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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 11 maggio
Inviato da: Morris - 11-05-2023, 12:18 AM - Nessuna risposta

Paolo Corallini (Fra)
[Immagine: 16429312191325Corallini,Paul.jpg]
Nato a Piacenza l’11 maggio 1911, deceduto a Bry-sur-Marne (Ile-de- France) il 29 febbraio 1992. Passista veloce. Professionista dal 1935 al 1939 con 4 vittorie.
Ennesimo caso di emigrante italiano in Francia, poi divenuto cittadino francese a tutti gli effetti. Nel caso di Paolo Corallini il passaggio di nazionalità, avvenne il 3 giugno 1930 e la sua carriera ciclistica, su svolse interamente come francese. Era partito con la famiglia per il nord della Francia quando aveva otto anni.
La passione verso il ciclismo, non lo portò presto alla pratica poi la sua voglia di emergere e le buone qualità, lo fecero presto notare dagli emissari delle migliori squadre d’oltralpe. L’Helyett lo fece esordire fra i professionisti nel 1935 e Corallini li ringraziò, riportando un successo di pregio nella Parigi Ezy. Nell’anno d’esordio professionistico fu pure 3° nella Parigi Reims, mentre al Tour de France si ritirò nel corso della 5a tappa. L’anno seguente fra vari piazzamenti minori, Corallini vinse un’altra classica del calendario di Francia: la Parigi-Valenciennes. Nel ’37, mancò di poco la  
Parigi-Camembert, che chiuse 3°. Tornò alla vittoria l’anno dopo, vincendo una pregevole corsa a tappe come il Circuit de l'Indre. Sempre nel 1938 finì 2° nella Classifica Generale finale del Tour du Calvados e terminò 2° nella Lussemburgo-Nancy. Nel 1939 fu 3° nella Rouen - Caen – Rouen. Fu quello l’ultimo sussulto di una carriera che terminò ai primi venti di guerra.

Gabriele Colombo
[Immagine: 16545185781325Colombo,Gabriele.jpg]
Nato a Varese, l'11 maggio 1972. Passista. Professionista dal 1994 al 2007, con 11 vittorie. Pareva spaccare il mondo, ma si fermò presto, anche se la sua carriera s'allungò per quasi tre lustri. Forse nel suo vistoso calo, hanno pesato l'intensa attività dilettantistica, sfociata nella conquista del Titolo Iridato Militari '92 e nel secondo posto ai Tricolori della categoria l'anno successivo, nonché l'iper uso del suo motore nei primi tre anni di professionismo. Fatto sta che Gabriele, ragioniere e figlio d'arte (il padre Ambrogio, era stato professionista a metà degli anni sessanta, come gregario di Motta, ed il nonno materno Luigi Macchi, vittorioso in una tappa del Giro della Svizzera '33, era stato gregario di Binda), non ha saputo dare gambe alle attese notevoli che aveva fatto nascere in quel triennio d'esordio nell'elite del ciclismo. Un lasso nel quale non solo si mostrò vincente, ma pure estremamente generoso nell'affrontare ogni competizione. Formidabili trenate, scatti alla finisseur, ed una buona tenuta in salita, si evidenziarono in lui tanto da elevare negli appassionati, un numero di tifosi notevole. Passò prof nel '94, nelle file vincenti della Gewiss Ballan, una squadra che nelle gare di un giorno e non solo, era da considerarsi la più forte del mondo. Il primo anno Gabriele lo passò in apparente sordina sul piano delle risultanze personali, solo un 3° posto nel GP de Lugano, ma ben più sostanzioso come lavoro per la serie infinita di capitani e vincenti che il sodalizio esprimeva. Nel '95 le prime vittorie: la 2a tappa della Vuelta a Burgos in Spagna, chiusa poi al 3° posto, e la cronosquadre di Alencon, al Tour de France dove chiuse al 51° posto e dove lavorò non poco per Berzin e Rijs. La sua esplosione nel 1996, quando vinse la prima frazione del Giro di Calabria a tappe e, due giorni dopo, la Classifica finale della manifestazione, indi niente popò di meno che, la Milano Sanremo, da campione, tra l'altro, e il Giro di Sardegna. A completare i successi di quell'anno strepitoso, la vittoria nella Settimana Ciclistica Internazionale, davanti a Baffi e Fondriest. Ne seguì un periodo di appannamento che nemmeno il 3° posto nella Liegi Bastogne Liegi '97, riuscì ad invertire. Tornò a galla e alla vittoria l'anno successivo, sempre in primavera, quando vinse la 4a tappa della Terreno Adriatico e, un paio di mesi dopo, la 5a tappa della Quattro Giorni di Dunkerque. Ne seguì un altro periodo di appannamento, dove comunque lavorò, ed un ritorno al successo nel 2000, quando colse la 2a tappa della Settimana Catalana e la 4a della Bicicletta Basca, che fu pure il suo canto del cigno. Continuò a correre, a fare da spalla o da gregario, fino al 2007, alla cui fine, chiuse col ciclismo.

Pietro Musone
[Immagine: 9963.jpg]
Nato a Milano l'11 marzo 1937. Passista su strada e pistard stayer, alto m. 1,80 per kg. 70-72. Professionista dal 1959 al 1964, senza ottenere vittorie su strada, ma ne colse una decina su pista.
Il suo fisico possente e ben proporzionato ne fecero un precoce, tanto vincente, quanto evidente. A livello di grande ciclismo, un gran bel passista che non poté giocarsi completamente le sue carte perché il pedale dei suoi tempi consentiva minori opportunità d calendario e mostrava capitani “ogni-corsa” ed in più Musone milanese e così vicino al “magico Vigorelli” mostrava troppa qualità su pista per non fare dei velodromi i palcoscenici migliori per il suo potenziale. Divenne ciclista spinto dal padre, che aveva scommesso con un amico, circa le bravure sulla bicicletta dei rispettivi figli. Pietro iniziò così a correre fra gli esordienti nel 1953 ed in quell’anno fu incredibile: vinse 17 volte sulle 18 corse in cui fu alla partenza. Fra queste anche il Campionato Lombardo. Anche da allievo tenne una media vittoriosa di rispetto e quando arrivò fra i dilettanti, in particolare su pista era già uno di massima evidenza nazionale. Basti citare che nel 1957 divenne Campione Italiano di Mezzofondo e si classificò 2° al Mondiale vinto da Virginio Pizzali. Fu poi 2° nel Campionato Italiano Indoor dell’Inseguimento ed al Palasport della Fiera di Milano stabilì il Record Mondiale Indoor sui 10 km con 13’24”40. Sempre su pista restò fra i migliori italiani anche nel 1958, dove fu ancora 2° agli Italiani Indoor nell’Inseguimento. Fu però un anno anche di sfortuna perché in una caduta rimediò un guaio al gomito sinistro che ne limitò il rendimento futuro soprattutto sull’asfalto. Passò professionista con la Bianchi a fine ’59 in occasione della Crono-coppie (con Chiodini) del Trofeo Boldrini a Cicognara, dove finì 3°. Fu poi 14° al Giro di Lombardia. Nel 1960 finì 4° nella tappa di Napoli e 5° a quella di Oristano al Giro di Sardegna. Partecipò al suo primo Giro d’Italia, dove si ritirò alla nona tappa, ma prima arrivò 10° nella frazione di Rimini e 7° nella cronometro del giorno dopo a Bellaria. Su pista nel 1960 vinse il Titolo Italiano nel Mezzofondo, fu 3° nel Tricolore Indoor dell’Inseguimento, mentre ai Mondiali Stayer fu eliminato in batteria. Nel 1961 passò alla Philco ed iniziò bene su strada, dove fu protagonista della Mentone Roma, che altri non era che la prosecuzione verso Roma della Parigi Nizza. Qui, Musone fu 5° nella seconda tappa che si concludeva a Reggio Emilia, poi 3° nella successiva di Bologna; 2° il giorno dopo nella frazione di Poggibonsi e 9° nella cronometro, sempre a Poggibonsi. A Roma chiuse la corsa a tappe al 13° posto. Fu poi 7° alla Milano Torino, 9° alla Milano-Sanremo e 10° al Giro di Toscana. Nel 1962, in maglia Ignis, corse solo su pista, ma all’appuntamento del Mondiale di Mezzofondo si ritirò nel corso dei recuperi. Nel 1963 diradò enormemente l’attività, aprì un bar all’interno della Concessionaria Fiat di Milan e non cambiò impegno nel 1964, quando la GBC gli offrì un contratto.   

Josè Samyn (Bel)
[Immagine: Samyn%20Jose%2069.jpg]
Nato a Quiévrain (Belgio) l'11 maggio 1946, deceduto a Zingem (Belgio) il 28 Agosto 1969. Completo. Professionista dal 1967 al 1969 con 8 vittorie. Un corridore tragico, di buone doti, per la gran parte inespresse a causa di un destino crudele che se lo portò via a soli 23 anni, per circostanze che lasceranno perennemente allibiti. Un corridore che continua a vivere nelle memorie odierne, non già per le risultanze eclatanti della sua breve carriera, ma per la riconoscenza di chi, l'anno seguente la sua morte, gli ha dedicato una corsa, "Le Samyn", di buon livello e ben presente nel calendario professionistico. Josè Samyn, era figlio di Maurice, prof una sola stagione, nel 1938, prima che la guerra togliesse a lui, come a tanti altri, ogni speranza agonistica. Aveva un fratello più grande, Gilbert, buon dilettante, che non era riuscito a passare prof. Nacque in Belgio, nell'Hainaut, una provincia confinante con la Francia, paese nel quale si trasferì bambino e del quale ottenne compiuta cittadinanza nel 1964, quando, a dispetto dell'età, era già un dilettante affermato. Notevoli i successi giovanili di Samyn, culminati nelle vittorie al Campionato Nazionale Militari ('65) e nel GP delle Fiandre Francesi ('66). Passato prof il 30 aprile 1967, nella squadra francese del nord, la Pelforth Sauvage, si dimostrò subito un vincente, cogliendo il prestigioso GP Denain. Fu portato al Tour de France e la sua risposta fu da gran corridore: vinse l'undicesima tappa, la dura Briancon-Digne, dove disintegrò un gruppetto composto da ottimi corridori, grazie ad un'azione da finisseur di razza. Chiuse il Tour 17°.
Al Campionato Nazionale finì 6°, ed in stagione, fra una caterva di piazzamenti, tra i quali il 3° posto alla Parigi Tours, trovò il modo di gioire un'altra volta, nel GP Solesmes. L'anno successivo, vinse l'8a tappa della Parigi-Nizza, il Criterium di Dunkerque, ed i GP di Wingene e di Fait-le-Franc, in Belgio, la gara che, dal 1969, diverrà in sua memoria "Le Samyn". Finì poi 2° nella Freccia Vallone e nel Trofeo Mansferrer. Nel 1969, sempre più protagonista, vinse il Tour de l'Oise e si piazzò più volte. Poi, il 25 agosto, mentre era in corsa nel Criterium di Zingem, uno spettatore distratto entro nella carreggiata e lo colpì facendolo cadere in piena velocità. Morì cinque giorni dopo nell'Ospedale di Gand, per gli effetti di quella caduta, dove si era fratturato in più punti il cranio.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 10 maggio
Inviato da: Morris - 10-05-2023, 12:08 PM - Nessuna risposta

Mauro Finetto
[Immagine: 148718877018495MauroFinetto.jpg]
Nato a Tregnago (VR) il 10 maggio 1985. Passista scalatore, alto 1,77 per 62 kg. Professionista dal 2008 al 2022 con 13 vittorie.
Iniziò a correre all'età di 13 anni nella "Officine Alberti, U.C Val d'Illasi", squadra locale a due passi da casa sua. Il primo anno di corse gli serve da ambientamento, anche per via del suo fisico non proprio da ciclista (abbastanza tondetto), ma arrivò lo stesso una vittoria, per di più in una corsa dura condotta tutta all'attacco. Da secondo anno esordiente, però, arrivarono altre vittorie e fu un susseguirsi fino alla categoria dilettanti, con risultati anche prestigiosi: 3° al Campionato Italiano allievi, 2° al Campionato Veneto allievi, Campione Veneto Juniores a cronometro, 2° al Campionato Italiano strada e crono Juniores, partecipazione ai Mondiali juniores di Zolder (come riserva) ed a Hamilton (come titolare), 3° al Campionato Italiano Under23 e partecipazione agli europei di Sofia ed ai mondiali di Stoccarda. Da juniores corse per due anni nella Verdellese e poi arrivò il passaggio tra gli Under 23, dapprima con l'Egidio Unidelta, con cui corse per due stagioni, e dal 2006 con il Team Parolin di Mirko Rossato, che lo accompagnò fino al professionismo con la maglia della CSF Group-Navigare. Passato professionista nel 2008, già al primo anno riuscì a piazzarsi ben sette volte tra i primi 10 nelle varie classiche italiane (Trofeo Melinda, 3 Valli Varesine etc), ed a strappare un posto di riserva nel mondiale di Varese. Chiuse la stagione d’esordio con un significativo 6° posto al Lombardia. Al secondo anno arrivò la prima vittoria da prof, nella corsa soprannominata la piccola Amstel (Hel Van Mergelland), seguita da altre due vittorie di tappa al Presidential Cycling Of Turkey, dove fu in maglia di leader per tre giorni e chiuse 6° nella generale. Nel 2010 approdò alla Liquigas Doimo. Sembrava lanciatissimo, invece, fece qualche piazzamento in quella sua prima stagione, specie in Spagna, vinse la crono-squadre della “Coppi e Bartali”, mentre nel 2011 il livello delle piazze peggiorò, ed a fine stagione fu lasciato libero. Dopo un anno sabbatico passato a correre in mountain bike, tornò alla strada nel 2013, in seno alla Vini Fantini. Tornò a piazzarsi con una certa continuità, ma non a vincere. Il successo tornò nel 2014 in maglia Neri Sottoli al GP di Lugano. Nell’anno partecipò al suo primo Giro d’Italia, ma si ritirò alla 16esima tappa. Dopo la “Corsa Rosa però, la sua stagione riprese con buoni piazzamenti e la vittoria nella Classifica Generale ed in una tappa al Tour du Limousin in Francia. Nel 1015 in maglia Southeast tornò al Giro d’Italia che concluse al 57° posto e nel resto di stagione colse bei piazzamenti come il 2° posto alla Bernocchi ed il 3° alla Sabatini e vinse con tappa il Sabiu Cycling Tour in Romania. L’anno seguente, in Unieuro Willier, vinse il Tour di Slovacchia ed una tappa dello stesso e continuò a piazzarsi in giro per il mondo. Nel 2017 emigrò ciclisticamente in Francia, alla Delko-Marseille con un contratto triennale. In quel lasso oltre alla solita collezione di piazzamenti vinse la Les Boucles du Sud Ardeche nel ’17 e la 5a tappa della Settimana Coppi e Bartali nel ’19, che fu il suo ultimo successo di carriera. La Delko gli prolungo il contratto ancora per due anni dove colse ancora piazzamenti. Poi nel 2022 s’accasò alla tedesca Maloja Pushbikers, ma non corse mai. Che dire? Una carriera lunga, che ha rispecchiato un talento discreto, privo però del possesso di un evidente punch vincente. Uno che faticava a trasformarsi in gregario o spalla per grandi team e che preferì “vivacchiare” in piccoli sodalizi, perché più vicini alle sue caratteristiche in tutti i sensi. Alla fine, un corridore sicuramente discreto, che si pensava potesse valere di più, molto di più, del comunque buono che ha fatto.

