italiano di categoria, il Piccolo Lombardia e la Coppa del Re.

Durante la sua precedente attività, presso la manifattura tessile, Belloni si amputa, per errore chiaramente, pollice e indice della mano destra. Per questo motivo, nel 1915, non viene chiamato a combattere la prima guerra mondiale. Questo evento rappresenta, per lui, un trampolino di lancio enorme, dato che ha così l'occasione di continuare a correre anche durante il conflitto globale.

Sul finire di una stagione, di per sé, già ricca di successi, partecipa anche al suo primo Giro di Lombardia. Alle 7.50 del mattino del 7 novembre 1915, da Corso Sempione, prende il via l'11esima edizione della classiche delle foglie morte. Costante Girardengo è il grande favorito, ma sul Brinzio la sua pedalata non sembra particolarmente brillante e, sotto il forcing di Bertarelli e del vincitore del Giro 1914 Alfonso Calzolari, si stacca dai primi. Al contrario, Tano, ha la proverbiale gamba che scappa. Se ne va in salita insieme a Paride Ferrari, Romeo Poid e Angelo Vay, mentre, in una discesa che è teatro delle scivolate di Calzolari e Bertarelli, rientra sui battistrada lo spericolato Rinaldo Spinelli.

Spinelli, tuttavia, molla appena la strada torna a salire. Poid, invece, si ferma al rifornimento e perde le ruote degli altri uomini di testa. A Erba, in seguito, tocca a Vay alzare bandiera bianca, vittima dei crampi e di un'auto dell'organizzazione che lo investe mentre cerca di superare un gruppo di tifosi in bici che ostruivano la strada. Tano resta da solo in testa con Ferrari, i due vanno di comune accordo fino al traguardo. Paride lancia la volata appena passato il cartello che indica l'ultimo chilometro, Belloni non si fa sorprendere e nel finale lo fulmina conquistando, in questo modo, il suo primo Giro di Lombardia.

Il 1916 è un anno interlocutorio per Tano, anche perché, a causa della guerra, le occasioni per correre non sono molte. Non organizzano nemmeno la Milano - Sanremo in quella stagione. La classicissima, tuttavia, torna nel 1917 e Belloni è intenzionato a vincerla. La concorrenza, però, è di alto livello: c'è Girardengo, il quale evita la chiamata alle armi grazie al suo lavoro in fabbrica, e lo svizzero Oscar Egg, campione sia su strada che su pista.

I corridori al via della classicissima, il 15 aprile 1917, sono in tutto 48. La pioggia battezza la corsa sin dalla partenza, ma sul Turchino la situazione peggiora ed una vera e propria tormenta inizia ad abbattersi sui corridori. Tano, in questa situazione a dir poco estrema, si esalta e porta un portentoso attacco in salita che non lascia scampo a nessuno. Scollina per primo con 4'03" su Egg e 6'27" su Girardengo. Sulla successiva discesa, inoltre, lo svizzero è vittima di una crisi di freddo e viene raggiunto dal novarese.

I due continuano per un po' insieme, mentre il vantaggio dal battistrada si stabilizza intorno ai cinque minuti, poi, sui Piani d'Invrea, lo svizzero va definitivamente in crisi (si ritirerà) e molla le ruote del campionissimo. Il Libeccio, nel frattempo, continua ad infrangersi con veemenza contro i corridori. Tano prosegue noncurante della tormenta e nemmeno due forature riescono a fermarlo. Al contrario, invece, Girardengo deve dire addio ai sogni di gloria dopo essere stato bersaglio di infingarde coliche di stomaco.

Alle 19, mentre le luci dei fari delle auto squarciano l'acqua che continua a scendere impetuosa, Belloni arriva a Sanremo, accolto dagli applausi di un pubblico tanto bagnato quanto festante. Girardengo è secondo a 11'48", mentre Angelo Gremo, giunto dopo oltre 42', sale sul gradino più basso del podio.

Continua........................
 
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#32
Gran Fondo - La Seicento chilometri
 
L’avvento della bicicletta, a lungo definita pure “bicicletto”, non avvenne in maniera lineare e tranquilla nella cultura e nel costume degli italiani. Le rivoluzionarie possibilità che, al contrario del velocipede, il nuovo mezzo dava a tutti, donne comprese, portò scompiglio ad abitudini consolidate, ed il vento della “belle epoque”, in Italia, si trovò a fare i conti con un’antropologia ben diversa da quella francese. La bicicletta donava libertà, sostituiva il cavallo, era raggiungibile da tanti, ed era lontanissima dai macchinosi echi circensi del velocipede. La sua diffusione portò numeri inimmaginabili, sia nelle città che nelle campagne adiacenti, creando bisogni e reazioni. L’esigenza di consigliare i “biciclisti” sull’uso corretto del mezzo e di lanciarlo commercialmente, si scontrò con la diffidenza e l’ostracismo dei contadini e della stessa chiesa, che tardò assai a capire quanto il nuovo strumento, fosse un fattore di nuova qualità della vita della gente. Nelle campagne, i cani divennero le armi per scacciare e spesso aggredire “l’intruso” pedalatore, mentre l’organizzazione ecclesiastica, divisa fra i tanti parroci aperti e inneggianti, ed i vescovi marcatamente avversi, si pose a freno della diffusione del nuovo strumento. In questo coacervo, i giornali e, soprattutto le riviste di settore, assunsero un  ruolo educativo e di trasmissione notevole. A Milano, il 22 aprile 1894, uscì il primo numero de “La Bicicletta”, una rivista bisettimanale che ebbe un peso importantissimo nel lancio del nuovo strumento a pedali, in tutti i sensi: sia nella cultura, che nello sport. Non si trattava della prima pubblicazione  specifica. A Torino, infatti, dal 1883, usciva la bisettimanale “Rivista Velocipedistica”, ma nessun giornale fu pari a quello milanese, nella capacità di incidere con completezza, per un decisivo decennio, “sull’assorbimento” sociale ed economico del nuovo mezzo. “La Bicicletta”, i cui primi numeri si stampavano su fogli di color rosa (tinta poi ripresa dalla Gazzetta dello Sport), attraverso redattori illuminati ed orizzontali nelle visioni e negli apogei, fra i quali anche l’eminente figura di Vittorio Luigi Bertarelli, che si firmava con lo pseudonimo di “Biagio Adagio”, sviluppò campagne tese a consigliare ed educare i cittadini nell’uso dello strumento, a seguirne quelle evoluzioni che, con rapidità, stavano emergendo e a lanciarne la pubblicità, spesso gratuita, come un valore tanto etico, quanto deontologico. Fu quel giornale, con un ammirevole e poco diffuso spirito laicistico, a mettere a nudo le contraddizioni e le non certo edificanti esternazioni della chiesa, sia su valori e potenzialità della bicicletta, quanto sulle ennesime discriminazioni nei confronti delle donne.
Fu “La Bicicletta” ad assumersi la “sfacciataggine”, lecita e razionale, di pubblicizzare, a tutela degli ormai definiti ciclisti, la pistola “scacciacani” che tanta parte ha avuto nella cultura del periodo e non solo. Fu la prima ad annunciare la nascita, a novembre 1894, del Touring Club Ciclistico Italiano, associazione benemerita che, nel 1900, mutò il nome in Touring Club Italiano. Con la citata associazione, i cui meriti e valori sono conosciuti in ogni appassionato di ciclismo, la rivista si raccordò sempre. E “La Bicicletta”, fu il primo giornale, dopo l’esperienza di patrocinante svolta dal “Corriere della Sera” per la Milano Torino nel 1893, a pensare ed ideare, al fine di sostenere il nuovo mezzo, di investire sullo sport ad esso legato. L’idea della rivista si dimostrò ancora una volta originale. Non si trattava di organizzare una semplice corsa, ma di tradurre una realtà che faceva capolino e che nel mondo stava prendendo piede: il biciclo aveva scalzato il velocipede, anche e soprattutto perché alla maneggevolezza, aggiungeva la gradevolezza e la facilità atte a percorrere notevoli distanze. Quindi, era necessario predisporre una manifestazione che ne esaltasse le novità da trasportare a tutti. Il passo verso una Gran Fondo, fu dunque breve e, sul collaudato itinerario che da Milano portava a Torno, ed il ritorno nel capoluogo lombardo, “La Bicicletta”, il 20 maggio 1994, propose questa prova, lunga 540 chilometri. L’adesione fu massiccia, in considerazione dello “spavento” che poteva portare anche fra i ciclisti professionisti. Il giornale mise a disposizione un montepremi di 1500 lire, all’incirca 45000 euro odierni, in termini di valori commerciali. Un’ottima somma, dunque, che divenne un fatto coinvolgente il pubblico dei lettori, attraverso la pubblicazione del totalizzatore dei premi, che i 20 ciclisti che riuscirono ad arrivare al traguardo, avevano raggiunto. Vinse Eugenio Sauli, alla media di 20,431 kmh, un’andatura che era data per impossibile, vista la distanza.
“La Bicicletta”, coadiuvata dall’Unione Sportiva Milanese, ripropose la Gran Fondo otto anni dopo, nel 1902, sul medesimo percorso della precedente, che segnò la vittoria di un corridore che non veniva pronosticato per corse così lunghe: Enrico Brusoni. La rivista, unitamente al suo partner organizzativo, visto il crescente successo della manifestazione, la ripresentò modificata nel 1903, su un nuovo e più impegnativo percorso che raggiungeva la fatidica lunghezza di 600 chilometri. L’itinerario prevedeva la partenza da Milano indi Bologna, Ferrara, Padova e ritorno a Milano. Vinse Giovanni Rossignoli, autore di una vera impresa, conclusasi con un arrivo solitario tale, da non avere praticamente pari nella storia del ciclismo italiano, ovvero con un anticipo sul secondo di ben 4 ore e 45 minuti. L’anno seguente, con la quarta edizione della Gran Fondo, vinta nuovamente da Enrico Brusoni e stabilitasi su una lunghezza di 600 chilometri, di lì appunto la denominazione aggiuntiva della manifestazione, l’esperienza organizzativa e di promozione de “La Bicicletta” si chiuse. Gli scopi erano stati raggiunti e la rivista lasciò interamente la sua creatura all’Unione Sportiva Milanese che, col patrocinio de “La Gazzetta dello Sport”, organizzò la Corsa Nazionale su un tracciato diverso, ed assai più corto: 340 km. Con questa denominazione si giungerà al 1908 compreso. La Gran Fondo-La Seicento, ritornò nel 1912, organizzata sempre dall’Unione Sportiva Milanese, sull’ormai fatidica distanza, che si distribuiva da Milano a Modena, indi Bologna, Ferrara, Verona e ritorno a Milano. Vinse un gran nome: Luigi Ganna. L’anno successivo, sempre sui medesimi contenuti a trionfare fu un giovane destinato a divenire fulcro della storia ciclistica italiana: Costante Girardengo.
All’indomani del conflitto mondiale, il 19 agosto 1919, stavolta con base a Torino, ed organizzazione della Associazione Sportiva Torinese, fu proposta nuovamente la Gran Fondo-La Seicento, su un percorso completamente nuovo: Torino-Milano-Trento-Trieste. Sui 662 km proposti vinse Alfredo Sivocci. Ne seguì un nuovo, stavolta lunghissimo, stop. Per ritrovare la Gran Fondo bisogna salire al 1941, quando, in piena guerra, il 6 luglio, fu proposta dalla Gazzetta dello Sport su un itinerario quasi completamente lombardo, con partenza ed arrivo a Milano, una prova di 522 chilometri. Vinse il pratese Aldo Bini  Nuovo stop, ed un ultimo colpo di coda, il 9 giugno 1979, quando, sempre la Gazzetta dello Sport, per volere del grande Vincenzo Torriani, ripropose da Milano a Roma, su 670 chilometri complessivi, la Gran Fondo. La corsa, partita due giorni dopo la conclusione del Giro d’Italia, e coi campioni molto stanchi, non raccolse gli auspici. Vinse Sergio Santimaria.
 
