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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 1° maggio
Inviato da: Morris - 01-05-2023, 07:17 AM - Nessuna risposta

Mario Branchi
[Immagine: 14405994173538branchi76.jpg]
Nato a Montespertoli in provincia di Firenze il 1° maggio 1951.  Passista. Professionista dal 1974 al 1976 senza ottenere vittorie. Un ciclista dal quale ci si aspettava qualcosa di più nel ciclismo professionistico e che non diventò un evidente, per una tendenziale difficoltà nelle prove oltre i 200 chilometri. Uno che a venti anni, fra i dilettanti, fu capace di conquistare al primo colpo la vittoria nella Coppa Città del Marmo '71 e di chiudere 5° il Giro della Lucania. Uno che poi fu capace di assorbire e superare la ferma militare vissuta vestendo poco la maglia del G.S. Sammontana e che riesplose nel ’73 quando in seno alla Salco di Empoli vinse la Firenze-Viareggio ed il G.P. Industria, Commercio ed Artigianato di Vignole di Quarrata. Ciò gli spalancò le porte del professionismo nel 1974, con la Magniflex. La stagione d’esordio però, evidenziò difficoltà di ambientamento che furono superate con molta fatica da Branchi. Nell’anno i suoi migliori piazzamenti il 17° posto nella Tre Valli Varesine, il 23° nel GP Alghero ed il 26° al Trofeo Laigueglia. L’anno seguente sempre in Msgniflex, prese parte alla Vuelta di Spagna che chiuse al 48° posto e poi al Giro d’Italia che concluse 64°. Nel resto di stagione il suo miglior piazzamento fu il 20° posto nel GP Montelupo. A fine stagione rimase senza contratto e riuscì in extremis a trovare accasamento alla neonata Cuneo Benotto, sodalizio in ogni caso dai programmi limitati. Nell’anno però colse il suo miglior piazzamento nella parentesi professionistica: 12° al Giro di Romagna. A fine stagione abbandonò l’agonismo.

Pierino Favalli
[Immagine: 15959496301325Favalli,Pierino.jpg]
Nato a Grumello (CR) il Primo maggio 1914. Deceduto a Cremona il 16 maggio 1986. Passista veloce. Professionista dal 1937 al 1946 con 23 vittorie.
Il fratello maggiore di Pierino Favalli aveva una bicicletta e qualche volta, alla domenica, cedeva alle insistenze del minore e gli permetteva di usarla. E Pierino, allora, si sfogava. Ebbro di felicità, il piccolo Favalli, pedalava come un forsennato mettendo in allarme i buoni villici di Grumello, ma destando pure un vivo interesse fra gli sportivi di quel poco più che villaggio. Ultimo di tre fratelli ed altrettante sorelle, suo padre morì in guerra e la famiglia si trovò ben presto a mal partito, proprio quando l'ultimo dei figli era ancora in tenerissima età. Vennero gli anni della scuola, ed a Pierino fu concesso di frequentare le elementari, poi dovette andare a lavorare quale garzone muratore. Ma la grande passione rimase, anzi s'ingigantì e, finalmente, nel 1931, incitato ed aiutato da molti, riuscì ad acquistare una bicicletta. Non era nuova e non era da corsa, ma tuttavia, per il giovanissimo Favalli era la realizzazione di un sogno che per tanti anni era ritornato ogni giorno. Quindi si tesserò presso la Soresinese e tentò la prima vera gara. Il suo debutto fu eloquente, perché riportò un'entusiasmante vittoria, battendo in volata ben 20 corridori. Poi vennero le altre. Nel 1933 tagliò 23 volte vittorioso il traguardo. Nel 1934 vinse la classica Caldirola, la Coppa Buttafochi ed a Verona, il Campionato italiano, battendo Gios, Lazzarini, Bini, Bartali, Cecchi ed altri ancora. Le cronache dell'epoca parlarono di "una volata di 50 corridori veramente memorabile. C'erano da compiere 10 giri di un circuito misurante 10 km e Favalli, per evitare di rimanere chiuso, partì in testa all'ultimo giro e vinse da campione". Negli anni successivi riportò nuovi successi con tinte internazionali: finì 7° alle Olimpiadi e 3° al Mondiale nel 1936. All'indomani della prova iridata, passò professionista con la Legnano, che aveva come capitano il già grande Gino Bartali. Pierino, nello scorcio di stagione coi prof, fece in tempo a giungere 12° nel Giro di Lombardia. Nel 1937, vinse la Coppa San Geo e il Trofeo di Bolzano, si piazzò secondo alla Milano Sanremo e colse un'infinità di piazzamenti nelle classiche nazionali e nelle tappe del Giro d'Italia. Abbastanza, per farne un riferimento del ciclismo italiano. Favalli corse fino al 1942 e collezionò un bel palmares, nel quale la sua vittoria nella Milano Sanremo del 1941, è senza dubbio la stella. Si piazzò, fra i tanti piazzamenti di prestigio, al secondo posto del Giro d'Italia di guerra, poi, il conflitto armato investì direttamente il territorio nazionale: due terzi d'Italia vennero invasi dai nazisti e tutte le corse ciclistiche furono sospese. E quando l'uragano passò, sulle strade ancora sconvolte dai bombardamenti, ritornarono i corridori ciclisti: i vecchi superstiti e le nuove leve. Ci provò anche Pierino Favalli a ritornare, ma non era più lui e si fermò subito.
Di seguito tutte le sue vittorie.

1937: Coppa San Geo, Trofeo di Bolzano. 1938: Milano-Torino, Giro di Romagna, Corsa a coppie di Milano con Bartali, GP Lucca. 1939: Milano-Torino, GP Stampa-Fiat a Torino in coppia con Bartali, Corsa a coppie di Milano (Trofeo Baracchi) con Bartali, Criterium di Lucerna, Circuito di Faenza. 1940: Torino-Genova, Tappa di Genova al Giro d'Italia; Milano-Torino, Corsa a coppie di Milano (Trofeo Baracchi) con Bartali, Circuito d'Alessandria. 1941: Milano-Sanremo. 1942: Giro della Campania, Giro del Veneto, Padova-Vicenza-Padova, Corsa a coppie di Milano (Trofeo Baracchi) con Bartali, Circuito di Firenze.

Valentin Huot (Fra)
[Immagine: 163821369913251961Huot,Valentin.jpg]
Nato a Creyssensac-et-Pissot il primo maggio 1929. Passista scalatore. Professionista dal 1953 al 1962 con 31 vittorie.
Il classico esempio di come un atleta di piccola taglia possa andare bene in salita. Nel caso di Huot però, il tutto non si spiega con questa particolarità, anche perché con lui non ci troviamo di fronte ad uno scalatore big (d'altronde ha consumato la carriera in un'epoca di formidabili grimpeur), ma nemmeno ad un comprimario in grado di lasciare pochi segni. Valentin infatti, seppe mettere sui pedali e sulla strada una furbizia ed un colpo d'occhio che lo portarono a vincere anche corse insperate, come ad esempio per ben due volte il Campionato di Francia: nel '57 a Chateaulin, nel Finisterre, e nel '58 a Belves, in Dordogna, classificandosi poi 8° nel '56, 4° nel '60 e 7° nel '61. Insomma un peperino che la sapeva lunga e che potremmo dire monetizzò al massimo il suo non eccelso potenziale. Ovviamente furono le prove sulle salite, in particolare le cronoscalate il pezzo forte del suo palmares, titoli a parte. Di nota i suoi successi nel Midi Libre e nelle scalate del Mont Faron e del Mont Agel. Non di rilievo le sue partecipazioni al Tour: su sei volte allo start, concluse la Grande Boucle in tre occasioni. Passò primo sull'Izoard nel 1956.
Il suo ruolino vittorioso anno per anno.
1953: Trofeo Simplex. 1954: Parigi-Limoges; 2a tappa Tour d'Alsazia e Lorena; La Rochelle-Angouleme; Criterium di Oradour-sur-Glane, Baucau, Cenon, Montbazillac; Crono Niort. 1955: Trofeo Polymultipliée; Tour de Correze; Criterium di Baucau, Cenon, Pontivy. 1956: GP Plouay; Circout de l'Aulne; Cronoscalata Mont Faron; Cronoscalata Mont Agel; Criterium Meymac. 1957: Campionato Francese; GP Trinità Gueret; Cronoscalata Mont Faron. 1958: Campionato Francese. 1959: Ploneour-Lanvern; Criterium di Cenon e Laurin. 1960: GP Midi Libre; 1a tappa Midi Lebre; Bol d'Or Monedieres; Criterium di Peyrart le Chateau. 1961: Criterium Lubersac.

Frederic Vichot (Fra)
[Immagine: 16432833091325Vichot,Frederic.jpg]
Nato a Valay (alta Saona), il 1º maggio 1959. Passista su strada e pistard endurance. Professionista dal 1981 al 1992, con 7 vittorie. Divenne ciclista dopo aver provato diverse discipline e sul pedale diede subito segni di una certa rilevanza un po’ dappertutto. Divenuto dilettante di pregio, vinse anche in Belgio nel 1979, indi nel 1980 vinse corse di gran peso come la Classifica Finale del Circuit les Mines e la tappa più importante dell’Etoile des Espoirs. Fu tra i protagonisti del Tour de l’Avenir nel quale chiuse 9° nella Generale e 7° nella Classifica GPM. La Miko Mercier lo fece passare fra i professionisti nel 1981, convinta che il talento di Vichot fosse qualcosa di più di una possibile spanna nella massima categoria. E Frederic rispose bene, tanto è vero che fu in evidenza alla Roubaix (terminata 26°) indi andò a rompere il ghiaccio con la vittoria conquistando la 12a tappa della Vuelta di Spagna che si concludeva ad Esparraguera. Nell’anno fra i vari piazzamenti, fu 3° nel Campionato Nazionale della corsa a punti su pista.
L’anno seguente Vichot non migliorò il suo ruolino come ci si attendeva: nella stagione fu 2° nella tappa di La Napoule alla Parigi-Nizza (che chiuse 17°) e 3° nella prima tappa del Dauphine Libéré (concluso 30°). Nel 1983 Frederic pur tornando alla vittoria nella tappa 3° tappa del Tour de l’Avenir, non si determinò quel corridore che si auguravano i dirigenti della Mercier, ed a fine anno lo lasciarono libero. Passò così alla Skill con compiti di spalla o gregario e nel 1984 esordì al Tour de France. Qui in una giornata di libertà fece vedere che era davvero un buon corridore, vincendo in solitudine la tappa di Grenoble e chiudendo 23° la Grande Boucle. Diversi i piazzamenti di stagione a cominciare dal 5° al Critérium International, al 7° alla Parigi-Nizza e all’8° nel Tour Midi-Pyrenées.
Il 1985 fu l’anno migliore della carriera di Frédéric Vichot. Aprì la stagione col 2° posto nel Grand Prix di Cannes, alla Parigi-Nizza colse il 4° posto nella prima tappa ed il secondo nella quarta frazione, dove conquistò pure la maglia di leader che conservò per tre giorni. Chiuse poi la manifestazione al 3° posto dietr gli irlandesi Kelly e Roche. A giugno fu nuovamente 3° al Tour Midi-Pyrénées ed al Tour de France dopo diversi piazzamenti vinse la tappa di Tolosa andando in fuga e tagliando l’arrivo con oltre tre minuti di margine su Mottet. Chiuse poi 30° a Parigi. Nell’anno conquistò il GP Callac e fece sua la Ronde des Korrigans in Bretagna ed in pista conquistò il Titolo di Campione di Francia nel mezzofondo.
Passato alla KAS per la stagione 1986, Vichot visse un’annata sottotono e l’anno successivo non andò oltre il 2° posto al Grand Prix de Cannes ed il 5° posto all’Etoile de Bessèges.  
Nel 1988 passò alla Weinmann, ma ormai la primaria attività di gregario prese il sopravvento, ed i suoi piazzamenti furono sempre minori. Idem nelle due stagioni successive passate alla Helvetia, indi nel 1991 alla Castorama e nel ’92 alla RMO sua ultima maglia. Sceso di sella, Vichot aprì un negozio di biciclette a Noidans-lès-Vesoul.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 30 aprile
Inviato da: Morris - 30-04-2023, 07:13 AM - Nessuna risposta

Armando Barducci
[Immagine: 16778688391325Barducci,Armando.jpg]
Nato il 30 aprile 1926 a Martorano di Cesena ed ivi deceduto il 22 ottobre 2016. Passista-scalatore alto 1,78 per 74 kg. Professionista dal 1949 al 1955, con una vittoria. Un corridore che in carriera ha colto tanti piazzamenti di valore, soprattutto secondi, a causa della mancanza di un tangibile spunto veloce, ma è passato alla storia del ciclismo romagnolo come un ottimo fondista e buon scalatore. Come dilettante dal 1946 al 1948, difese i colori delle società Vicini, Renato Serra e Gira di Bologna, riportando vittorie e decorosi piazzamenti. Professionista dal 1949 al 1956 con Frejus, Legnano, Girardengo e Leo Chlorodont, figurò come valida spalla di Kubler e Minardi. Tenace e battagliero, dotato di una forza di volontà non comune, riuscì a distinguersi per il suo rendimento continuo, che gli garantì protagonismo e numerosi risultati significativi. Nel 1949 fu 9° nel Giro di Toscana, 4° nel Trofeo Cirio, 8° nel duro Giro dell'Appennino. Nel 1950 fu 6° alla Milano-Sanremo, 2° nella tappa di Brescia al Giro d'Italia, 8° al Giro dell'Emilia. Nel 1951 fu 3° nella frazione di Pescara al Giro e fu riserva azzurra ai Mondiali di Varese. Nel 1952, vinse la tappa di Bienne al Giro della Svizzera Romanda, fu 3° nella tappa di Verbania al Giro, 4° nel GP Industria e Commercio, 6° nella Milano-Vignola, 9° nel Giro di Toscana, 11° nella “Sanremo”. Nel 1954 fu 2° nel Giro di Toscana e 3° in quello del Veneto. Nel 1955 5 fu 8° al Giro di Campania. Al Giro d'Italia nella classifica generale finale fu 45° nel 1949, 16° nel '50, 30° nel '51, 26° nel '52, 42° nel '53 e 35° nel '54.