Paul Guignard (Fra)
[Immagine: 16385558811325Guignard,Paul.jpg]
Una leggenda del ciclismo, uno di quei pionieri che spingono molti osservatori a chiedersi cosa avrebbero potuto fare, se avessero corso in epoche evolute del ciclismo. E dire che Paul Guignard aveva dei mezzi eccezionali è il minimo.
Apprendista cuoco, divenne ciclista semplicemente per provare a dimostrare al suo datore di lavoro che era forte e resistente. Quasi una scommessa. A 18 anni, nel 1894, si schierò alla partenza della terribile Bordeaux-Parigi e finì 5°, senza avere alle spalle nulla che potesse far prevedere unrisultato del genere. Annunciato come fenomeno e campione, andò a dominare un'altra corsa di prestigio per il periodo, la Parigi-Besancon che rivinse nel 1895. Ma il giovane e già baffuto Paul, voleva sfide ancora più impegnative. La strada non lo entusiasmava, al contrario delle gare dietro motori, dove codesto mezzo, poteva essere inseguito fino ai limiti, dal motore umano che lui si sentiva di possedere. E più che le gare, che gli servivano solo per soldi, lo stuzzicavano i record, i tentativi al limite dell'umano o considerato tale. Dopo gli esordi del 1894-'95, continuò a lavorare, si fermò per il servizio militare e si sposò. Ciclisticamente fu frenato, ma per modo di dire, perché nel 1897, ad esempio, partecipò per guadagnare a 76 corse dietro motori sui velodromi e le vinse tutte!
Trovò un allenatore, Jean Bertin, che condivideva le sue mire sui record e con lui, Guignard, s'avviò a divenire "L'uomo dei 100 km all'ora" come venne definito per essere stato il primo, nella scia di una moto con paravento, a compiere, il 15 settembre 1909, i 100 km in 59'11" e nell'ora 101 km e 623 m. Nell'occasione, aveva progressivamente migliorato il suo record già stabilito nel 1905 e ritoccato nel 1906. Nella lunga carriera, Guignard stabilì altri primati di importanza minore e vinse tantissimo anche nelle tradizionali dimensioni agonistiche. Fu infatti Campione del Mondo di Mezzofondo, a Lipsia, nel 1913 (a 37 anni!), quattro volte Campione d'Europa (1905-'06-'09-'12) e quattro di Francia (1905-'12-'13-'14). S'impose in tutti i GP d'Europa (le corse che più amava, perchè davano ben più soldi dei titoli), nonché 3 volte nella Ruota d'Oro a Berlino, 2 volte in quella di Parigi, una a Bruxelles e una a Colonia. Altro aspetto che mostrò fisico e tempra incredibili: la sua straordinaria longevità. A 58 anni, nel '34, sfidò Arthur Vanderstuyft in una gara dietro moto ad Anversa, ed a 72 anni, nel 1948, fu capace di percorrere 60 km in un'ora, dietro una motoretta senza rullo.

Cornelis Petrus "Kees" Pellenaars (Hol)
[Immagine: 16526012701325Pellenaars,Kees.jpg]
Nato a Terheijden il 10 maggio 1913, deceduto a Breda il 30 gennaio 1988. Passista veloce. Professionista dal 1935 al ) è stato un ciclista su strada olandese.
Doveva diventare, secondo le intenzioni di famiglia, un falegname, ma quando iniziò a correre in bicicletta, capì presto che la sua strada era quella del corridore, da intendersi davvero come mestiere. Così, nel 1934, visto che era davvero bravo, perlomeno sulle corse che gli venivano proposte, divenne a Lipsia, il primo Campione del Mondo olandese dilettanti su strada. Nel 1935 passò fra i professionisti cercando di muoversi in direzione delle gare che potevano garantirgli danari e dopo un anno di assestamento organizzativo divenne nel 1936 Campione Nazionale dei Paesi Bassi su strada. Di lì iniziò a gareggiare anche su pista nelle Seigiorni dove quando non vinceva si piazzava. Ovviamente mise assieme in bel bottino di kermesse e quando provò a correre corse un poco più complesse vinse nel 1949 due tappe del Giro dei Paesi Bassi. Poi nell’ottava tappa del Giro di Germania del 1950 si schiantò contro un camion dell'esercito americano a una velocità di 80 kmh. Gravemente ferito fu portato all'ospedale di Friburgo in condizioni disperate, ma si salvò per una vita normale, ovviamente non da atleta. Pellenaars però aveva scelto il ciclismo come mestiere e così divenne tecnico col ruolo di caposquadra della nazionale olandese al Tour de France dal 1951 al 1957. Indi si preparò per costruire finalmente un team ciclistico olandese di vaglia e divenne manager-icona della Televizier. In altre parole, Kees Pellenaars fu il fondatore del ciclismo moderno d’Olanda. Morì nel 1988 per una malattia incurabile.
Tutte le sue vittorie da atleta. 1936 (6): Campionato Olandese su strada, Gp Eindhoven, Bois de la Cambre Bruxelles, Gp Valkenburg, Gp Zurigo, Seigiorni di Parigi (con Adolf Schon). 1937 (1): Seigiorni di Copenaghen (con Frans Slaats). 1938 (2): Seigiorni di Gand (con Frans Slaats), Gp Bergen-op-Zoom. 1939 (1): Seigiorni di Bruxelles (con Frans Slaats). 1940 (3): Bois de la Cambre Bruxelles, Gp Oostzaan, Gp Tegelen. 1941 (8): Ronde van Made, Gp Beemster, Gp Hoensbroek, Gp Oosterhout, Gp Valkenburg, Gp Voerendaal, Gp Weert, Gp Zaandam. 1942 (10): Ronde van Made, Gp Amersfoort, Gp Bunde, Gp Den Bosch, Gp Eindhoven, Gp Heerlen, Gp Nimègue, Gp Rotterdam, Gp Voerendaal, Gp Zaandam. 1943 (4): GP du Sud Den Bosch, Gp Noord-Amsterdam, Gp Gouda, Gp Utrecht. 1944 (3): Alphen aan den Rijn, Gp Hilversum, Gp Velsen. 1945 (2): Alphen aan den Rijn, Gp Geleen. 1946 (1): Gp Achtmaal. 1948 (2): Gp Hoensbroek, Gp Wouw. 1949 (4): 3a Tappa Ronde van Nederland, 9a Tappa Ronde van Nederland, Gp Rotterdam, Gp Oss.

Beat Zberg (Sui)
[Immagine: 16540224321325Zberg,Beat.jpg]
Nato ad Altdorf, il 10 maggio 1971. Passista scalatore. Professionista dal 1991 al 2007, con 39 vittorie.
Fratello minore di Luzia, grandissima ciclista e maggiore di Markus, anch’egli valente professionista, Beat può essere considerato in questa famiglia di ciclisti, l’intermedio che poteva raccogliere di più del comunque buono raccolto. Aveva classe e doti sufficienti per emergere su ogni terreno, ma in un ciclismo che si stava votando ad un particolare gioco di squadra, dove ci poteva essere più spesso l’alternanza dei ruoli, lui aveva qualche difficoltà in più. Si sentiva, o dimostrava, di essere un battitore libero, perché di suo c’era un valore d’evidenza che voleva magari dimostrate. Di certo era più talentuoso di diversi connazionali, anche famosi. Lui però, il coltello fra i denti, non lo tirava fuori, ed era limpido nell’esposizione: alla fine quindi si giocava meno carte di quel che avrebbe potuto.
Beat Zberg diventò professionista nel settembre 1991 con il team Helvetia-La Suisse, dopo aver conquistato il bronzo ai Mondiali 1991 nella corsa in linea per dilettanti. Nel 1992, da neo-pro, vinse il Trofeo Matteotti e il Giro di Romagna. Dopo l'esperienza con il team Helvetia, dal 1993 al 1996 corse con la Carrera Jeans: nel 1993 si aggiudicò il Giro del Piemonte, nel 1995 una tappa al Tour de Romandie e la Vuelta a Asturias e nel 1996 il Rund um den Henninger-Turm a Francoforte.
Nel 1997 passò alla Mercatone Uno: durante l'anno fece sua la Coppa Placci e il Giro del Mendrisiotto, e ottenne numerosi piazzamenti, fu infatti terzo alla Tirreno-Adriatico, all'Amstel Gold Race e al Tour de Romandie, settimo alla Liegi-Bastogne-Liegi e undicesimo al Tour de France. Dal 1998 al 2003 gareggiò per la Rabobank: alla prima stagione con la formazione olandese vinse il Giro d'Austria e il titolo nazionale a cronometro, mentre nel 2001 si aggiudicò la frazione della Vuelta a España con arrivo al Port Aventura di Salou e nel 2002 una tappa alla Vuelta al País Vasco. Dal 2004 al 2007 corse nelle file della Gerolsteiner, ottenendo altri successi di rilievo: una tappa alla Vuelta al País Vasco 2004, il Gran Premio del Canton Argovia 2006 e il titolo nazionale in linea nel 2007. Concluse la carriera al termine della stagione 2007.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 9 maggio
Inviato da: Morris - 09-05-2023, 12:25 AM - Risposte (1)

Vincenzo Borgarello
[Immagine: 1463045442170BorgarelloVincenzo.jpg]
Nato a Cambiano (TO) il 9 maggio 1884, deceduto a Torino il 6 gennaio 1960. Fondista veloce. Professionista dal 1909 al 1914, con 7 vittorie.
Il suo spunto veloce, nelle “terribili” strada di quei tempi, non era inferiore a quello di un Ganna, un Galletti, un Cuniolo, un Garrigou o un Petit Bretion, ma non valeva costoro nel complesso della corsa. Aveva meno fondo, ed era marcatamente meno forte in salita. Ciononostante fu un ottimo corridore e non a caso ha sempre corso accasato, prima con la Peugeot, quindi con la Legnano e con l’Atala. Andò a segno più volte sia al Giro d’Italia che al Tour de France e non deve stupire se nel 1912 un sondaggio voluto da Tullo Morgagni per la Gazzetta dello Sport, circa "il corridore più famoso del momento" lo abbia visto netto vincitore.
Dopo un 1909 denso di piazzamenti anche al primo Giro d’Italia della storia ed il 2° posto nella XX Settembre, ruppe il ghiaccio con la vittoria nel 1910 trionfando nel Giro del Piemonte.  L’anno seguente vinse la tappa di Genova al Giro, fu 2° al Giro dell’Emilia e 3° nel Campionato Italiano
Nel 1912 l’esplosione: vinse le tappe di Bologna, Torino e Bergamo al Giro d’Italia, indi partecipò al Tour de France e qui trionfò nelle frazioni di Perpignan e Le Havre, chiudendo la Grande Boucle al 13 posto. Al Tour fu per un giorno leader della classifica generale senza quella Maglia Gialla che esordì nell’edizione 1919. Leadership che gli fu tolta da Odile Defraye, poi vincitore a Parigi. Sempre nel 1912 Borgherello fu 6° al Giro di Lombardia e raccolse tanti piazzamenti di frazione a Giro e Tour. Dopo quella esaltante stagione, fu vittima di un calo evidente nel rendimento complessivo e non vinse più. I suoi miglioro piazzamenti furono l’11° posto al Lombardia e alla Parigi Menin nel 1913 nonché l’8° posto alla Milano Sanremo 1914.

Flavio Giupponi
[Immagine: 16399150251325Giupponi,Flavio.jpg]
Nato a Bergamo il 9 maggio 1964. Passista scalatore. Professionista da settembre 1985 al 1994 con 10 vittorie.  
Un corridore che valeva di più i quel che sono state le risultanze e che aveva dalla sua, quella sorta di non conformismo che, nel ciclismo, è dire ciò che si pensa senza alterare le sostanze dei problemi. In più possedeva la bontà che viene dall’amore per la verità e l’onestà della realtà, ovvero aspetti che già ai suoi tempi poco si integravano con la legge dell’apparenza fatta di cospicua ipocrisia. E non c’è da stupirsi se il Giupponi dopo la carriera si sia allontanato dal ciclismo.
Si avvicinò al pedale perdendo diverse garette coi coetanei nel doposcuola. Loro però, erano equipaggiati come fossero già corridori, mentre lui correva su una sorta di cancello. Divenne corridore quando il padre, muratore, gli comprò una bicicletta da competizione e lui lo ringraziò vincendo subito. Quando arrivò fra i dilettanti si pose subito sul piedistallo dell’evidenza, con caratteristiche di passista e scalatore. Nel 1984 conquistò il Giro della Valle d’Aosta, la Settimana Lombarda e la Cronoscalata Gardone Val Trompia – Prati di Caregno. Nell’85 vinse il Giro delle Regioni, ovvero la corsa a tappe per “puri” più importante d’Italia e terza a livello mondiale, dietro la Corsa della Pace e il Tour de l’Avenir.
Nel settembre del citato anno, arrivò la chiamata di Pietro Algeri, per vestire da subito la divisa della professionistica Del Tongo-Colnago. Dopo un primo anno di apprendistato dove vinse due cronosquadre al Giro d’Italia e nella Crono-staffetta, gli fu affidato il compito di terza punta della Del Tongo (dietro Saronni e Baronchelli) alla “Corsa Rosa” 1987. La risposta di Flavio fu ottima: chiuse 5° e primo degli italiani. Nell’anno vinse i Gp di Firenze e di Grabdate, nonché ancora la Crono-staffetta.
Nell’88 fu nuovamente al via del Giro d’Italia, accanto a Franco Chioccioli che vesti la “Rosa” per due giorni prima di perderla nella famigerata tappa del Passo Gavia. Giupponi, quel giorno, arrivò davanti a “Coppino” e lo scavalcò nella Generale chiudendo 4° a Milano. Durante la stagione vinse a Barcellona la terza tappa del Giro di Catalogna, indi in Italia il Gp Fivizzano ed ancora la Crono-staffetta. Al Giro d’Italia 1989 fu al via coi colori della Malvor-Sidi e battagliò per la conquista della maglia rosa. Vinse la quattordicesima frazione che da Misurina si concludeva a Corvara in Badia e duellò non poco con Laurent Fignon che poi vinse il Giro. A Flavio Giupponi restò perenne il rammarico per l’annullamento della frazione Trento-Santa Caterina di Valfurva, a causa delle gravi condizioni meteo (cosa non accaduta per il Gavia l’anno prima). Il suo 2° finale però fu assai significativo.
Nel 1990 Giupponi passò alla Carrera Jeans, ma alla Milano-Sanremo cadde e si fratturò la clavicola in quattro punti. Venne operato con l’obiettivo di un recupero veloce, ma l’intervento andò ad inficiare la preparazione per il Giro, che lo vide ben diverso dagli anni precedenti. La forma arrivò poco dopo, ed infatti Giupponi vinse molto bene il Giro dell’Appennino, arrivò 3° al Campionato Italiano e partecipò al Tour de France dove però si ritirò alla 14esima tappa. L’anno seguente fu al via della Vuelta di Spagna in preparazione del Giro d’Italia, ma in terra iberica fu vittima di un altro infortunio, questa volta al muscolo tibiale. Conseguentemente alla “Corsa Rosa” corse per onor di firma senza la possibilità di emergere e si rutirò nel corso della 16esima frazione.
Dopo aver perso causa incidenti i momenti clou di due anni di fila, Flavio passò nel biennio 1992-’93 alla Mercatone Uno, ma non aveva più lo smalto per andare oltre a qualche piazzamento. Nel 1994 accettò l’offerta della Brescialat, ma l’avventura non fu felice, ed a giugno Giupponi lasciò la squadra e il ciclismo aginistico.

Angelo Mazzola
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Nato il 9 maggio 1918 a Cureggio (No) ed ivi deceduto il 19 settembre 1956. Passista scalatore. Professionista dal 1946 al 1951, con una vittoria.
C'era un Mazzola anche nel ciclismo, qualcuno potrebbe dire.... Già, mentre sui campi di calcio, l'Italia poteva ammirare il talento del grande Valentino, contemporaneamente sulle strade del ciclismo, il novarese Angelo, pur non campione si dimostrava buon corridore. Ad onor del vero, nel 1939, qualcuno, perlomeno in Piemonte e Lombardia, pensava a qualcosa di più di un buon corridore, ma la categoria dei dilettanti, anche allora, sapeva confondere. Angelo Mazzola, infatti, dopo piazzamenti e vittorie, fra le quali la famosa Targa d'Oro Città di Legnano, non passò professionista, perché come tutti fu fermato dalla guerra e quando tornò, stavolta nell'elite ciclistica, si difese, ma campione non lo fu. Nel 1946 fu 3° nel Gran Premio Liberazione a Torino, 5° nel GP San Fermo e si mise in evidenza da strappare un contratto con la Monterosa nel 1947 e di partecipare al Giro d'Italia, ma qui si ritirò. Nel resto di stagione, fu 7° al Giro di Toscana, 8° nella Classifica finale della Grenoble-Torino-Grenoble, 23° nel Giro del Piemonte e 55° al Campionato Italiano. Poi, nel 1948, ruppe il ghiaccio col successo, vincendo la Coppa Guglielmini, fu 6° nel Giro dell'Appennino e 10° nella Milano-San Pellegrino. Poi, un crollo nelle risultanze e, progressivamente, nelle presenze. A fine 1951, lasciò ufficialmente le corse ciclistiche.