Maurizio Ricci detto Morris
 
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#33
[Immagine: 51K7Q99CchL._SX351_BO1,204,203,200_.jpg]

Il 1917 prosegue bene per Tano, il quale, a 25 anni, con Sanremo e Lombardia in palmares, è da considerarsi di fatto uno degli esponenti di spicco del movimento italiano. Nel corso della stagione, inoltre, conquista la terza Milano - Varese consecutiva e, in coppia con Alfredo Sivocci, la prima edizione del Giro della Provincia di Milano, una corsa particolare, suddivisa in due prove, una cronocoppie e una gara in pista.

A fine stagione si ripresenta al via del Giro di Lombardia. Stavolta, alla partenza della classica delle foglie morte, non ci sono solo gli italiani, ma anche i grossi calibri stranieri, come Philippe Thys e Henri Pelissier. Tano, non ha una gran gamba, fatica già sul Brinzio, anche se, grazie all'indulgenza degli avversari, riesce a rimanere coi primi. In seguito, però, fora ai piedi dell'erta di Binago, proprio quando Thys e Pelissier iniziano a infiammare la gara. Belloni resta staccato e deve accontentarsi di chiudere al 6° posto, a 3'25" da Thys che centra il bersaglio grosso regolando, in volata, Pelissier, Leopoldo Torricelli, Luigi Lucotti e Charles Juseret.

Alla Milano - Sanremo del 1918 Girardengo si prende la sua rivincita su Tano. La corsa vive un'altra giornata da tregenda e alla partenza, causa la guerra che continua a imperversare, ci sono solo 33 atleti. Belloni parte forte e tenta di mettere tutti in difficoltà sin da subito, ma Girardengo risponde bene e va al contrattacco a 200 km dall'arrivo, staccando il rivale. Il lombardo, oltretutto, finisce presto vittima della spietata dea bendata, prima fora e poi cade. Il distacco dal campionissimo di Novi s'impenna fino a 7'30". Sul Turchino, dando fondo a tutte le sue energie, gli recupera 1'30", ma ormai è tardi e, mentre una violenta mareggiata bersaglia i corridori in quel di Alassio, Tano è costretto ad alzare bandiera bianca. Al traguardo è 2° a 13' dal vincitore.

La musica, però, cambia rapidamente nel corso della stagione per il nativo di Pizzighettone il quale, nei mesi successivi, si leva lo sfizio di vincere due classiche prestigiose come la Milano - Modena, in cui precede Lauro Bordin e il belga Alexis Michiels, e la Milano - Torino, ove si mette alle spalle l'amico Sivocci e Angelo Vay.

Il 10 Novembre 1918, alle ore 7'45" di una giornata plumbea, prende il via, da Milano, la 14esima edizione del Giro di Lombardia. Belloni è l'assoluto protagonista di giornata, attacca su tutte le salite: Brinzio, strappo di Binago, Cappelletta e Cicognola. E' chiaramente il più forte e per questo stenta a trovare collaborazione, tanto che, alla fine, non riesce a portare via un gruppetto di poche unità e deve giocarsi la corsa con ben 12 corridori. All'ultimo chilometro, dalla testa, il cremonese lancia la volata. Lo sprint è incredibilmente impetuoso, tanto che l'amico Sivoci, il quale si trova in seconda posizione, fa fatica ad affiancarlo. Poi, di tratto, un cane si infila in mezzo al plotone provocando la caduta di Lucotti e spezzando il gruppo. Nessuno, così, ha più possibilità di replicare a Belloni che conquista il secondo Giro di Lombardia della carriera.

Continua..............
 
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#34
[Immagine: cyclist-gaetano-belloni-of-italy-picture-id530798276]

Nel 1919, dopo 5 anni, torna, finalmente, il Giro d'Italia. La corsa si snoda in 10 tappe, parte da Milano, arriva fino a Napoli, e poi torna su per concludersi laddove era iniziata. Girardengo prende la testa della classifica già nella prima tappa, ove conquista il successo parziale superando, in volata, altri quattro atleti: Alfonso Calzolari, Alfredo Sivocci, Giuseppe Santhià e Giovanni Roncon. Tano arriva a oltre 11'. Il campionissimo, in seguito, serve il bis il giorno successivo, questa volta staccando tutti e giungendo in solitaria sul traguardo di Trieste, precedendo di 3'30" Calzolari, 5' Santhià, 7'10" Clemente Canepari e 9'5" un Belloni che pare in crescita.

Oscar Egg, il campione svizzero, spezza il dominio dell'omino di Novi vincendo una volata di 14 atleti a Ferrara. Il leader della classifica generale è comunque secondo, mentre Tano giunge terzo. Ezio Corlaita trionfa nella frazione più lunga del Giro, 411 km da Ferrara a Pescara, superando, in uno sprint a 2, Luigi Lucotti. Girardengo e Belloni arrivano nel primo gruppo inseguitore a 8'23". Nella Pescara - Napoli, invece, è finalmente la volta del cremonese, che conquista il suo primo successo parziale sulle strade della corsa rosa, regolando, un arrivo a tre, Girardengo e il campione belga Marcel Buysse.

Negli ultimi 5 giorni la gara diventa un monologo, Girardengo è straripante e vince sempre, Belloni deve accontentarsi di un paio di piazzamenti sul podio di tappa, nelle due frazioni conclusive, e del secondo posto in classifica generale a 51'56" dal vincitore. Terzo arriva Buysse, primo straniero sul podio del Giro d'Italia.

Tano è nuovamente secondo dietro a Girardengo anche al Lombardia. La corsa si mette subito male per il cremonese, il quale fora e subisce l'attacco dei fratelli Pélissier, intenti ad approfittare della sfortuna che ha colpito il campione uscente. Tuttavia i due, mentre sono in fuga Ottonello e Azzini, si scontrano con un tram e finiscono per terra, permettendo al grosso del gruppo di rientrare su di loro. Sul Brinzio, poi, si scatena una bufera di neve e con lei anche l'omino di Novi. Non curante del tempo da leoni, infatti, il piemontese attacca e si leva tutti di ruota. In seguito, sull'inedito Ghisallo, mentre il campionissimo, in testa, continua a guadagnare su tutti, Belloni e il fenomeno svizzero Heiri Suter staccan o il resto della compagnia.