Alfonso Calzolari
[Immagine: Alfonso_Calzolari.jpg]
Nato a Vergato (Bologna), il 30 aprile 1887, deceduto a Ceriale (SV), il 4 febbraio 1983. Prof dal 1909 al 1926 con 7 vittorie. Un monumento del ciclismo eroico. Pur con un palmares che si ferma a pochi movimenti, questo bolognese tutto cuore e resistenza, ha saputo entrare nella storia di questo sport, per rimanerci per sempre. Un archetipo del pioniere. Calzolari divenne ciclista, quando, da operaio presso una fabbrica di letti in Bologna, accompagnava ogni fine giornata di lavoro, ad una visita sulla pista della Montagnola, a due passi dalla ferrovia, dove poté vedere da vicino le evoluzioni dei ciclisti dell'epoca. Entusiasta, trovò la forza di sostituire il proprio vecchio ed impossibile ferro, con un mezzo comunque di fortuna e di allenarsi sul serio, nonché fare qualche gara come "libero". Nella estate del 1909, si tesserò per il Velo Club Reno e fece il suo debutto ufficiale fra quei dilettanti che poi nel ciclismo dell’epoca correvano spesso coi prof. Fra i tanti piazzamenti che lo resero protagonista, arrivo anche il primo successo nella Coppa Cesaroni-Venanzi a Castiglion Fiorentino. Nel 1910, pagò l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione, ma continuò a piazzarsi. Col passaggio alla Goricke la situazione migliorò nel 1911. Vin-se la Coppa New Hudson a Poggio a Caiano, il GP Peugeot (eliminatoria emiliana), la Coppa Tinozzi a Empoli e la Coppa delle Marche a Macerata, tutte gare nelle quali erano presenti professionisti. Nel 1912, in virtù dei piazzamenti e delle vittorie conquistate, l'UVI deliberò il suo passaggio tra i prof non classificati. Sempre con poche risorse, partecipò al suo primo Giro d'Italia, ma alla 4a tappa fu costretto al ritiro. Il 1913, fu l'anno della svolta: grazie all'ingresso nella formazione della Stucchi, decise di abbandonare definitivamente il lavoro in fabbrica e di puntare tutto sulla sua attività professionistica. Nella stagione, dopo tanti acciacchi, sfortune di ogni tipo e buoni piazzamenti, riuscì a vincere il Giro dell’Emilia. Ed arrivò la consacrazione nel 1914. In quel Giro d'Italia, il primo con una classifica individuale a tempi, che fu una gara ad eliminazione, dove solo 8 degli 81 partenti giunsero a Milano, Alfonso Calzolari fu straordinario. Sui 2.932 chilometri in sole 9 tappe, aventi una media di 326 km a fra-zione e vette da scalare come il Sestriere, che allora era come salire sulla Luna, il corridore bolognese conquistò la testa, vincendo la 2a tappa Cuneo Lucca, e non la mollò più. Superò difficoltà di ogni tipo, alcune dalle tinte gialle che avrebbero steso chiunque. Al traguardo finale di Milano il suo vantaggio di quasi 2 ore su Albini 2°, rappresenta il record della storia di questo sport. E quando un corridore vince una competizione del genere, spremendo se stesso oltre i limiti del pensabile, ci sta che la paghi nel prosieguo. Tanto più se dietro le porte, ci sono 4 anni di guerra. Ecco perché il bolognese non emerse più, dopo quelle giornate di gloria.

Luc Leman (Bel)
[Immagine: 16782099231325Leman,Luc.jpg]
Nato a Roeselare il 30 aprile 1953. Passista veloce, professionista dal 1974 al 1979 con 16 vittorie.
Fratello minore del ben più famoso Eric, ne replicò di questi abbastanza le caratteristiche, anche se con minore classe e spunto veloce. In ogni caso, un peperino (alto 1,72) che seppe farsi sentire e che, da dilettante, conquistò la nazionale per le sue doti sul passo. Fu infatti un componente del Quartetto della 100 km a Squadre belga, ai Campionati Mondiali di Montreal '73. Passò professionista nel settembre 1974 e nella sua prima vera stagione nell'élite ciclistica, ottenne tre successi, fra i quali una frazione della Vuelta a España, la quinta, da Águilas a Murcia. Buoni pure i piazzamenti colti nel '75 nelle corse di un certo spessore: fu quinto nel Grand Prix Jef Scherens, sesto nella Dwars door Belgie, settimo alla Nokere Koerse.
Nel 1976, fu un protagonista nella primissima parte di stagione, quando fece sue tre tappe della Étoile de Bessèges in Francia, per poi chiudere la corsa al 4° posto nella Generale Finale. Al Giro del Mediterraneo fu 9° mentre nella classica d'esordio del Belguo, ovvero l'Omloop Het Volk fu 5° ì, indi 7° alla Dwars door Belgie e terzo nella Amstel Gold Race. La bella vittoria arrivò ad aprile, quando Leman s'aggiudicò la Nokere Koerse, probabilmente il successo più importante della sua carriera. L'anno successivo vinse un paio di kermesse in Belgio e fra i piazzamenti fu 2° nella Dwars door Belgie, dietro Walter Planckaert e 6° nella E3 Prijs Vlaanderen - Harelbeke.
Nel 1978 vinse la tappa di Mentone al Giro del Mediterraneo, la De Panne e la Heusden-Zolder in patria. L’anno dopo, l’ultimo d’attività, fecesua la tappa di Plan al Giro del Mediterraneo. Qualche problema fisico lo spinse ulteriormente verso la chiusura di carriera a fine ’79, con sole 26 primavere alle spalle.

Eric Van Lancker (Bel)
[Immagine: 16250794091325VanLancker,Eric.jpg]
Nato il 30 aprile 1961 a Oudenaarde, professionista dal 1984 al 1996 con 23 vittorie su strada.
Eric Van Lancker è stato uno dei pochi corridori dell'epoca moderna, che ebbe il coraggio di portare per un certo periodo i baffi. Fu un segmento della sua carriera che contemplò l'ultimo anno da dilettante ed i primi due da professionista, quando militava nella piccola formazione della Fangio. Poi, con l'arrivo nella blasonatissima Panasonic, dei baffi non vi fu più traccia. Una nota di colore per un corridore silenzioso, forte, che ha sempre svolto il suo lavoro con attenzione e intelligenza. Eric, capì presto di non essere un super, ma con astuzia e abnegazione, finì per prendersi il massimo del possibile per quello che la natura gli aveva dato e per ritagliarsi, dal mestiere, una sistemazione capace di incidere anche sul dopo carriera. Buono su tutti i terreni, salvo in volata, dove non era fermo, ma nemmeno uno che poteva aspettarla.
Grazie alla completezza, s'è ritagliato un palmares che ha sì poche vittorie, ma quelle colte sono tutte di ottimo livello, ed a ciò è necessario aggiungere che ha sempre corso per aiutare gli altri. Tantissimi i suoi piazzamenti di pregio. Alla fine, ha raccolto meno di quello che valeva, ma chi lo ha visto sa, che i suoi undici anni di professionismo sono stati positivi. Una bella carriera, dove nessuno può parlarne male e dove tutti lo hanno rispettato.
Già, il rispetto è doveroso quando si incontrano corridori come Van Lancker! Passò prof, come detto, nelle file della belga Fangio, nel 1984. Nell'anno non vinse, ma si piazzò più volte. Meritevole di menzione il suo 3° posto nella Parigi-Bruxelles. Quattro le vittorie nella stagione seguente: il Tour Milk Race in Gran Bretagna, due tappe dello stesso e una al Giro di Danimarca. Nel 1986 passò alla Panasonic, di cui divenne una colonna per ben sette anni. Nella sua prima stagione vinse la tappa di Merano (l'ultima) al Giro d'Italia, dove chiuse 14°, due frazioni della Parigi-Nizza e una al Giro di Svizzera. Nel 1987, dopo un'infinità di piazzamenti e due vittorie di tappa alla Vuelta a Lloret del Mar e nel GP Guglielmo Tell, fu autore di un grande finale di stagione in Italia, dove, dopo il secondo posto nel Giro del Piemonte, impegnò allo spasimo Moreno Argentin, l'unico che gli finì davanti, nel Giro di Lombardia. Nella stagione seguente, si distinse in maniera ancor più marcata, nel ruolo di riferimento per i tanti nomi di prestigio della Panasonic, ed a livello personale, aldilà dei piazzamenti, tagliò per primo il traguardo in frazioni del Giro del Belgio e della Vuelta a Cantabria.
La vittoria nell'Amstel Gold Race, fu la stella del suo '89, dove vinse anche una tappa del Giro dei Paesi Baschi. Con l'arrivo dell'ultima decade del secolo, il suo ruolo anche di vincente all'interno del team, trovò eccelse risposte nei successi alla Liegi-Bastogne-Liegi '90, nel GP delle Americhe e nella Wincanton Classic del '91, tutte prove di Coppa del Mondo. Fra le altre vittorie del periodo vanno segnate la cronoscalata del Montjuich ('90) e due tappe del Tour du Vaucluse '92. Dopo una parentesi non felice nel '93 in seno alla Lotus Festina, nel 1994 tornò in un grande team, la Wordperfect, diretta da Jan Raas.
In quell'anno vinse la semiclassica Bruxelles-Ingooigem. Fisicamente ormai logoro, passò la stagione '95 alla Callstrop. Il suo canto del cigno il 6 agosto a Kelmis, nel Giro del Belgio dell'Est. Staccò la licenza anche nel '96, sempre con la Callstrop, ma non corse praticamente mai. Un ottimo corridore.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 29 aprile
Inviato da: Morris - 29-04-2023, 11:06 AM - Nessuna risposta

Sylvester Aarts (Hol)
[Immagine: 14384493443538aarts78.jpg]
Nato a Steenbergen (Ned) il 29 aprile 1942, professionista dal 1978 al 1986, senza ottenere vittorie.
Un onesto pedalatore, che ha sempre militato in piccole squadre belghe ed olandesi. Un gregario per le kermesse, privato di gioie personali per uno spunto veloce che, su strada, era ....inesistente. Per porvi rimedio provò la via della pista, dove, grazie ai pochi partecipanti, riuscì persino a giungere secondo ai Campionati olandesi della velocità nel 1980. Il suo miglior risultato sull'asfalto da professionista, lo colse nel 1984, quando conquistò la piazza d'onore a Langedijk. Ritornò poi dilettante (e pure a vincere), nel 1987.

Richard Depoorter (Bel)
[Immagine: 1303029887DEPOORTERRichard-2.jpg]
Nato a Ichtegem il 29 aprile 1915, deceduto a Wassen (Svizzera) il 16 giugno 1948. Completo. Professionista dal 1938 al 1948 con 17 vittorie.
Arrivò al ciclismo più tardi rispetto a tanti coetanei e non bruciò le tappe, ma fu autore di una crescita costante e tangibile, nonostante l’interruzione a causa del Conflitto Mondiale.
Dopo essersi imposto due volte nella Liegi-Bastogne-Liegi ('43 e '47) e nel Gran Premio Franco-Belga (’47), sembrava in grado di affermarsi anche come corridore da gare a tappe. Ma un tragico destino l'attendeva all'interno del tunnel di Susten, durante una tappa del Giro di Svizzera. Nella scalata del Col de Susten, fra Thun e Altdorf, si era difeso bene, e nella discesa si era lanciato all'inseguimento di Ockers, Kubler e Robic. Ma nella galleria poco illuminata urtò la parete rocciosa, fu sbalzato nel mezzo di strada, dove venne investito da un'auto del seguito guidata da Louis Hanssens, che due anni più tardi venne condannato dalla ventesima Camera del Tribunale di Bruxelles. Era il 16 giugno del 1948.

Franco Magnani
[Immagine: Magnani,%20Franco.jpg]
Nato a Cesena il 29 aprile 1938. Passista veloce, alto m. 1,76 per kg. 72. Professionista dal 1961 al 1964 con una vittoria.
Un corridore che poteva lasciare una traccia ben maggiore nel ciclismo professionistico, perché sebbene non fosse un campione di prima grandezza, era di sicuro un gran bel corridore. Il suo problema però, era quello di non riuscire ad adattarsi, con la convinzione necessaria, al ruolo di spalla, o di gregario, con qualche giornata di libertà. Nella sua epoca però, nonostante fosse stato un forte dilettante che poteva correre sempre libero, si trovò fra i professionisti a doversi rapportare con capitani che erano davvero di peso e le corse erano troppo poche per consentire ampie possibilità personali. Oggi, un corridore come Franco, avrebbe all'attivo un palmares di nota, ma coi "se" e coi "ma" non si fa storia, ed anche se ci sono mille ragioni per essere convinti del contrario, è bene limitarsi a giudicare il tracciato pure per lui. Magnani, ha percorso nel ciclismo tutte le categorie in essere nella sua epoca. Esordì fra i "liberi", nel 1953, indi fra gli esordienti divenne campione romagnolo e cominciò con una certa frequenza a tagliare il traguardo per primo. Quasi sempre per distacco, tra l'altro. Notevole il suo successo, da allievo, nella Coppa Succi a Forlì. Ma fu da dilettante che la sua crescita si fece tangibile. In quel lasso, la sua autorevolezza di atleta dalle giornate ruggenti, raggiunse la pienezza del palcoscenico nazionale con oltre 20 vittorie, fra le quali la "preolimpica" di Montanina di Firenze, la cronometro a Loro Ciuffenna in Toscana e, soprattutto, il Trofeo Faina a Roma nel 1960. In quest'ultima corsa, si impose in volata dopo 210 km, convincendo il CT Rimedio ad inserirlo nella squadra azzurra per i Mondiali di Sachsering nell'allora Germania dell'Est. Sul difficile circuito iridato, Magnani chiamato a svolgere protagonismo nelle fasi iniziali, fece il suo lavoro ed a quattro/quinti di gara si ritirò.
Nel settembre del 1961, in occasione della Tre Giorni del Sud a tappe (gran bella corsa purtroppo non più ripetuta), passò professionista con la Ghigi. In quella manifestazione fu subito protagonista, colse piazzamenti in tutte le tappe, ed uscì da quella corsa come "l'emergente". Nella sua prima stagione piena fra i prof, non partecipò al Giro, ma al Tour de France, che chiuse all'83° posto, con una 3a piazza nella 9a tappa, che si concludeva a Bordeaux, dove fu battuto allo sprint da Bailetti e Graczyk. Nell'anno, fu 3° anche nella Sassari Cagliari. Nel 1963, come gran parte dei corridori della Ghigi che chiudeva i battenti, passò alla Salvarani, con la quale esordì al Giro d'Italia. Qui, vinse a tempo di record la tappa di Treviso, chiusa in solitudine alla media di 44,212 Km/h! Finì poi la corsa rosa al 35° posto. Nel 1964 finì 80° il Giro, ma a fine stagione pur avendo la possibilità di continuare, chiuse col ciclismo ufficiale, aprendo decenni di grande tangibilità agonistica fra gli amatori italiani ed europei.