Georges Meunier (Fra)
[Immagine: 16403689491325Meunier,Georges2.jpg]
Nato a Vierzon il 9 maggio 1925. Passista scalatore. Professionista dal 1946 al 1961 con 17 vittorie.
Un corridore che riuscì, senza fare sfracelli, a crearsi uno spazio di notorietà in una Francia che viveva su grandi nomi, sia su strada, che nel ciclocross, altro settore d'impegno di Meunier. Georges, di cui anche i figli Jean Claude e Alain, nonché il nipote Nicolas, sono stati corridori professionisti, si fece notare a soli 20 anni, nel 1945, giungendo da isolato, a vincere il prestigioso Circuit de l'Indre e cogliendo il terzo posto nel Tour de Correze. Poi, pur mantenendo la licenza da prof, addirittura anche qualche contratto, si eclissò per quasi 5 anni, a causa dell'esigenza di aiutare l'azienda agricola di famiglia.
Rientrò parzialmente nel 1949 vincendo la 3a tappa della Loira-Oceano e solo dal 1950, a tempo pieno, gareggiando sia su strada che nel ciclocross al cospetto di autentici mostri. Su strada vinse due tappe del Tour de France nel 1951 e '53, la Parigi-Limoges nel '51 il GP de la Trinité nel '56 e, nel cross, due Titoli Francesi, nel 1957 (dove fu 3° nel Mondiale) e nel 1960. Un ottimo corridore.
Tutte le sue vittorie. 1945: Circuit de l'Indre. 1949: 3a tappa Loira-Oceano. 1950: GP Debarquement Nord; 1a Tappa del Tour de la Manica. 1951: Parigi-Limoges; 3a tappa del Tour de France; GP Arras. 1952: GP de Bonat. 1953: 19° tappa del Tour de France. 1955: 6° tappa del Dauphine Liberé; 9a tappa (cronometro) del Tour del Marocco; Criterium Sain Amand e Grand Bourg. 1956: Criterium Gueret. 1957: Campionato Nazionale Ciclocross; Criterium di Brive. 1960: Campionato Nazionale Ciclocross.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 8 maggio
Inviato da: Morris - 08-05-2023, 06:41 AM - Nessuna risposta

Vittorio Casati
[Immagine: 16122990231325Casati,Vittorio.jpg]
Nato a Bergamo l’8 maggio 1938. Passista scalatore, alto m. 1,82 per kg 71. Professionista dal 1959 al 1968, senza ottenere vittorie.
Buon dilettante, tenace e sempre presente nelle corse aspre. Piacque all’Avocatt Eberardo Pavesi che se lo portò fra i professionisti nella mitica Legnano a 21 anni non ancora compiuti, convinto di trovare in lui una ottima spalla. E Casati debuttò subito al Giro d’Italia completando la corsa al 48esimo posto. Nel resto di stagione colse due 17esimi posti al Giro di Romagna e alla Milano Vignola e chiuse il Lombardia al 21esimo posto.
L’anno seguente fu sesto nella tappa di Trento del Giro e completò la “Corsa Rosa” al 43esimo posto, lavorando sempre per i suoi capitani. L’ottimo comportamento gli fece guadagnare la maglia della Nazionale per il Tour de France, dove fu impeccabile al servizio di Nencini e Battistini, ovvero i primi due a Parigi. Vittorio concluse 57esimo. Ad ottobre, fu quinto alla Coppa Sabatini.
Nel 1961 Casati visse una stagione sottotono ottenendo solo un quinto posto al Giro Di Sardegna nella tappa di Nuoro, mentre l’anno dopo fu terzo nella tappa da Fleurier a Porrentruy al Giro di Romandia alle spalle di Federico Bahamontes e Franco Cribiori completando la corsa a tappe elvetica al 26esimo posto finale.
Il 1963 fu il suo anno migliore, finì 3° al Giro di Campania ed al Giro d’Italia, grazie ad un andamento regolare a ridosso dei dieci di frazione, ed una punta nella dura tappa che si concludeva a Pescara, completò il GT con un significativo 14esimo posto nella Generale Finale. Fu poi 8° al Trofeo Matteotti e 10° al Giro di Toscana.
Nel ’64 Vittorio Casati passò alla Carpano di Vincenzo Giacotto. A marzo fu 7° alla Genova-Nizza, chiuse il Giro d’Italia al 51esimo posto e partecipò al Giro di Svizzera. Qui, finì terzo nella tappa che da Nafels si concludeva a Locarno e chiuse il Tour de Suisse al 14esimo posto. L’anno seguente la Carpano divenne Sanson con Zilioli capitano, al cui servizio Casati lavorò al Giro d’Italia. Nella Generale finale di Firenze, il capitano finì 2° e Casati chiuse 61°. Nel 1966, rimase senza un contratto continuo e con un accasamento parziale con la Queen Anne, partecipò alla Vuelta di Spagna, che chiuse al 42esimo posto. La mancanza di contratto segnò la sua stagione ’67: pochissime corse senza risultati. All’alba della stagione ’68, la Faema gli offrì un ingaggio, ma Casati preferì chiudere con l’agonismo.

Michele Dancelli
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Nato a Castenedolo (Brescia) l'8 maggio 1942. Completo. Alto 1,74, peso forma kg 68. Professionista da settembre 1963 al 1974 con 81 vittorie. Uno dei grandi italiani della miglior generazione del nostro ciclismo: quella degli anni sessanta. Corridore ardimentoso, veloce e con uno spirito tutto suo verso il sentito dovere di dare spettacolo. Uno che ha corso e vinto, anche per dimenticare quella miseria che l’aveva coinvolto fin da bambino e contro la quale imparò presto a combattere, attraverso il sudore e la fatica del manovale prima e del muratore poi. Il ciclismo era dunque la rivincita e l’occasione di una prosperità impensabile, prima ancora di una comunque evidente passione.
Campione Italiano dilettanti nel 1963, pochi mesi dopo debuttò tra i professionisti. Due volte Campione Italiano anche nella massima categoria, ed una prestigiosa affermazione nella Freccia Vallone. Due volte terzo ai Campionati del mondo, nel 1968 a Imola e nel 1969, a Zolder. Nel 1970 pose orgogliosamente fine alle tradizionali disfatte italiane (16 consecutive) nella Milano-Sanremo. Compì una grande impresa e dopo aver tagliato solitario il traguardo di via Roma, scoppiò in lacrime. Altri 3 anni di gare con modesti risultati, indussero Dancelli ad abbandonare l’attività agonistica a soli 32 anni. Professionista dal 1963 al ’74 con 73 vittorie.
La sintesi dei suoi successi: 2 Campionati italiani (1965-’66); Parigi-Lussemburgo (1968); 3 Giri Appennino (‘65-‘66-‘67); 2 Giri Lazio (‘66-‘70); 3 Giri Provincia Reggio Calabria (‘66-‘67-‘68); 3 GP Prato (‘64-‘65-‘67); 2 Giri Veneto (‘65-‘66); 2 Giri Emilia (‘65-‘67); Freccia Vallone (1966); Milano-Sanremo (‘70); Coppa Placci (‘65); Coppa Sabatini (‘67); Giro Campania (‘65); Giro d'Abruzzo (‘64); GP Mirandola (‘69); Giro delle Marche (‘72). Trofeo Cougnet (‘64); 21 tappe di Giri (fra le altre, 11 al Giro d'Ita-lia, 3 al Romandia, 2 al Giro Svizzera); 15 Criterium; un San Silvestro d'Oro (1967).
Finita la carriera, è stato per anni figura-riferimento del mondo amatoriale.

Mario Zanchi
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Nato l’8 maggio 1939 a Castiglion Fibocchi (AR) ed ivi deceduto il 20 aprile 1976. Passista veloce. Alto m. 1,72 per kg. 74. Professionista dal 1961 al 1966 senza ottenere vittorie.
Iniziò a correre nel 1955 fra gli esordienti, con il G.S. Assi d'Arezzo e si mise presto in luce vincendo diverse corse. Nel 1957 divenne allievo con l'U.S. Terranuovese: nell’anno colse 14 successi divenendo un riferimento per tutta la regione Toscana. Divenuto dilettante con il G.S. Saba di Firenze, si pose ulteriormente in evidenza, vincendo sia in Italia che all’estero e sia in linea che a cronometro. Ruolino che si mantenne notevole, per vittorie e piazzamenti anche nel ’59 quando corse con l'Alfa Cure di Firenze. Idem nel ’60 quando fra le altre s’aggiudicò classiche della categoria come la Firenze-Viareggio, il G.P. Industria del Cuoio e delle Pelli, la Coppa Fiera di Mercatale, il G.P. Montanino. Nel 1961 passò alla Fracor di Levane e con questa prestigiosa maglia vinse nuovamente la Firenze-Viareggio, il Giro dell'Umbria, il Giro degli Abruzzi ed il Gran Premio di Marlia. A settembre passò professionista con la Ghigi.
Nella sua prima stagione nell’élite ciclistica colse il 10° posto al GP Idrostop Altopascio il 1%° al Giro di Toscana e partecipò al Tour de France dove si ritirò alla 7a tappa. Nel 1963 chiuse la Ghigi e gran parte del suo organico, Zanchi compreso passò alla Salvarani. Nell’anno il corridore di Castiglion Fibocchi, fu 6° nel Gp Faenza, 13° al Gp di Prato e partecipò al suo primo Giro d’Italia. Qui fu 3° nella tappa di Arezzo e concluse il GT al 74esimo posto. L’anno seguente iniziò la stagione con la Salvarani, ma poi alla vigilia del Giro d’Italia, passò alla Springoil Fuchs con la quale corse il GT. Qui fu 4° nella tappa che si concludeva a Livorno e finì il Giro a Milano al 58esimo posto. Fu poi 4° nel Gp San Sisto.
L’anno seguente la Springoil divenne Filotex e Zanchi fu 4° nella tappa del Giro d’Italia che si concludeva ad Agrigento e finì 78° la “Corsa Rosa” a Firenze. Fu poi 36° al Tour de Suisse.
Nel 1966, sempre in Filotex, ripartecipò al Tour de France, ma una pesante indisposizione lo costrinse all’abbandono alla seconda tappa. Si ritirò pure al Giro di Svizzera ed a fine stagione lasciò l’agonismo. Ritiratosi dall'attività nel 1967 lavorò come ferroviere. Morì il 20 aprile 1976 colto da un malore all'arrivo di una gara ciclistica per Allievi. Era la sua prima gara da Direttore Sportivo. La comunità di Castiglion Fibocchi, per ricordarlo, organizza ogni anno una gara ciclistica per dilettanti a lui dedicata: il divenuto prestigioso "Trofeo Mario Zanchi".

Loris Zanotti
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Nato a Quacchio di Ferrara l'8 maggio 1922, deceduto ad Orbassano (TO) il 27 agosto 2011. Stradista e ciclocrossista. Professionista dall'ottobre 1946 al 1950, con 2 vittorie su strada, non precisate nel ciclocross.
All'anagrafe Lores, questo corridore ferrarese di nascita, torinese d'adozione, è stato uno dei massimi esponenti del ciclocross italiano, all'indomani del secondo conflitto mondiale. Non era solo un amante della bicicletta fra prati e fango, di difendeva pure su strada, anche se, ovviamente, pagò la competitività dei ciclisti italiani del tempo e lo stop per la guerra. Gran combattente, si mise in luce nel 1942, quando finì 4° nel Campionato Italiano di ciclocross, categoria unica. Indi nel 1943, quando vinse sempre da dilettante, la Coppa Città di Asti. E poi, all'indomani del conflitto, dopo il 5° posto nei Tricolori di cross categoria unica, colse un gran successo nella Coppa Italia, assieme a Mina, Trinchero e Visconti, suoi compagni nella Lancia di Torino. Il passaggio fra i professionisti, avvenne nell'ottobre 1946, giusto in tempo, per cogliere su strada, il 4° posto nel GP Sassi. Nel 1947, dove corse in parte con la Benotto ed in parte con la Monterosa, vinse la sua prima corsa: la Coppa Zenith a Ferrara. Fu poi 2° nella Coppa Città di Monza e nella Coppa Govoni, 3° nel GP Primavera, 4° nella Coppa Fiorini, il 6° nella Milano Torino e il 9° nel GP Sodolin. Si ritirò al Giro d'Italia, a causa di una caduta. Nel 1948, dopo il successo nella Coppa Grignasco, incentivò la sua attività-vocazione verso il ciclocross. Fu 2° nel Campionato Valdostano indipendenti, 3° nel Campionato Italiano categoria unica e colse un gran bel 8° posto nel Criterium International, ovvero il Mondiale ufficioso della specialità. L'anno successivo fu 2° nel Campionato Italiano categoria unica. Ormai però, pensava più che altro ad un lavoro redditizio e pur staccando la licenza anche nel 1950, dove si classificò nuovamente al posto d'onore nel Tricolore, a marzo di quell'anno chiuse con l'agonismo.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 7 maggio
Inviato da: Morris - 07-05-2023, 07:41 AM - Nessuna risposta

Giovanni Rossi (Sui)
[Immagine: 1221310457Rossi,%20Giovanni.jpg]
Nato a Bidart (Nuova Acquitania – Francia), il 7 maggio 1926, deceduto a Ponte Tresa (Canton Ticino – Svizzera) il 17 settembre 1983. Passista veloce. Professionista dal 1948 al 1954 con 5 vittorie.
Un discreto corridore che aldilà di tutto impreziosì la grande valenza di quella generazione svizzera che aveva in Kubler e Koblet alfieri di gran valore storico. Giovanni, di chiara origine italiana, nacque in Francia, a Bidart, un paese sulla costa atlantica, ma si trasferì con la famiglia nel Canton Ticino quando era ancora non andava a scuola, divenendo cittadino svizzero negli anni trenta. Qui arrivò alla passione per il ciclismo, in una zona dove stava facendosi strada ciclistica un altro importante riferimento di quella generazione rossocrociata: Emilio Croci Torti. La crescita di Rossi fu notevole, al punto che nel 1948 fu selezionato per le Olimpiadi di Londra nella prova su strada dive però si ritirò. Il passaggio fra gli indipendenti all’indomani dei Giochi, gli consentì di gareggiare anche coi professionisti ed il suo debutto avvenne al Giro di Puglia e Lucania la seconda settimana di novembre’48. Qui Giovanni vinse subito la prima tappa. Tornato in patria, nel 1949, approfittò del regolamento elvetico che consentiva agli indipendenti di correre anche i campionati dilettanti e trionfò nel Campionato Svizzero della categoria cadetta. Divenuto professionista con la Tigra nel ’50, colse nell’anno il miglior piazzamento col 6° posto nel GP Le Locle, fu poi 7° al Trofeo Baracchi in coppia con Danilo Barozzi. L’anno seguente salutò la sua esplosione. Vinse, a Reims, la prima tappa del Tour de France, indossando la maglia gialla che perse subito e, dopo un 2°, un 9°, ed un 11° nelle frazioni successive, si ritirò per caduta nel corso della sesta tappa. Vinse poi a Lucerna la 5a frazione del Tour de Suisse, indi fece suo il GP di Ginevra, ed il Francia trionfò nel Circuit de la Cote d'Or. Fu poi 2° nel Campionato Svizzero su strada, 2° nella Neuchatel Ginevra, 2° e 3° in due tappe del Tour de Romandie, 5° nel Giro del Ticino.
Nei due anni seguenti corse pochissimo ed in quel biennio il miglior piazzamento fu l’8° posto nel Tour de Lac Leman ‘52. Tornò ad una certa attività nel 1954 e nella stagione fu 2° ad Avignone nella prima tappa del Dauphiné Libéré (che chiuse 52°), fu 3° nel GP Le Locle, 5° nel Giro del Ticino, 7° ed 8° in due tappe del Giro di Lussemburgo e 8° nel Tour de Lac Leman. A fine stagione senza mai aver dato spiegazioni appese la bicicletta al chiodo e divenne commerciante.