Girardengo ha 17' di vantaggio sui due inseguitori, ma, improvvisamente, lo colpisce lo stesso problema che, 98 anni dopo, azzannerà Tom Dumoulin giù dallo Stelvio. L'omino di Novi è costretto a fermarsi e perde 4', mentre dietro, Tano, avvertito del problemi del rivale, accelera e stacca Suter. La corsa sembra potersi realmente riaprire quando Costante scende dalla bici una seconda volta, ma, alla fine, il campionissimo riesce a ripartire e giunge al traguardo con 8' di vantaggio sul cremonese.

Il 1920 è l'anno d'oro di Tano Belloni. La stagione inizia con la solita Milano - Sanremo, corsa, quest'anno, movimentata sin dall'inizio. Il favorito Girardengo, infatti, fora e immediatamente partono gli attacchi. Ben presto, in testa, si forma un gruppetto composto da Alavoine, Luguet, Henri Pélissier, Lombardi, Cerutti, Gremo, Annoni, Sivocci, Torricelli, Azzini, Belloni, Brunero e Oliveri. Il campionissimo rientrerà sul Turchino insieme a Francis Pélissier. In seguito, in testa alla corsa, rimangono solo i due Pelissier, Brunero e Luguet. A Savona, tuttavia, Henri fora e l'andatura, giocoforza, rallenta, in quanto Francis decide di aspettare il fratello. Ne approfitta Tano che rientra. Il francese tornerà sotto a Capo Noli, insieme a Girardengo e Giuseppe Azzini. Il campionissimo ha nuovamente problemi meccanici ad Alassio, ma, con un grosso sforzo, riprende i battistrada appena giù dal Capo Berta. Tuttavia, al termine della salita, per non perdere la scia delle ammiraglie, decide di non cambiare rapporto e resta col 46x18. Si arriva, così, allo sprint, dove la Bianchi, forte del fatto di avere tre uomini (Tano, Henri Pélissier e Azzini), la fa da padrone lanciando il cremonese il quale, contro un Girardengo penalizzato dall'avere il rapporto da salita, ha vita facile e vince la sua seconda classicissima precedendo il compagno Pélissier e lo stesso campionissimo, che deve accontentarsi del gradino più basso del podio.

La Bianchi domina anche al Giro d'Italia. Tripletta della prima tappa con Giuseppe Olivieri che precede Angelo Gremo e Tano Belloni. Il giorno successivo, tocca, invece, al Cremonese, il quale vince la Torino - Lucca regolando, in una volata a due, il giovane Giovanni Brunero. Mentre Tano balza in vetta alla classifica generale, Girardengo, caduto il giorno prima sul Monte Ceneri, è costretto al ritiro.

Belloni serve il bis nella Lucca - Roma, dove batte Gremo in volata. La Bianchi continua a spadroneggiare, vincendo anche le frazioni numero quattro e sei col francese Jean Alavoine. Nella settima e penultima tappa Tano chiude la pratica con un successo in solitaria. Belloni dà un saggio di tutta la sua forza e giunge al traguardo di Trieste con 2'04" su Ugo Agostoni e 25'37 sul sopraccitato Alavoine. Nell'ultimo giorno di gara la corsa vede la vittoria parziale assegnata a ben 9 corridori, vale a dire Agostoni, Sala, Rossignoli, Petiva, Buysse, Belloni, Alavoine, Gremo e Di Biase. Il motivo è presto detto, nel circuito dell'ippodromo di Milano il pubblico ha invaso la la pista, non permettendo ai corridori di disputare la volata.Poco male, ad ogni modo, per Tano Belloni che conquista il suo primo e unico Giro d'Italia con 32'24" su Gremo e 1h 01' 14" sul Alavoine.

L'annata, poi, si concluderà in modo trionfale con la vittoria di entrambe le prove, cronocoppie e australiana, e della classifica generale nel Giro della Provincia di Milano, al quale partecipa insieme al fido Giuseppe Azzini. Al Lombardia, invece, deve accontentarsi di un tragicomico 3° posto. Tano, Henri Pélissier e Brunero sono in testa da soli a pochi km dalla fine. Il cremonese fora e, benché l'ammiraglia fosse subito dietro, ci mette un po' a cambiare la ruota. Brunero, il quale era stretto nella morsa Bianchi, prova ad approfittare del colpo di fortuna, ma la dea bendata ne ha anche per lui. Il torinese, infatti, è vittima di un salto di catena che spiana la strada verso la sua terza vittoria nella classica delle foglie morte a Pélissier.
 
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#35
A 28 anni Tano Belloni ha già vinto un Giro d'Italia, due Milano - Sanremo, due Giri di Lombardia, una Milano - Modena e due Giri della Provincia di Milano. Non proprio il palmares che ti aspetti da uno conosciuto come eterno secondo. L'epopea effettiva del cremonese come eterno piazzato inizia solo nel 1921.

Quell'anno, infatti, al netto delle sette vittorie stagionali, tre tappe al Giro d'Italia, entrambe le frazioni e la classifica generale del Giro della Provincia di Milano b (si correvano due edizioni in una stagione) e la seconda Milano - Modena della carriera, deve accontentarsi della medaglia d'argento sia alla corsa rosa che al Lombardia. In ambedue i casi, inoltre, la sconfitta arriva in modo beffardo. Al Giro, infatti, Brunero gli lo precede per soli 41" (distacco irrisorio oggi, figuratevi all'epoca), mentre, nella classica delle foglie morte, Girardengo lo supera in volata per pochi centimetri.

Al Giro del 1922 l'inizio di Tano è folgorante: vince due delle prime tre frazioni e veste la maglia rosa. Tuttavia, la giuria, dopo aver inizialmente squalificato Giovanni Brunero, nel corso della prima tappa, per cambio ruota irregolare, gli permette di correre sub judice e, in seguito, lo riammette con 25 minuti di penalizzazione. Per protesta, la Bianchi, tra le cui file milita Belloni, e la Maino di Girardengo, ritirano la squadra dal Giro. Probabilmente, senza questa mossa totalmente folle del suo team, il lombardo avrebbe vinto la sua seconda corsa rosa.

La stagione non è comunque da buttare. Tano, in coppia una volta con Girardengo e una con Brunero, conquista entrambi i Giri della Provincia di Milano. Inoltre, partecipa per la prima ed ultima volta alla Parigi - Roubaix, ottenendo un buon 6° posto. Su pista, insieme alla leggenda australiana Alfred Goullet, trionfa nella sei giorni di New York.

Il 1923 e il 1924 sono gli anni più duri. Arriva per due volte secondo alla Sanremo, battuto allo sprint sia da Girardengo prima che da Pietro Linari poi. E' il primo dei battuti, inoltre, anche alla Milano - Torino del '23 e al Giro del Veneto, al Giro dell'Emilia e al Giro della provincia di Milano b del '24. In quest'ultima gara, peraltro, conquista, nella prova su pista, la sua unica vittoria in questo biennio. Al Giro è costretto al ritiro nel '23 mentre nel '24, come tutti i grandi campioni, diserta la corsa rosa a causa di un contenzioso tra squadre e organizzazione.

Il 1925 è l'anno del riscatto. Al Giro conquista due tappe, tra cui quella conclusiva, ed è quarto, in classifica generale, dietro a Binda, Girardengo e Brunero (poker d'assi vero e proprio). Inoltre, torna a vincere la Milano - Modena, la terza della carriera. Il successo più prestigioso della stagione, tuttavia, arriva il 3 maggio. Belloni supera in una volata a due Bartolomeo Aimo, dopo essere già sbarazzato, in precedenza, di Binda (il quale sarà terzo a '130"), Girardengo e Brunero, e taglia per primo il traguardo del Giro del Piemonte, una delle poche grandi classiche che mancavano al suo palmares.

Continua...........

Ps: questo weekend sono incasinatissimo e, inoltre, sto lavorando a un nuovo board per CW, non riuscirò a riprendere con questo topic prima di martedì.
 
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#36
Il periodo che più mi affascina è quello che possiamo definire pionieristico che termina alla fine degli anni 20.Sono d'accordo che vi erano campioni eccezionali, Lapize su tutti.
Studiando gli ordini d'arrivo di quei Tour notavo che fra isolati e ufficiali vi erano molti partecipanti, ad esempio 145 nel 1914 e che le tappe non arrivavano sempre con distacchi abissali, vi erano molte volate, anche con gruppi abbastanza folti. Riflettevo sul fatto che la tragedia della prima guerra mondiale ha avuto un impatto meno radicale sugli ordini d'arrivo che non la seconda.
Purtroppo il ciclismo vide la scomparsa, causa il conflitto di campioni del calibro di Petit Breton, Lapize e Faber ma nonostante questo mi sorprende la longevità decennale, eccezionale considerando l'epoca, di personaggi come Henry Pellissier, Thys, Lambot, Alavoine, che erano forti prima e dopo la guerra.
Domando, come mai non vi è stato il cambio generazionale avuto fra il 39 e il 46? La prima risposta che mi viene in mente è che dopo il 38 ci fossero già i segnali di un cambio e che la guerra abbia drasticamente accelerato il percorso, considerando che giovani come Bartali e Coppi sono stati dominatori pure dopo. Ci sono altre ragioni? Forse nel periodo della prima guerra mondiale il ciclismo non aveva ancora una diffusione capillare e questo ha aiutato i vari personaggi ad essere ancora molto performanti non essendoci ricambi adeguatamente formati alle competizioni?
Le mie sono solo supposizioni, resta il fatto che il ciclismo degli esordi sarebbe da approfondire in maniera accurata. E questo forum mi sembra il posto giusto.
 
