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Versione completa: Doping, la nuova frontiera è il monossido di carbonio
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La nuova frontiera è il monossido di carbonio
L'accusa: bombolette per superare i test

«Niente pastiglie, fiale, siringhe o sacche da trasfusione. Solo un gas, inodore e incolore: monossido di carbonio inalato volontariamente con lo scopo di doparsi».
A lanciare l'allarme della nuova frontiera del doping è, con queste parole, un articolo del Corriere della Sera firmato da Marco Bonarrigo, in edicola oggi.
Il monossido di carbonio, quello che uccide quando è prodotto da stufette o tubi di scappamento, diventa l'alleato di chi vuole barare. Ne parlano i corridori, si legge, e la conferma arriva dal professor Walter Schmidt, direttore dell'Istituto di Medicina dello Sport dell'Univeristà di Bayreuth. Che spiega come tutto nasca da una tecnica pressoché infallibile studiata dalal wada nel 2009 per smascherare qualsiasi tipo di doping ematico e mai adottata per l'opposizione di comitati etici e federazioni, visto che i corridori avrebbero dovuto inalare, prima dell'esame, una infinitesima quantità di monossido di carbonio.
Il doping ha fatto sua la tecnica e ha sviluppato questo nuovo imbroglio: una boccata di monossido "soffoca" i globuli rossi e costringe l'organismo ad aumentarne la prosuzione, praticamente gli stessi effetti dell'epo o dell'alta montagna. Ma i rischi sono altissimi: «Se si perde il controllo - spiega Schmidt - si rischia la vita». E il monossido può essere acquistato solo in bombole da laboratori autorizzati, è rischioso anche caricare gli inalatori.
Tra l'altro, conclude Bonarrigo, diventa difficile smascherare il doping almeno in termini legali: «Basta cercare la carbossiemoglobina - spiega ancora Schmidt - ma i referti di un dopato sono simili a quelli di un fumatore o di chi fa sport in una città inquinata. I ciclisti non fimano né si allenano in città, lo sappiamo tutti, ma dimostrarlo in tribunale non è così facile».

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