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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 21 aprile
Inviato da: Morris - 21-04-2023, 12:09 AM - Risposte (2)

Marcel Hendrikx (Bel)
[Immagine: 1245832467HENDRICKX%20Marcel%20-%205.jpg]
Nato a Houthalen il 21 aprile 1925, deceduto a Munsterbilzen il 15 febbraio 2008. Passista veloce-finisseur. Professionista dal 1946 al 1961 con 27 vittorie. Con questo coriaceo fiammingo nato nel cuore del Limburgo belga, incontriamo un archetipo di passista veloce, avviato alla variabile del finisseur. Marcel possedeva scatto e progressione, ma pativa gli arrivi affollati e provava idiosincrasia verso quei corridori veloci che correvano sulle ruote degli altri. Sapeva che questi ultimi divenivano spesso letali, perciò, quando poteva, perché la discontinuità è stata il suo vero grande tallone d'Achille, cercava di sorprenderli con un'azione da finisseur, o sapeva scegliere al meglio il tempo dello scatto in una eventuale volata. In questo modo vinse le sue corse, in particolare le due Parigi Bruxelles che sono le perle della sua carriera. Nell'edizione '54 della "corsa delle due capitali", partì all'ultimo chilometro, anticipando, nel gruppetto dei migliori di giornata (del quale faceva parte anche il giovane Rik Van Looy), i temuti sprint di Derijcke e Kubler. Nel '55, invece, svolse la volata decisiva, anche stavolta avente protagonista un gruppetto con tutti i migliori, partendo ai 150 metri sulla destra della carreggiata e lasciando di stucco i suoi avversari. Un bel corridore, uno di quelli che, nell'odierno, anche per l'intelligenza che possedeva, sarebbe stato un vincente in proporzione assai superiore.
Tutte le sue vittorie. 1946: Criterium Mechelen (Indipendenti). 1947: 8a Tappa Giro del Belgio Indipendenti; Criterium di Bruxelles. 1948: 1a Tappa Attraverso il Belgio; Criterium Houthalen e Heusden. 1949: Liegi-Jemelle; GP de la Famenne; Criterium Quaregnon e Kasterlee. 1950: Criterium Westerlo. 1951: Roubaix-Huy; Circuito del Belgio Centrale; Criterium Eisden 1952: Parigi-Saint Etienne; 2° Tappa Parigi-Saint Etienne; Bruxelles-Sint Truiden; Vienna-Graz; Criterium Heusden. 1953: Circuit de la Nethe; Heusden O-Vlaanderen; Criterium Montenaken. 1954: Parigi-Bruxelles; Putte-Mechelen. 1955: Parigi-Bruxelles; GP Lanklaar; Criterium Rijkevorsel. 1961: Criterium Overpelt.

François (François Marie) Picolot (Fra)
Nato a Tregrom (Bretagna) il 21 aprile 1889, deceduto a Cavan (Bretagna) il 15 settembre 1926. Fondista. Corridore professionista nel 1910, nel 1921 e 1923, senza ottenere vittorie.
Una storia dimenticata, sepolta, sconosciuta, ma presente nella realtà delle vie che il ciclismo ha percorso aldilà dello sport. Una storia che mostra le facoltà incredibili dell’uomo, ma pure le sue enormi debolezze e che andrebbe letta al contrario di ciò che si è soliti considerare, quando il protagonista è uno sportivo, ovvero pensando all’essere umano e non all’atleta. Francois (Francois Marie, all’anagrafe) nacque in una famiglia dove il padre faceva un po’ di tutto: dal fabbro al falegname, dalle primissime basi di ciò che il tempo eleggerà idraulico, allo stagnino. Insomma, un artigiano che viveva senza eccessi, ma con molta sostanza, non ricco, ma nemmeno poverissimo. Un uomo che aveva il sogno di lasciare ai figli un qualcosa in grado di aiutarli nella scelta del mestiere e preparar loro un sicuro sentiero di vita. Lo sfondo era quella “belle époque” che alimentava nuove speranze e quei sogni sorti da scoperte e siamesi tecnologie. La bicicletta era tanto, tantissimo nell’immaginario collettivo del tempo e quando nacque il primo Tour de France, Francois Picolot era già meccanico di biciclette. A 14 anni e mezzo aveva una parte tutta sua nella bottega del padre e lavorava, lavorava, fino a giungere a riferimento di zona. Ancora non pensava di correre, anche se era bravino a pedalare: gli bastava sistemare e “pettinare” quello strumento allora ancora grezzo e pesante, rispetto a quel che verrà. Cinque anni