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#37
Alle tue ipotesi, che mi sembrano molto condivisibili, bisogna aggiungere il non trascurabile fatto che la seconda guerra mondiale durò più tempo rispetto alla prima.

Due anni di logorio psicofisico in più, per un corridore, penso possano pesare parecchio.
 
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#38
Verso il 1910 in Italia…..

Corsa Nazionale

Questa gara si distaccò dall’abbinamento con la Gran Fondo, le cui edizioni furono sospese, per il cambiamento di strategia organizzativa dell’Unione Sportiva Milanese. Il sodalizio, da tempo, era corteggiato da “La Gazzetta dello sport”, il giovane giornale stampato su fogli rosa, ansioso di entrare a riferimento del ciclismo intero. La testata, infatti, per volere del Capo Redattore Tullo Morgagni, aveva intessuto una serie di rapporti col mondo della bicicletta e prima di lanciarsi in una organizzazione diretta, intendeva crearsi una base, attraverso specifici patrocini. Camillo Costamagna. il Direttore era d’accordo, tanto più che fra lui ed il dinamico Morgagni, l’Amministratore, nonché prima firma del giornale, Armando Cougnet, scrivendo di ciclismo e coi suoi reportage dal Tour, era divenuto popolarissimo nel pedale dell’epoca. Fu così che la Gazzetta dello sport patrocinando la Corsa Nazionale, diede sicurezza all’Unione Sportiva Milanese e si affinò nell’organizzazione di quegli eventi che la vedranno poi protagonista storica. Non a caso, solo qualche mese dopo, iniziò ad organizzare direttamente il Giro di Lombardia. Rispetto alla Gran Fondo la Corsa Nazionale si presentò più corta e più facile nel tracciato scelto, che, per tre edizioni, propose l’itinerario Milano-Voghera-Alessandria-Asti-Torino-Novara-Milano, per un totale di 340 chilometri.

Prima Edizione 23 luglio 1905
Una folla incredibile, salutò la partenza, alle 4 del mattino, degli ottantanove partecipanti alla prima Corsa Nazionale disgiunta dalla Gran Fondo – La Seicento. Le cronache di quegli anni narrano di quattromila persone. Con una relativa stabilità, il gruppo dei più preparati, una quarantina, giunse senza registrare tentativi a Torino per disputare la volata per il traguardo a premio, vinto da Giovanni Cuniolo sul due volte vincitore della Gran Fondo, nonché Campione Olimpico (ma ancora non lo sapeva….), Enrico Brusoni, indi Massimo Remondino che, di lì a poco, si ritirerà e il già celeberrimo “Diavolo Rosso” Giovanni Gerbi. Costui, sentendo aria di casa, trenta chilometri dopo si scatenò in un affondo strepitoso che lo portò a frantumare il gruppo. Solo un ispirato e sorprendente Mario Gaioni riuscì a tenergli la ruota per una quarantina di chilometri, ma sulla di Dusino mollò. Fra due ali di folla che lo inneggiava il Diavolo Rosso, continuò imperterrito il suo affondo che di lì a poco diventò leggendario. Ad Asti, quando il suo vantaggio aveva assunto dimensioni notevoli, l’entusiasmo dell’enorme folla che lo aspettava, provocò un fattaccio: un ragazzo attraversò la strada improvvisamente e fece cadere. Gerbi, che rimase a terra, semisvenuto e con la testa sanguinante. Fu sollevato di peso e portato in una vicina farmacia, dove un medico prima gli applicò del ghiaccio sulla testa e poi suturò la ferita sul capo con alcuni punti. Quel dottore considerò quella medicazione come il primo passo, prima del trasporto in ospedale, ma quando Gaioni, il primo netto inseguitore passò da Asti, il Diavolo Rosso,  improvvisamente si rianimò al punto di urlare e resistere a qualsivoglia forma di forza per farlo recedere dalla sua volontà di ritornare in bicicletta e proseguire la corsa. E la vinse. Dopo un gran sorso di cognac fu di nuovo sul mezzo, con la testa  e le braccia fasciate che lo facevano somigliare ad una mummia, si elevò ad un inseguimento sugli stessi ritmi di quando era solo al comando. Già prima di Alessandria superò a doppia velocità Gaioni ed al rilevamento della città, passò vove minuti prima del suo primo inseguitore e venti slla coppia composta da Carlo Galetti e Mario Fortuna. Continuò come una furia fino al traguardo di Milano scrivendo, come detto, un pagina leggendaria.
[Immagine: 502px-Giovanni_Gerbi_1920.jpg]
Ordine d’arrivo:
1° Giovanni Gerbi in 12h2'36" alla media di 28,231 kmh; 2° Mario Gaioni a 23'49"; 3° Eberardo Pavesi a 40'44"; 4° Carlo Galetti a 49'44"; 5° Pierino Albini a 1h00'42"; 6° Battista Danesi a 1h13'21"; 7° Mario Fortuna a 1h47'46"; 8° Francesco Faravelli a 1h55'21"; 9° Cesare Luigi Brambilla a 1h55'22"; 10° Francesco Pinardi; 11° Ferruccio Mirancelli a 2h05'24"; 12° Agostino Rava; 13° Paolo Albertario a 2h44'14"; 14° Dante Bergomi a 2h50'54"; 15° Egidio Gambato; 16° Antonio Locatelli; 17° Benedetto Fiori a 2h54'04"; 18° Angelo Bergamini a 3h12'59"; 19° Ferruccio Maino a 3h51'18"; 20° Gualtiero Farina a 3h51’20".

Seconda Edizione 24 giugno 1906
Con la solita partenza alle quattro del mattino e con una folla che stava facendo capire sia agli organizzatori dell’Unione Sportiva Milanese, che ai patrocinatori della Gazzetta dello sport, che agli altri giornali, quanto il ciclismo fosse lo sport più sentito dalla gente, partirono in 44. Era praticamente il massimo numero possibili di chi poteva porsi allo start con delle velleità, per il ciclismo di quei tempi. Ad un inizio falcidiato dalle cadute, fortunatamente senza conseguenze, probabilmente dettate dalla velocità con la quale partirono i corridori, lo stato delle strade e la precarietà dell’impianto frenante delle biciclette di quei tempi, seguì una fase di relativa tranquillità. Ai traguardi intermedi di Pavia fu primo Pierino Albini, idem a quello di Casteggio, poi entrò in azione Giovanni Gerbi che sgretolò il gruppo e ad Alessandria, dove passò in testa Eberardo Pavesi, al comando restò un drappello composto oltre che dai due citati, da Galetti, Ganna, Rossignoli e Ceretti. Ad Asti fu il Diavolo Rosso a  vincere il traguardo a premio, poi su Torino, Pavesi ebbe una crisi passeggera. Poco più avanti i morsi della fatica colpirono completamente Ceretti. I tre rimasti in testa, ovvero Gerni, Galetti e Ganna però non approfittarono delle difficoltà degli avversari ex compagni di fuga e Rossignoli e Pavesi rientrarono. A disputarsi la corsa al traguardo posto in un padiglione dell'Esposizione Universale di Milano, si presentarono così in cinque. La volata fu tumultuosa, anche perchè prima del rettilineo d’arrivo i corridori sui trovarono di fronte ad una serie di curve ad angolo retto. Pavesi entrò in testa nel Padiglione, con Gerbi a ruota. I due lottando gomito a gomito, presero troppo velocemente la curva che immetteva nel rettilineo e finirono per sbandare. Il Diavolo Rosso finì addirittura fra i pubblico proprio ai margini del palco dove assisteva al tutto la Regina, mentre Pavesi urtando contro le transenne costrinse anche gli altri a frenare bruscamente. Carlo Galetti (foto accanto) fu il più lesto a rimettersi in marcia e vinse su Rossignoli, Pavesi, Ganna e lo sfortunatissimo Gerbi. Tutti però divisi da qualche secondo. Dopo circa un’ora arrivarono, uno alla volta, Giuseppe Ceretti, Angelo Lodi, Mario Lonati e Gualtiero Farina.
[Immagine: 3f253fdc399bbcf6fa3d00c1d267f322.jpg]
Ordine d’arrivo:1° Carlo Galetti in 12h e 59’ alla media di 26,187 kmh; 2° Giovanni Rossignoli a 1"; 3° Eberardo Pavesi a 6”;  4° Luigi Ganna a 11"; 5° Giovanni Gerbi a 12".