Attilio Rota
[Immagine: 1213731281Rota,%20Attilio.jpg]
Nato a Clusone (BG) il 29.04.1945. Passista scalatore, alto m. 1,76 per kg. 68. Professionista dal 1969 al 1980 con una vittoria.
Da giovane, Attilio, fece crescere al sottoscritto ragazzino, la curiosità verso la graziosa Clusone. Già, perché chi scrive, per essendo alla fine delle medie, ancora giocava a "quarcì" (tappetti) e, grazie a quel passatempo, il suo campionario di conoscenza di corridori, toccava le ottocento unità. Ed a quel tempo, Rota, era un dilettante di gran pregio, uno che non si poteva non conoscere. Lo strano nome del suo paesino, entrò così in me.... che abitavo a 400 chilometri....
Il giovane bergamasco, era un ciclista che non giunse subito all'evidenza delle risultanze, ma seppe crescere ogni anno con dovizia, fino ad esplodere compiutamente a 23 anni, nel 1968, anno in cui vinse la classicissima G.P. Liberazione e fu azzurro nella massacrante Corsa della Pace (Praga-Varsavia-Berlino). Molto stimato dal CT Elio Rimedio, non fece parte della selezione azzurra alle Olimpiadi di Città del Messico e ai Mondiali di Montevideo, solo a causa di un beffardo infortunio. Passato professionista nel 1969 (la stagione che vide il maggior numero di passaggi alla massima categoria dell'intera storia ciclistica italiana), all'interno della Sanson guidata da Gianni Motta, si fece subito valere, vincendo, con un colpo da autentico finisseur, lui che era passista scalatore, la velocissima Milano Vignola (un festival degli sprinter), dove anticipò di una manciata di secondi Franco Bitossi, che regolò i "galletti" sempre in guerra fra loro, Dino Zandegù e Marino Basso. Attilio poi, giunse terzo al Giro di Toscana, al termine di una volata a tre, con Giorgio Favaro (vincitore) ed Ernesto Jotti. Al Giro d'Italia finì 41°, tra i migliori "neopro", ma era un ciclismo di autentiche star, niente a che vedere con quello di oggi. A fine anno, a testimonianza della buona qualità del corridore, il San Silvestro d'Oro, una specie di tricolore a punti, collocò Rota al nono posto, primo dei debuttanti. Rota però, aveva ben capito che in quel pedale fatto di autentici campioni, era molto meglio mettersi al loro servizio, piuttosto che provare a giocarsi le proprie carte, col rischio di finire fra i disoccupati (ed allora era molto facile). Con la stagione '70, al cui esordio solo il grande Rudi Altig, riuscì a piegarlo nella classica "Sassari-Cagliari", iniziò il lungo status di spalla, o gregario, o luogotenente, di Attilio.
Potremmo dire un gran bel corridore che seppe divenire "angelo custode", fra i tanti coi quali ha corso, ed in successione temporale, di ciclisti come il già citato Motta, Patrick Sercu, Pierfranco Vianelli (l'olimpionico del Messico, che non seppe mai diventare qualcuno nel vero ciclismo), Ole Ritter, Roger De Vlaeminck, Johan De Muynck, Gian Battista Baronchelli, l'ultimo Franco Bitossi, Enrico Paolini, di quel regale spagnolo che era Miguel Maria Lasa, Wladimiro Panizza, Francesco Moser, Gregor Braun....
E' poi stato compagno di Giancarlo Bellini, l'uomo che passò al ciclismo direttamente dal calcio, fino a vincere il Giro d'Italia per dilettanti del '70 e la maglia a pois al Tour de France '76. E' inoltre da citare anche quel Walter Riccomi, per il quale Attilio lavorò tantissimo al Tour de France del 1976, concluso dal toscano al quinto posto finale. Nella seconda presenza alla Sanson, oltre a Moser e De Vlaeminck, Attilio ebbe come compagno, il "treno del Piave", Simone Fraccaro.
Fino al 1980, dunque, Rota fu uno di quegli uomini che si sentono anche se non hanno la ribalta e che solo il genio comunicativo di Sergio Zavoli, ha saputo degnamente raccontare nei già divenuti importanti media non su carta. Attilio era nel suo genere un grande, uno che se fosse corridore oggi, epopea di capitani sfumati e di tante possibilità di corse, sarebbe senza dubbio un possibile vincente, anche se privo di spunto veloce.
In tutti questi anni, partecipò e finì il Giro d'Italia, senza mai piazzarsi oltre la sessantesima posizione. Unica eccezione, il 1977, dove non fu presente allo start. In quell'anno però, giunse 3° al GP di Larciano, superato allo sprint da Giancarlo Tartoni e Gabriele Mugnaini (fratello minore del più celebre Marcello). Due, le partecipazioni al Tour: nel 1974, dove si ritirò nella 14esima tappa e nel già citato ''76, dove finì 36°.
Appese la bici al chiodo alla fine del 1980, a 35 anni, anche se, va detto, erano ancora diverse le squadre che l'avrebbero volentieri ingaggiato. Oggi gestisce un negozio di vernici e continua ad amare la montagna, ovvero la passione che l'ha coinvolto pienamente, dopo la fine della sua epopea ciclistica. Un personaggio, ancora molto popolare nella sua zona.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 28 aprile
Inviato da: Morris - 28-04-2023, 08:07 AM - Nessuna risposta

Raymond Batan (Fra)
[Immagine: 15570863601325Batan,Raymond.jpg]
Nato il 28 aprile 1934 a Tarbes (Midi-Pirenei) ed ivi deceduto il 23 maggio 2005. Passista. Indipendente dal 1954 al 1959 e Professionista dal 1960 al 1962, poi dilettante hors categorie, dal 1963 al 1965. Le vittorie ottenute da professionista o da indipendente coi professionisti sono state 11. Un corridore di discreta caratura che fece una scelta, opinabile finché si vuole, ma onesta, nel senso che la portò avanti senza scuse e sotterfugi. Correva con una maglia, ma era interiormente un isolato, uno che correva per sé. Lo dimostrò compiutamente quando divenne ufficialmente professionista, nel 1960, tanto è vero che dopo il primo anno passato in Mercier BP, vedendo la caratura dei compagni, in particolare quel Raymond Poulidor in grande ascesa internazionale e il comunque valente Renè Privat, nonché Albert Bouvet e l’ambizioso belga Frans Aerenhouts e sapendo che sarebbe stato chiamato sempre o quasi a fare il gregario, fece di tutto per cambiare sodalizio nel 1961. Scelse la Liberia Grammont, dove era convinto che a parte il leader Henri Anglade, con gli altri se la sarebbe potuta giocare, tanto è vero che rimase in Liberia due anni. Ovviamente le squadre capirono presto che Batan era rimasto concettualmente un Indipendente e solo raramente lo schierarono nei massimi appuntamenti. Fra gli altri però, il Raymond, se la cavò benino, cogliendo vittorie e piazzamenti, perché era davvero un discreto corridore. Poi, a fine ’62, ritornò fra i dilettanti hors categorie, che gli consentivano di fare ancora qualche gara coi prof, anche se di base il calendario corse si muoveva lautamente nella categoria cadetta.  Vinse ancora tanto e si piazzò, tra l’atro anche nelle gare coi professionisti. La bicicletta al chiodo l’appese a fine ’65. Anche il figlio Jean Jacques e il nipote Nicolas sono stati corridori, ma si fermarono alla categoria dilettanti.
Le undici vittorie coi prof, di Raymond Batan. 1957 (1): G.P d'Arcachon. 1959 (2): 1er du G.P de Saint-Gaudens, Prix d'Ax-les-Thermes.. 1960 - Mercier BP (6): Tappa a Quillan del Tour de l'Aude, Circuit de la Soule, Mauléon-Soule, Gp Orthez, Gp Galapian, Gp Terrasson la Villedieu. 1961 – Liberia Grammont (2): Gp Tarbes, Gp Royan.
Piazzamenti di nota. 1961: 2° nel GP Bayonne, 2° nella Labastide-d'Armagnac, 3° nella Bordeaux – Saintes.

Julien Gekiere (Bel)
[Immagine: 1303971256GEKIEREJulien.JPG]
Nato a Sint-Eloois-Vijve (West-Vlaanderen) il 28 aprile 1938. Passista veloce. Professionista dal 1962 al 1965 con 3 vittorie.
Un corridore che prima di incontrare una decisiva sfortuna ebbe una maturazione lenta, ma costante. Uno che poteva diventare qualcuno perlomeno come spalla o gregario d’eccellenza, capace ogni tanto di arrivare al bersaglio, perché le sue qualità, anche se non di vertice, erano comunque buone.
Da dilettante e indipendente alle vittorie accostò un crescente spessore di piazzamenti che lo posero in evidenza nazionale, soprattutto nel 1961. L’esordio professionistico avvenne nell’aprile del 1962 all’indomani del 3° posto conquistato al Giro delle Fiandre riservato agli Indipendenti. La squadra che lo tesserò era la Wiel's - Groene Leeuw. Esordì subito alla Vuelta di Spagna dove si piazzò 3° nella quinta tappa che si concludeva a Benidorm e giunse altre tre volte nei primi dieci, prima di ritirarsi alla nona frazione complice una caduta. Ruppe il ghiaccio con la vittoria al Critérium du Dauphiné Libéré in giugno, quando vinse la tappa che si concludeva a Lione e colse diversi piazzamenti di discreto livello nel resto della stagione. Di nota il 3° posto nel GP Frans Melckenbeeck. Col medesimo sodalizio s’avviò al 1963, dove si confermò atleta di buon livello anche se arrivarono solo piazzamenti. Nel 1964 passò alla Flandria – Romeo e la nuova stagione s’aprì subito con un successo nel Circuit du Port de Dunkerque, indi finì 2° nel Gp di Kwaadmechelen ed in quello di Burcht. Nuovo successo nel GP Briek Schotte ed un altro 2° posto al Gp Dudzele. Insomma una buona stagione che sembrava lanciarlo verso discreti orizzonti. Il 20 maggio 1965 però, fu vittima di una pesante caduta al Giro dei Paesi Bassi, dove subì una frattura al cranio che lo lasciò in coma diversi giorni. Si riprese per una vita normale, ma finì lì la sua carriera.

Carlo Rancati
[Immagine: 15335661381325Rancati,Carlo.jpg]
Nato il 28 aprile 1940 a Milano ed ivi deceduto il 22 novembre 2012. Passista veloce, alto m. 1,80 per kg. 73. Professionista dal novembre 1964 al 1973, senza ottenere vittorie su strada. Ha svolto l'attività prettamente in qualità di pistard (Stayer - Inseguimento e Seigiorni) vincendo non meno di una cinquantina di volte.
Uno degli ultimi “mohicani” del Vigorelli, uno nato vicino al leggendario impianto (non per UCI-FCI-Comune di Milano!), uno che dalla sua Città, ha saputo impreziosire, attraverso le sue pedalate, la notorietà mondiale di quel ciclismo su pista gravitante sul magico anello e ribadire quanto fosse buona la scuola italiana sui velodromi. Sconosciuto ai tritasassi dell’osservatorio ciclistico, ma nobile in chi ha avuto la fortuna di respirare quel pedale. Rancati, milanese doc anche nell’appartenenza: nei dieci anni professionistici, ha militato in un unico sodalizio, quella GBC che, di milanese aveva scarpe e corpo, divenuta grande, grazie al genio imprenditoriale di Jacopo Castelfranchi, grande sportivo e tifoso, nonché ammiratore di quell’onesto e brillante corridore di nome Carlo.
La carriera giovanile di Rancati fu davvero brillante. Passista veloce su strada, specialista dei circuiti, grande talento su pista dove sapeva far bene di tutto. Da dilettante fu un amico dei Titoli Tricolori. Cominciò nel 1960, quando vinse il Campionato Italiano nell’Inseguimento a Squadre (assieme ad Arienti, Officio e Vigna), proseguì nella medesima specialità l’anno seguente (con Belloni, Cerato e Macchi), indi nel ’62 (con Belloni, Officio e Zuccotti) e nel ’64 (con Roncaglia, Re e Vincenzo Mantovani). Nel 1963, vinse il Tricolore nell’Inseguimento Individuale. Fu azzurro nell’Inseguimento a Squadre ai Mondiali di Parigi e con Mantovani, Benfatto e Testa conquistò l’Argento. Titolare anche alle Olimpiadi di Tokyo, dove assieme a Roncaglia, Mantovani e Testa conquistò la Medaglia d’Argento. All’indomani di Tokyo, divenne professionista con le maglie bianconere della GBC. Anche da professionista vinse un Titolo Italiano. Avvenne nel 1970, fra gli Stayer a livello Indoor, mentre a livello Out-indoor, fu 2° dietro De Lillo. L’anno successivo fu 3° dietro De Lillo e Della Torre nella medesima specialità, idem nel 1972. Altro podio tricolore lo conquistò nel 1966 nell’Inseguimento Individuale. Furono comunque diverse le soddisfazioni sulle piste internazionali sia come stayer, che inseguitore e seigiornista. Nel “carosello seigiornistico” fu 3° (in coppia con Alain Van Lancker) nella Seigiorni di Milano del ’72

