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tuttoBICI. Dubbi, indovinelli e un «invito pressante»
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tuttoBICI. Dubbi, indovinelli e un «invito pressante»
NON CAPIAMO. Luca Calamai scrive sulla prima pagina de La Gazzetta dello Sport del 17 ottobre scorso: «Otto chili in più di muscoli e sette centimetri in più di altezza. Nell’agosto scorso l’allenatore del Milan Allegri e il ct del brasiliano Menezes sono stati conquistati dal nuovo Pato e hanno deciso che era pronto per diventare l’erede di Ronaldo. La trasformazione tattica è perfettamente riuscita». Noi ci capiamo poco, c’è qualche laureato in medicina in grado di spiegarci qualcosa?

INDOVINELLO. Un importante ente mondiale del ciclismo decide con assoluta serenità di informare, in via del tutto eccezionale, un grandissimo corridore spagnolo pescato positivo (campione analizzato il 24 agosto a Colonia: 50 picogrammi, cioè 0,00000000005 grammi per millilitro) il 21 luglio scorso, al Tour de France. L’importante ente informa il grande corridore e chiede l’autorizzazione a procedere - mantenendo una insolita segretezza - per le controanalisi. Un grandissimo corridore iberico viene trovato positivo ma assicura che è tutta colpa di un filetto. Un noto laboratorio di Colonia rinviene nelle urine del suddetto grandissimo corridore tracce di plastica ma il suo entourage assicura che è tutta colpa delle boracce. Un noto costruttore di biciclette comunica di avere per le mani una bicicletta a motore che va a 90 all’ora, ma a chi gli fa notare che la cosa fa molto male al movimento tutto, scarica le colpe ad un noto quotidiano di color rosa «che sbaglia sempre a fare i titoli». Il più grande organizzatore di corse a tappe francese dice sicuro che nella sua manifestazione il doping non esiste, quando da almeno cinque anni la sua corsa non ha nemmeno un ordine d’arrivo sicuro. Il più forte corridore italiano trionfa in Spagna ma fatica a strappare una convocazione mondiale. Un altro campione italiano parla poco poco con i giudici della Procura, specificando di non aver fatto nomi e cognomi, ma in compenso si vede infliggere nove mesi di squalifica in meno solo perché è tanto simpatico. Un giornalista viene arrestato in un’inchiesta doping, poi si viene a sapere che è un agente pubblicitario: nella redazione del mensile nel quale lavora da tre anni tutti tengono a precisare di non conoscerlo. Un noto e bravo magistrato accusa che “tutti i ciclisti sono dopati”, ma alla fine per tutti è solo e soltanto una innocua boutade. C’è chi assicura che si può vincere senza doping, e chi sarebbe pronto a liberalizzarlo: «se non facesse male alla salute». Uno sconosciuto neo professionista si becca 20 anni poi ridotti a 4 ma finisce per doping su tutte le prime pagine dei quotidiani nazionali, mentre la positività di un campione olimpico e mondiale di atletica (400 metri) vale una breve di cinque righe ben nascosta da tutti. Il magazzino di una Federazione a Cavenago viene ripulito di biciclette e telai, ma la mamma di tutto il ciclismo del Belpaese non sente il bisogno di comunicare che sul mercato ci sono prodotti (tanti) trafugati. Due grandissime corse a tappe di levatura mondiale sono state presentate, ma ad oggi non si conoscono i requisiti indispensabili per poter avere la certezza matematica di partecipare. Dimenticavo: ci sono squadre che per fare numero presentano contratti farlocchi, con nomi e cognomi non di ciclisti, ma di calciatori. Un noto corridore veneto, vicentino di nascita e monegasco di residenza, dichiara alla stampa di essere ancora vergine. Una sola di queste notizie e falsa. Sapete dire quale?

BASTA FARE I BABBEI. Sempre nell’occhio del ciclone, perché abbiamo accettato di starci. Ma siamo davvero noi il “male assoluto”? Lo ha scritto anche Giuseppe Toti, sul Corriere della Sera del 7 ottobre scorso: «Calcio, nuoto, atletica leggera, sci, rugby, basket, volley sono quasi come il ciclismo. La distanza che due decenni fa sembrava forse sostanziale, oggi si è ridotta ai minimi termini ed è diventata impalpabile. Perché allora non se ne parla? Perché solo il ciclismo?». Ci hanno ripetuto fino allo sfinimento di guardare prima in casa nostra, nel nostro orticello, ma è anche il caso di dare ogni tanto un’occhiata fuori dai nostri confini, visto e considerato che di sport professionistico si tratta, e tutti gli sportivi dovrebbero rispondere per lo meno alle stesse regole. Nel mondo del ciclismo si continua giustamente a pestare con decisione contro chi bara, mentre negli altri sport si fa finta di nulla o quasi. Noi (anche noi di tuttoBICI facciamo parte della grande famiglia delle due ruote) a dare urine, sangue, capelli e reperibilità a 360°, gli altri a dare forse qualche cc di urina che spesso viene messa ad invecchiare neanche fosse un buon Barolo. Allora invito il presidente del sindacato mondiale dei corridori Gianni Bugno e quello italiano Amedeo Colombo, a rompere gli indugi e prendere una posizione forte e chiara: sospendere la disponibilità dei corridori a fare esami del sangue e a sottostare al passaporto biologico, fino a quando non sarà esteso a tutti gli altri atleti professionisti. Dimenticavo: sono per la radiazione alla prima infrazione grave, ma grave è anche continuare a fare sempre la figura dei babbei.

Pier Augusto Stagi
Editoriale da tuttoBICI di novembre
 
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