Terza Edizione 24 giugno 1907
Con una partenza anticipata alle 3,16 di notte, nel piazzale di Vigentino, sul medesimo percorso degli anni precedenti, ovvero Milano-Voghera-Alessandria-Asti-Torino-Novara-Milano di 340 chilometri, partì la terza edizione della Corsa Nazionale. Quarantadue i ciclisti partenti, tutti i più forti corridori italiani, tranne Rossignoli. Dopo fasi concitate che provocarono le cadute di Clemente Canepari e del Diavolo Rosso Gerbi, sul traguardo a premio di Tortona col gruppo dei migliori in testa alla corsa, tranne Eberardo Pavesi, attardato da una serie di incidenti, passò primo Cuniolo. Pavesi, causa cadute e guasti si staccò. Ad Alessandria il drappello s’era ridotto ad una decina d’unità, ed ancora Cuniolo vinse il traguardo a premio. Sulla salita di Dusino scattò Gerbi a cui tenne la ruota il solo Ganna, poi qualche chilometro dopo, ritornarono sui due Cuniolo, Galetti, Galazzi e Chiodi. A Torino i sei vantavano un quarto d’ora sugli altri sgranati. Verso Milano iniziò a piovere che diventò temporale proprio negli ultimi chilometri. A quattro dal termine, rischiando tutto il possibile Gerbì allungò e Chiodio mollò. L’attacco del Diavolo Rosso, inaspettato, sorprese Ganna, Galetti, entrambi votati a marcare la ruota del favorito Cuniolo che, a sua volta, attendeva solo lo sprint.  Gerbi ebbe così partita vinta, al punto di permettersi di compiere gli ultimi trecento metri con la calòma di chi vuiol godersi la vittoria. Sulla linea anticipò di pochissimi metro il sorprendente Felice Galazzi, di Busto Arsizio che, zitto zitto, fu capace di anticipare il veloce Cuniolo per la piazza d’onore.
Ordine d’arrivo:
1° Giovanni Gerbi in 12h24'15" alla media di 27.41 kmh; 2° Felice Gallazzi; 3° Giovanni Cuniolo; 4° Carlo Galetti; 5° Luigi Ganna; 6° Luigi Chiodi a 1'07”; 7° Giovanni Ponti a 31'; 8° Amleto Belloni a 43'; 9° Mario Lonati a 48'; 10° Andrea Massironi a 1h3'; 11° Eberardo Pavesi a 1h04'; 12° Giovanni Rabaioli a 1h26'; 13° Felice Della Casa a 1h27'; 14° Ruggero Pirovano a 1h37'; 15° Renzo Vecchi.

Quarta Edizione 18 giugno 1908
Nel 1908, su volere della Gazzetta dello sport, che patrocinava, l’Unione Sportiva Milanese, modificò il percorso della Corsa Nazionale. L’itinerario, Milano-Lodi-Piacenza-Parma-Mantova-Verona-Brescia-Crema-Lodi-Milano, lungo 392 chilometri si presentò diverso anche come altimetria poiché quasi interamente pianeggiante. A partire dalla quartiere di Rogoredo furono in 44, i migliori italiani senza defezioni di nota. La prova si mosse all’insegna del controllo fra i più forti e, praticamente fino a due terzi di gara la selezione avvenne naturale, senza il sollecito di particolari tentativi. A Brescia giunsero insieme in 15: Gerbi, Galetti, Rossignoli, Chiodi, Massironi, Ganna, Pavesi, Cuniolo, Danesi, Canepari, Della Casa, Beni, Oriani, L. Azzini e Gaioni. Qui però, si registrò la sortita di Ganna e Galetti ai quali s’accodarono dopo poco Gerbi e Chiodi, ma 15 chilometro dopo, sui quattro si riportarono anche Canepari, Rossignoli, Cuniolo, Beni, Massironi e Danesi. In dieci di testa restarono compatti e con vantaggio crescente fino a  Melegnano, dove la presenza di incauti e numerosi spettatori ciclisti creò confusione e cadute. Ne fecero le spese Chiodi e, soprattutto, Ganna che fu costretto al ritiro. In quel caos l’astuto Gerbi che era in testa, affondò un acuto, favorito dal fatto che fu uno dei pochissimi, grazie alla posizione originaria a rimanere in sella. In un primo momento Galetti riuscì a seguirlo, ma poi subì un appannamento che gli fu fatale. La manciata di secondi che l’astigiano guadagnò, fu decisiva per il suo arrivo solitario sul traguardo di Rogoredo. Alla fine 27” divisero il Diavolo Rosso da Galetti. Addirittura oltre sei minuti fu il distacco di Masironi che colse il terzo gradino del podio, superando allo sprint quel che restava del drappello che aveva dominato la corsa.
Ordine d’arrivo:
1° Giovanni Gerbi in 14h22'45" alla media di 27.262 kmh; 2° Carlo Galetti a 27"; 3° Andrea Massironi a 6'15"; 4° Giovanni Rossignoli;  5° Luigi Chiodi; 6° Eberardo Pavesi; 7° Battista Danesi a 8'15" 8° Giovanni Cuniolo; 9° Clemente Canepari; 10° Felice Della Casa a 27' 15"; 11° Dario Beni a 28'37"; 12° Carlo Oriani a 1h09'15"; 13° Enrico Verde a 1h40'15"; 14° Vincenzo Mora a 1h42'15"; 15° Antonio Rotondi a 1h50'47"; 16° Canzio Canzi a 1h50'50"; 17° Giovanni Visconti a 2h 41'15"; 18° Giuseppe Brambilla a 3h12'15".

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#39
Il Giro di Sicilia 1907-1908 ……(1977)

Gli echi ciclistici provenienti  dalla Francia, diventarono forti nel 1905, quando il Tour era già alla terza edizione. Più che la vittoria di Maurice Garin, valdostano, ma oramai per tutti francese, nella prima edizione del 1903, e la partecipazione, l’anno successivo, del “Diavolo Rosso” Gerbi (si ritirò durante la seconda tappa, dopo aver colto il 5° posto nella prima), erano stati gli interessi della Bianchi verso quel mercato, ad innescare la notorietà nell’ambiente. Nel 1907, infatti, dopo un’altra partecipazione ancor più incolore di Gerbi, si allinearono alla partenza del Tour, tre ciclisti italiani di fama: Galetti, Ganna e Pavesi. Solo quest’ultimo concluse la prova, ottenendo un onorevole sesto posto, ma il suo piazzamento, unito ai due terzi posti di Ganna in un paio di tappe, ed un quarto di Galetti, furono sufficienti a cementare definitivamente l’idea di proporre anche in Italia una corsa a tappe nazionale. Il primo a raccogliere questo nuovo evento organizzativo verso il ciclismo, fu lo sportivissimo siciliano Vincenzo Florio, il quale, nel 1907, nell'euforia del successo ottenuto dal giro automobilistico, decise di imitare, sia pure su scala ridotta, il Tour de France, proponendo il Giro di Sicilia a tappe.
[Immagine: florio.jpg]
La prima edizione, che si corse dal 2 al 13 ottobre, verteva su otto tappe, mentre quella dell’anno successivo, su sette. Vinse entrambe le volte Carlo Galetti, ed i cast raccolti dalla manifestazione furono ottimi, anche in virtù di una qualitativa rappresentanza straniera nella seconda edizione, all’interno della quale, spiccò il giovane francese Jean Alavoine che vinse una tappa e poi, al pari dei connazionali, si ritirò. La corsa di Florio, dunque, anticipò di un paio d’anni, il Giro d’Italia e fu la proposta ciclistica migliore nell’ambito delle edizioni del Giro isolano che, con alterne vicende e staff organizzativi sovente diversi, verranno poi. Perlomeno fino a quando il Giro di Sicilia si chiamò così, escludendo dunque la parentesi della denominazione di “Settimana Siciliana”, assai più recente. 
Dopo due edizioni di successo di pubblico, attenzioni e propaganda al ciclismo (per un ventennio i corridori siculi giunsero ad essere tali, sulle ali dei riporti orali degli echi di quei due giri), Vincenzo Florio, sempre più impegnato nella Targa automobilistica e per una precisa ed imperiosa passione verso l’automobilismo, abbandonò l’idea di continuare ad organizzare il Giro ciclistico. Sicuramente pesò sulla sua decisione, la nascita del Giro Nazionale de “La Gazzetta dello Sport”, che raccolse subito grosse adesioni, ed era notorio quanto alla famiglia Florio, non piacesse perdere di originalità, o essere pedina di secondo livello, in un quadro più complessivo. Fatto sta, che la decisione di Vincenzo Florio di chiudere, non trovò nessun altro polo organizzativo disposto a sostituirlo e per ritrovare un’altra proposta ciclistica a mo’ di Giro, in Sicilia, bisognerà aspettare il 1926, quando a provarci, furono gli operatori di Palermo Sport Club, affiancati e sostenuti dal giornale Mezzogiorno Sportivo, testata che aveva già collaborato fattivamente con Florio. Fu un ingresso poco preparato e con echi molto limitati, tanto è che di quella prima edizione di ritorno, si sa pochissimo, sia in quanto a numero effettivo di tappe, sia sulla apertura reale della manifestazione ai professionisti. Di sicuro, da quel pochissimo che s’è evidenziato nelle pur copiose ricerche, i protagonisti furono indipendenti e dilettanti. Gli stessi organizzatori, avvalendosi di altre collaborazioni soprattutto nella città di Palermo, ripresentarono un Giro di sole due tappe denominato “Palermo-Messina e ritorno” nel 1929, che ebbe un cast migliore, grazie alla presenza di diversi professionisti già vittoriosi nella massima categoria, nonché indipendenti collaudati e di buon livello, oltre ad un cospicuo numero di dilettanti scelti, perlopiù siciliani. Un nuovo stop e, nel 1932, il ritorno con un’altra denominazione, “Giro della Sicilia occidentale”, con tre tappe ed un cast simile a quello del ’29, ma con una prevalenza di dilettanti scelti. Basti citare la presenza di Attilio Pavesi che, poco più di tre mesi dopo, si laureò Campione Olimpico a Los Angeles. Dello stesso tenore partecipativo, anche le edizioni del 1936 e del 1939, tornate però alla denominazione classica di Giro di Sicilia. Dopo il secondo conflitto mondiale, su specifico coordinamento della Unione Velocipedistica Italiana, che si avvalse della collaborazione di società locali, il Giro tornò a fine novembre 1948 e registrò la partecipazione di una rappresentativa francese che però raccolse poco o nulla.
L’idea di una manifestazione sul far dell’inverno, che poteva raccogliere, vista la latitudine dell’isola, un cast più internazionale magari con la possibilità di far permanere in Sicilia formazioni di peso, disposte a preparare la nuova stagione al clima gradevole del centro del Mediterraneo, fu mozzata dagli eventi e dai focolai di cronaca, sui quali stavano ritornando a gravare, oltre al sempre presente spettro della mafia, anche le vicende del “bandito” Giuliano. Di conseguenza, anche le edizioni del 1949 e 1950 non decollarono e rimasero circoscritte a cast di indipendenti o professionisti di seconda fascia italiana. In verità, diversi di costoro, possedevano qualità superiori, ma il ciclismo di quei tempi, la miseria che gravava su un’Italia in ginocchio per venti anni di dittatura e conseguente guerra, nonché l’impossibilità di aggregare, soprattutto al sud, alle aziende di diretta morfologia ciclistica, altre di genere più vario, impedirono non poco l’evoluzione di molti agonisti. Il Giro di Sicilia stesso, s’arrestò nuovamente nel ’52 e ritornò nel ’53, con un filone che pur rappresentando una decorosa possibilità agonistica e tecnica per l’UVI (che diventerà FCI solo nel 1964), non si discostava da quel novero di partecipanti composto da professionisti indipendenti o di seconda fascia. Dal 1955 fino al 1958, il Giro di Sicilia assunse ufficialmente il target, diremmo oggi, di gara per indipendenti e nel 1959 e 1960 quello di gara a tappe riservata a professionisti di 2a serie. Poi, ancora un lunghissimo stop fino al ‘77, per un’edizione che vide allo start, una buona parte dei migliori ciclisti italiani. Furono poi organizzate tre edizioni del Giro della Regione Sicilia in linea, nel 1958, 1973 e ’74.