Alfred Ruegg (Sui)
[Immagine: 16770988461325Ruegg,Freddy.jpg]
Nato a Zurigo il 7 maggio 1934. Deceduto ad Affoltern am Albis il 26 aprile 2010. Passista. Professionista dal 1959 al 1967 con 16 vittorie.
Alfred, detto da tutti Fredy, è da considerarsi, dopo Rolf Graf, il miglior talento espresso dal ciclismo svizzero all'indomani dell'era d'oro dei tempi di Kubler e Koblet. È stato un corridore dal passo vellutato che ha raccolto poco rispetto ai notevoli mezzi, anche perché il regolamento elvetico che imponeva nelle corse in patria una squadra svizzera, ed in quelle all'estero le possibilità più disparate, favorì al di fuori della propria nazione, l'uso di Ruegg a compiti di traghettatore, di locomotiva al servizio di corridori veloci. In patria però, il valore di Fredy si vide molto meglio, a cominciare dal Tour de Suisse '60, dominato, più che vinto e al Campionato di Zurigo del medesimo anno, dove venne a capo di un ottimo cast. Lo si vide soprattutto nel 1962, quando stabilì il Primato Mondiale dell'Ora su pista coperta, percorrendo 46,819 km. E poi ancora con la sua adattabilità su pista, dove fu protagonista vincente e più volte dei Campionati Nazionali nell'Inseguimento, nonché nel Mezzofondo. Anche su strada si fregiò del Titolo Nazionale, proprio nell'ultimo anno d'attività, a 33 anni, nel 1967. Insomma un corridore che poteva segnare meglio un'epoca, ma che va annotato. Sicuramente una delle più belle e rotonde pedalate dei primi anni sessanta.
Tutte le sue vittorie.
1960: Giro di Svizzera; 2a e 4a tappa del Giro di Svizzera; Classifica GPM del Giro di Svizzera; Campionato di Zurigo; 6a tappa del Giro di Germania. 1961: Giro del Nord Ovest; 1a tappa del Giro di Svizzera; 1a tappa del Giro di Romandia. 1962: Record Mondiale dell'Ora su pista coperta (46,819 km); Campionato svizzero dell'Inseguimento. 1966: 4° tappa del Giro di Svizzera, Campionato svizzero dell'inseguimento e di Mezzofondo. 1967: Campionato svizzero su Strada; Campionato svizzero di mezzofondo.

Paolo Savoldelli
[Immagine: 16677295951325Savoldelli,Paolo.jpg]
Nato a Clusone il 7 maggio 1973. Completo. Alto 1,80 m. per 70 kg. Professionista dal 1996 al 2008, con 28 vittorie. Di Paolo Savoldelli tutti ricordano la sua punta, il suo pezzo forte, in quelle capacità di discesista, che gli valsero il nomignolo di "Falco" e dove, in effetti, va valutato come uno dei più grandi nella storia del ciclismo. Ma di punte questo ragazzone di Clusone, ne aveva un'altra, che è stata forse la più importante nei suoi più grandi successi: la capacità tattica. In pochi, nel ciclismo moderno, robotizzato da quelle radioline che mettono i corridori sempre più nelle mani dei tattici reali, ovvero i diesse, han mostrato qualità vicine alle sue. Il "Falco" sapeva leggere i momenti dell'affondo oltre alle traiettorie in discesa, conosceva le sue doti ed i suoi limiti e sapeva osservare le qualità ed i difetti degli altri, le "economie" di gara, i rapporti e le alleanze spesso involontarie che si distribuivano nelle consumazioni delle corse. Insomma, uno che valeva 80 e che alla fine, per tutto questo, si poteva spendere per 100. E che poi, a carriera conclusa, si sia fatto un oceano di ammiratori per il suo modo di commentare il ciclismo dalla moto-Tv, emergendo per precisione essenzialità, leggendo sempre con acume le condizioni di chi osservava, non era altri che la prosecuzione di ciò che è stato sulla bicicletta. Insomma, uno davvero forte, non già per il talento di nascita, che pure era più che buono, ma per cervello agonistico davvero raro.
Nelle categorie minori mostrò ciò che è più importante: crescere con costanza. Soprattutto nel '95, il suo ultimo anno da dilettante, seppe vincere corse che raramente mentono, come il Trofeo Alcide De Gasperi, la Coppa della Pace e la Medaglia d'Oro Frare-De Nardi. Nel 1996 passò professionista nella Roslotto-ZG Mobili, team diretto da Moreno Argentin. Partecipò subito al Tour de France, dove ottenne un 5° posto di tappa e chiuse a Parigi al 33° posto. Nel '97 vinse la 4° tappa della Hofbrau Cup e partecipò al suo primo Giro d'Italia, che finì al 13° posto. Nel 1998 si trasferì alla Saeco, sodalizio che gli fece capire subito di puntare su di lui per le corse a tappe. Paolo rispose vincendo una frazione e la Classifica finale del Giro del Trentino, cogliendo qualche bel piazzamento e chiudendo 9° il Giro d'Italia. Nel 1999, l'esplosione. Vinse da subito il Trofeo Laigueglia con una bella sparata, s'aggiudicò di nuovo il Giro del Trentino, dove colse anche la prima tappa e al Giro d'Italia dell'oscura defenestrazione del dominatore Marco Pantani, fu autore di una portentosa discesa del Fauniera, che gli valse la tappa di Borgo San Dalmazzo, ed il 2° posto finale. In quell'edizione del Giro, fu anche Maglia Rosa per un giorno, ma non l'indossò, perché per lui, il titolare, era, appunto, l'appena defenestrato Pantani. Partecipò poi al Tour de France, ma si ritirò nella 10° frazione. Nel 2000, vinse la 3a tappa del Giro del Trentino, che chiuse poi 3° e partecipò al Giro di Romandia, dove vinse il Prologo e la classifica finale della manifestazione. Al Giro d'Italia partì bene poi cadde e s'infortunò alla schiena. Questo episodio condizionò negativamente le sue prestazioni, sia in quell'edizione che chiuse al 24° posto, che in quella successiva. Partecipò poi al Tour de France, ma fu ovviamente incolore, 41°. Il 2001 di Savoldelli s'aprì con un ambo di successi al Giro di Romandia, il Prologo e la 2a tappa, poi con una partecipazione anonima al Giro d'Italia, dove chiuse 14°, ma non fu mai un protagonista. Partecipò poi alla Vuelta di Spagna, ma come gli era già capitato nella prima partecipazione nel '98, su ritirò nel corso della 11a tappa. A fine anno, la Saeco decise di puntare su Gilberto Simoni e Savoldelli cambiò squadra, accasandosi alla Index-Alexia Alluminio. Una squadra debole, che, però, segnò la sua rinascita. Vinse infatti l'edizione 2002 del Giro d'Italia, grazie anche alle disavventure dei suoi rivali: Stefano Garzelli fu squalificato per la positività ad un controllo antidoping, Gilberto Simoni si ritirò su invito del suo team, poiché trovato positivo alla cocaina ad un controllo effettuato due settimane prima del Giro (ma fu in seguito totalmente scagionato da tale accusa), Cadel Evans ebbe una crisi di fame durante l'ultima tappa di salita e Francesco Casagrande fu escluso dalla competizione per aver spinto a terra un ciclista.
Da quel momento in poi, la fortuna incominciò a voltare le spalle a Savoldelli: tra il febbraio 2003 e il gennaio del 2005 ebbe parecchi infortuni con tanto di fratture che lo tennero lontano dalle corse praticamente per due anni. Con la maglia della T-Mobile, praticamente non corse mai e nel 2005 passò alla Discovery Channel di Lance Armstrong. Col il nuovo team, debolissimo e praticamente solo sulla carta, da solo, seppe vincere il Giro d'Italia 2005, precedendo Gilberto Simoni e
giungendo così alla definitiva consacrazione. Un successo costruito con grande intelligenza sulla linea del traguardo della frazione di Zoldo Alto e, con sagacia tattica fuori dal comune, nella tappa del Colle delle Finestre. Vinse poi il GP Formaggi Guffanti e, come spalla di Armstrong, partecipò al Tour de France. Qui, contribuì alla vittoria del suo team nella cronometro a squadre e, soprattutto, vinse la tappa Revel. Nel 2006, vinse il Prologo del Giro di Romandia e la prima tappa, a cronometro, del Giro d'Italia, in quel di Seraing, in Belgio. Conquistò la Maglia Rosa che difese per due giorni e chiuse poi 5° a Milano. Nel 2007 passò all'Astana, squadra del Kazakistan, vinse il cronoprologo di Friburgo al Giro di Romandia, poi, a causa di una caduta, non fu in grado di puntare alla Maglia Rosa del Giro, dove chiuse 12°, ma con un bel successo di tappa: nella cronometro di Bardolino di Verona. Nel finale di stagione vinse il Criterium di Horgen in Svizzera. Corse poi la sua ultima stagione, quella del 2008, per la LPR Brakes-Ballan, assieme a Danilo Di Luca. Tolto da ogni possibilità di successo al Giro, a causa di una bronchite, aiutò il compagno di squadra con grande disponibilità e la solita straordinaria intelligenza tattica. Chiuse la Corsa Rosa 15°, ed a fine anno lasciò il ciclismo pedalato per salire a bordo delle moto-cronaca della RAI, evidenziandosi, come detto, per precisione ed estrema concretezza. Un media nato, insomma. Ciononostante, il rapporto con la TV di Stato, s'è interrotto, ma Paolo Savoldelli è rimasto nei media come apprezzato commentatore di ciclismo in Sky e Bike Channel.

Andrea Tafi
[Immagine: 16481374151325Tafi,Andrea.jpg]
Nato a Fucecchio (FI) il 7 maggio 1966. Passista. Alto 1,87 m. per 73 kg. Professionista dal 1988 al 2005, con 35 vittorie. Un corridore che è cresciuto lentamente fino a trovare il meglio di sé verso i 30 anni e proseguire da evidente internazionale fino ad età dove molti hanno già appeso la bicicletta al chiodo. Un lavoratore del pedale, soprannominato "Gladiatore", che ha fatto del mestiere scelto, un credo, una missione. Meno dotato di altri, ha messo assieme un palmares non corposo per numeri, ma di grande qualità e con un indirizzo sulle classiche del pavé, fra i migliori degli ultimi trent'anni. Poco possibile alle corse a tappe, anche brevi, deve tutta la sua fama a quelle di un giorno, dove sapeva fare la corsa sgretolando gli avversari e senza poter disporre di uno spunto veloce di nota. Veloce lo diventava, solo perché aveva dimezzato le forze di chi cercava di resistergli. In ogni caso, la sua specialità era giungere solo con affondi nel finale, che erano quasi sempre il frutto di quel lavoro ai fianchi che portava a monte. Insomma, nessuno, compreso chi scrive, avrebbe mai scommesso su di lui, come di un vincente grandi prove, perlomeno fino al 1994-'95. Eppure, il buon Tafi, smentì tutti, fino a rendersi tra gli attesi di quelle prove del nord in particolare, che sono una delle leggende del ciclismo, oggi l'unica rimasta a questo sport, ciclocross a parte.
Andrea iniziò a correre in bicicletta superando agli inizi le diffidenze della famiglia, della madre soprattutto e la sua trafila nelle categorie giovanili fu sempre più esaltante per lui, a dispetto di risultati tutt'altro che esaltanti. Ed a ben pensare non è mai stato e mai sarà un male, per uno sport che brucia energie mentali come nessuno. Si diplomò segretario d'azienda e solo da dilettante quando scelse il ciclismo come mestiere su cui puntare, iniziò a prendersi spazi di una certa notorietà per quel suo modo di correre, arrembante, che non lo abbandonò più. Vinse una tappa al Giro Baby e il GP Cuoio e Pelli che, vista la sua crescita ed il modo di interpretare questo sport, stuzzicarono un team professionistico giovane, votato al lancio di nuovi volti come ll'Eurocar Mosoca Galli, squadra italiana di fatto, ma con affiliazione svizzera. Con questo sodalizio fece il salto nel grande ciclismo il primo novembre 1988. Ed il buon Tafi, zitto zitto cominciò a vincere, certo corse lontane dall'Europa, ma comunque ideali per saggiare le proprie forze. Nel 1991, il punto cardine nella carriera del corridore di Fucecchio, la vittoria nel Giro del Lazio, dove venne a capo di un drappello composto da altri cinque compagni di fuga. Quel successo gli aprì le porte per uno squadrone come la Carrera che gli consentì di affinare le esperienze nel ciclismo più importante. Dopo un biennio in quel sodalizio, nel 1994 approdò alla Mapei, per quello che sarà il suo team storico e dove raccoglierà tutti i suoi grandi successi.
Nell'anno del debutto vinse il GP di Fourmies, poi dopo un '95, con piazzamenti significativi ma privo di successi esplose nel '96, divenendo un faro del nostro ciclismo nella gare di un giorno. Bene in primavera col 15° al "Fiandre" e la grande giornata di "Roubaix" dove finì 3° per scelta "di scrivania", indi una tarda estate incredibile, coi successi in successione al Trofeo Melinda, nella classica delle due Capitali, la Parigi-Bruxelles, il bis al Giro del Lazio, la Coppa Placci (che a quei tempi era al suo massimo splendore) e la ciliegina in una "Monumento" come il Giro di Lombardia. A fine anno grazie a queste vittorie si trovò 4° nella Classifica di Coppa del Mondo (era poi giunto 6° al Mondiale) e 11° nel Ranking UCI. Nel '97 rivinse una prova di World Cup, la Rochester Classic colei che raccoglieva il testimone della Wincanton Classic. Ma in quella stagione tagliò altre volte il traguardo per primo, come al GP di Fourmies, nella "Sabatini", in due tappe del Tour di Langkawi. Tanti anche i piazzamenti, come il 2° posto all'Amstel Gold Race, che gli valsero il 3° posto finale in Coppa del Mondo. Nel 1998, finì secondo nell'amata "Roubaix", ma poi vinse, fra le altre, classiche nazionali come il GP di Camaiore, la Coppa Agostoni, nuovamente il Giro del Lazio e si laureò Campione Italiano su strada. A fine stagione fu nuovamente terzo in World Cup. La stagione seguente lo vide concretizzare alla sua maniera, finalmente, quel sogno che cullava fin da quando salì sulla bicicletta: vincere la Parigi-Roubaix. Lo fece da Tricolore e lo fece da grande specialista di questa corsa massacrante, che, da sola, vale una carriera. Nell'anno colse un altro mito del nostro ciclismo quale il Giro del Piemonte. Poteva mancare nel palmares di un combattente del pedale una delle più vecchie classiche del panorama internazionale, dal fascino tutto particolare come la Parigi Tours? No! Ed infatti "Tafone" come in molti lo chiamavano, compì fra le strade dei Castelli della Loira, una delle sue migliori imprese: a giudizio di chi scrive, la migliore, Arrabbiato per la mancata convocazione ai Mondiali di Plouay, sbaragliò i velocisti con una fuga delle sue, ed anticipò di una quarantina di secondi un drago come Tchmil. L'azione di Tafi fu impressionante. Mancava ancora una "Monumento" nel suo cuore di campione votato a certi percorsi leggendari, ed a quasi 36 anni, il corridore di Fucecchio, coprì quel buco. Il Giro delle Fiandre fu infatti suo il 7 aprile 2002, grazie ad un'azione di tipico "stile Tafi" nel finale, annichilì il gruppetto dei migliori. A fine 2002, la Mapei abbandonò il ciclismo, ma Andrea continuò anche senza più trovare lo smalto dei tempi migliori. Chiuse la carriera nella "sua" Roubaix il 10 aprile 2005. Arrivò 42°, ma festeggiato come un trionfatore.
In carriera ha corso 5 Giri d'Italia (1990: ritirato - 1991: ritirato - 1993: ritirato 17° tappa - 1995: 35º - 1999: 80º); 6 Tour de France (1993: 128º - 1995: 39º - 1996: 45º - 1997: 57º - 1998: 42º - 2002: 106º); 3 Vuelta di Spagna (1992: 98º - 1999: 29º - 2000: 74º); 4 Campionati del Mondo (1996: 6º - 1997: 20º - 1998: 8º - 1999: 11º).