Willy Vekemans (Bel)
[Immagine: 15297790511325Vekemans,Willy.jpg]
Nato a Putte (Belgio) il 28 aprile 1945. Passista veloce. Professionista dal 1967 al 1972 con 14 vittorie. Un corridore dalla carriera brevissima, ma che in quel tratto, riuscì ugualmente a lasciare una sufficiente traccia. Temuto dagli avversari per le sue doti velocistiche, più di quanto non dica il suo scarno palmares. Coetaneo di Merckx, fu un dilettante di gran pregio, razziatore di traguardi, soprattutto dopo il passaggio di Eddy, Godefroot e Willy Planckaert al professionismo. All'esordio professionistico, il 4 marzo 1967, Vekemans si impose con una regale volata nell'Het Volk. Fu un bel botto, anche perché fra i battuti in quel drappello di fuggitivi che si giocarono il successo, c'era l'accreditato ed ormai esperto Ward Sels. Dopo quella vittoria, Willy non combinò granché per tutta la stagione. C'è chi diceva che il problema era legato alle incertezze se portare o meno gli occhiali in corsa (era miope, in particolare nell'occhio destro). Nel 1968, fu autore di una stagione altalenate, ma qualche bel successo, tenne alto il suo blasone. Nel 1969, invece, Vekemans giunse all'esplosione, col successo nella Gand Wevelgem, il terzo posto nella Parigi Roubaix, ed il quinto nell'Amstel Gold Race, impreziositi da altre belle vittorie nel Giro del Limburgo, nella Hoeilaart-Diest-Hoeilaart e nella Wezembeek-Oppem. Notevole anche il terzo posto nella Harelbeke-Anversa-Harelbeke. Nel 1970, fece una capatina in Italia, alla Tirreno Adriatico, dove vinse la seconda tappa e si piazzò in un'altra, mentre in Belgio, per poco, non doppiò la Gand Wevelgem, classica nella quale finì secondo, anticipato dalla fuga nel finale di un certo Merckx. Tornò in Italia per il Giro, ma abbandonò presto. Convinto di essere entrato nella fase calante dopo sole tre stagioni di professionismo, attese il 1971 come anno di verifiche e quando vide che c'era del vero nelle sue sensazioni staccò la licenza e l'ingaggio per un paio di mesi nel '72, ma a giugno annunciò il suo ritiro. Per taluni aspetti un corridore misterioso, di buon livello, ma certamente non un campione di spessore.
Le sue vittorie ed i migliori piazzamenti, anno per anno.

1967: Het Volk. 1968: G.P Kanton Aarau Gippingen; Pamel-Roosdaal; Campionato provinciale club. Piazzamenti importanti: 2° nei Campionati del Brabante. 1969: Gand-Wevelgem; Giro del Limburgo; Hoeilaart-Diest-Hoeilaart; Wezembeek-Oppem; Criterium di De Panne. Piazzamenti importanti: 3° nella Parigi Roubaix; 3° nella Harelbeke-Anversa-Harelbeke; 5° nell'Amstel Gold Race. 1970: 2a Tappa della Tirreno Adriatico; Giro della Costa dell'Ovest a De Panne; Criterium di Noorderwijk e di Kortrijk. Piazzamenti importanti: 2° nella Gand Wevelgem. 1971: Campionato provinciale club.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 27 aprile
Inviato da: Morris - 27-04-2023, 07:29 AM - Nessuna risposta

Karl Litschi (Sui)
[Immagine: 16422286381325Litschi,Karl.jpg]
Nato a Felben il 27 aprile 1912, deceduto ad Andelfingen il 18 marzo 1999. Passista, Ciclocrossista e pistard. Professionista dal 1936 al 1947 con 21 vittorie.
Tre volte campione nazionale dei dilettanti e due dei professionisti (1939 e 1941), l'elvetico Karl Litschi fece parte di quella schiera di ottimi elementi che il piccolo Stato rosso-crociato seppe mettere in campo negli anni '40. La sua maggiore affermazione l'ottenne al Giro della Svizzera del 1937, ma di rilievo sono anche il Giro del Nord-Ovest (1938) e il Campionato di Zurigo del 1939. Nelle prove sostenute all'estero, terminò ottavo al Giro d'Italia del 1938 e al Tour de France 1939 si aggiudicò la tappa di Pau, a cronometro.
Tutte le sue vittorie. 1936: Ciclocross International di Zuri-go. 1937: Giro di Svizzera; 5a Tappa del Giro di Svizzera; Classifica GPM al Giro di Svizzera; Campionato Nazionale di ciclocross; Criterium di Losanna. 1938: Giro del Nord-Ovest; Giro di Berna; Criterium di Zurigo I; Criterium di Zurigo II, Criterium di Morat. 1939: Campionato Nazionale su strada; Campionato di Zurigo; 8a Tappa (b) del Tour de France; 5a Tappa del Giro di Svizzera; GP di Cannes, Criterium di Balsthal. 1940: Campionato Nazionale in salita; Campionato Nazionale dell'inseguimento. 1941: Campionato Nazionale su strada; Campionato Nazionale in salita; GP Locle.

Ezio Pizzoglio
[Immagine: 1523040293184951962Pozzoglio,Ezio.jpg]
Nato il 26 aprile 1937 a Ternengo (Biella) ed ivi deceduto il 22 maggio 2006. Passista scalatore, alto m. 1,80 per kg. 65. Professionista dal 1958 al 1961, senza ottenere vittorie.
Un corridore di valore migliore rispetto al narrato dell’osservatorio e da quel che emerge dal curriculum che, come sempre, non contempla eventuali particolari accadimenti.
Ezio Pizzoglio, ottimo dilettante, poteva essere anche un buon corridore professionista, ma la sua carriera, di fatto, venne deviata dalle conseguenze di una grave caduta nella tappa di Roubaix al Tour de France 1961.
Cresciuto nell’Unione Sportiva Vallestrona mostrò presto cospicue attitudini verso le corse dal percorso aspro, con salite e quello sterrato che, ai tempi, era una variabile potremmo dire costante.  Si mostrò inoltre ben attrezzato verso le distanze più lunghe e, questo, faceva presagire una evoluzione positiva anche in direzione della meta del professionismo. Da dilettante, nel biennio 1956-’57 fu a tutti gli effetti uno dei migliori corridori italiani per copiosità di successi, comportamenti in gara e punte tecniche, in particolare in salita, di ottima prospettiva. Tra i suoi successi di quel lasso, vanno segnalati per importanza, cast e per il modo di ottenerli, la Coppa Giulio Burci, il Giro dei Tre Laghi, il Gran Premio Rino Piccoli, la Coppa Mocchetti a Legnano, la Coppa Giacomo Silvio Guelpa e il durissimo Circuito delle Camminate a Forlì. Entrato nel gruppo azzurro del Commissario Tecnico Giovanni Proietti, fu schierato il 17 agosto 1957 ai Campionati Mondiali di Waregem. Qui, il suo comportamento, mentre Arnaldo Pambianco si trovava da solo al comando, non fu giudicato dallo staff e da taluni compagni, in sincronia coi dettami di Proietti. In sostanza, lo si accusò di inseguimento all’azzurro al comando, risultando alla fine importante nel vincente affondo del belga Louis Proost, che raggiunse Pambianco a poche centinaia di metri dal termine e lo batté in volata. Pizzoglio ha sempre negato l’inseguimento, dicendo che si trattava di rottura di cambi. Aldilà della risonanza anche giornalistica di quel pomeriggio, la carriera di Pizzoglio non fu modificata o deviata. Infatti, nel 1958, passò professionista in seno alla Coppi-Ghigi e dopo una stagione di assestamento e non certo densa di piazzamenti (il migliore fu il 19° del Giro di Lombardia), fu atteso alla maturazione senza pressioni dalla Carpano di Vincenzo Giacotto che lo inserì nel 1959 nei ranghi bianconeri. Nell’anno i migliori piazzamenti furono l’8° posto nella Genova-Nizza, il 12° alla Milano-Torino, il 16° nella Coppa Agostoni e il 17° nella Milano-Vignola. Di ben altro spessore, fu la stagione 1960 di Ezio. Prima del Giro d’Italia fu schierato dalla Carpano al Giro di Romandia, dove giunse 2° nella tappa di Colombier, 6° in quella 
di Nyon a cronometro (vinta da Anquetil sui Venturelli) e finì 4° nella classifica finale.  Nella sua prima “Corsa Rosa”, arrivò 4° nella frazione di Livorno e chiuse il Giro a Milano 16°. Fi poi schierato al Tour de Suisse, dove finì 2° nella tappa di Davos e chiuse il Tour 11°. Tornato in Italia fu 3° nella Coppa Bernocchi, 8° nel GP Industria di Quarrata e, soprattutto, chiuse l’anno con un gran bel 5° posto al Giro di Lombardia. Giacotto, per dargli ancora più spazio lo dirottò nel 1961 alla Baratti. E l’inizio di Pizzoglio evidenziò la sua crescita. Finì 2° nella “Due Giorni di Bordighera”, 8° nel Giro di Monaco e chiuse le classiche del nord col miglior piazzamento: 11° nella dura Liegi-Bastogne-Liegi. Al Giro d’Italia fu 4° nella tappa di Milazzo, 8° in quella di Vicenza, 3° nella tappa di Trento e 9° nella durissima frazione dello Stelvio. A Milano concluse il Giro al 19° posto. Il buon andamento del Giro e la sua crescita spinsero il CT Covolo a schierarlo nella Nazionale per il Tour de France. Ma qui, alla seconda tappa, quella che si concludeva a Roubaix, Ezio si trovò coinvolto in una delle sette cadute, di quella giornata che coinvolsero una trentina di corridori. Sei dei quali furono ricoverati in ospedale. Purtroppo, uno dei più gravi fu proprio Pizzoglio che riportò una leggera frattura e una brutta contusione cranica dalla quale faticò a riprendersi. Giorni con scarsa sensibilità e parziale paralisi alle dita della mano sinistra e, soprattutto, un lungo lasso senza la capacità di parlare. Tornò in Italia dopo un ricovero di 18 giorni. Con grandissima volontà, tornò a correre già nel finale di stagione, ma non era più lui. Ne ebbe la prova nel 1962, sempre in Carpano, dove all’8° posto del GP Nizza, poté aggiungere solamente piazzamenti belle massime retrovie. Pochissimo per uno come lui, che era votato a stare davanti, A fine stagione, a soli 25 anni, lasciò l’agonismo.

Harry Steevens (Hol)
[Immagine: steevens44.jpg]
Nato a Elsloo (Olanda) il 27 aprile 1945. Passista. Professionista dal 1966 al 1972 con 38 vittorie.
Con Harry, all'anagrafe Henri e per tutti Harrie, la famiglia Steevens, che già aveva dato al ciclismo i solo discreti Henk e Leo, finalmente trovò il proprio campioncino.
Ottimo dilettante, tra l'altro pure molto precoce. A diciannove anni partecipò alla prova su strada delle Olimpiadi di Tokyo. Negli anni successivi, si confermò un "puro" di vertice, affermandosi su prove di carattere internazionale, fino a sfiorare l'iride nella "Cento chilometri a squadre" nel 1966.
Passato al professionismo tre settimane dopo la rassegna iridata, il 18 settembre, fece in tempo a vincere il Criterium di Ossendrecht, prima di trascorrere l'inverno a correre le Sei Giorni.
Il colpo di pedale proveniente dalla pista, gli fu utile nella primavera del '67, dove s'affermò in 7 kermesse, prima di giungere terzo nell'Amstel Gold Race.
Il resto dell'anno non gli portò successi, ma tanti piazzamenti. Nella stagione successiva i suoi migliori acuti, grazie alle vittorie, fra le undici complessive, nella Paris-Camembert, nel Tour del Nord a tappe (dove vinse pure una frazione), nel GP Willem II, nel Giro delle Regioni di Frontiera, in una tappa del Giro dell'Andalusia e, soprattutto, a duecento metri da casa sua, nell'Amstel Gold Race. Partecipò con la nazionale olandese ai Mondiali di Heerlen, dove finì 18°. Dodici furono i suoi successi nel 1969, ma in gare di terza fascia, mentre in quelle più importanti raccolse qualche piazzamento. In altre parole si dimostrò ottima spalla, ma non quel corridore che si pensava fra i dilettanti. Si migliorò nel '70, vincendo meno corse, sei, ma di migliore qualità: sulle altre il GP d'Orchies e una tappa al Giro della Svizzera. Nel '71, la sua flessione fu più marcata, anche per l'insorgere di problemi fisici: solo un successo a Rijen. Una sciatica lo fece gareggiare pochissimo nel '72, ed a fine stagione, a soli 27 anni, abbandonò l'attività. Un buon corridore, probabilmente, come tanti nella storia del ciclismo, sciupatosi troppo fra i dilettanti.