Note e curiosità sulla prima edizione.
Tantissimo pubblico, quasi fosse una festa, accompagnò la marcia dei corridori, perlomeno nelle zone in prossimità dei centri abitati e negli stessi. Le pecche del Giro: lo stato delle strade, davvero precario e un numero di partecipanti esiguo, poco più di venti, ma era la prima corsa a tappe su suolo italiano e si svolgeva ben lontano dalle zone con maggiore presenza ciclistica. Non a caso, uno degli scopi era quello di propagandare la bicicletta, ed in questo senso la manifestazione fu peculiare. E poi, tre dei primi cinque corridori d’Italia, ovvero Galetti, Ganna e Pavesi, c’erano. La vittoria di Carlo Galetti fu meritata, sia per il numero di tappe vinte, che per il modo stresso di conquistarle. Nell’ultima frazione, ad esempio, fuggì sulla salita di Alcamo, dopo soli 15 km dal via di Trapani, per giungere solitario a Palermo, con un vantaggio di mezzora sugli inseguitori. In evidenza soprattutto Jacopini che, se non fosse incappato in vari incidenti nella tappa di Castelvetrano, sarebbe andato sicuramente a podio. Fra le note tristi, che si mescolano alla curiosità, la caduta del giovane palermitano Nino Sofia, a causa di una gallina, che gli procurò ferite tali da costringerlo al ritiro. Ma da dove provenivano i principali protagonisti della corsa? Galetti e Pavesi da Milano, Ganna da Varese, Jacopini, Zoffoli, De Rossi e Azoli da Roma, Gargiulo da Napoli, Barrala, Locascio e Fabrizi da Palermo. Notevole il monte premi del Giro. Ad esempio, il vincitore Galetti, guadagnò oltre al primo premio della organizzazione, consistente in lire mille, un orologio d'oro, dono del Cav. Vincenzo Florio che sponsorizzò gran parte della corsa, pubblicizzando il “Marsala” di famiglia (nella foto sotto, il manifesto pubblicitario a fondo manifestazione).
[Immagine: Florio1.jpg]
Inoltre, a Galetti andò un premio in danaro ulteriore cospicuo di circa 5500 lire, messi a disposizione dall’azienda milanese OTAV, acronimo di Officine Turkheimer per Automobili e Velocipedi, per specifico volere del titolare Max Turkheimer
(nella foto sotto la vetturetta OTAV 5,5 hp del 1906), 
[Immagine: OTAV1906.jpg]
in ragione di 5 lire per ogni km percorso in gara, circa 1100. In altre parole, il corridore di Milano, ex tipografo, si portò a casa all’incirca 7200 lire, circa 28000 euro odierni. Non male dunque.

Un “regalo” per ricercatori, appassionati e curiosi….. Ciò che segue rappresenta una “prima” sul web. Sono le note statistiche della seconda edizione del Giro di Sicilia.  

2a Edizione Giro di Sicilia – 18-28 ottobre 1908

1a tappa Palermo-Palermo (Circuito delle Madonie) km 250

1° Carlo Galetti  
2° Pierino Albini  
3° Jean Alavoine (Fra)
4° Eberardo Pavesi 
5° Antonio Barrala 
6° Ernesto Azzini 
7° Paul Armbruster (Fra) 
8° Georges Fleury (Fra) 
9° André Pottier (Fra) 
10° Luigi Ganna 
11° Ferdinand Lafourcade (Fra)

2a tappa Palermo-Messina km 257

1° Jean Alavoine (Fra)  
2° Eberardo Pavesi  
3° Carlo Galetti
4° Andrea Massironi  
5° Pierino Albini 
6° Ferdinand Lafourcade (Fra) 
7° Luigi Ganna 
8° Maurice Brocco (Fra) 
9° André Pottier (Fra) 
10° Ernesto Azzini 
11° Paul Duboc (Fra)

3a tappa Messina- Catania km 100

1° Ernesto Azzini  
2° Carlo Galetti  
3° Pierino Albini
4° Dario Beni 
5° Luigi Ganna 
6° Pietro Lori
7° Eberardo Pavesi
8° Piero Lampaggi
9° Azeglio Tomarelli 
10°Andrea Massironi
11° Guido Rabaioli

4a tappa Catania-Siracusa km 80


1° Carlo Galetti  
2° Pierino Albini  
3° Ernesto Azzini
4° Eberardo Pavesi 
5° Dario Beni 
6° Luigi Ganna
7° Pietro Lori
8° Piero Lampeggi
9° Azeglio Tomarelli
10° Andrea Massironi
11° Guido Rabaioli

5a tappa Siracusa-Agrigento km 214
 
1° Pierino Albini  
2° Carlo Galetti  
3° Andrea Massironi
4° Ederardo Pavesi
5° Dario Beni
6° Ernesto Azzini
7° Amerigo Fabrizi 
8° Pietro Lori
9° Guido Rabaioli
10° Azeglio Tomarelli

6a tappa Agrigento-Trapani km 193
 
1° Andrea Massironi  
2° Carlo Galetti  
3° Ernesto Azzini
4° Pierino Albini
5° Amerigo Fabrizi
6° Pietro Lori
7° Guido Rabaioli 
8° Azeglio Tomarelli

7a tappa Trapani-Palermo km 125

1° Carlo Galetti  
2° Azeglio Tomarelli  
3° Amerigo Fabrizi
4° Pietro Lori
5° Guido Rabaioli 
6° Ernesto Azzini
7° Andrea Massironi
8° Pierino Albini

Classifica Generale Finale

1° Carlo Galetti punti 9  
2° Pierino Albini punti 21  
3° Ernesto Azzini punti 29
4° Andrea Massironi p.32
5° Pietro Lori p.40
6° Amerigo Fabrizi p.45
7° Azeglio Tomarelli p.49
8° Guido Rabaioli p.52

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#40
Ciò che segue rappresenta una prima assoluta, sul web e non solo. Un regalo? Qui senza dubbio. Alla faccia di chi, nel luogo dal quale provengo, non ha fatto altro che tirarmi materiale poco simpatico alle spalle…..