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 6 maggio
Inviato da: Morris - 06-05-2023, 10:29 AM - Nessuna risposta

Alfredo Bovet
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Nato il 6 maggio 1909 a Cully (Svizzera) e deceduto il 15 gennaio 1993 a Renens (Svizzera). Passista scalatore. Professionista dal 1930 al 1945 con venti vittorie.
Uno dei pochissimi casi di straniero divenuto italiano, in un ciclismo che testimonia, anche se certi echi nazionalistici odierni non lo ammetteranno mai, quanto gli italiani, in rapporto alle nascite, siano probabilmente il popolo più emigrante della storia. Il romanzo del pedale, coi suoi oltre trentamila professionisti, è pieno di corridori francesi, belgi, svizzeri, lussemburghesi ecc. di origine e, spesso nascita, italiana.
Bovet è, ripeto, uno dei pochissimi a cammino inverso. Di origine elvetica in entrambi i genitori, nato a due passi da Losanna, il giovane Alfredo, in Svizzera, oltre alle scuole, iniziò pure a praticare il ciclismo, ma poi, assieme al fratello Enrico (in futuro anch'egli corridore), più giovane di due anni, si trasferì con la famiglia, per ragioni di lavoro del padre, a Castellanza, nel varesino. Acquisì la cittadinanza italiana nel 1928 e svolse in Italia il servizio militare come del resto il fratello Enrico.
Ciclisticamente, divenne italiano dalla massima categoria dei professionisti, della quale entrò a far parte nel settembre 1930. Buon passista, nelle giornate di vena anche scalatore di nota, non disdegnava le azioni da lontano e fu proprio grazie ad una lunga e temeraria fuga, che riuscì a cogliere il suo successo più prestigioso, nella Milano-Sanremo 1932. Nell'anno del debutto, pur passando a stagione in gran parte consumata, fece in tempo a vincere la Coppa Zanardelli. Nel 1931, fu davvero un protagonista, vincendo la Coppa Bernocchi, anche se poi la gara non venne omologata, indi la Coppa Crespi, la Coppa Bourgeugnon, la Targa Legnano, la Coppa San Geo, la Coppa Catena Regina, finì secondo nella Coppa Zanardelli, terzo nella Milano Modena, quinto nel Giro di Lombardia e tredicesimo nel suo primo Giro d'Italia. Nell'anno del grande successo alla Sanremo, vinse pure la Firenze Roma per squadre, finì secondo dietro Archambaud, nel prestigioso Gran Premio delle Nazioni a cronometro e secondo nella Tre Valli Varesine. Si piazzò in diverse tappe del Giro d'Italia anche se lo chiuse con un modesto 45° posto. Di ottimo livello anche il suo 1933. Vinse la Tre Valli Varesine, andò in Spagna e qui colse il successo nella corsa a tappe più importante, il Giro di Catalogna (la Vuelta non c'era ancora), nonché in due tappe dello stesso; indi sempre in terra catalana trionfò nel Criterium di Barcellona. Importanti anche i suoi piazzamenti: finì secondo nella Sanremo, terzo nel Campionato italiano e quarto nel Giro d'Italia dove si piazzò in una miriade di frazioni. Col 1934 iniziò una lenta decadenza, anche se non mancarono gli acuti e continuò a piazzarsi nelle principali corse. Nel '35 vinse i Criterium di Cossato e Busto Arsizio, due prove su pista valevoli per il Giro della Provincia di Milano; finì secondo nella prestigiosa Reuss-Barcellona-Reuss dietro a Bartali e quinto nella "amica" Milano Sanremo. Nel '36, vinse il GP d'Apertura a Milano e giunse quarto nel Campionato italiano. Col 1937, iniziò a dedicarsi alla pista dove ottenne discreti risultati nel mezzofondo, classificandosi 2° nei campionati italiani '37, '40, '42 e '45 e disputando anche i Campionati Mondiali del 1937, dove venne eliminato nelle batterie. Su strada si segnalò nuovamente alla Sanremo, giungendo terzo nella velocissima edizione del '38. Provò a ritornare anche dopo la guerra, ma le sue migliori stagioni erano lontane, ed appese la bicicletta al chiodo.

Ambrogio Colombo
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Nato a San Vittore Olona (MI) il 6 maggio 1940. Passista scalatore, alto m. 1,77 per kg 67. Professionista dal 1964 al 1966, senza ottenere vittorie.
Un buon pedalatore, senza infamia e senza lode, passato professionista nell'Ignis nel 1964, dopo aver corso bene da dilettante. Da "puro", Ambrogio vinceva poco, ma arrivava sempre, senza impressionare, ma arrivava. Un passista non altissimo che si difendeva in salita, anche perché di costituzione magra e con una buona volontà nel prepararsi durante la settimana sulle alture non distanti da casa. I tratti del campione non c'erano, ma le possibilità di giungere ad un buon ruolo da gregario, sì. Soprattutto in considerazione delle sue doti sul passo e per quell'abitudine ad inseguire gli ardimentosi. Con questo biglietto, si presentò in maglia Ignis al Giro d'Italia del 1964. Il ragazzone lombardo non andò male, giunse quinto nella tappa di Cuneo e terminò la corsa al ventottesimo posto. Un piazzamento davvero discreto per un debuttante. Giro a parte, il comportamento di Colombo sul resto, anche per qualche acciacco di troppo, non si mosse dalla mediocrità e ciò spinse, nel 1965, i dirigenti della squadra di Borghi, a riservarlo per una gara che si annunciava più massacrante del Giro di quell'anno, ovvero il Tour de France. Inserito nella formazione mista fra Molteni e, appunto, Ignis, Colombo, fece da gregario al ventenne Motta e finì il Tour al 78° posto. Nel 1966, il giovane Gianni, memore del buon comportamento tenuto da Ambrogio nella Grande Boucle, favorì il suo accasamento in Molteni, ma il passista di San Vittorie Olona, non riuscì ad emergere come sperava, ed a fine stagione abbandonò l'attività. Le soddisfazioni che non riuscirono al lui però, si concentrarono una trentina d'anni dopo, sulle gambe del figlio Gabriele, sì proprio quel Colombo che vinse la Milano Sanremo nel 1996.

Hans Junkermann (Ger)
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Nato a Sankt Tonis (Renania Settentrionale-Vestfalia - Germania) il 6 maggio 1934, deceduto a Krefeld (Renania Settentrionale-Vestfalia - Germania) l'11 aprile 2022. Completo su strada e pistard endurance, alto 1,75 per 67 kg. Professionista dal 1955 al 1973 con 55 vittorie fra strada e pista.
Ciò che lo distingueva ancor più delle sue grandi capacità atletiche era la sua umanità. Sempre di buon umore, sempre cordiale. Ed è sempre rimasto con i piedi per terra, indipendentemente dal successo via via conquistato: lui era solamente “il ragazzo sorridente di Krefeld”. Chi scrive non può dimenticare una sua atleta tedesca quando raccontava dei suoi incontri in allenamento con Junkermann, che la copriva di sostegni, consigli e sapeva infonderle quell’ottimismo che diviene straordinario quando coinvolge una buona atleta e non una campionessa. Hans, insieme a Rudi Altig, Karl-Heinz Kunde e Rolf Wolfshohl, plasmò il ciclismo professionistico tedesco negli anni '60 e, visti i ruoli ricoperti ed assunti nel dopo carriera, può essere definito un vero e proprio peculiare riferimento del ciclismo tedesco a cavallo del millennio.
Venne definito l'"uomo ombra" per il suo modo di correre e la sua regolarità: non lo si notava in corsa, ma alla fine era sempre presente. Atleta forte e ben dotato, senza punti deboli, non riuscì a divenire epocale soprattutto per la sua bontà e la sua devozione verso gli interessi di squadra e di un capitano in particolare. Non a caso, la sua classe, il suo talento e la sua disponibilità, lo elessero assistente ben pagato di grandi campioni come Van Looy, Gaul, Beheyt, Altig e Bahamontes. Tuttavia, nei 18 anni di professionismo, Hans ha saputo conquistare traguardi particolari e di pregio, sia su strada che su pista. In altre parole, come completezza, sta sicuramente fra i primi 4 corridori tedeschi dell’intera storia, sempre tenendo conto nelle disamine, dei valori e degli spessori singoli e di gruppo, relativamente ai lassi in cui s’è corso.  
La classe e la forza di Junkermann fecero presto capolino al punto di spingere emissari della RDT, a contattarlo per ben due volte nel 1954, affinché si trasferisse nell'est, dove sarebbe stato lautamente pagato, per fare il "dilettante di stato". Hans rifiutò, perché voleva rimanere nella Germania Ovest, ed essere un professionista. Scelse così, per il 1955, una piccola squadra come la Bauer, una delle più piccole del ciclismo professionistico, con soli 7 corridori e programmi limitati. Junkermann però, era un grande corridore e ben presto tante squadre di gran nota, anche per brevi periodi, lo ingaggiarono. Furono infatti 33 le maglie-squadra che “l’uomo ombra” indossò, nei 18 anni di professionismo. Una disamina della sua carriera ci porta ad annotare che in patria è stato Campione Nazionale su Strada nel '59, '60, '61; Campione della Montagna nel '61, '62, '64, '66 e '67; dei Criterium nel '67; dell'Inseguimento su pista nel '58, del Madison nel 1959 (con Bugdahl),’60 (con Bugdahl),’61 (con Altig), ’62 (con Altig), ’64 (con Altig), ’65 (con Oldenburg). Sempre in patria ha vinto classiche internazionali come l'Henninger Turm '63 e il Giro di Francoforte '58, nonché altre corse. All'estero ha vinto la classica Campionato di Zurigo '57 e il Giro di Svizzera (9 disputati) nel '59 e nel '62, con quattro tappe vinte oltre a un G.P. della Montagna. Nel 1968 è stato Campione Europeo fra gli Stayer. Ha partecipato a 18 Mondiali su strada, dei quali 14 conclusi, 4 con piazzamenti nei primi dieci. Migliore posizione: il 6° posto nel 1960 a Sachsering.
[Immagine: 278211168_5414295595248671_1882131991630...e=645AB972]
Il suo adattamento agli sforzi prolungati lo ha portato a correre anche otto Tour de France (4° nel '60), quattro Giri d'Italia (6° nel '61), due di Spagna (7° nel '65), quattro di Germania (2° nel '61, 3° nel '65), due del Lussemburgo (3° nel '64), due d'Olanda (6° nel '61), tre del Belgio, una Quattro Giorni di Dunkerque (2° nel '63) e altri ancora…Nel suo palmares anche 9 Seigiorni vinte (con una di piazzamenti sul podio) corse alle quali si dedicò con costanza negli ultimi anni di carriera. Rimpianti: l’aver avuto sostegni nulli da parte della Nazionale ai Tour de France ’60 e ‘61, quando arrivò 4° e 5° correndo praticamente da “isolato” e quell’abbandono alla Grande Boucle ’62, quando era lanciatissimo, a causa di una manomissione del cibo (secondo il parere di diversi) a Luchon.  
Dopo il ritiro, avvenuto a fine febbraio 1973, Junkermann ha allenato giovani corridori per 25 anni, prima con la squadra ciclistica RSV City Neuwied e tra il 1984 e il 1998 con l'Olympia Dortmund. Al Dortmund , ha portato Erik Zabel , Udo Bolts, Rolf Aldag , Kai Hundertmarck e Bernd Groene a diventare professionisti.

Maurice Mollin (Bel)
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Nato ad Anversa il 6 maggio 1924, deceduto a Deurne il 5 agosto 2003. Passista veloce. Professionista dal 1945 al 1958 con 21 vittorie.
Classico corridore belga: tenace, furbo, veloce e col ciclismo nel sangue. Non dotato di grande talento e con uno spunto di velocità naturale inferiore a tanti della sua terra, imparò con gli anni a spremersi con oculatezza e tutelare al massimo le sue non tante risorse.
Gli andò benissimo il due maggio 1948, quando sul traguardo della prestigiosa (non come oggi comunque) Liegi-Bastogne-Liegi, superò nella volata decisiva, Raymond Impanis (dal quale lo divideva una montagna di classe), ed un drappello di altri diciannove corridori. Con quel successo, Mollin entrò nella storia del ciclismo. Inadatto alle corse a tappe, vinse due frazioni del Giro del Belgio, mentre nei grandi giri, partecipò due volte al Tour de France, ed una ciascuna al Giro e alla Vuelta, ma solo al Tour 1947 non abbandonò, concludendo in 42esima posizione.
Tutte le sue vittorie. 1946: Criterium di Lier e Berlaar. 1947: GP 1° Maggio; GP Ambiorix; Criterium di Wilrijk; Ramsel e Melsele. 1948: Liegi-Bastogne-Liegi; 3a tappa del Giro del Belgio; Beveren-Waas; Criterium di Anderlecht. 1951: Tour de Hesbaye; Criterium di Malines. 1952: 2a tappa del Giro del Belgio. 1953: Criterium di Ruisbroek, Wilrijk, Kieldrecht e Borgerhout. 1955: Criterium di Deurne. 1957: Criterium di Averbode e Welle.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 5 maggio
Inviato da: Morris - 05-05-2023, 07:21 AM - Nessuna risposta

Francesco Masciarelli
[Immagine: 15829594961325Masciarelli,Francesco.jpg]
Nato a Pescara il 5 maggio 1986. Passista scalatore alto 1,74 per 55 kg. Professionista dal 2007 al 2012 con 6 vittorie. Figlio di Palmiro, gran gregario di Francesco Moser e fratello minore di Andrea e Simone, anche loro corridori professionisti. Francesco era marcatamente il più forte e talentuoso fra i congiunti ed un autentico patrimonio per il nostro ciclismo. Per chi scrive il miglior talento italiano relativamente ai GT dopo la generazione dei nati nei primi anni settanta. Purtroppo a modificare il futuro di questo ragazzo per il quale s'era portati naturalmente a tifare, ci ha pensato la sfortuna, sottoforma di malattia. Restano però impressi quei fotogrammi dell'incenso del suo talento, quel modo di dipingere coi pedali e quella naturalezza che è patrimonio solo dei grandi.
Cresciuto ciclisticamente senza patemi o frenesie di risultato nelle giovanili dell’Acqua & Sapone-Caffè Mokambo, passò professionista nel 2007, all'interno del medesimo sodalizio. Nell'anno d'esordio mostrò la sua classe, vincendo le due tappe più dure del Tour of Japan che gli valsero la conquista del primo posto nella Classifica generale Finale della manifestazione. Si fece nuovamente notare nell'estate del 2008, quando fu protagonista al Brixia Tour che chiuse al 2° posto, indi si piazzò nono al Giro del Veneto, decimo alla Coppa Agostoni e undicesimo al Gran Premio Città di Camaiore. Dopo i Mondiali, all’appuntamento prestigioso del Giro del Lazio si presentò un gran cast: per Francesco era un’occasione per misurarsi con un certo piglio. La corsa vide protagonista dapprima l’iridato Alessandro Ballan, indi ad attaccare e ad incidere, un bel gruppetto con tre big del ciclismo azzurro, il vice iridato Cunego, Di Luca e Pozzato. Con loro nel drappello al comando anche il 22enne Francesco. Gli ultimi 4 chilometri in leggera ma costante salita, stuzzicarono la volontà di Masciarelli che, ai meno 3, se ne andò arrivando al traguardo in solitudine. Un’azione di classe, con un mix di forza e di audacia. Dopo quel grande successo fu 8° nel Giro dell’Emilia.  Il 2009 segnò l'esordio di Francesco al Giro d’Italia che finì al 17° posto, 2° nella Classifica della Maglia Bianca dei giovani ed un sesto posto nella difficile tappa di Monte Petrano, vinta da Carlos Sastre. A luglio si mise in luce al Brixia Tour cogliendo due terzi posti ed il quinto nella Classifica Finale. Indi in Spagna chiuse al sesto posto la Vuelta a Burgos ed in Italia terminò 2° nella Tre Valli Varesine.
L'anno seguente Masciarelli partì col botto al Giro del Mediterraneo, conquistando la frazione conclusiva in vetta al Mont Faron, grazie ad uno scatto fulminante precedendo di otto secondi i primi due della generale Alejandro Valverde e Rinaldo Nocentini oltre a Robert Gesink. Al Giro d'Italia causa i guai fisici dovuti alle cadute fu costretto al ritiro. L’estate non fu favorevole al pescarese, che non riuscì a bissare le buone prove di dodici mesi prima ma, a fine anno, arrivò la chiamata della corazzata Astana per la stagione 2011. Con l'obiettivo di far bene il Giro d'Italia in appoggio al capitano Roman Kreuziger, si piazzò 14° al Trentino e al Giro, dopo due grandi tappe con funzioni di spalla, all'Etna e al Grosslockner, Francesco fu vittima di una caduta causa una portiera apertasi bruscamente che lo costrinse al ritiro. Sfortuna che si trasformò con sembianze di malattia nel 2012 quando un vistoso calo di rendimento lo spinse a giugno ad annunciare il ritiro temporaneo a causa di un tumore benigno all’ipofisi, causato da alcuni scompensi ormonali generati dallo sforzo fisico. Lo stop temporaneo diventò, purtroppo, definitivo un anno dopo. Emigrato per curarsi negli Stati Uniti, iniziò una proficua attività come pizzaiolo. Tornato in Italia nel 2016 s’è iscritto a Scienze Motorie ed oggi allena il nipote Lorenzo, figlio di Simone.