Duilio Taddeucci
[Immagine: 1225017877Scannen0030.jpg]
Nato a Terranova Bracciolini (AR) il 27 aprile 1936. Passista. Professionista dal 1958 al 1960 con una vittoria.
Una figura che passa inosservata nella storia ciclistica, ma in possesso di tutti quei valori che determinavano il ciclista in un forzato della strada in origine, ed in un semi-servo ridotto alla sofferenza per antonomasia, poi. Dopo esser stato un buon dilettante, ed alla giusta età, questo corridore aretino, dal fisico compatto e per taluni aspetti gladiatorio, passò professionista sul finire del 1957, giusto in tempo per chiudere 8° il Trofeo Baracchi in coppia con Aurelio Cestari. E nel 1958, in seno all'ambiziosa San Pellegrino, raccolse una bella serie di piazzamenti: 3° nella Coppa Bernocchi, 5° nel Gran Premio Biagioni, 8° nella Coppa Agostoni, 24° nella Tre Valli Varesine e 27° nel Giro di Lombardia. Nel 1959, passò alla Emi, accanto al già mitico scalatore Charly, Gaul, detto l'Angelo della Montagna. Fu un anno importante anche per Taddeucci, che ruppe il ghiaccio, vincendo la tappa, Siracusa-Ragusa, del Giro di Sicilia. Poi si dedicò completamente al lavoro di gregario. E nella stagione successiva, dopo essere tornato in seno alla San Pellegrino, si trovò a recitareal suo primo e unico Giro d'Italia, il ruolo-essenza del gregario, sostenendo, spingendo e assistendo il capitano alla deriva: in questo caso il più grande incompiuto della storia ciclistica italiana, Romeo Venturelli. La tappa in questione era la quinta, che da Pescara terminava a Rieti e Venturelli, che due giorni prima era in Maglia Rosa, era totalmente spossato dal mal di stomaco: a causa delle sue bravate alimentari. L'assistenza di Taddeucci fu commovente, ma fu inutile, perché Romeo abbandonò, e quel prodigarsi portò Duilio a compromettere il suo stesso Giro, nonché il resto di stagione. Poi, a fine stagione, una ulteriore beffa: il grigiore del suo 1960 lo rese disoccupato. Staccò la licenza per altri due anni, ma di fatto la sua carriera finì spingendo ed assistendo, lo scialacquatore formidabile Romeo Venturelli.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 26 aprile
Inviato da: Morris - 26-04-2023, 08:02 AM - Nessuna risposta

Ferruccio Manza
[Immagine: 1307303346FerruccioManza.jpg]
Nato a Cortine di Nave in provincia di Brescia il 26 aprile '43. Passista veloce alto m. 1,78 per kg. 74. Professionista dal 1966 al 1967, senza ottenere vittorie.
Fin da giovanissimo mostrò un fisico possente e ben presto grazie appunto alla forza che sprigionava divenne riferimento sul passo e nelle accelerazioni. Cresciuto nel Centro Sportivo Italiano, nel 1963 si aggiudicò il Titolo Italiano relativo a quell’Ente di Promozione Sportiva e l’osservatorio ciclistico lo annotò fra i dilettanti più interessanti. In particolare il Commissario Tecnico Elio Rimedio che l’anno successivo, all’indomani del successo di Manza nel campionati della Lombardia, lo convocò in azzurro e lo schierò in Francia ai Campionato Mondiali nel quartetto della Cento Chilometri a Squadre. Qui, Ferruccio, assieme a Severino Andreoli, Luciano Dalla Bona e Pietro Guerra vinse il Titolo Mondiale, Il medesimo quartetto colse poi la Medaglia d’Argento alle Olimpiadi di Tokyo, battuto per l’inezia di 25 centesimi dall’Olanda, che schierò uno dei quartetti più forti di sempre (Dolman, Karstens, Pieters e Zoet). Dopo quella esaltante stagione Manza non passò professionista, ma restò ancora un anno fra i dilettanti, vincendo diverse corse (fra le altre due “classiche” come la Milano Rapallo e il GP Liberazione di Roma), ma affaticandosi non poco. Così quando l’Avocatt Eberardo Pavesi lo chiamò al professionismo con la Legnano nel 1966, Ferruccio, come tanti altri nella storia era già spremuto. Con la maglie verde oliva, colse l’11° posto al Giro dell’Emilia e il 14° nella Milano Vignola, ma per il resto della stagione fu un anonimo. A fine ’66 la Legnano lasciò il ciclismo professionistico e Manza s’accasò per il 1967 alla Germanvox, ma in tutta la stagione non andò oltre il 19° posto del G.P. Campagnolo. A dicembre decise di appendere la bicicletta al chiodo.

Luigi Marchisio
[Immagine: MARCHISIO_Luigidd.jpg]
Nato il 26 aprile 1909 a Castelnuovo Don Bosco ed ivi deceduto il 2 luglio 1992. Completo. Professionista dal 1929 al 1936 con 11 vittorie.
Un corridore che ha fatto storia nonostante il periodo d'attività denso di grandissime figure. Tecnicamente un corridore davvero raro perché era un evidente in ogni settore e pedalava bene come pochi, visti i mezzi, gli allenamenti e le strada di quei tempi. Certo, poteva e doveva partorire un segmento vittorioso più lungo, ma la storia del ciclismo, anzi dell'intero sport, è piena di questi casi. In altre parole, sono un grande motivo di interesse in più, verso l'approfondimento delle conoscenze sull'intorno di quell'originale artista che è l'atleta.
La passione per il ciclismo entrò molto presto nella mente del giovanissimo Luigi, il quale, come avvicinò l'agonismo, bruciò subito le tappe. Campione italiano nella categoria "liberi" nel 1926, indi Campione italiano degli indipendenti nel 1928, quando giunse 2° nel Giro del Sestriere, dietro al dilettante Ambrogio Beretta.
Nel 1929, ovvero nella sua prima stagione fra i professionisti, fu frenato dalla ferma militare che passò nel corpo degli alpini, ma nonostante i pochi allenamenti si presentò allo start di qualche importante appuntamento riuscendo a piazzarsi: fu 4° nel Giro di Romagna e 10° nel Campionato Italiano. L'anno dopo, a soli ventuno anni, Marchisio fu autore di quella che poi si dimostrerà la sua migliore stagione. Partecipò al Giro d'Italia passato alla storia per la decisione degli organizzatori di pagare il primo premio ad Alfredo Binda, affinché non prendesse il via con gli altri 115 concorrenti, rendendo incerta la lotta per la vittoria finale e, di conseguenza, appassionare il pubblico. Il giovane piemontese, che correva per la Legnano dello stesso Binda, partì subito fortissimo vincendo le tappe di Messina (2a frazione) e Catanzaro (3a), conquistando il primo posto in classifica con quel lieve vantaggio che, regolando con parsimonia le proprie forze, seppe conservare fino a Milano. Secondo, a soli 52", si classificò un grintosissimo Luigi Giacobbe e 3°, ad 1'49", Allegro Grandi. Il sud portava bene a Marchisio, lì aveva posto le basi per trionfare al Giro d'Italia e lì, nello stesso anno, vinse anche il Giro di Reggio Calabria. Poi, vicino casa, fece sua la Coppa Val Maira. Dopo l'annata trionfale però, Luigi seppe mantenere le belle premesse soltanto a sprazzi, confermandosi tagliato soprattutto per le corse a tappe. Nel '31, infatti, stava per fare "bis" al Giro, dopo 4 frazioni era in testa con 5' di vantaggio, ma per una serie incredibile di forature perse nella tappa di Cuneo la Maglia Rosa (fu la prima edizione dove il 1° in classifica indossava l'indumento) e la possibilità di rivincere. Chiuse comunque sul podio, 3°. Nel '32, passò dalla Legnano alla Bianchi e vinse la classifica finale, nonché la 4° tappa della prestigiosa Barcellona-Madrid. Con la vittoria nella Coppa Arpinati, s'avviò verso il buio e non riemerse più. Le sue ultime tre stagioni furono insignificanti, perlomeno per uno che aveva infiammato appassionati e osservatorio. Nel '36, non ancora 27enne, abbandonò l'attività agonistica. Aprì a Torino un negozio di biciclette ed articoli sportivi che gestì fino alla pensione.

Sergio Santimaria
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Nato a Vigevano (Pavia) il 26 aprile 1957. Passista, alto m. 1,74 per kg. 64-65. Professionista dal 1978 al 1987, con cinque vittorie.
Un corridore che poteva dire tanto di più per sé, ma che scelse la strada del gregario e dell'uomo squadra, per guadagnarsi il pane. Una scelta pragmatica, favorita da un'epoca nella quale i capitani erano tali e correvano tutto l'anno, lasciando di conseguenza pochi spazi alle spalle. Un atleta abbastanza completo, con uno spunto di velocità che diveniva migliore, quando a monte insisteva una corsa dura ed aspra. Sergio Santimaria, non è passato inosservato e non solo per le sue poche ma importanti vittorie, bensì per il suo essere davvero un uomo squadra, come dimostrò lavorando per Saronni alla Del Tongo e, sul finire della carriera, nell'Ariostea di "Ferron" Ferretti.
Non iniziò direttamente nel ciclismo, disciplina alla quale passo più tardi dei più, con una base adolescenziale consumata nel calcio e nelle corse campestri. Ciononostante, bruciò le tappe fra i dilettanti, categoria nella quale colse 41 successi, fra i quali la Coppa Adriana e la Milano Rapallo, due prove che erano da considerarsi come il summa delle sue caratteristiche di passista che sapeva divenire veloce. Diplomato all'Istituto Tecnico Industriale (una rarità fra i corridori dei suoi tempi), passò al professionismo nel 1978, all'interno della Mecap diretta da Dino Zandegù, ma vide contrastato il suo esordio, a causa del servizio militare. Chiuse comunque il Giro d'Italia 84°. Terminata la "ferma grigioverde" un mese prima della "Corsa Rosa" '79, fu in questa protagonista nella tappa di Pesaro, chiusa al 3° posto. A Milano finì il Giro 78°. Poi, tre giorni dopo, colse il suo primo successo, quello che lo rese popolare più degli altri che verranno: la Gran Fondo, Milano-Roma, di 670 chilometri. Nel 1980 vinse il Criterium degli Assi e chiuse a fine stagione il rapporto con Mecap divenuta Honved, di Zandegù, per passare nelle file della Selle San Marco. Nei due anni passati con questa formazione, si piazzò in diverse gare di prestigio, come il Trofeo Matteotti, dove fu 2° nel 1981, anno nel quale chiuse sempre 2° la tappa di Potenza al Giro d'Italia, indi finì 2° nel GP di Camaiore nel 1982. Poche settimane dopo questo piazzamento tornò alla vittoria conquistando in Spagna il GP di Juarez de Ordizia. Fu poi 5° nel Giro dell'Appennino e nel Giro di Romagna. Nel 1983, iniziò il suo rapporto con la Del Tongo di Giuseppe Saronni. Nelle poche giornate di libertà che il prestigioso sodalizio gli lasciò, fu 2° nel GP di Larciano '83, 4° nel Campionato Italiano e nel Trofeo Matteotti nel 1984, ma, soprattutto, vinse la tappa di Alessandria al Giro d'Italia '84. Dopo un incolore '85, dove fu a lungo fermo per malanni, nel 1986 passò all'Ariostea, diretta da Giancarlo Ferretti e salutò il nuovo rapporto professionale col successo nella prima tappa del Giro d'Italia che si concludeva a Sciacca, conquistando così anche la Maglia Rosa che poi perse il giorno dopo. Nell'anno fu 5° nel Giro di Sicilia e si piazzò 11° nella Sanremo. Votato sempre più al gioco di squadra, nell'ultimo anno di corse, il 1987, raccolse terzi posti nel Gp di Conegliano e nella 2a tappa della Route du Sud in Francia. In carriera ha partecipato a sette Giri d'Italia (miglior piazzamento nel 1984, 28°) e ad una Vuelta di Spagna (60° nel 1984).

Nello Troggi
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Nato il 26 aprile 1912 a Frassinoro (MO), deceduto il 21 giugno 1944 a Villa Minozzo (RE). Passista scalatore. Professionista dal 1935 al 1940 con 24 vittorie.
Fu uno dei migliori corridori italiani della seconda metà degli anni '30 anche se svolse gran parte della sua attività in Francia dove si era nel frattempo trasferito, vivendo tra Provenza e Costa Azzurra. Nel paese transalpino ottenne infatti numerose vittorie, anche in competizioni di un certo prestigio, vincendo tra l'altro un Giro di Corsica, un Circuit du Midi, un Tour del Sud-Est e un Gp di Nizza. Dimostrò di essere in grado di vincere su ogni percorso, specialmente in salita, non disdegnando le azioni solitarie. Saltuariamente tornò in Italia, disputando soprattutto il Giro dove ebbe la soddisfazione di vincere la prima tappa del 1937 ed indossare quindi, sia pure per un giorno soltanto, la Maglia Rosa. Nel '38 venne selezionato per la Nazionale Italiana che partecipò al Tour de France vinto da Bartali; fu il suo unico Tour, ed ebbe la soddisfazione di concluderlo in 54° posizione. Le circostanze della sua morte hanno fatto a lungo discutere: fu catturato a Piandelagotti e fucilato il 21 giugno del 1944 a Villa Minozzo, da un gruppo considerato vicino ai partigiani.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 25 aprile
Inviato da: Morris - 25-04-2023, 07:23 AM - Nessuna risposta

Ernesto Bono
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Nato il 25 aprile 1936 a Ome (Brescia) ed ivi deceduto il 31 maggio 2018. Passista. Alto 1,70 per 72 kg. Professionista dal 1959 al 1964 con 10 vittorie.
Corridore di grande potenza, pur essendo piuttosto piccolino e con un peso che oggi farebbe gridare allo scandalo, i preparatori medici imperatori del ciclismo, Ernesto Bono, è passato silenzioso nel pedale a cavallo degli anni sessanta. Lo voleva il suo carattere di poche parole e poco propenso alla ricerca della ribalta. Partorì una carriera dignitosa, di buon livello fra i dilettanti e con qualche acuto fra i professionisti. Adattissimo al cronometro, soprattutto su terreni piatti dove il suo motore poteva liberare tutta la potenza che possedeva. Si segnalò nell'élite, nell'anno d'esordio, il 1959, vincendo, in maglia San Pellegrino (praticamente l'unica sua squadra professionistica), ed assieme al trevigiano Tomasini, il GP Boldrini di Cicognara, una cronocoppie. Poi concretizzò quanto di bene si diceva su di lui, giungendo 3°, sempre a cronometro, al Trofeo Tendicollo Universal di Forlì, a 1'27" dal fenomenale Baldini e a soli 27" dal mitico Jacques Anquetil. Una grande prestazione davvero. Andò molto bene al Giro d'Italia che chiuse al nono posto, davanti ad un certo Gastone Nencini, grazie ad una condotta regolare. Fu inserito nella Nazionale che partecipò al Tour de France, chiuso poi al 36esimo posto. Nel 1960, vinse le prove di Pistoia e di Quarrata, valevoli per il Trofeo UVI, ma nel complesso della stagione, escludendo il secondo posto nella tappa di Pescara al Giro d'Italia, non si segnalò particolarmente. Nel 1961, dominò il Trofeo Cougnet, vincendo tre prove dello stesso (Capolona, Cobiate e Como), nonché la classifica finale. Vinse il Circuito di Maggiora, si piazzò secondo in una tappa del Tour de Suisse (chiuso al settimo posto) e terzo nella tappa di Taranto al Giro d'Italia (terminato al 43esimo posto). Nel 1962 vinse la frazione di Logrono alla Vuelta di Spagna e nella stagione successiva, conquistò quella di Lugano, al Tour de Suisse. Nella principale corsa a tappe svizzera, concluse l'edizione del 1963 al quinto posto. Un sensibile calo di rendimento nella stagione 1964 corsa in maglia IBAC, gli precluse l'accasamento nell'anno successivo, costringendolo ad abbandonare l'attività. Tornato alle cronache qualche anno fa, per una vicenda legata alla sua salute, oggi sta bene ed è ancora molto popolare nel bresciano.