“Ai mari, ai laghi, ai monti” - 1910

Una corsa che ha l’indubbio merito di essersi creata una sua originalità nel panorama delle corse a tappe nella storia del ciclismo italiano. Fu la terza dopo il “Sicilia” di Florio e il Giro d’Italia de “La Gazzetta dello Sport, in ordine di nascita, ma acquisì un suo spazio, purtroppo circoscritto ad una sola annata, sia per la stravagante denominazione, che per la morfologia e le entità toccate. In essa si racchiudeva la grandezza degli organizzatori di un giornale come “Il Secolo”, testata milanese, di gran lunga miglior prodotto della stampa italiana di fine ottocento, oltre che più diffuso fino a quando poté godere di quella libertà ed indipendenza dalla politica che, in termini non solo assoluti, ma di segmento medio,  rappresenta, checché ne dica gran parte del mondo intellettuale, una utopia storica. Fondato nel 1866 per volontà dell’editore Edoardo Sonzogno, “Il Secolo” recitò pagine memorabili per lo sviluppo di un pensiero, tanto democratico quanto libero, nonché una sua via eccellente, in quanto a modernizzazione ed apogei culturali. 
[Immagine: featured02-14.jpg]
Poi, per la sua linea d’obiettività, la testata si scontrò, nel 1898, col potere politico, al punto di incorrere nella repressione del governo, che accusò il giornale di aver fomentato la rivolta che sfociò nei tumulti d’inizio maggio, poi repressi nel sangue dal generale Bava Beccaris. Il Secolo dovette sospendere le pubblicazioni ed il direttore Romussi fu arrestato. Poi, le cose rientrarono, ma solo in apparenza, ed in un clima di diffidenza da parte dei poteri forti, la testata iniziò a perdere lettori fino al sorpasso del “Corriere della Sera”, avvenuto nel 1904. Un superamento che, probabilmente, non  sarebbe mai avvenuto senza quegli antefatti. Per anni “Il Secolo”, tentò di invertire il trend negativo, ed in questo quadro, si collocò l’organizzazione di una corsa ciclistica a tappe di 2000 chilometri, come “Ai mari, ai laghi, ai monti”. Una prova che qualcuno definì un maldestro tentativo d’imitare il Giro d’Italia, ma che, in realtà, con l’azzeccata denominazione, racchiuse nelle sue otto tappe, un modo interessante di unire il mare adriatico di Rimini con quello tirrenico di Genova, località termali come Salsomaggiore e Acqui, passando attraverso i monti dell’Appennino fino alle alture lombarde, nonché i laghi di località come Pallanza e Salò. Un itinerario votato all’estate (si corse dal 31 luglio al 14 agosto), al turismo, alla ricerca di quelle bellezze paesaggistiche e culturali, di cui il giovane Stato italiano aveva bisogno per elevarsi e determinarsi. 
Una manifestazione che ebbe un grandissimo successo di pubblico, che aiutò l’ascesa del ciclismo a primo sport nazionale e che, tecnicamente, poté appoggiarsi su un cast di valore nazionale primario, arricchito dalla presenza di due importanti corridori francesi come Beaugendre e Dortignacq e da un montepremi di pregio. Purtroppo, le vicende de “Il Secolo”, che il fascismo seppellì definitivamente nel 1927, non garantirono la prosecuzione della corsa con altre edizioni, ma il ricordo di quell’unica occasione del 1910, è giusto superi il lavoro degli storici e dei ricercatori, per abbracciare l’interesse degli appassionati lettori.

1a Tappa  Alessandria-Salsomaggiore – 31 luglio 1910
Al via di Porta Marengo d’Alessandria, col pubblico che invase ogni centimetro possibile, i favori del pronostico andavano a Giovanni Gerbi, nonostante l’involuzione che lo aveva colpito da mesi e mesi. Era però il frutto della popolarità, perché un Carlo Galetti, fresco della vittoria al Giro d’Italia e costante protagonista da anni, non poteva essere da meno a nessuno, “Diavolo Rosso” compreso. Curiosità e attenzioni anche per i due francesi in gara: Jean Baptiste Dortignacq, popolare in Italia, nonché sovente vincitore sulle strade della penisola e Omer Beaugendre, vincitore della Parigi Tours e della Parigi Lille nel 1907, nonché terzo arrivato qualche giorno prima alla Tre Coppe di Parabiago, proprio dietro lo stesso Dortignacq e il vincitore Galetti. La prima tappa si mosse abbastanza veloce, nonostante una fase iniziale densa di trabocchetti e di asperità piuttosto aspre, anche se non lunghe. Il fatto cardine di frazione avvenne al 163esimo chilometro, quando sulle ceneri di un tentativo di Clemente Canepari, partì in contropiede Eberardo Pavesi, sorprendendo tutti. Ogni inseguimento fu vano, ed all’arrivo di Salsomaggiore, Pavesi (futuro “Avocatt”), vinse con 4 minuti su Galetti e 9 sul giovane Enrico Sala. Un epilogo sorprendente, anche se l’abilità del vincitore, era notoria.
Ordine d’arrivo:
1° Ederardo Pavesi km 213 alla media di 27,782 kmh
2° Carlo Galetti  
3° Enrico Sala
4° Giovanni Cervi 
5° Pietro Aimo 
6° Domenico Dilda 
7° Cesare Costa 
8° Cesare Osnaghi 
9° Jean Baptiste Dortignacq (Fra)
10° Alfredo Sivocci
11° Ernesto Ghironi
12° Giovanni Marchese
13° Luigi Chiodi
14° Emilio Braschi
15° Giuseppe Galbai 

Leader: Eberardo Pavesi (Ita)

2a Tappa  Salsomaggiore-Rimini – 2 agosto 1910
Una tappa veloce, ma zeppa di incidenti, fra cadute e forature, che la renderanno durissima nell’economia del Giro, soprattutto perché, alla fine, saranno diversi i corridori evidenti che chiuderanno qui la loro avventura in questa corsa. Causa cadute, infatti, si ritireranno, fra gli altri, Enrico Sala, Jean Baptiste Dortignacq, Carlo Vertua che finì all’ospedale e Battista Casale. Il gruppo di testa progressivamente assottigliatosi per questa serie di incidenti, portò otto uomini a giocarsi il traguardo di Rimini. Nella volata decisiva il grande pubblico poté conoscere un corridore come Giuseppe Brambilla, capace di un rush al fulmicotone, che non lasciò scampo agli esperti Pavesi (che rafforzò il primato in classifica) e Galetti, finiti nell’ordine. E dire, che a pochi chilometri dal termine il vincitore era stato costretto ad un formidabile inseguimento causa caduta.
Ordine d’arrivo:
1° Giuseppe Brambilla km 261 alla media di 29,270 kmh
2° Eberardo Pavesi
3° Carlo Galetti
4° Giuseppe Galbai
5° Pietro Aimo 
6° Ernesto Ghironi
7° Giuseppe Santhià
8° Cesare Costa 
9° Aldo Benassi 
10° Giuseppe Contesini
11° Fedele Dradi
12° Alfredo Sivocci
13° Domenico Cittera 
14° Luigi Chiodi
15° Giovanni Cervi

Leader: Eberardo Pavesi (Ita)

3a Tappa Rimini-Montecatini – 4 agosto 1910
La temuta tappa che dal mare di Rimini portava al traguardo termale di Montecatini, attraverso l’Appennino tosco-romagnolo, per taluni aspetti partorì un topolino. Nelle fasi iniziali tanti tentativi, che provocarono selezione forse anche maggiore rispetto alle solite forature e alle sempre presenti cadute. Ciononostante, il gruppo dei più forti si ruppe poco rispetto alle attese. E nemmeno portò scompiglio il tentativo di Gerbi che restò al comando diversi chilometri. Quando l’astigiano fu raggiunto, il prevedibile contropiede di qualcun altro, fu sciolto dall’entrata sulla carreggiata di un branco di buoi, che costrinse i corridori a fermarsi, provocando un rallentamento che favorì il rientro di qualche attardato. Fra questi, anche il temuto velocista Mario Buschera. Sul rettilineo finale di Montecatini, alla fine, si presentarono compatti in 6, con gli altri, sgranati, comunque poco distanti. Gerbi lanciò uno sprint lungo, ma per il milanese Buschera fu facile la rimonta, così come il contenimento del tentativo di ritornare su di lui, da parte del friulano Micheletto e del piemontese Pietro Aimo. Galetti, 4°, rosicchiò qualche punto a Pavesi, 6°.
Ordine d’arrivo:
1° Mario Bruschera Km 213 alla media di 24,160 kmh
2° Giovanni Micheletto  
3° Pietro Aimo
4° Carlo Galetti
5° Giovanni Gerbi
6° Eberardo Pavesi
7° Giuseppe Santhià
8° Cesare Costa
9° Luigi Fiaschi 
10° Emilio Petiva
11° Giuseppe Brambilla
12° Giovanni Rossignoli
13° Giovanni Cocchi
14° Giuseppe Contesini
15° Giovanni Cervi 