Leif Mortensen
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Nato a Frederiksberg, il 5 maggio 1946. Completo alto 1,80 per 70 kg. Professionista dal 1970 al 1975 con 10 vittorie.
Uno stereotipo di come non sempre il talento atletico saldato su una persona per bene e ricca di positivi valori, sia garanzia di successi primari nello sport. Leif Mortensen pedalava con potenza e stile, contrariamente a suoi connazionali faceva la vita che s’è eletta stereotipo per un corridore in bicicletta, possedeva il cambio di ritmo e come tutti gli atleti di gran valore negli sport di forza resistente, sapeva lavorare in lattacido. Bene, con tutte queste qualità, è passato alla storia del pedale come un sicuro buon corridore, ma sostanzialmente incompiuto. In altre parole poteva fare tanto di più, o meglio gli mancava qualcosa per determinarsi in grado di segnare un’epoca.
Probabilmente in fatto di determinazione e sana cattiveria agonistica era carente, o forse gli bastava arrivare sul pelo di quelle che riteneva giuste fasi di sacrificio, senza quella rabbia che accompagna sovente i miglioramenti più consistenti. E così, questo danese che avrebbe potuto fare l’impiegato di concetto con lo stesso aplomb del corridore e viceversa, è passato come una mezza delusione ai palati fini dell’osservatorio del ciclismo.
Divenuto ciclista sul far dei 18 anni, Leif dimostrò presto qualità di cronoman e passista che gli valsero la nazionale e la medaglia d’argento nella cronometro a squadre ai Mondiali di Heerlen ’67, e, soprattutto, la chiamata per i Giochi Olimpici di Città del Messico 1968, dove conquistò la Medaglia d’Argento nella prova in linea, dietro a Pierfranco Vianelli. Nel 1969 non passò al professionismo (come sarebbe stato logico) e dopo un buon Tour de l’Avenir, vinse i Campionati del Mondo di Brno davanti al belga Monseré.
Nel 1970 Mortensen approdò finalmente tra i professionisti con la maglia della BIC e dopo una serie di bei piazzamenti si guadagnò la selezione danese per i Campionati del Mondo di Leicester e lì da esordiente, battaglia nuovamente con Monseré per il successo finale, ma stavolta fu il belga a vestire l’iride. L’anno seguente Leif a marzo ruppe il ghiaccio con la vittoria professionistica facendo sua la 7a tappa della Settimana Catalana. Dopo diversi piazzamenti, si presentò per la prima volta alla Grande Boucle. Qui, con una condotta di gran regolarità, completò il Tour al 6° posto. Vinse poi il Criterium Hellemmes, ed a fine stagione colse il terzo successo tra i prof aggiudicandosi in coppia con Luis Ocaña, il successo al Trofeo Baracchi, dove stabilirono il record della corsa con una media di 48,706 kmh. Nel 1972 vinse il Prologo e la seconda tappa della Parigi Nizza, dando l’impressione di essere avviato a maggiori incidenze. Invece, alla fine di quella gran corsa fu 6°, e, sempre con lo stesso ruolino di piazzamenti senza particolari acuti, si presentò al Tour de France. Qui, dopo un promettente 2° posto nella tappa di Pontarlier, non andò oltre il 12° posto finale. Nel dopo Grande Boucle, vinse il Critérium de Quillo ed ai Campionati del Mondo di Gap, conquistò la sesta piazza.  
L’anno successivo, sempre con la maglia della BIC, finì 3° al Trofeo Laigueglia e alla Parigi-Nizza tornò nuovamente sugli scudi, cogliendo il 3° posto nella cronometro d’apertura di Ponthierry, il 2° posto nella tappa di Saint Etienne e conquistò un gran successo sul traguardo di Manosque davanti al Cannibale Eddy Merckx. Completò la Parigi Nizza al 5° posto finale a 27″ da Poulidor. A marzo fu 2° alla Subida a Arrate e ad aprile conquistò una tappa e il successo finale al Giro del Belgio. Vinse poi il G.P d'Aix-en-Provence. Nuova dimensione? Macchè! Al Delfinato chiuse 11°, il Tour de France al 19° e al Mondiale chiuse 17°. L’anno seguente diminuì fortemente anche l’intensità dei piazzamenti: nella stagione fu 8° alla Parigi-Nizza e a maggio terminò 3° la Bordeaux-Parigi. Al Tour de France si ritirò nel corso della 15° tappa.
Nel 1975 Leif Mortensen corse la sua ultima stagione con la maglia della Maes Pils Watney, ma non aggiunse nulla al suo curriculum.

Wilfried Nelissen (Bel)
[Immagine: 16549400701325Nelissen,Wilfried.jpg]
Nato a Tongeren il 5 maggio 1970. Velocista. Professionista dal 1990 al 1998 con 74 vittorie.
Un talento che fece presto ad emergere, a determinarsi come corridore in grado di segnare il corso di un decennio e poi, per mera sfortuna, ad entrare nel novero dei rimpianti della storia ciclistica. Veloce e possente, senza il fisico statuario che tanto piace ai santoni che stanno dominando questo sport e per i quali il ciclista non può essere che così. Eppure, Wlfried, si dimostrò subito un vincente, dominando la categoria dei dilettanti con tanto di Titolo Nazionale (1990). A nemmeno 20 anni passò prof e, nel lustro di fatto passato nell'elite, emerse come sprinter numero uno, in possesso di capacità tali, da consentirgli, prima o poi, di trasportare queste tangibilità anche nelle corse di un giorno dal percorso non duro. Un primo arresto lo subì nella prima tappa del Tour de France 1994 (nella Grande Boucle, aveva già vinto una frazione l'anno prima, indossando la Maglia Gialla per tre giorni), quando, avviato al trionfo allo sprint, impattò un gendarme in posizione sbagliata e ne seguì una caduta terrificante che coinvolse anche Jalabert e Gontchenkov. I postumi, per i tre, furono assorbiti solo qualche mese dopo. Il secondo e definitivo arresto alla carriera, Nelissen, lo subì nella Gand Wevelgem 1996, quando un paletto in mezzo alla strada non segnalato, gli si conficcò sopra il ginocchio. Fu una scena straziante. Di lì operazioni su operazioni, ed un ritorno all'agonismo decisamente mozzato. Vinse quasi due anni dopo un circuito, ma capì che era troppo distante dai migliori, ed abbandonò l'attività. Tra le sue 74 vittorie, vanno segnalati i 4 Titoli del Belgio (da debuttante, dilettante e due da professionista), i due successi nell'Het Volk, la tappa di Vannes al Tour de France 1993, Grand Prix de l'Escaut nel 1992, la Clasica de Almeria 1996, la Fleche Hesbignonne nel 1991, ed una miriade di frazioni fra Tour de Suisse, Parigi Nizza, Quattro Giorni di Dunkerque, Etoile de Bessèges, Midi Libre, Tour de l'Oise, Giro d'Irlanda, Giro d'Olanda, Ruta del Sol.

Nick Nuyens (Bel)
[Immagine: 15534594221325Nuyens,Nick.jpg]
Nato il 5 maggio 1980 a Lierre, nella regione fiamminga nella provincia di Anversa in Belgio. Passista veloce alto 1,77 per 71 kg. Professionista dal 2003 al 2014 con 25 vittorie.
Un buon corridore, non un campione che ha saputo recitare al meglio quelle che erano le sue qualità e che s’è integrato bene con le modificazioni intercorse nel ciclismo del nuovo secolo. Uno che c’era, soprattutto nelle corse di un giorno, che non aveva possibilità di fare buchi, ma che poteva vincere grazie soprattutto ad una buona intelligenza tattica.
Arrivò al ciclismo dopo aver provato a praticare il calcio a certi livelli. Sul pedale si dimostrò presto valente. Nel ’98 fu 2° al Giro delle Fiandre Juniores; nel 2001 fu 3° nel Giro delle Fiandre U23 e l’anno successivo lo fece suo. Sempre nel 2002 conquistò il Titolo belga fra gli U23.  
Nel 2003 Nuyens passò professionista con la maglia della Quick Step-Davitamon. Nella stagione d’esordio colse diversi piazzamenti, il migliore dei quali fu il 2° posto nel GP Briek Schotte e finì l’anno con una bella vittoria alla Putte-Kapellen.  L’anno seguente Nick vinse sei volte e fra vittorie di spessore fu la tripletta che il seppe cogliere nel mese di settembre: l’11 fu primo nella Parigi-Bruxelles, quattro giorni dopo fece suo il GP di Vallonia ed il 19, in Italia, trionfò nel GP Industria & Commercio di Prato.
Nel febbraio 2005 Nuyens conquistò un altro gran traguardo, l’Omloop Het Volk. Dopo un paio di successi minori, nell’amico mese di settembre riesplose: rivinse il GP di Vallonia, fece sue due tappe e la Classifica Finale del Tour of Britain. L’anno seguente conquistò un’altra bella semiclassica come la Kuurne-Bruxelles-Kuurne e vibse la terza tappa del Tour de Suisse. Nel
2007 lasciò la Quick Step per accasarsi alla francese Cofidis con cui a febbraio conquista la vittoria nell’Etoile de Bessèges, vincendo anche una tappa. Nelle classiche del nord chiuse 2° la Freccia del Brabante e fu 7° al Giro delle Fiandre. Fece poi il suo esordio al Tour de France, dove si ritirò nel corso della 17a tappa. Chiuse l’anno con la vittoria in una tappa del Tour del Benelux.
L’anno seguente dopo due secondi posti all’Omloop Het Volk e al Giro delle Fiandre partecipò al Giro d’Italia dove si fermò alla fine della 4° frazione. A settembre prese parte alla Vuelta di Spagna dove non andò oltre un secondo posto di tappa e il 78° posto nella Classifica Finale. Ai Mondiali di Varese chiuse 9° e l’unico successo della stagione lo colse nel Criterium Vorselaar.
Nel 2009 passò alla Rabobank vivendo due annate sottotono, vincendo al primo anno il GP di Vallonia e l’Omloop Mandel-Leie-Schelde e l’anno seguente la tappa di Deutschlandsberg al Giro dell’Austria.
Nel 2011 approdò alla danese Saxo Bank e per Nick Nuyens arrivò subito un’accoppiata che vale quasi una carriera: il 23 marzo vinse l’Attraverso le Fiandre su Geraint Thomas e Tyler Farrar, indi il 3 aprile, battendo allo sprint Sylvain Chavanel e Fabian Cancellara, fece suo il Giro delle Fiandre. Appagato, visse il resto della stagione, in specie alla Vuelta di Spagna, nell’anonimato. L’anno dopo lo passò da gregario, chiudendo il Tour de France al 121° posto. E da gregario visse i suoi due ultimi anni di carriera in seno alla statunitense Garmin. Nel dopo è divenuto un manager di formazioni ciclistiche maschili.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 4 maggio
Inviato da: Morris - 04-05-2023, 07:17 AM - Nessuna risposta

Guillaume Driessens (Bel)
[Immagine: lomme-driessens.jpg]
Nato a Peutie il 4 maggio 1912, deceduto a Villvoorde il 15 giugno 2006. Passista. Professionista dal 1932 al 1936 senza vittorie.
Un corridore forte nelle categorie giovanili, ma assolutamente insignificante fra i professionisti. La svolta per la sua carriera e per la stessa storia del ciclismo, avvenne quando fu chiamato a svolgere il servizio militare. La caserma, anziché deprimerlo, fu per Guillaume, già detto Lomme, un motivo di ozio e di chili. In poco più di un anno, aumentò il proprio peso di 25 kg e quando tornò civile, cercò in tutte le maniere di riprendersi una certa competitività fisica, ma capì che non era facile. Pensò così di vivere lo sport in altra maniera studiando il massaggio sportivo fino al punto di divenire anche un allenatore, non solo ciclistico. E quando nel 1936 chiuse definitivamente l'attività da atleta, aprì quella orizzontale di allenatore, partendo dal massaggio fino all'uomo d'ammiraglia che sapeva continuare ad allenare anche extra corse. In altre parole, divenne un mostro di competenza e, pure di originalità, arricchendo il suo sentiero di una personalità forte e distinguibile. Cominciò massaggiando Coppi, formando col corridore Desiré Keteleer, il duo di angeli custodi belgi del Campionis-simo. Nel 1953 gli venne affidata la prima squadra, la Garin-Wolber, con la quale fece incetta di successi e l'anno successivo tornò con Coppi, affiancando Tragella alla Bianchi. Dal Belgio si portò un certo Rik Van Looy. Ormai lanciatissimo, Lomme, aprì la sua leggenda nel 1955 con la Van Hauwaert-Maes Pils che divenne Faema-Guerra l'anno successivo, guidando centinaia di corridori fino al 1985. Quantità, ma pure la qualità di nessun coach. Infatti, con Driessens, si sono forgiati oltre al citato Van Looy, Eddy Merckx e Freddy Maertens. A parere di chi scrive, Guillaume Driessens è stato il più grande direttore sportivo della storia del ciclismo.

Giuseppe Fallarini
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Nato a Vaprio d'Agogna (Novara) il 4.maggio 1934. Corridore completo, alto 1,73 metri per kg 69. Professionista dal 1956 al 1964 con 11 vittorie. Corridore combattivo, con mezzi eccellenti, che non ha tradotto sul palmares quanto si poteva prevedere. Una buona carriera comunque, la sua. Ottimo dilettante, nel 1955 fu azzurro ai primi Giochi del Mediterraneo, dove vinse la prova in linea e, poi, ai Mondiali di Frascati, dove giunse settimo. Passò professionista l'anno successivo e, subito colse un paio di vittorie che confermavano il suo talento: la seconda e la terza tappa del Giro d'Europa, la Fiume-Udine e la Udine-Trento. Poi una flessione, fra sfortuna e amnesie, ma con tanti piazzamenti. Per ritrovarlo vincente bisognerà giungere a fine aprile '58, quando vinse a Sarzana, superando il suo compagno di fuga Azzini, il GP Ceramisti, valevole per il Trofeo UVI e, soprattutto, due giorno dopo, la tappa di Foggia al GP Ciclomotoristico, manifestazione nella quale fu leader per diversi giorni e che poi chiuse 3°. Nel 1959 fece suo il GP Gran Premio Industria e Commercio e vinse il Circuito di Oleggio. La stagione 1960, fu la sua migliore: vinse due classiche come la Coppa Bernocchi e il Giro del Lazio e poi conquistò il Trofeo UVI. Nel '61, vinse la terza tappa, una cronoscalata, della Tre Giorni del Sud e, nella stagione successiva, nuovamente il GP Ceramisti. Fu quello il suo ultimo successo. In carriera, è stato azzurro due volte al Tour de France: nel '58 (si ritirò nel corso della settima tappa) e nel '59 (giunse fuori tempo massimo nella dodicesima frazione). Ha partecipato a otto Giri d'Italia, chiudendone sette e cogliendo il miglior piazzamento nel 1957, quando giunse 14°. Le sue migliori piazze furono: 2° Giro dell'Emilia (''57); 2° nella tappa di Scanno al Giro d'Italia '58; 3° al Giro del Veneto '58;  2° nella Coppa Sabatini '59;  3° nella tappa di Torino al Giro d'Italia '59 e 2° nella Coppa Agostoni 1961. Corse per Frejus, Asborno, Ignis, Molteni e Cite.