Leopoldo Cattelan
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Nato a Donada (Rovigo) il 25 aprile 1943. Passista scalatore, alto m 1,80 per 66 kg. Professionista dal 1969 al 1971, senza ottenere vittorie.
Con questo rodigino trapiantato nel torinese, incontriamo uno stereotipo di dilettante votato alla causa degli allora considerati "puri". Un evidente della categoria, anche se, per caratteristiche di scalatore più che di passista e senza un discreto sprint, poco vincente: Uno che però si piazzava nelle gare più importanti ed in queste era ardimentoso protagonista, al punto di divenire azzurro, "probabile olimpico" e, poi, di subirne gli stop ad ogni sirena professionistica. Tra l'altro il comunque silenzioso Leopoldo, a men di venti anni, era entrato nel Centro Sportivo della Fiat, allora visto e sentito nell'ambiente ciclistico, come una sorta di gruppo professionistico in attività fra i dilettanti. In altre parole, il buon Cattelan, il richiamo della fame ciclistica che sfociava nella speranza-volontà di passare prof, lo sentiva meno e questa deviazione, sicuramente, pesò nella sua breve e poco soddisfacente parentesi professionistica. Sfumata la partecipazione a Mexico '68 (nel 1967, Cattelan era stato azzurro al Tour de l'Avenir, dove s'era classificato 3° nel tappone pirenaico di Lochon), anche per lui si aprì il varco di quell'autentico esodo (una settantina) di dilettanti che, nel 1969, entrarono a far parte dei professionisti. Leopoldo vi partecipò ingaggiato dalla neofita, ma già "osservatissima" Ferretti, diretta da Alfredo Martini. Nella sua prima stagione, fu 4° nella Marina di Massa-Pian della Fioba, 6° nel Gran Premio di Tarquinia, 7° nel Gran Premio Industria e Commercio di Prato, ma al Giro d'Italia si ritirò nel corso della dodicesima tappa, a causa di una caduta. A fine anno, Cattellan non fu confermato in Ferretti e fu costretto a trovarsi un nuovo accasamento che si concretizzò solo nella piccola squadra dal programma limitato della Zonca di Voghera. Il fatto di non poter partecipare al Giro lo demoralizzò, ed il suo 1970 fu grigissimo. Con la speranza di vedersi aprire un varco per un efficace accasamento, staccò la licenza anche nel '71, ma non si concretizzò nulla e fu costretto ad abbandonare il ciclismo vero.

Giacinto Santambrogio
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Nato il 25 aprile 1945 a Seregno (MI) ed ivi deceduto il 14 giugno 2012. Passista veloce. Alto 1,78 m. per kg 70. Professionista dal 1969 al 1979, con 14 vittorie.
Con Giacinto incontriamo uno dei corridori che pur non essendo un campione nella disamina storica, ha segnato gli anni settanta. O meglio, campione lo sarebbe stato a pieno regime se fosse nato 20 anni dopo. E non è la solita storia dei "se" e del "ma", poiché chi ha potuto vedere il ciclismo di quell'epoca e quelle dopo, sa con la certezza degli occhi, quanto un corridore come lui, abbia pagato la compresenza con corridori di levatura storica, ben superiori, perlomeno come tempra e per numerosità, a quelli venuti dopo. Santambrogio, non era possibile per le grandi corse a tappe, ma in tutte le altre aveva numeri per segnare gli albi d'oro: nel passo, nelle brevi salite e persino in volata vista la progressione. Purtroppo, fece la scelta, rispettabile e comunque luminosa, di destinarsi al ruolo di spalla verso i grandi capitani, Gimondi su tutti, degli squadroni di cui ha fatto parte, ma di lui, i nostri ricordi, sono pieni di belle pagine, anche quando non tagliava per primo il traguardo. Come quando, ad esempio, si metteva al servizio dei velocisti della sua squadra, facendo un lavoro, da solo, pari a quello dei treni odierni e quelle sue tirate, erano così impetuose ed armoniose, da far levare degli "ohhh" nei bar, dove, magari ci si fermava per vedere le tappe del Giro, e che restano i luoghi, tanto più oggi, per verificare la profondità della tensione simpatetica del ciclismo. Un grande, Giacinto, alla faccia di quegli albi d'oro che, nel ciclismo, valgono la metà degli altri sport. Nato, vissuto e cresciuto a Seregno, in quella Salus, le cui maglie giallo-blu ebbero tanta parte nel ciclismo degli anni '60 e '70. I suoi inizi, nel 1961, fra gli esordienti. Da allievo vinse il Tricolore nella cronometro a squadre (con Borgonovo, Brusegan e Figini). Fra i dilettanti corse 4 anni: con Salus Seregno, Coop Corsico e Iag Gazoldo, raccogliendo tanti significativi successi, 27 per la precisione, fra i quali spiccano una tappa alla Praga Varsavia Berlino, il GP Camaiore (che poi vincerà anche fra i professionisti e fu l'unico a fare quella particolare doppietta), la Milano Tortona e il Campionato Lombardo. In quel lasso indossò spesso la Maglia Azzurra: nella citata "Corsa della Pace" (Praga Varsavia Berlino), al Tour de l'Avenir, ai Giri di Scozia e Germania. Nel 1969 divenne professionista, passando attraverso la Iag Gazoldo, che era il serbatoio della Molteni, proprio nella grande squadra di Arcore. I capitani che trovò nel celebre team di patron Ambrogio Molteni, furono prima Dancelli e Basso, poi sua maestà Eddy Merckx. In quel lasso vinse la Coppa Bernocchi nell'anno d'esordio e la tappa di Lainate al Giro d'Italia '71. Nel 1972, passò alla Salvarani di Gimondi, il suo capitano storico, e trovò un velocista come Guido Reybrouck. Col nuovo sodalizio vinse la Tre Valli Varesine. Nel '73, il team fu sponsorizzato dalla Bianchi e col celebre marchio di bici color celeste, che si prolungò fino al 1978, si ritrovò oltre che con capitan Gimondi, anche coi velocisti Van Linden e Basso. Nelle poche giornate dove poté far la sua corsa, vinse, fra altre, due tappe al Tour de France, a Melun nel '75 e Lorient nel '77, una frazione del Giro d'Italia a Salsomaggiore nel '77, il GP Camaiore e il GP Argovia-Gippingen nel '74 e la Cronostaffetta (con Gimodi e Rodriguez) nel '75. Chiuse col ciclismo pedalato nel 1979, correndo nella Inoxpran al servizio di Giovanni Battaglin. Anche fra i professionisti fu un amico dell'azzurro: partecipò, infatti, a 5 Mondiali, cogliendo nel 1974, il 4° posto a Montreal, dove fu il primo degli italiani. Fu allo start di 10 Giri e 5 Tour, tutti portati a termine. Anche nel dopo carriera, non abbandonò il ciclismo, seguendo la crescita di alcuni giovani della zona e fondando l'ASD Santambrogio per cicloamatori, di cui fu presidente fino alla morte, sopraggiunta prematura dopo una lunga malattia poco prima dell'alba del 14 giugno 2012. Ha lasciato la moglie Dinora e la figlia Giulia, avvocato.

Charles Terront (Fra)
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Nato il 25 aprile a Saint Quen (Francia) e morto a Sainte Margherite (Francia) il 31 ottobre 1932. Il pioniere per eccellenza del ciclismo francese. Furbo, scaltro sulla bici e signorile nel portamento fuori dal ciclismo, imperversò letteralmente nel lustro che va dal 1888 al ’93. Baffi in perfetto stile d’epoca, a manubrio, calzoni alla zuava, mulinava i pedali di quelle bici rudimentali, con una velocità ed una resistenza che lo portarono ben presto alla notorietà e alla fantasia popolare. 
Correva dappertutto, secondo lo schema di quei tempi, ma erano le gare di estrema durata le predilette. La Parigi Brest Parigi, rappresenta la “chicca” del suo eccellente palmares. Fu una vittoria colta con l’aggiunta di una componente determinante: la sua incredibile capacità di fermare il tempo, dimenticando la fatica e la stanchezza, fino al raggiungimento dell’obiettivo. Infatti, a 300 km dal traguardo, il connazionale Jiel Laval, poi secondo classificato, lo precede-va di un paio d’ore, ma si fermò a riposare, convinto che, prima o poi, anche Terront lo facesse. Invece, il formidabile Charles, soprannominato “L’uomo corridore”, non si fermò e alla fine lo anticipò di ben 9 ore. All’attivo del baffuto di Saint Quen, anche 2 Campionati di Francia dei 100 km, nel 1888 e nel 1889. Nel 1892 poi, il connazionale Jean Marie Corre, che alla Parigi Brest Parigi dell’anno prima, era giunto quarto ad un giorno di distacco, lo sfidò, in un memorabile confronto sui 1000 km, dietro allena-tori umani (40 per ciascuno), al Velodromo d'Hiver di Parigi. Fu una battaglia incredibile. I due dovevano correre almeno 24 ore senza soste di riposo, come da meta classica dell’epoca, ma mentre Corre, ogni tanto, si fermava per fare i suoi bisognini, Terront continuò imperterrito a pedalare, facendo pipì all’interno di una camera d’aria, chiusa da una parte, ed ovviamente tagliata, che si faceva passare al volo e che poi restituiva al giro successivo. Vinse la sfida naturalmente. Nel palmares di Charles, anche quattro Sei Giorni, ed una serie di record sia su strada che su pista. Da notare che su strada, in 24 ore, percorse 546 km e 327 metri nel 1889, mentre nel 1892, fra il 6 e l'8 settembre, coprì i 1000 km da Parigi a Brest ad Alencon, ad una media assai superiore, rispetto a quella della sua vittoria nella classica Parigi-Brest-Parigi, dell’anno precedente. In Francia, l’agnomen Terront, significa ciclismo.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 24 aprile
Inviato da: Morris - 24-04-2023, 07:33 AM - Risposte (1)

André Darrigade (Fra)
[Immagine: 16377867061325Darrigade,Andre24.jpg]
Nato a Narosse (Nuova Aquitania), il 24 aprile 1929. Passista veloce e pistard. Professionista dal 1951 al 1966 con 142 vittorie.
Un corridore sempre sorridente che ha saputo ritagliarsi una grande notorietà nonostante abbia vissuto in contemporanea a delle autentiche icone del ciclismo francese, come Anquetil, Bobet, Riviere e Poulidor. Soprannominato "Dedè" o anche "il basco saltellante" (nomignolo che fu anche del grande tennista Jean Borotra), nonostante fosse delle Lande, è stato un corridore tanto forte quanto spettacolare, tanto corretto, quanto determinato. Anche la classificazione di "passista veloce" toglie qualcosa a quella completezza non certo in grado di fargli vincere una corsa a tappe di nota, ma era sufficiente per giungere a delle vittorie precluse a tanti suoi avversari-colleghi velocisti. E dire che la sua carriera era partita come sprinter su pista e questo suo antico richiamo, gli fu utilissimo nel divenire quasi imbattibile nelle corse con arrivo sui velodromi. Furono infatti i risultati sui "tondini" i migliori, o i più evidenti nella carriera dilettantistica di "Dedè". Memorabile il suo successo, a Parigi, nella Medaille '49, ai danni di Antonio Maspes, poi divenuto il sire indiscusso della velocità fra i professionisti per quasi tre lustri. Dedizione, serietà ed espansività furono i tratti più evidenti dell'uomo-atleta Darrigade e che abbia raccolto la simpatia di un popolo che spesso si divideva nel tifo fra i propri "galletti", rappresenta un'altra delle peculiarità della sua storia.
Le cifre della carriera di Andrè, sono impressionanti per continuità e si traducono solo richiamando i segni della grandezza. Qualche dato. Quattordici Tour de France disputati (dal '53 al '66, con un solo ritiro nel '63) nei quali ha conquistato ben 22 tappe, aggiudicandosi per un paio di volte la maglia verde della classifica a punti ('59 e '61), indossando in 19 occasioni quella gialla. Numeri che gli valsero la cementazione della popolarità. Altro aspetto unico nella storia del ciclismo: per ben cinque edizioni ('56, '57, '58, '59, '61) ha vinto la prima tappa del Tour de France. Sempre alla voce tappe, ne ha vinte 25 in manifestazioni contenute in una settimana di gara. Ha poi partecipato a due Giri d'Italia nel '59 e '60, vincendo una tappa nella seconda occasione. Ha vinto il Campionato Francese nel 1955 e, soprattutto, il Campionato Mondiale nel 1959, a Zandvoort, dove superò l'italiano Michele Gismondi in uno sprint emozionantissimo, avvenuto dopo una fuga avviata a duecento chilometri dalla conclusione. Sempre ai mondiali, giunse secondo dietro a Van Looy nel 1960, terzo in quelli del '57 e '58 e quarto a quelli del '63. Dunque con la vittoria nel '59 per quattro anni di seguito salì sul podio iridato. Una sola grande classica è finita nel suo palmares, ovvero il giro di Lombardia del 1956, dove al Vigorelli superò un maestoso e vecchio Coppi, che non riuscì a trattenere un pianto copioso (Dedè ci rimase malissimo). Altri piazzamenti di prestigio nelle classiche: quarto nella Roubaix '57, terzo nella Sanremo '58 e secondo nella Parigi.Bruxelles '60. Altri successi di nota nel suo curriculum sono: la Bordeaux-Saintes '51, il G.P. di Mans '52, il Tour di Picardia '54, il Trofeo Baracchi '56 in coppia con lo svizzero Rolf Graf, la Roue d'Or del '57 e '58, in coppia con Jacques Anquetil, il G.P. d'Orchies '57, la Parigi Valenciennes '58, il Criterium National '59, il G.P.d'Aix '62, la Genova-Nizza '64 e la Ronda di Monaco nel 1966.
Suo fratello Roger, di 6 anni più giovane, fu campione di Francia dilettanti nel '55, ovvero nella stagione in cui Dedé fu campione fra i professionisti. Anche il minore dei Darrigade passò a sua volta professionista nel '56. Il suo miglior successo fu il Tour de Loret del '60.