Leader: Eberardo Pavesi (Ita)

4a Tappa Montecatini-Genova – 6 agosto 1910
Tappa piuttosto dura con diverse salite anche nel finale. Galetti, deciso a prendersi la testa della classifica, capì che c’era terreno per evitare arrivi affollati, con conseguente pericolo di perdere punti. Poi se la sarebbe giocata con Pavesi, sempre pimpante e pronto ad inseguirlo, o a tentare a sua volta. In fondo la corsa dura stava bene ad entrambi. Sul Passo del Bracco il loro ritmo si dimostrò impossibile per gli altri ed a Rapallo, i due si trovarono soli con circa sei minuti di vantaggio su un solo inseguitore, Giovanni Micheletto. Qui però, un tubolare di Pavesi scoppiò e per Galetti fu facile raggiungere il l’arrivo in solitudine, mentre per il leader di classifica, oltre alla beffa dell’incidente, vi fu il ricongiungimento di Micheletto, che lo beffò nella volata per il  posto d’onore, rendendogli ancor più amara la perdita della testa della corsa.
Ordine d'arrivo:
1° Carlo Galetti km 240 alla media di 26,665 kmh
2° Giovanni Micheletto  
3° Eberardo Pavesi
4° Omer Beaugendre (Fra)
5° Alfredo Sivocci
6° Giuseppe Brambilla
7° Giuseppe Galbai
8° Pietro Aimo
9° Giuseppe Santhià
10° Giovanni Cocchi
11° Luigi Chiodi
12° Gaetano Garavaglia 
13° Aldo Benassi
14° Fedele Dradi
15° Mario Bruschera 

Leader: Carlo Galetti (Ita)

5a Tappa Genova-Acqui – 8 agosto 1910
La giuria, in considerazione del pessimo stato delle strade, spostò la partenza a Voltri. Un particolare comunque da poco nella grande battaglia fra i “giganti” Galetti e Pavesi. Costoro però, trovarono sulla loro strada tre corridori in grande giornata: Giuseppe Santhià, il temuto velocista Mario Buschera, particolarmente ispirato e il solito Pietro Aimo. Questi tre, lungo i saliscendi di una tappa corsa a grande andatura, risposero alla pari dei primi due della Generale e fra un mare di folla, poterono giocarsi le loro possibilità nello sprint decisivo. Qui, Buschera rintuzzò l’affondo di Galetti e lo rimontò bellamente, vincendo così una seconda tappa. Al leader milanese, restò la con-solazione di mettere in saccoccia un piccolo rafforzamento del suo primo posto in classifica, sul sempre ottimo Pavesi.
Ordine d’arrivo:
1° Mario Bruschera Km 225 alla media di 28,600 kmh
2° Carlo Galetti  
3° Eberardo Pavesi
4° Pietro Aimo
5° Giuseppe Santhià
6° Giuseppe Brambilla
7° Giuseppe Contesini
8° Giovanni Cervi
9° Gaetano Garavaglia 
10° Giovanni Gerbi
11° Ildebrando Gamberini
12° Giovanni Cocchi
13° Francesco Beglia
14° Luigi Chiodi
15° Emilio Petiva 

Leader: Carlo Galetti (Ita)

6a Tappa Acqui-Pallanza – 10 agosto 1910
Una tappa condotta a gran ritmo fin dall’inizio. Ad animarla, anche il “Diavolo Rosso” Gerbi, il quale, non riuscendo a ritrovarsi, ed in chiara fase di tramonto, per soddisfare i suoi numerosi tifosi lungo le strade di casa, cercò più volte la via della fuga, ma fu costretto ad accontentarsi di essere il primo al passaggio di Asti, la sua città. Il pubblico, sempre strabocchevole lungo le strade, spinse ulteriormente i corridori a dare il meglio. Ad Adorno, purtroppo, il clima di festa e d’attesa per i ciclisti, favorì una tragedia. Un bimbo di due anni, mentre attendeva il passaggio della carovana, cadde dal balcone della sua casa al secondo piano e morì. La corsa intanto, visse la sua fase più delicata proprio nel biellese, dove fra forature e cadute, che coinvolsero anche Galetti, rimasero in testa Sivocci, Brambilla, Aimo, Santhià e lo stesso Galetti, autore di inseguimenti portentosi, mentre Pavesi, non in grandissima giornata, continuò a rimanere staccato. I 5 riuscirono ad arrivare senza problemi al traguardo e qui, il sempre più convincente Brambilla, anticipò Sivocci e Galetti, a  sua volta contento, per aver rafforzato il primato in classifica. Indi i meno veloci Aimo e Santhià.
Ordine d'arrivo:
1° Giuseppe Brambilla Km 261 alla media di 28,786 kmh
2° Alfredo Sivocci  
3° Carlo Galetti
4° Pietro Aimo
5° Giuseppe Santhià
6° Eberardo Pavesi
7° Giuseppe Galbai
8° Giovanni Cocchi
9° Giovanni Cervi
10° Giuseppe Contesini
11° Giovanni Gerbi
12° Gaetano Garavaglia
13° Aldo Benassi
14° Mario Buschera
15° Giovanni Rossignoli 

Leader: Carlo Galetti (Ita)

7a Tappa Pallanza-Salò – 12 agosto 1910
Una tappa senza episodi di cronaca importanti, ma sempre condotta a buona andatura. Nel finale si poté assistere ad un disperato tentativo di Gerbi di uscire solitario dal gruppo e la sua iniziativa, anche se non lo lanciò verso l’arrivo, ebbe comunque il merito di diradare il drappello di testa. Al resto ci pensò la discesa che da Tormini portava all’arrivo di Salò. Qui rimasero al comando in 9, ma a 3 chilometri dal traguardo uno di questi, il veloce Bruschera, fu appiedato da una foratura. Lo sprint decisivo fu bellissimo. Ai 200 metri, Galetti sembrava aver partita vinta, ma uno straordinario ritorno di Brambilla lo piegò. Per il ventiduenne di Melzo, si trattava del 3° successo di tappa, forse il più bello, per come era riuscito a coglierlo. Il leader Galetti, si prese la piazza d’onore per una sola gomma di vantaggio su Sivocci.  
Ordine d’arrivo:
1° Giuseppe Brambilla Km 267 alla media di 28,455 kmh
2° Carlo Galetti  
3° Alfredo Sivocci
4° Eberardo Pavesi
5° Giovanni Gerbi
6° Pietro Aimo
7° Giuseppe Santhià
8° Giovanni Cocchi
9° Giovanni Rossignoli
10° Giuseppe Galbai
11° Pietro Gallia
12° Mario Bruschera
13° Aldo Benassi
14° Giuseppe Contesini
15° Gaetano Garavaglia 

Leader: Carlo Galetti (Ita)

8a Tappa Salò-Milano – 14 agosto 1910
L’ultima tappa, la più lunga, anche se poi si concluse con un volatone, non fu una passerella. Numerosi tentativi, soprattutto da parte di chi non era riuscito ad emergere nelle tappe precedenti. Tra l’altro, l’esiguo numero di corridori rimasti in gara, apparentemente favoriva le fughe, ma non fu così. Di nota, a metà gara, l’incidente alla bicicletta di Mario Buschera, che fu costretto al ritiro, proprio in una tappa che, sulla carta, poteva esaltare le sue doti di sprinter. All’arrivo all’Arena di Milano, con un pubblico che nonostante la domenica antecedente Ferragosto si mostrò foltissimo, fu un’apoteosi per Carlo Galetti, che si prese una rivincita su Brambilla a cui tanto aveva dovuto cedere nelle tappe precedenti e suggellò un dominio sulla corsa che andava a confermare la vittoria di due mesi prima al Giro d’Italia. Era il numero uno nazionale e si confermò tale.  
Ordine d’arrivo:
1° Carlo Galetti km 284  alla media di 28,410 kmh
2° Giuseppe Brambilla  
3° Giovanni Gerbi
4° Alfredo Sivocci
5° Ildebrando Gamberni
6° Pietro Aimo
7° Gaetano Garavaglia
8° Eberardo Pavesi
9° Giovanni Cervi
10° Giuseppe Galbai
11° Giuseppe Santhià
12° Giovanni Cocchi
13° Giovanni Rossignoli
14° Lauro Bordin
15° Canzio Brasey
[Immagine: galleti_ok.jpg]
Classifica Generale Finale:

1° Carlo Galetti punti 18
2° Eberardo Pavesi punti 33
3° Pietro Aimo punti 41
4° Giuseppe Brambilla punti 43
5° Alfredo Sivocci punti 56
6° Giuseppe Santhià punti 58
7° Giuseppe Galbai punti 75
8° Giovanni Cervi punti 78
9° Giovanni Gerbi punti 81
10° Giovanni Cocchi punti 87

Maurizio Ricci detto Morris
 
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