Luis “Lucho” Herrera (Col)
[Immagine: 16398572561325Herrera,Luis.jpg]
Nato a Fusagasuga il 4 maggio 1961. Professionista dal 1984 al 1992 con 38 vittorie.
Nonostante le vicine imprese di Nairo Quintana ed Egan Bernal, "Lucho" resta il corridore colombiano che ha posto le basi affinché quel ciclismo, così martoriato e sottostimato dall’Uci che costò tantissimo ad un grandissimo che avrebbe anticipato i tempi di almeno 20 anni come Martin  “Cochise” Rodriguez, potesse entrare con dignità primaria nell’olimpo ciclistico mondale. Herrera fu il primo a vincere una tappa del Tour de France, proprio sul prestigioso traguardo dell'Alpe d'Huez, nella edizione 1984, anno del suo debutto fra i prof, ed il primo a fare sua una delle tre grandi manifestazioni a frazioni: la Vuelta di Spagna 1987.
Grande scalatore, pur non essendo eccelso nello scatto, sapeva mantenere un passo devastante, diventando sovente letale per chi cercava di tenergli la ruota. A grandi quote, anche grazie alla morfologia della sua terra, era capace di fare più danni, proprio perché abituato allo sforzo in altura, con una conseguente capacità di allontanare l’avvio della “rete” dell’acido lattico. “Lucho” era comunque fortissimo anche su pendenze poste a quote inferiori ai mille metri, ed aveva una straordinaria sensibilità nel recitare il suo ruolo faro sulle montagne, anche quando era in giornate non pari alle sue grandi possibilità. Quando arrivò in Europa, fu subito capace di reggere il confronto coi migliori stradisti europei e di batterli o impegnarli allo spasimo sul terreno a lui più congeniale. Pedalava pure bene, ed in mano a quei “protagonisti sotterranei tanto capi dei direttori sportivi”, avrebbe potuto recitare un ruolo ancor più protagonista. Herrera non ebbe una carriera lunga, probabilmente perché preferì chiudere ai primi segni di flessione, piuttosto che tramontare. Dopo il bel esordio nel grande ciclismo al Tour '84 con la vittoria all’Alpe d’Huez, fece ancor meglio alla Grande Boucle dell'anno seguente, centrando due tappe (ad Avoriaz e St. Etienne), vincendo la Classifica dei GPM e chiudendo 7° a Parigi. Nell'86 non brillò, facendosi comunque notare sulle montagne e passando, fra l'altro, in testa su quel Galibier che era, è, e rimarrà una laurea con lode per ogni scalatore. L'esplosione di “Lucho” avvenne nell'87, quando vinse la 11a tappa e la Classifica Finale della Vuelta di Spagna, divenendo così una gloria della Colombia intera. Sempre in quella stagione, chiuse 5° il Tour e riconquistò la Classifica dei GPM. Lanciato, nell'88 vinse il prestigioso Dauphiné Libéré, ma fallì nuovamente il podio al Tour: 6°. Nell'89 esordì al Giro d'Italia, vincendo 2 tappe e la Classifica del GPM. Dopo un '90 in sordina, tornò a ruggire nella stagione seguente, rivincendo il Dauphiné Libéré, una tappa e la Classifica GPM alla Vuelta di Spagna. Nel '92, il suo canto del cigno, con la conquista di una tappa al Giro d'Italia e la "solita" Classifica dei GPM. Nel suo palmares ci sono le vittorie nelle migliori corse del suo Paese: 3 Vuelta di Colombia ('84-'85-'88) e 4 Clasico RCN ('82 e '83 - quando era gara open - indi '84 e'86). In Europa vinse anche la Vuelta d'Aragona nel '92.

Jozef Planckaert (Bel)
[Immagine: 16721254281325Planckaert,Jef.jpg]
Nato il 4 maggio 1934 a Poperinge (West-Vlaanderen), deceduto il 22 maggio 2007 ad Otegem (West-Vlaanderen). Passista scalatore alto 1,70 per 67 kg. Professionista dal 1954 al 1965 con 54 vittorie. Un corridore fortissimo, un “flandrien” per potenza e temperamento aggressivo, per grinta nell’autoconvincersi a sopportare la fatica, quasi fosse un breve male passeggero. Non era veloce però e questo ne fece un anomalo fra il vasto campionario dei corridori delle Fiandre. Lui, il Jozef, a causa di questo, divenne da subito un corridore adatto alle corse a tappe, dove la sua regolarità ed il suo essere un “tuttofare”, avrebbe potuto segnare qualcosa di nuovo, come ad esempio rompere il lungo digiuno belga al Tour e rompere il ghiaccio al Giro d’Italia. Non riuscì nell’intento ma andò molto vicino al successo in Francia, ed anche in Italia lasciò il segno. Insomma, Jozef Planckaert è stato uno dei più grandi e papabili corridori a cavallo degli anni sessanta, ed uno che seppe fare persino il super gregario di Van Looy ai Mondiali e nel ‘62, in quella che fu per entrambi una stellare stagione. Infatti in quell’anno, Planckaert, nonostante dovesse correre per l’Imperatore di Herentals, riuscì a vincere il Campionato Nazionale del Belgio (che, alla luce della storia, equivale da quasi un secolo, ad una classica), la Liegi-Bastogne-Liegi, la Parigi-Nizza e il Giro del Lussemburgo. Al Tour de France concluse 2° dietro il leggendario Jacques Anquetil, indossando la Maglia Gialla per 7 giorni consecutivi per poi perderla solo contro il dominio a cronometro di “Monsieur Chrono” nella ventesima tappa: una frazione “tic tac” lunga 68 km.
Nel ruolino di Planckaert ci sono inoltre l’Het Volk '58, la Kuurne-Bruxelles-Kuurne ’55 e ’60, la Quattro Giorni di Dunkerque '57, '60, '63, il GP Marcel Kint ’56, ’58, ’61, ’62 ed il Trofeo Fenaroli ‘58. Qualche buon piazzamento anche in alcune delle numerose corse a tappe che l'hanno avuto in lizza: 9 volte al Tour (ha vinto una tappa nel '61, è arrivato 2° nel '62, 5° nel '60, 6° nel ‘58), 2 al Giro, 4 al Giro della Svizzera (3° nel '56 con una vittoria di tappa e il primato nel Gran Premio della Montagna), una Vuelta di Spagna, un Giro di Germania (2° nel '60) e 7 al Giro del Belgio (2° nel '56 e una tappa vinta). Fra i numerosi piazzamenti in classiche e corse in linea, è stato al Giro delle Fiandre 2° nel ’57 e 6° nel ’62; nella Liegi Bastogne Liegi alla citata vittoria del ’62, ha aggiunto il 3° nel ’60, il 4° nel ’64, il 5° nel ’57; alla Milano Sanremo è stato 3° nel ’56 e 5° nel ’57; alla Gand Wevelgem è stato 3° nel ’60 e 5° nel ’57, alla Parigi Roubaix è stato 4° nel ’62, alla Freccia Vallone è stato 5° nel ’55 e 7° nel 57. Ai Campionati del Mondo ha corso 5 volte ed il miglior risultato è stato il 7° posto nel 1961. Nel 1962 ha chiuso 2° il Superprestige Pernod (qualcosa di molto migliore di quelle Challange venute dopo il 1987).
Anche il fratello di Jozef, André, di dieci anni minore, è stato un corridore professionista.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 3 maggio
Inviato da: Morris - 03-05-2023, 07:22 AM - Nessuna risposta

Cesare Brambilla
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Nato a Bernareggio, frazione di Sulbiate (MB), il 3 maggio 1885, deceduto a Milano il 3 marzo 1954. Fondista veloce. Professionista dal 1905 al 1909 con una vittoria. Cesare Luigi, è spesso confuso con un collega quasi coetaneo di nome Giuseppe, assai meno meteora di lui e col destino sfortunato che se lo portò via a trenta anni, soprattutto non in possesso di un curriculum contenente una classica come il Giro di Lombardia. Già, perché il Cesare Brambilla, vinse davvero quella che poi diverrà "la classica delle foglie morte", e lo fece senza quella considerazione che era doverosa visto il ruolino che aveva tenuto lungo tutta la stagione di quel successo. S'era segnalato da dilettante, nel 1902, avendo vinto il Titolo Italiano nella velocità, ed era considerato uno poco adatto alle corse su strada perché ritenuto non sufficientemente fondista. Passò professionista nel 1905 con la "Turkheimer" e provò subito a migliorarsi su strada. Nell'anno giunse 2° nel Campionato dell'Unione Sportiva Milanese, 2° nella Cava Manara-Mortara-Cava Manara, 2° nel Campionato Porta Vittoria, 7° nella Coppa del Re e 9° nella Corsa Nazionale. Insomma, stava davvero migliorando, ed aveva solo 20 anni. Nel 1906, ovvero il suo anno d'oro, prima di giungere alla grande vittoria, correndo per Rudge e Bianchi, s'era reso protagonista di un'infinità di piazzamenti, perlomeno giustificanti il ruolo di outsider al "Lombardia". Fu infatti 3° nella Milano-Alessandria-Milano, 3° nel Campionato della Società Ciclistica Milanese, 4° nella Coppa Val d'Olona, 4° a Castel San Giovanni, 4° nella Milano-Giovi-Milano, 4° nella Milano-Roma, 4° nel Circuito Tortonese, 5° nella Brescia-Pallanza, 5° nella Domodossola-Milano, 5° nella Milano-Alessandria-Milano, 7° nella Milano Mantova e 7° nel Giro del Piemonte ed altri piazzamenti minori, diversi dei quali, comunque, nei primi dieci. Insomma, abbastanza, per esser preso in considerazione. Arrivò dunque all'11 novembre 1906 allo start del Giro di Lombardia, con le "gambe sicuramente calde", a dispetto della temperatura esterna. E qui, in gara, con una condotta tenace che non lo vedrà più ripetersi con tale intensità, riuscì a raggiungere il traguardo col favoritissimo Galetti e a batterlo in volata. Il resto della carriera di Brambilla, sta tutta nel 4° posto colto nel 1907 nella Sanremo-Ventimiglia-Sanremo a cui fece seguito, un paio di settimane dopo, il 4° nella Milano-Cremona. Corse ancora un paio d'anni e, nel 1909, con l'Atala, tentò pure l'avventura al Tour de France, ma si ritirò perché davvero spento. Certo, una meteora, ma forse solo per gli immani sforzi che compì nell'anno del suo successo al Lombardia.

Catullo Ciacci
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Nato a Fossombrone (Pesaro-Urbino) il 4 maggio 1934, deceduto a Torino il primo giugno 1996. Passista veloce, alto m. 1,70 per kg 67. Professionista dal 1960 al 1963, senza ottenere vittorie.
Si potrebbe definire il popolare Ciacci, perché aldilà delle sue buone qualità di corridore, ha saputo nel dopo carriera, ergersi a riferimento dei luoghi nei quali s’era trasferito per il ciclismo. Un uomo generoso, bravo, padre di famiglia esemplare e sempre disponibile ad aiutare là dove il Sole c’è, ma nella sostanza giunge a metà. Era di Fossombrone, il buon Catullo, nella valle del Metauro, sulla via Flaminia, nel pesarese. In quel paesino conosciuto, potremmo dire da secoli, per quelle carceri che lì son sorte praticamente da sempre. Quel paesino che non lo ha mai dimenticato, anche se lontano per dimora da decenni, al punto di intitolargli recentemente una piazza. E lì, a Fossombrone, il ragazzino Ciacci, ha indossato la sua prima maglia da corridore in bicicletta, quella della Polisportiva Forsempronese. Era un giovanotto scaltro e potente, che sapeva sfrecciare nelle volate e nelle corse non troppo dure. Caratteristiche che non lo hanno mai abbandonato. Da dilettante in seno alla Semprini di Pesaro, divenne un riferimento per vittorie e simpatia. A fine 1955, la sua continuità ai vertici, spinse la Ceat di Torino, azienda che si stava lanciando col ciclismo come testimonial, ad assumerlo, sia come dipendente lavoratore, che come ciclista di punta per la formazione dilettantistica. Ciacci, tifoso torinista fino al midollo, si trasferì così nel torinese con un supporto aggiuntivo. Ed in Piemonte, la ruota veloce di Catullo, si determinò ancor più interessante. In quegli anni vinse diverse corse di peso, le più importanti furono il GP della Baraggia, la TorinoMondovì e la Nizza Torino. All’alba del 1960, l’indimenticabile Vincenzo Giacotto, lo portò alla professionistica Carpano. L’anno d’esordio non fu un granché come risultanze personali (il miglior piazzamento arrivò nel GP Ponzano Magra, 10°), ma si fece ben volere per disponibilità al gregariato, ed un buon Tour de Suisse, chiuso al 39° posto. Meglio, molto meglio, il 1961, corso con le maglie granata della Baratti, succursale, se così la vogliam chiamare, della Carpano. Nell’anno finì 2°, battuto solo da Van Looy, nella tappa di Trieste al Giro d’Italia. Non portò a termine la “Corsa Rosa”, ma nel complesso si distinse in squadra ed aumentò, nonostante i non eclatanti risultati, la sua popolarità. Nel 1962, tornò verso la sua terra, accordandosi con la romagnola Ghigi e partecipò alla Vuelta di Spagna, dove giunse 5° nelle tappe di Benidorm e di Cartagena, dopo aver tirato la volata a Defilippis, nonché 9° nelle frazioni di Valencia e di Malaga, il tutto prima di ritirarsi per una indisposizione nell’undicesima tappa, che si concludeva a Valladolid. Partecipò poi al Tour de France, ma si ritirò nella 9° frazione, quella con la conclusione a Bordeaux. Nel resto della stagione si piazzò 3° nel GP Le Locle in Svizzera, 5° nella Verona San Pellegrino e 9° nella Milano Vignola. Lo scioglimento della Ghigi, lo riportò in Carpano, nel 1963. Nonostante fossero in lui forti i richiami per aprire un’attività di ristorazione, corse con la solita disponibilità al sacrificio. Nell’anno, fu 4° nel GP Mirandola e 13° al GP di Prato, ma si ritirò al Giro di Svizzera.
A fine stagione lasciò il ciclismo agonistico, ed abbracciò il suo sogno di aprire un ristorante-trattoria, divenendo negli anni un riferimento di Torino. Assieme alla moglie Rita, aprì dapprima un localino nella collina torinese, indi un ristorante assai più impegnativo sulle rive del Po e ingigantì la sua popolarità, ed il suo spessore umano, divenendo un protagonista di opere umanitarie in Africa. Poi, ad inizio giugno ’96, un ictus se lo portò via.

