Il Nuovo Ciclismo

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L'intervista: Il punto di vista di Acquarone
Il direttore generale di RCS Sport spiega le sue innovazioni

Abbiamo incontrato Michele Acquarone, il direttore generale di RCS Sport alla vigilia della partenza del Giro d'Italia 2012 da Herning, e abbiamo scambiato con lui quattro chiacchiere sulla corsa rosa, vista dalla prospettiva della stanza dei bottoni, e sul ciclismo in generale.

Michele Acquarone, il nome nuovo, il volto nuovo del Giro d'Italia. Sente il peso dell'eredità di Angelo Zomegnan?
«Posso essere sincero sincero? Io non mi sento così nuovo, tutto sommato è tre anni che sono a capo di RCS Sport, ho lavorato con Angelo per due Giri d'Italia e mezzo, e quindi comunque l'atmosfera del Giro, del ciclismo, la conosco. L'unica differenza è che adesso ci metto io la faccia, prima la metteva Angelo. Però la squadra è veramente la stessa, le persone che lavoravano prima son le stesse... Mauro Vegni è comunque l'anima sportiva di questa squadra; e io mi sento a casa esattamente come mi sentivo a casa l'anno scorso quando siamo partiti da Torino».

Quindi diciamo che nel suo ruolo non ci sono state variazioni... o forse sì: a livello decisionale c'è più mano libera adesso, meno confronto con un alter ego forte qual era Zomegnan.
«Angelo aveva grande esperienza, conosce questo mondo come nessun altro, e tendeva ad accentrare molte decisioni. Oggi la decisione della nostra azienda è stata quella di allargare le responsabilità a una squadra di tante competenze, quindi son cresciute le professionalità di persone che già lavoravano con Angelo e che continuano a lavorare con me, ma che oggi hanno più possibilità decisionale e quindi più responsabilità».

Sappiamo che lei segue molto i movimenti di internet, ha un blog molto seguito, l'abbiamo vista in webcam più volte nel corso dell'inverno a presentare le varie novità che caratterizzano la stagione di RCS Sport. Da internet piovono anche delle critiche: per esempio questa maglia azzurra non va proprio giù a molti tifosi e appassionati.
«Ma io me ne rendo conto, lo capisco: se tu cresci vedendo la maglia verde, non capisci perché a un certo punto questa maglia deve diventare azzurra. Io proprio perché tengo così tanto ai nostri tifosi, che sono il nostro patrimonio più grande, cerco sempre di essere molto trasparente e non nascondere le cose, quindi abbiamo optato per un approccio diretto, e il web ci aiuta molto ad avere un confronto diretto con le persone, accettando le critiche e cercando sempre di confrontarci. La maglia è cambiata, abbiamo uno sponsor che ci segue da tanti anni che è Banca Mediolanum, e che ha intenzione di seguirci ancora per tanti anni, in un periodo così difficile se loro volevano lasciare un segno sul Giro cambiando il colore della maglia, è giusto. Lo fece la Termozeta con la maglia ciclamino ai tempi di Torriani, lo fa Mediolanum con la maglia azzurra ai tempi di Acquarone».

Per cambiare il colore della maglia c'è stato un investimento supplementare da parte di Mediolanum (se si può andare un po' nel retroscena)?
«Noi abbiamo questo rapporto che dura da tanti anni, ci siamo trovati al tavolo e Banca Mediolanum diceva "Abbiamo fatto tanto per il Giro d'Italia, vogliamo fare qualcosa di più", e il presidente in prima persona si è speso dicendo "Vorrei lasciare il segno su questo Giro, e il colore della maglia, se potessimo farla del colore che ci rappresenta..."... Alla fine va bene, non è stata tanto una questione di investimento, quanto di durata di un rapporto che durerà ancora per tanto tempo, e noi siamo solo che felici di far contento un partner così importante; e spero che anche i tifosi si abitueranno».

L'altra ragione di critica, vediamo se ci arriva, qual è stata?
«Ne ho due altre, a dire la verità... da quale iniziamo?».

Iniziamo dalla NetApp, questa squadra che ha monopolizzato le attenzioni alla fine dell'anno scorso con quest'invito a sorpresa. Anche qui c'è un discorso di marketing sul medio-lungo termine? Cosa ci si aspetta dalla NetApp? Perché non possiamo dire, francamente, che è una squadra che possa risvegliare sopiti entusiasmi in Germania, non ha grossi nomi...
«Premesso che comunque anche dal punto di vista sportivo ha dimostrato di esserci in questi mesi, quindi la scelta non era così azzardata, a gennaio... Io non so se loro riusciranno a risvegliare grandi interessi, e sicuramente magari non lo fanno quest'anno, con una wild card. Però a noi è piaciuto molto il progetto di questa squadra, che anno dopo anno ha cercato di crescere, di raggiungere un nuovo obiettivo... l'anno scorso hanno corso la Roubaix, bene, facendo una lunga fuga; hanno corso bene il California... E quest'anno avevano l'obiettivo di correre il Giro. Noi abbiamo un bisogno incredibile di crescere come audience, perché se rimaniamo una corsa degli italiani per gli italiani diventiamo sempre più piccoli e alla lunga tendiamo a sparire; noi abbiamo bisogno di invertire la tendenza e diventare una corsa internazionale, dove tutti i grandi campioni vengono perché hanno un'audience internazionale. Quindi un po' alla volta cerchiamo di conquistare, come a Risiko, dei paesi nuovi. Abbiam provato con l'Olanda due anni fa, proviamo con la Danimarca, con la grande partenza quest'anno; la NetApp è un segnale. Alla fine noi avevamo tre wild card da assegnare: una già assegnata all'Androni, che aveva vinto la Coppa Italia ed è una squadra italiana. Il giusto compromesso è stato due squadre italiane e una squadra straniera. Tra le squadre straniere la NetApp è stata quella che ci è sembrato ci potesse dare un po' di più. Ricordiamoci che noi stiamo parlando di wild card: vado un po' lungo, però forse vale la pena spiegare: noi abbiamo 18 squadre che partecipano di diritto, chiamiamole le teste di serie, le più forti, quelle che dovrebbero essere qui per vincere e fare la corsa. Le wild card sono sempre usate dagli organizzatori per propri fini, quindi o far partecipare l'atleta di casa che non avrebbe il diritto a partecipare; o un ex atleta che magari rientra dopo tanto tempo e non ha i numeri, cioè i punti, però tu lo fai partecipare; oppure in questo caso provare a coinvolgere un pubblico completamente nuovo, che il Giro non lo segue quasi, che è il pubblico tedesco. Non so se ci riusciremo quest'anno, però è sicuramente un progetto a lungo termine, per noi».