Andres Gandarias Albizu (Esp)
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Nato ad Ibarurri (Paesi Baschi) il 24 aprile 1943, deceduto a Durango (Paesi Baschi) il 27 maggio 2018. Scalatore. Professionista dal 1968 al 1978 con 5 vittorie.
I pochi successi non cancellano la realtà di un corridore che va annoverato fra i principali ciclisti spagnoli di un decennio a cavallo degli anni settanta. Un paio di lustri dove due soli spagnoli potevano essere considerati sicuramente superiori a lui, ovvero Luis Ocana e Manuel Fuente. Con gli altri (pur senza avere le “punte” di un Gregario San Miguel), se la giocava e sul fatto che ha vinto meno di diversi, ha giocato un ruolo la sfortuna e la sua straordinaria generosità. Andres Gandarias aveva buoni numeri in montagna, non era per niente veloce, ma possedeva il recupero dei corridori da GT. Il suo problema stava sulla condizione fisica nell’avvicinamento ai grandi appuntamenti, perché ha sempre sofferto di vari malanni. Ciononostante, pur con preparazioni sovente sui generis, è stato sul punto di poter arrivare al podio al Tour de France, ed ha fatto vedere in talune giornate di essere un corridore di un certo spessore.
Causa il servizio militare in marina, si giocò la selezione per le Olimpiadi di Mexico ’68, rimpianto che l’ha accompagnato fino all’ultimo dei suoi giorni e l’ha costretto a passare professionista proprio nell’anno olimpico. Al primo Tour de France, arrivò alla tappa finale, purtroppo per lui a cronometro, con la concreta possibilità di salire sul podio di Parigi, ma alla fine contro il “Tic Tac” crollò e finì 9°. Nel 1969 prese nuovamente parte al Tour de France e, dopo essersi classificato 2° nelle tappe di Thonon les Bains, dietro a Michele Dancelli, e di Aubagne, dietro Felice Gimondi, terminò al 5° posto nella Classifica Finale di Parigi. Nell’anno ruppe il ghiaccio con la vittoria, facendo suo il Gp Besauri. Nel 1970. partecipòa prima alla Vuelta classificandosi 15° e poi ancora una volta al Tour de France, dove si classificò 20° nella generale e si tolse la soddisfazione di transitare per primo sul leggendario Tourmalet. Finì poi 2° dietro Eddy Merckx nella classifica del Gran Premio della Montagna. Negli anni successivi si dedicò principalmente al lavoro di gregario, tra i suoi capitani più famosi figurarono Josè Manuel Fuente e Joaquim Agostinho. Nel 1971 terminò al 2° posto nel Campionato Nazionale spagnolo su strada battuto da Eduardo Castello. Pur lavorando per gli altri, nel 1975 vinse la 2a tappa e la Classifica Generale finale della Vuelta a Cantabria, nonché la frazione di Logrono al Giro dei Paesi Baschi. Nel 1976 al Giro d'Italia visse la giornata più importante della carriera, aggiudicandosi, dopo una lunga fuga, la 19a tappa, con partenza da Longarone e arrivo a Vigo di Fassa, e transitò primo anche sulla Cima Coppi della corsa, fissata alle Torri del Vajolet. Mise il punto sull’agonismo ciclistico, nel 1978, con la maglia della Novostil. In carriera ha partecipato in totale a 6 Tour de France (4 quelli portati a termine), 7 Vuelta di Spagna (6 concluse), 2 Giri d'Italia (conclusi) e 3 Campionati del Mondo (concluso quello del ’70 al 49° posto). Nel dopo carriera, si dedicò all’attività immobiliare con una parentesi come direttore sportivo della “Flavia Gios” nel 1980. Mori a 75 anni, dopo una lunga lotta con un male incurabile.  

Pietro “Pierre” Polo (Ita-Fra)
[Immagine: 16080565731325Polo,Pierre.jpg]
Nato a Giais di Aviano il 24 aprile 1928. Italiano naturalizzato francese nel 1958. Passista scalatore. Professionista dal 1952 al 1962, con 11 vittorie.
Uno dei tantissimi italiani che trovarono in terra transalpina, sistemazione e residenza. Partito con la famiglia dal Friuli, nei primi anni trenta, si stabilì in Provenza. Lì incontrò il ciclismo e si fece notare come scalatore, anche se la sua maturazione non fu veloce.
Vissuto agonisticamente col sogno di emergere nella corsa della zona, il Criterium del Delfinato, si può dire vi sia riuscito, visto che è sempre stato un protagonista della corsa ed ha vinto due tappe. Partecipò al Tour de France del 1954 con la formazione regionale del Sud Est, ma si ritirò nel corso della 16° tappa.
Corse anche le classiche italiane, soprattutto il Lombardia, ma non uscì mai dall'anonimato. Non così al Giro di Sicilia, che vinse nel 1956.
Tutte le sue vittorie.
1952: Classifica Generale Circuit du Mont Ventoux. 1954: 1a Tappa Criterium du Dauphine Liberé. 1955: 1a Tappa Tour d'Alsace-Lorraine; 7a Tappa Criterium du Dauphine Liberé. 1956: GP Manosque. 1958: 7a Tappa Criterium du Dauphine Liberé; 1a Tappa Tour d'Alsace-Lorraine; GP Saint-Remy; Circuit Mouries, Criterium Pierrefin; Peyrat-le Chateau.

Oliverio Rincón Quintana (Col)
[Immagine: 16551328371325RinconQuintana,Oliverio.jpg]
Nato a Duitama il 2 aprile 1968. Scalatore. Professionista dal 1990 al 1996 e nel 1998 con 18 vittorie.
Uno scalatore scattista, un classico grimpeur, diverso dal grande connazionale Lucho Herrera che preferiva stare in sella. Uno che a giudizio di chi scrive, aveva i mezzi per fare di più e di collocarsi come lo scalatore più forte dopo Pantani negli anni novanta, in ogni caso uno che è riuscito a lasciare un bel solco nel crescente ciclismo colombiano e a recitare buone pagine in quello assoluto, per un buon lustro. Il suo essere lunatico non lo ha certo aiutato. Cominciò ad assaporare lo sport della bicicletta, a poco più di dieci anni, quando iniziò a portare il pane in vari quartieri della città di nascita. Col tempo iniziò a gareggiare, ed a 20 anni, era un fior di corridore: un dilettante che poteva battere professionisti di grido. Ed infatti, ingaggiato dalla Castalia per la stagione 1989, fece subito il botto, dimostrandosi formidabile scalatore e vincendo in successione la Vuelta a Antioquia, la Vuelta de la Juventud e, soprattutto, due tappe e la Classifica Finale della Vuelta a Colombia, gran corsa open, dove superò, ad appena 21 anni, l’esperto connazionale Fabio Parra. Nel 1990, entrò ufficialmente fra i professionisti con la Postobon. Nell’anno vinse la Clasica 75 anos Municipio de Bello e la Clasica Nacional Fidel Suarez. L’anno successivo, la sua presenza in Europa si intensificò, grazie all’ingresso nella spagnola Kelme. Non a caso vinse le due parti e la Classifica Finale della prestigiosa Escalada a Montjuic nonché la sesta tappa della Vuelta a Burgos. Chiuse poi 2° la Subida al Naranco. Nel ’92, non arrivarono vittorie: fu 3° nella Vuelta a Galicia, 3° nella Escalada a Montjuic e 3° nel Giro della Provincia di Reggio Calabria. L’anno successivo si trasferì alla Amaya Seguros ed il suo talento cominciò ad emergere più compiutamente. Vinse, a Lagos de Covadonga, la diciassettesima tappa della Vuelta di Spagna che poi chiuse al 4° posto; fece sua la 4a tappa della Vuelta a Aragón, indi la sesta frazione del Critérium du Dauphiné Libéré, corsa a tappe che poi concluse al 2° posto, dietro lo svizzero Laurent Dufaux. Partecipò poi al suo primo Tour de France, dove vinse la tappa di Andorra, si classificò 2° nella Classifica Giovani e 3° in quella dei GPM. Nell’anno fu poi 2° nella Subida al Naranzo e 3° nella Escalada a Montjuic.
Nel 1994, Rincon passò alla “mitica” ONCE, con la cui maglia vinse la Vuelta a Cuenca, la  Classique des Alpes, il Trofeo Luis Ocaña e chiuse 5° la Vuelta di Spagna. Si ritirò per problemi fisici al Tour de France, mentre nell’anno successivo, con la vittoria nella Trento-Val Senales al Giro d’Italia, completò la “tripletta di successi di tappa” nei GT. Fu quinto nella Generale Finale della “Corsa Rosa” e, poi, ai Mondiali di casa, a Duitama, chiuse, con un po’ di delusione, all’8° posto.
Nel 1996 vinse a Cerler, la 17a tappa della Vuelta di Spagna, ma per il resto dell’anno il suo essere lunatico prese il sopravvento e grazie pure a qualche malanno, non si mise in luce. A fine stagione, senza spiegarne i motivi, si prese un anno sabbatico. Tornò nel 1997 con la maglia della Vitalicio Seguros, ma lasciò poche tracce. Al Tour de France si ritirò all’ottava tappa e lì chiuse la carriera.
Dopo il ritiro, visse un anno molto travagliato nel 2000, quando fu vittima di due rapimenti: dal Esercito di liberazione nazionale e dalla FARC, venendo rapidamente liberato in entrambe i casi. Tornò al ciclismo nel 2012-’13 come Diesse della Colombia. Anche il fratello minore di sette anni, Josè Daniel, è stato un corridore professionista.  

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 23 aprile
Inviato da: Morris - 23-04-2023, 08:32 AM - Nessuna risposta

Arie Den Hartog (Hol)
[Immagine: 15878002231325DenHartog,Arie.jpg]
Nato il 23 aprile 1941 a Zuidland (Olanda), deceduto a Thorn il 7 giugno 2018. Passista. Professionista dal 1964 al 1970 con 29 vittorie.
Da dilettante, il suo, fu un ruolino di rango, ed in lenta ma costante salita. Finì terzo ai Campionati Mondiali di Salò, dietro Bongioni e Ritter e per oltre un biennio, un punto fermo della rappresentativa olandese, con la quale gareggiò in tutta Europa.
In Italia, ad esempio, fu presente su molti start e si mise pure in grande evidenza, ma il suo carattere taciturno, non lo spingeva come avrebbe meritato sui taccuini dell'osservatorio tricolore. Fatto sta che nel 1964, quando per Arie si aprirono le porte al professionismo, a farlo debuttare non fu una squadra olandese, bensì la fortissima francese Saint Raphael-Geminiani che, attorno alle ammiraglie de "Le grand Fusil", annoverava niente popò di meno che Jacques Anquetil.
Il giovane Den Hartog, la cui smorfia sotto sforzo, i capelli color stoppa e il naso all'insù, lo rendevano indistinguibile, si mostrò subito un atleta di sicuro affidamento. Non un campione di prima grandezza, ma uno di quelli in grado di lasciare una traccia di un certo spessore. Ed infatti, al primo anno con Geminiani, vinse tredici corse, fra le quali il Giro del Lussemburgo e due tappe dello stesso, il GP del Belgio, il Tour de l'Herault, la semiclassica Parigi-Camembert.
La primavera del 1965, portò ad Arie De Hartog il traguardo più prestigioso della sua non lunga carriera: la Milano Sanremo. Con una condotta che sublimò forza e furbizia, si lasciò alle spalle due grandi italiani, come Vittorio Adorni e Franco Balmamion. Nell'anno, vinse pure il Circuit d'Auvergne e, l'allora prestigiosa Beaulac-Bernos, una gara con un albo d'oro pieno di gran nomi. Nell'occasione, superò l'ex iridato Benoni Beheyt e colui che poi diverrà "Monsieur Tour de France", ovvero Jean Marie Leblanc.
Il Giro di Catalogna, dove, ad una tappa aggiunse la classifica generale finale davanti al proprio capitano Jacques Anquetil, fu il suo successo di maggior prestigio nel '66. Nel corso della stagione, vinse fra le altre gare, anche il GP Gerard Saint, ed una tappa del Giro del Belgio.
L'Amstel Gold Race, fu la brillante ciliegina del suo 1967, un anno nel quale, comunque, non brillò: erano i segni di un tramonto? La risposta venne nella stagione successiva e non fu positiva: vinse solo il Circuito di Genk, in Belgio. Nel 1969, chiuso il rapporto con Geminiani, s'accasò alla Caballero, una squadra olandese, ma la china non cambiò: nel suo palmares finì solo il Criterium Ulestraten. Col 1970, mostrò un certo risveglio, ma solo in termini di piazzamenti, ed anche la conquista della maglia di miglior grimpeur al Giro di Svizzera, non cambiò quella che era una decisione maturata da tempo. A soli 29 anni, la carriera di questo tulipano, buono su tutti i terreni e con una traccia che, come da previsione, non potrà mai passare inosservata, si chiuse. Arie den Hartog, ha poi vissuto lungamente a Nieuwstadt, nel Limburgo, dove ha gestito un negozio di biciclette.