Auguste Mallet (Fra)
[Immagine: 16424395931325Mallet,Auguste3.jpg]
Nato a Thiergeville il 3 maggio 1913. Deceduto a Parigi il 9 dicembre 1946. Passista scalatore. Professionista dal 1936 al 1946 con 9 vittorie.
Era un buon corridore, che non si è mai potuto esprimere per quello che valeva, a causa di una sfortuna incredibile prima e della tragedia, poi. Insomma, un'anima che portava dietro di sé connotati grigi e neri, al punto di renderlo famoso ancor prima delle poche vittorie. Nel 1937, dopo aver vinto la 2° tappa del Tour de l'Oise e di essere giunto al posto d'onore nella classifica finale della corsa, fu vittima di una grave caduta durante la Parigi Roubaix. Rimase otto giorni in coma, ma la sua tempra fu così forte, da fargli riprendere non solo la vita normale, ma addirittura l'attività agonistica. Nel 1938 vinse il GP di Nizza e la seconda tappa della Parigi Nizza a St Etienne, ma non portò a termine la celebre corsa, perché nella frazione successiva, un cane lo fece cadere e nelle conseguenze di quel volo, alle varie ferite, aggiunse una incrinatura del cranio. Non si diede per vinto e fu al via del Tour de France, ma quando la sua condotta stava proiettandolo fra i protagonisti, grazie al 5° posto di Cannes ed al 4° nella dura frazione di Digne, durante il tappone alpino di Briancon, a causa di una vettura del seguito, nella discesa dell'Izoard, finì in un burrone. Quando i soccorritori riuscirono a raggiungerlo, trovarono un Mallet sanguinante, ma subito pronto a dire: "Non abbiate timore, ci vuole ben altro a farmi morire". Costretto comunque al ritiro in quella Grande Boucle, ignorò i tanti consigli di chiudere col ciclismo e si ripresentò pimpante alla stagione 1939. Nell'anno, vinse alla grande la Rouen-Caen-Rouen e, al Tour de France, dopo tanti piazzamenti, seppe chiudere al 13° posto.
Con lo scoppio della Guerra fu un soldato valoroso, ma durante un bombardamento, a Dunkerque, fu sepolto vivo e dato per disperso. Fu ritrovato in vita diversi giorni dopo, con ferite tali da darne per certa la morte, ma ancora una volta si riprese. Nacque lì il suo nomignolo di "la morte sbagliata". Tornò pure a correre. Nel 1942 si piazzò più volte, nel '43 vinse la Nizza-Mont Agel. Nel '44, invece, quando era in lotta per il Campionato Francese che si correva su più prove, in una di queste, fu tagliato fuori da un'auto che lo investì in pieno. Ancora una volta si riprese. Nel 1945, dopo tanti piazzamenti, vinse la Corsa del Mont Chauve e, nel 1946, fu autore di un crescendo tanto inaspettato quanto significativo: dopo tante piazze, trionfò nel GP delle Alpi, una breve corsa a tappe dove vinse la seconda frazione, nonché nel GP di Seine Inferieure. Il nove dicembre però, mentre era sulla bici per una commissione, fu investito da un camion e stavolta l'incidente gli fu fatale. È stato due volte decorato al valore militare.
Recentemente, Frederic Miller, Agnes Vandome e John McBrewster, hanno scritto un libro su di lui.

Mario Pavirani
[Immagine: 16006927323538PaviraniMario.jpg]
Nato a Roma il 3 maggio 1959. Pistard velocista. Professionista dal 1981 all'82. Cesenate a tutti gli effetti, ed alfiere della Gambettolese-Soldati, è stato un grande sprinter. Uno che aveva un fisico non statuario, ma era in possesso di sontuose fibre bianche, capaci di sviluppare punte di velocità da vertice mondiale. Tanta qualità dunque, un caratterino da velocista di razza e quella tanta sfortuna che ne minò una carriera che pedalava veloce verso i più svariati allori. Vinse 3 Titoli Italiani giovanili della velocità: da esordiente nel 1974, da allievo nel ’75 e da dilettante juniores nel ’77. Nel 1975 vinse il Trofeo Internazionale Bongiasca superando bellamente, potremmo dire con facilità Giuseppe Saronni e fu autore di un sontuoso GP di Parigi. Nel 1977 dopo aver vinto il Tricolore chiuse 3° i Mondiali di Rocourt, indi da più giovane in pista trionfò a Mosca nel Gran Premio dell’Unione Sovietica dove superò il Campione Olimpico Anton Tkac. Fu quella l’ultima luce della sua carriera, perché di lì in avanti incidenti e fratture gli imposero lunghi stop. Nel ’78 e ’79 si ruppe due vote la clavicola e non potè partecipare ai Campionati Mondiali. Nel 1980, invece il blocco degli atleti militari non gli permise di esswre alle Olimpiadi du Mosca. Nel 1981 passò professionista, ma era spento nella verve. Nell’anno fu comunque 3° ai Tricolori, Corse anche nel 1982 senza aggiungere nulla alla sua carriera.  

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 2 maggio
Inviato da: Morris - 02-05-2023, 07:17 AM - Nessuna risposta

Willy Arend (Ger)
[Immagine: 16355246701325Arend,Willy2.jpg]
Nato ad Hannover il 2 maggio 1876, deceduto a Berlino il 25 marzo 1964. Pistard velocista. Professionista dal 1896 al 1923 con un centinaio di vittorie, di cui 11 di valore mondiale.
La carriera di questo tedesco ben poco tale nelle misure che solitamente diamo ai cittadini di quella terra, già si presenta straordinaria per la longevità, ma poi, a ben vedere, stupisce per un'altra peculiarità: la condotta poco sincronica alla via maestra di un atleta. Iniziò a vent'anni la sua avventura sulla quella bicicletta che vide, da subito, come uno strumento per vivere esperienze, viaggiare e divertirsi. Già, perché Willy Arend, con l'aspetto del bravo ragazzo, signorile e da bancario, ben presto si dimostrò un viveur da romanzo che non si privava di nulla. Ciononostante, la sua carriera, iniziata a vent'anni nel 1896, si prolungò sempre con sussulti degni di un evidente, fino al 1923: 25 anni, dunque! In questo quarto di secolo, non si destinò solo come protagonista della velocità individuale, ma fu pure un ottimo seigiornista (ne vinse due), grandissimo interprete del tandem in coppia col danese Ellegard, e pure valente nelle gare di durata, sempre su pista.
Nell'anno del debutto, il 1896, divenne campione tedesco della velocità e si confermò tale anche nelle due stagioni successive. Nel 1897, a soli 21 anni, sulla pista di Glasgow, battendo l'idolo di casa Barden e il francese Nossan, si laureò campione del mondo nella specialità amica.
Dopo questo successo, iniziò la sua polivalenza che, nella realtà tecnica, si spiegava con una non comune resistenza alla velocità e su indubbie doti nella memorizzazione del ritmo. Non a caso le sue volate erano molto lunghe ed entusiasmavano il pubblico, anche perché le corredava con una particolare smorfia: correva a bocca aperta e l'aggiunta dei baffi lo facevano apparire come una foca. Ma il suo modo di affrontare lo sforzo, era spesso figlio del poco allenamento e delle levatacce a cui s'era col tempo abbonato. Infatti, il poco tedesco Arend, era solito conoscere la città ove andava a correre, attraverso i locali notturni, dove era si fermava a bere come una spugna per poi ritirarsi con fanciulle disponibili ad incontrare la pelle di un campione del mondo.... Memorabile la sua "sbronza di vita" che lo coinvolse, a Parigi, la notte precedente il Gran Premio della Repubblica del 1901. Andò a letto all'alba, dopo aver fatto tappa in tutti i ritrovi di Montmartre e non si sarebbe alzato per la gara che aveva inizio nelle prime ore del pomeriggio, se non fosse stato per un appassionato operatore dell'albergo dove alloggiava. Grazie a costui, che se lo portò quasi a braccia al velodromo, ancora intontito e digiuno, Arend, più boccheggiante del solito, mise in fila tutti i migliori velocisti mondiali, compreso il già grande danese Thorval Ellegard, suo compagno di tandem, ed il francese Edmond Jacquelin. La vittoria in quella manifestazione, che per taluni valeva più di un mondiale (come tutte le gare di Parigi, del resto), diede un segno ulteriore delle valenze, già riconosciute, di questo atleta straordinario.
Nel palmares infinito di Arend poi, vanno citati i tre Gran Premi della Finanza riservati ai tandem (praticamente il mondiale della specialità, anche se mai riconosciuto ufficialmente), nel 1901-'02-'03, il terzo posto ai mondiali della velocità nel 1900, un altro titolo tedesco nello sprint individuale colto nel 1921 (a 45 anni!), oltre un centinaio di Gran Premi in varie piste d'Europa. Chiuse la carriera nel 1923, ed a dispetto della sua vita fuori dalle righe (compreso il fumo), morì nel 1964, ad 88 anni.

Eddy Pauwels (Bel)
[Immagine: 16406793471325Pauwels,Eddy5.jpg]
Nato a Bornem il 2 maggio 1935. Passista scalatore. Professionista dal 1958 al 1966 con 24 vittorie.
La grande notorietà di questo compatto corridore belga, non è dovuta alle classiche e al freddo della sua terra, bensì al caldo del mese di luglio francese, quando il ciclismo tocca l'apice della sua internazionalità, grazie al Tour de France. Qui, Pauwels, per un lustro, fra la fine degli anni cinquanta ed i primi quattro dei sessanta, è stato uno dei corridori più riconoscibili e popolari, con tangibilità non solo legate ad azioni e animosità, ma per le stesse risultanze. In quel lasso ha vinto 4 tappe della Grande Boucle: la Montpellier-Perpignan e la Luchon-Pau nel 1961; la Bayonne-Pau nel '62; la Nogent-sur-Marne- Epernay nel '63. Ha poi colto il successo nella Classifica Finale della Combattività nel 1962, ed è riuscito a vestire in due edizioni la Maglia Gialla: nel 1959 per due giorni e per tre giorni nel 1963. I piazzamenti nei sette Tour de France a cui ha partecipato, sono: 11° nel 1959; 25° nel 1960; 9° nel 1961;10° nel 1962; 13° nel 1963, 20° nel 1964, mentre nel 1965, anche a causa dei postumi di una caduta, abbandonò alla 19a tappa. Praticamente la sua carriera finì lì. Tra gli altri successi del suo palmares, spiccano la Tre Giorni di Anversa nel 1960, una tappa del Giro del Belgio nel 1959, la Hulst-Tessenderlo nel 1960 e la Beaulac-Bernos nel 1964. Ha partecipato due volte alla Vuelta di Spagna: 9° nel 1962 e 18° nel 1965. Insomma un corridore tenace, con discreti mezzi, fatti fruttare al massimo possibile.

Roberto Pistore
[Immagine: 16588601071325Pistore,Roberto.jpg]
Nato a Monza il 2 maggio 1971. Passista scalatore. Professionista dal 1995 al 1998 con 6 vittorie.  
Un corridore che da dilettante fu un leader e che nei primi due anni da prof, pareva mantenere le promesse di una bella carriera, ma non fu così, ed a soli 27 anni, lasciò l’agonismo. Probabilmente aveva speso troppo fra i dilettanti. Tanto più se si pensa che ad 8 anni era già in sella, fra i giovanissimi….in quella fascia d’età dove più che pedalare solamente, andrebbe costruito l’atleta, attraverso la pratica anche di altre discipline sportive. Ma per il mondo ciclistico italiano, e solo in Italia, sostenere ciò significa bestemmiare. Pistore corse da giovanissimo col GS Muggiò indi col GS Biassono fra gli esordienti e gli allievi poi col GS Pan.Or arrivò ai dilettanti ponendosi subito allevdenza nazionale. Nel ’90, infatti conquistò il titolo regionale della Lombardia fra i 2a serie. Dopo aver espletato il servizio di leva nel 1991, l’anno seguente Roberto fu vittima di “quel campanello d’allarme” consistente in una tendinite che ne limitò notevolmente le prestazioni.
Nel ’93 entrò nell’Ecolclear-Sumiraghese ed ottenne in stagione ben sette successi tra cui la tappa inaugurale del Giro di Toscana, il GP di Capodarco, la Coppa Mobilio Ponsacco e il GP di Somma. L’anno seguente fu ancora migliore perché gli ancora sette successi, si fregiarono di maggiori tangibilità internazionali. Vinse infatti una tappa e la classifica generale del Giro della Valle d’Aosta, il Regio Tour in Germania, la Coppa Pinot La Versa e la quarta frazione del Giro delle Regioni. Fu poi 2° nel Campionato Italiano. Dopo un simile biennio era più che naturale la chiamata fra i professionisti nel 1995. Fu il Team Polti di Stanga ad assicurarselo
Al primo anno nell’élite il ciclista monzese vinse il Giro del Canavese, una tappa e la Classifica Generale al Regio-Tour. Partecipò alla Vuelta di Spagna dove mise in luce le sue doti di brillante scalatore, chiudendo al 2° posto la Classifica dei GPM e chiuse 6° nella Generale Finale. A fine stagione fu 9° al Giro di Lombardia.
Nel 1996 passò alla MG Boys di Ferretti e tornò alla Vuelta di Spagna, dove con una condotta molto regolare chiuse al 4° posto. Al Tour de France però, non partì all’ottava tappa. L’anno seguente, in Austria vinse la 1a tappa e la Classifica Finale del Wien-Rabenstein-Gresten-Wien. Indi in Germania vinse la 2a tappa della Hofbrau Cup, una crono-squadre. Poi iniziò un calo del suo rendimento che divenne via via evidente. Nel 1998 approdò alla Riso Scotti, ma non ottenne risultati di nota. Al Tour de France si ritirò nuovamente, nel corso dell’ottava tappa. A fine stagione appese la bicicletta al chiodo.

Filippo Savini
[Immagine: 15963602341325Savini,Filippo.jpg]
Nato a Faenza, il 2 maggio 1985. Passista scalatore alto 1,79 per 69 kg. Professionista dal 2007 al 2013 con 3 vittorie.
Un corridore la cui carriera può considerarsi positiva, poiché al talento lungi dall’essere trascendentale ha accostato una serietà e una dedizione davvero notevoli. Ne è uscito un corridore professionista che ha saputo andare a segno e già questo non è poco, anche alla luce di taluni segmenti non brillanti di un ciclismo avviato a trasformazioni più negative che positive. 
Filippo dopo le categorie giovanili, passa tra gli under23 con i colori della S.C. Reda Impresa Edile Mulinari con cui, nel 2004, anno d’esordio nella categoria, ottenne diversi piazzamenti. Di nota il 6° posto al Trofeo Mario Zanchi ed il 31esimo nella prova tricolore. Nel 2005 passò al Cycling Team Eternedile – Pedale Ozzanese diretto da Mauro Orlati. Nella stagione vinse la 5a tappa del Giro delle Valli Cuneesi e chiuse al 9° posto la Freccia del Riso. Passato al Team Filmop, l’anno seguente, prosegui il suo percorso d’evidenza vincendo il Memorial Danilo Furlan e il Circuito Internazionale di Caneva. Fra i piazzamenti, di nota il 3° posto al Trofeo ZSSDI. Questi risultati gli aprirono le porte al professionismo concretizzatosi nel 2007 nelle file della Ceramiche Panaria-Navigare, sotto la guida di Bruno Reverberi. Nell’anno di apprendistato i migliori piazzamenti li colse in Belgio al Tour de Wallonie ed in Francia al Circuit de la Sarthe. L’anno successivo, con la maglia della CSF Group, ruppe il ghiaccio, conquistando in solitudine la vittoria nella quarta tappa del Giro di Turchia ed ancora in solitudine nell’ottava frazione del Tour de Langkawi.  Tornato in Italia finì 14° al G.P. Industria e Artigianato – Larciano. Fece poi il suo esordio al Giro d’Italia, ma si ritirò nel corso della nona tappa.
Nel 2009 Savini fu 8° al Giro dell’Appennino e 10° alla Tre Valli Varesine, mentre l’anno dopo finì 2° nel Giro della Provincia di Reggio Calabria. Nel 2011, ad aprile, vinse ancora una volta in solitudine la tappa di Laguna de Peces alla Vuelta Castilla y Leon. Prese parte nuovamente al Giro d’Italia, ma si ritirò nel corso della 19esima tappa. Nel 2012, il suo rendimento iniziò a calare in maniera evidente. A fine stagione, lasciato libero dalla Colnago-CSF, s’accasò alla Ceramiche Flaminia, ma non aggiunse tangibilità alla sua avventura tra i professionisti che finì a novembre 2013.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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