E il terzo motivo di critica a cui faceva riferimento qual è?
«Con la decisione di tagliare i trasferimenti quest'anno, non siamo riusciti a toccare tutte le regioni del nostro paese, ne abbiamo lasciata fuori qualcuna, e questo ha scatenato l'ira di qualcuno che parla di Giro di Mezza Italia, Giro del Nord Europa... alla fine il Giro è il Giro d'Italia, noi abbiamo la fortuna di avere questa grande corsa ogni anno nel nostro paese con una festa incredibile; dedicare ogni tanto qualche tappa per portare la festa in altri paesi secondo me ci sta, in un equilibrio delle cose. Quest'anno abbiamo lasciato fuori qualche regione al sud, l'anno prossimo lasceremo fuori qualche regione al nord, perché coi trasferimenti non possiamo toccarle tutte, perché comunque dobbiamo garantire agli atleti di poter arrivare a casa a un orario decente».

Che tipo di responsabilità sentite in RCS nei confronti del movimento ciclistico italiano? Perché va bene guardare al marketing e al mondo, ma bisogna anche ricordare che il Giro è l'appuntamento centrale del ciclismo italiano.
«Esatto, ma proprio per questo, proprio perché sentiamo questa fortissima responsabilità, perché alla fine tutto il ciclismo che conta - e non voglio sembrare presuntuoso - però passa da RCS Sport. Noi dobbiamo avere la capacità di preservare questo patrimonio, e se cerchiamo tanto l'audience all'estero è solamente perché altrimenti diventerebbe una corsa sempre più piccola dove alla fine sì che ci sono tanti italiani, ma tenderà a sparire. Invece se riusciamo a imporla come grande evento internazionale facciamo del bene al movimento italiano perché alla lunga avremo un evento in casa così importante che non potrà che trascinare i ragazzi, i giovani, gli appassionati. Certo, oggi ci manca forse quel faro italiano, il corridore italiano che può accendere gli entusiasmi come faceva Pantani, però lì non dipende da noi, e vi assicuro che se ci fosse, correrebbe il Giro».

La venuta di Fränk Schleck: come è venuto questo colpo a sorpresa? Ci avete messo del vostro oppure è tutta una dinamica interna alla RadioShack?
«Diciamo che dalla presentazione del Giro - ma anche prima - abbiamo cercato di creare una relazione con tutti i top team, i team del World Tour, di grandissimo dialogo, di grande rispetto, e quindi abbiamo spiegato loro quali sono i nostri obiettivi e abbiamo cercato di trovare un filone di obiettivi comuni da portare avanti; quindi è evidente che per noi avere i top rider è importante per far crescere di prestigio la corsa, e loro lo sanno. Dall'altra parte il Tour de France è così importante, e tutti gli interessi economici delle squadre sono concentrati in quel periodo e quindi diventa difficile per le squadre fare delle scelte. Un po' come nel calcio campionato-Europa League: se se in Champions League mandi i migliori, se sei in Europa League magari tendi a mandare le seconde file; ecco, noi ad oggi, nel mondo del ciclismo, siamo un po' come l'Europa League. Quello che stiamo cercando di fare con tutte le squadre è chiedere loro di investire su questa competizione, perché tutti abbiamo da guadagnare; e alla fine, una serie di circostanze han portato la RadioShack a scegliere di puntare su uno dei top rider per questa corsa».

A proposito di rapporto con le squadre e di guadagnarci tutti: abbiamo letto negli ultimi giorni questa novità della possibilità che si palesa della suddivisione delle entrate dei diritti televisivi con le squadre. Ci può spiegare nel dettaglio o in maniera più precisa questa cosa?
«No... nel senso che è stata un'uscita di Jonathan Vaughters, il capo della Garmin, che ha fatto questa dichiarazione. Io da parte mia posso dire che ho dimostrato, che abbiamo dimostrato a tutte le squadre grande apertura, la massima apertura e quindi la voglia di ragionare anche magari in modo diverso rispetto al passato; però non c'è nulla sul tavolo, quindi dire oggi "c'è un accordo, state arrivando a un accordo"... no! Abbiamo fatto solo delle parole, infatti mi stupisco di trovare queste parole sui giornali oggi. Se ci sarà qualcosa, i media saranno i primi a saperlo, ma ad oggi non c'è niente».

Non c'è niente nel senso che non ne avete parlato e se l'è inventato Vaughters, oppure anche a livello di puro scambio di idee qualcosa c'è stato?
«Ma certo! Però per come siamo abituati a lavorare noi, ci piace parlare coi fatti e non con le parole, e ad oggi son solo parole».

Marco Grassi - cicloweb.it