André Maelbrancke (Bel)
[Immagine: 15881921941325Maelbrancke,Andre.jpg]
Nato a Torhout, il 23 aprile 1918 ed ivi deceduto il 26 settembre 1986. Professionista dal 1939 al 1955 con 44 vittorie.
A 19 anni, nel 1937, vinse fra i dilettanti, qualcosa come 57 corse, un record per quei tempi. Passato al professionismo nel 1939, pur non vincendo in proiezione a ciò che si pensava e soprattutto senza incamerare classiche, lasciò comunque un grande segno nella sua terra. Possedeva un carisma enorme, che veniva impreziosito da capacità velocistiche altrettanto enormi, soprattutto per il suo rush negli ultimi metri. Trovò nel grande Rik Van Steenbergen, di sei anni più giovane, un rivale davvero troppo tosto, ma fra i due ci fu sempre una grande stima. Ed in ogni caso, a dispetto dell'enorme differenza esistente fra i due curriculum, André Maelbrancke, era sempre tanto considerato nell'osservatorio e fra gli appassionati. Vinse il Titolo nazionale su strada nel 1942, superando nello sprint a due Albert Sercu, il padre di Patrick. Fra le sue vittorie qui di seguito, notevoli i successi nella Kuurne-Bruxelles-Kuurne e nell'Attraverso il Belgio, colti nel 1952 a 34 anni. A fine carriera ha aperto un bar a Torhout, che divenne da subito un riferimento proprio per la popolarità di Maelbrancke.
Tutte le sue vittorie.

1939: Criterium di Lovendegem e Mere. 1942: Campionato del Belgio su strada. 1943: Criterium di Egem e Torhout. 1945: Circuito delle Fiandre Centrali; GP Schotte; GP Elfstedenronde; Criterium Houtland e Reulers. 1946: Criterium Gistel. 1947: Criterium Melle e Gits. 1948: Tielt-Anversa-Tielt; GP Schotte; Criterium di Eernegem, Houtland, Overpelt, Wakken, Oostkamp e Desselgem. 1949: Tielt-Anversa-Tielt; Criterium di Bredene, Izenberge, Houthulst. 1950: GP Schotte; Criterium di Borgerhout, Moorsele, Nederbrakel, Temse, Waarschoot, Oostende, Wakken e Houtland. 1951: 2a Tappa dell'Attraverso il Belgio; Criterium di Waregem, Kortemark e Houtland. 1952: Kuurne-Bruxelles-Kuurne; Attraverso il Belgio; 2a Tappa dell'Attraverso il Belgio. 1953: Criterium di Kachtem, Houtland, Westerlo e Beemen. 1954: Criterium Deinze.

Renato Marchetti
[Immagine: 15739815371325Marchetti,Renato.JPG]
Nato a Vilpiano (BZ) il 23 aprile 1947. Passista, alto m. 1,78 per kg. 69/70. Professionista dal 1973 al 1981, con 2 vittorie.
I suoi primi approcci agonistici sulla bicicletta, nel 1964, fra gli allievi. L’arrivo ad una notorietà interregionale arrivo per Renato Marchetti nel 1970, quando vinse due corse: il Giro della Bolghera in apertura di stagione e a fine estate una prova nel modenese che gli valse l’interessamento della Orlandini di Reggio Emilia, per l’anno 1971. Con la nuova maglia si dimostrò più maturo e pragmatico, tanto è vero che in quella stagione con la formazione reggiana, fece suoi cinque traguardi ed ottenne altrettante piazze d'onore. Fu così corteggiato da numerose squadre tra le quali la famosa Salco di Empoli che lo tesserò per il 1972. La militanza in terra toscana rafforzò l’amicizia già datata col corregionale Francesco Moser che, correndo nella “Bottegone-Mobiexport”, segnalò Marchetti alla comunque toscana Filotex, ovvero la prima squadra professionistica del più giovane dei Moser, per il 1973. Renato avviò così un rapporto come spalla-gregario del sempre più grande Francesco, che durerà per tutta la sua carriera professionistica.
Nella prima stagione fece il suo esordio al Giro d’Italia che chiuse 43°, e concluse al 21° posto il  Tour de Suisse. Dopo un ’74 privo di soddisfazioni personali, Marchetti arrivò nel ’75
all’ottavo posto nella classifica finale del Giro di Puglia, prese parte al Giro del Delfinato e al Tour de France, dove chiuse 39° supportando un brillante Moser, primo nella classifica finale dei giovani.
Nel 1976 Renato seguì Francesco alla neonata Sanson, cogliendo nell’anno il suo miglior risultato con il settimo posto al GP di Camaiore. L’anno successivo vinse in Svezia il Giro del Lago di Mettala, una granfondo con Moser e Bortolotto e chiuse 3° il Giro di Romagna.
Nel 1978 dopo aver chiuso al 6° posto il Giro di Sardegna, vinse con Moser la Cronocoppie di Zambana. Poi, purtroppo, fu vittima al Giro di Puglia di una spaventosa caduta che fece temere la fine immediata della sua carriera. Fortunatamente non fu così e nel ’79, con la maglia della Sanson Luxor TV sfiorò il successo nella granfondo Milano-Roma, dove fu autore di un attacco nel finale molto ben impostato, chiuso davvero a poco dal traguardo. All’arrivo di Roma finì 4°. L’anno successivo, fu l’ultimo agonisticamente impegnato del corridore di Vilpiano che lo passò con Francesco Moser alla Famcucine. Appesa al chiodo la bici, aprì un negozio di articoli sportivi a Bolzano.  

Dante Orlandi
[Immagine: Dante%20Orlandi250.png]
Nato a Bologna il 23 aprile 1934. Passista veloce. Professionista dall'ottobre 1958 al 1960, senza ottenere vittorie.
Una crescita costante lo portò a vincere belle corse fra i dilettanti, ma ciò non gli valse il passaggio al professionismo al momento giusto. Il fatto lo innervosì non poco, ed al professionismo passò da isolato, con sostegni raccolti qua e là. Nel 1955 vinse il Gran Premio di Camaiore, gran corsa dilettantistica destinata negli anni a diventare classica nazionale per professionisti. Nel 1956, vinse la Coppa Mostra del Tessile, ma anche dopo questa vittoria, il salto con tanto di accasamento non ci fu. Ed il passaggio, dietro forzatura dello stesso Dante Orlandi, avvenne nell'ottobre 1958, come detto, da isolato. Ovviamente Orlandi sperava che l'entusiasmo sorto dopo l'iride di Ercole Baldini a Reims, provocasse nuovi programmi anche fra le case professionistiche. Tra l'altro, nello scorcio di stagione '58, il buon Orlandi, colse un bellissimo 3° posto nel Gran Premio Mastromarco.
Nel 1959, sempre da isolato, finì 2° nella tappa di Ragusa al Giro di Sicilia (che concluse poi 22°), indi 10° nel Gran Premio Industria e Commercio di Prato, 18° nella Milano Torino e 31° nel Giro di Campania. Insomma, non male per uno che correva da solo. Ed infatti, nel 1960 arrivò l'ingaggio dell'Only Stag, sodalizio lombardo. Ma proprio mentre stava per iniziare la stagione, quella squadra non partì. Deluso, Orlandi lasciò il ciclismo.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 22 aprile
Inviato da: Morris - 22-04-2023, 06:32 AM - Nessuna risposta

Luigi Baretta
[Immagine: 16684498361325Baretta,Luigi.jpg]
Nato a Pozzolo Formigaro (AL) il 22 aprile 1936. Passista. Alto m. 1,70 per 69 kg. Professionista nel 1961 senza ottenere vittorie.
Un altro corridore professionista nella ambiziosa meteora Baratti, nell'anno del Centenario dell'Unità d'Italia, il 1961. Anch'egli piemontese, ed anch'egli seguito nella sua crescita agonistica da Vincenzo Giacotto. Anche Luigi Baretta, fu scelto fra i dilettanti più maturi, con caratteristiche da passista più piazzato che vincente, ma con la predisposizione a fungere da spalla o gregario. Giunto in Baratti però, con Conterno leader degli italiani e tanti belgi di gran pregio, nonché icone come nel caso di De Bruyne e Vannitsen, Baretta si perse e fu attore di un'annata grigia e priva di risultati eclatanti o significativi. Nell'anno, infatti, i suoi migliori piazzamenti furono il 28° e il 36° posto, rispettivamente alla Milano Vignola e al Giro di Romagna. A fine '61, vista la chiusura della Baratti, Luigi Baretta lasciò l'agonismo.

Francis Castaing (Fra)
[Immagine: 16330267261325CastaingFrancis.jpg]
Nato a Bordeaux il 22 aprile 1959. Stradista e pistard. Professionista dal 1981 al 1988 con 39 vittorie.
La particolarità più evidente di questo girondino, simpatico e perennemente allegro, nel momento in cui scelse il ciclismo dopo un inizio nell'atletica, è stata quella di....vincere.
Sfruttando le sue doti di "ruota veloce", il suo ruolino, prima del passaggio al professionismo, avvenuto a 22 anni, nel 1981, annoverava ben 150 successi. Parimenti l'essere cresciuto nel ciclismo, contemplando l'attività su pista quanto quella su strada, Castaing, nel citato passaggio all'elite, si portava in dote anche 102 successi sui velodromi. Ma questi numeri impressionanti andavano letti, come sempre, con dovizia, ed alla luce di ciò che Francis ha fatto fra i professionisti, si può dire siano stati veritieri circa il talento medio del corridore. Medio, e non super, come qualche allenatore ciclistico spesso incapace e troppo di sovente presente nel corso della quotidianità, tende a giudicare, guardando solo i numeri. Un buon corridore Castaing, capace di vincere qualche semiclassica interessante, un bel mazzo di tappe di giri brevi o non superiori alla settimana, pronto a far da cornice alla frazione del Tour de France vinta nel 1985. Vinse poi anche su pista, in particolare un paio di titoli nazionali, ma va pure detto che lo fece nel periodo più grigio del ciclismo francese sui velodromi.
Le sue vittorie più importanti. 1981: Parigi Bourges; Campionato francese della velocità. 1982: GP Plouay; GP Aix-en-Provence; Campionato francese della corsa a punti. 1983: 2a Tappa della Parigi-Nizza; 1984: 4a Tappa (b) della Parigi-Nizza. 1985: 6° Tappa del Tour de France. 1986: Tour de Vendee. 1987: GP Montbron.

Paul Koechli (Sui)
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Nato il 22 aprile 1947 a Basilea. Passista. Professionista da fine giugno 1967 al 1970, senza ottenere vittorie.
Un corridore poco dotato, ma molto intelligente, che ha saputo capitalizzare il poco avuto dalla natura e costruirsi un futuro comunque tangibile nello sport della bicicletta. Tra l’altro un ragazzo che ha provato e praticato il ciclismo in ogni sua variabile, trovando nel mezzofondo su pista e nelle corse su strada il suo livello migliore. Nel 1965 fu infatti 2° nel mezzofondo al Campionato Nazionale dilettanti su pista e l’anno seguente si laureò Campione Svizzero su strada. Continuò ancora qualche mese fra i “puri” ed a giugno ’67 passò prof con la Tigra Grammond De Gribaldy raccogliendo solo piazzamenti nelle retrovie. Nel 1968 però, partecipò con la Rappresentativa elvetica sia al Tour de France che al Mondiale di Imola. Al Tour si ritirò nel corso della quinta tappa, mentre nella corsa iridata abbandonò dopo 170 chilometri. Nell’anno i suoi migliori piazzamenti furono il 12° posto nel Giro dei 4 Cantoni e il 17° nel Giro del Ticino. Nel 1969 dove si divise fra Tigra, Frimatic e Costa Azzurra Zingonia, partecipò nuovamente ai Mondiali concludendoli al 59° posto. Nell’anno chiuse pure il Tour de Suisse al 70° posto. Anonima fu la sua ultima stagione agonistica nel 1970, quando fu tesserato dalla Bonanza. Nel dopo, mise a frutto l’essere “Il Professore”, come era sempre stato chiamato: scrisse un libro sugli allenamenti nel ciclismo che seppe fare scuola. Al punto che all’alba del 1984, nientemeno che Bernard Hinault lo volle direttore sportivo alla sua nuova squadra, La Vie Claire. Col campione bretone, oltre che guidarlo dall’ammiraglia, scrisse un altro libro manuale, dedicato stavolta ai ciclisti dilettanti ed amatori.  E con Hinault e Lemond vinse il Giro d’Italia e due Tour de France, divenendo popolare ad ogni latitudine ciclistica. In seguito fu nocchiero della Toshiba e della Helvetia-La Suisse rimanendo sulla breccia fino al 1992.

Storia di Zaurino Guidi
[Immagine: 49340677977_346f0d8e9f_b.jpg]
Nato il 22 aprile 1912 a Roma, ed ivi deceduto il 30 dicembre 1969. Passista. Professionista dal 1934 al 1946 con 5 vittorie.
Un corridore discreto che fu riferimento del ciclismo laziale negli anni trenta e nell’immediato dopoguerra, ed uno che ebbe, soprattutto da indipendente, talune giornate di buon livello. Il suo pezzo migliore stava su quel passo che gli poteva pure garantire una buona velocità sui finali, anche se non era certamente un velocista. Cominciò a partecipare al ciclismo che conta, come indipendente, nel 1934, anno nel quale finì 2° nella Coppa Germini. Successivamente, passò due stagioni in ombra che lasciarono intravvedere un certo risveglio a fine ’36, quando chiuse 18°, ma con discreta evidenza, al “Lombardia”. Nel 1937, con la maglia de “Il Littorale”, ruppe il ghiaccio, vincendo la Roma-Tagliacozzo-Roma, ed una tappa della stessa corsa. Si piazzò inoltre 2° nella Coppa Esposito, nella Coppa Singer e nella Coppa Ilari e, fra i numerosi altri piazzamenti, anche il 5° posto nel Campionato Italiano Indipendenti. Sempre nel ’37, partecipò al suo primo Giro d’Italia che finì al 17° posto ad 1h e 29' dal vincitore Bartali. Mentre nell’anno successivo si concentrò proprio sulla Corsa Rosa, ma non andò oltre il 23° posto. Tornò al successo nel 1940, quando vinse la Coppa Ganelli e si ripeté con la vittoria nel ’42, quando fece sua la Coppa Generale Petrucci.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale tornò alla ribalta riuscendo nell'impresa più importante della sua carriera: nel 1945 vinse infatti il Giro del Lazio, staccando tutti e l'ultimo a inchinarsi a lui, fu Fausto Coppi, appena rientrato alle gare dopo la prigionia in Africa. Colse poi tre piazze d’onore, al GP Fumaroli, al Criterium Tuscania e al Giro della Provincia di Teramo. Fu poi 3° nel GP Tarquinia. Staccò la licenza anche nel 1946, ma corse pochissimo, ed a fine stagione abbandonò il ciclismo.

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