dopo, alla vigilia del sesto Tour de France qualcuno convinse il padre a far provare l’agonismo a Francois, anche per lanciare al meglio la sua attività. “Con quel che fai – gli diceva il padre – potresti trovare sostegni per partecipare a grandi corse”. Il giovane Picolot iniziò così a 18 anni e mezzo a fare il ciclista dilettante, continuando l’attività di meccanico. Piazzamenti, niente di più, ma con la passione crescente sul mix più vero ed immortale dello sport, quello che ti fa vivere l’esercizio atletico, “prima di tutto come una sfida con sé stessi e, poi, con gli avversari”. Francois correva e s’allenava praticamente mai, perché doveva lavorare. Quindi le gare erano allenamento, o meglio, l’allenamento stava nell’andare a correre in bicicletta e ritornare a casa in bicicletta. Cresceva però. Piazzamenti migliori ed un paio di vittorie. Abbastanza per svegliare per vari motivi la Biguet a fornirgli assistenza per fare il professionista nel 1910. Picolot si iscrisse così al Tour de France di quell’anno: aveva 21 anni, tante corse in meno degli altri, allenamenti sui generis, fondo sicuramente insufficiente, ma voleva arrivare a Parigi. Prima tappa di quel Tour, la Parigi-Roubaix, già classica e già considerata terribile, ma una delle più corte: “solo” 272 km. Francois lottò con le avversità naturali ed agonistiche, ed arrivò 59°, a 3 ore e 5’ dal vincitore Crupeland. Da considerare che nella celebre città del nord della Francia, non arrivarono 10, dei 110 partiti. Sulla medesima falsariga, con piazzamenti costanti nell’intorno di metà del gruppo originario, superando incidenti, cadute e forature, Picolot arrivò ai traguardi di Metz, Belfort, Lione, Grenoble, Nizza, Nimes e Perpignan. La nona tappa, la Perpignan-Luchon di 289 chilometri, era la prima tappa pirenaica di quella Grande Boucle, ma pure la prima frazione nella storia, con quattro colli da scalare: ciononostante non era la più dura dell’edizione 1910. La successiva, infatti, di grandi salite pirenaiche ne avrebbe proposte cinque, con Tourmalet e Aubisque compresi. Ovviamente la sera di Perpignan, fu un coacervo di pensieri pesanti e preoccupanti, nei sessantatré rimasti in corsa. Più ancora delle salite, si temevano le discese. Fatto sta che dopo quasi sei ore di corsa sul finire della discesa del Col de Port nel gruppo finale della corsa, ancora piuttosto folto, accadde il temuto: caddero diversi corridori, taluni si rialzarono con ferite apparentemente non gravi, mentre altri rimasero a terra: erano Picolot, Wattelier, Privat e l’asso Dortignacq, partito già claudicante per una rovinosa caduta nella tappa precedente. Quest’ultimo si arrese subito, Privat e Wattelier ripartirono, ma a Saint-Girons si ritirarono. Picolot, invece, che pareva il più malconcio risalì in sella per ultimo e continuò a pedalare da solo con tanto dolore fino a scalare il terzo colle di giornata, ovvero il Col de Portet d’Aspet, ma ai piedi della quarta montagna, il Col des Ares si fermò, letteralmente distrutto. Quell’epilogo lo lasciò sofferente a lungo. Riprese a lavorare e decise di ritornare all’agonismo solo quando fosse giunto al possesso di esperienza e di fondo necessari, per arrivare all’unico obiettivo che cercava nello sport: finire il Tour de France a Parigi. Si preparò con calma, indipendentemente da mesi ed anni, anche perché doveva lavorare in bottega e quando si sentiva ormai pronto, scoppiò la Guerra. Divenuto soldato, finì al fronte occidentale e nella famosa “Battaglia della Somme”, nei pressi di Hébuterne, fu ferito gravemente. Salvò la vita, ma rimase mutilato alla mano sinistra e pur ritornando a camminare, le diverse fratture subite, lo portarono a ritrovarsi con la gamba sinistra più corta, ed una conseguente zoppia. Ritornò a lavorare con grosse difficoltà, ma come corridore era finito, perlomeno questo lo dichiarava la logica. Tra l’altro, le fratture e le ferite di guerra avevano reso la sua salute assai cagionevole. La logica però, non aveva fatto i conti con l’animo e la tempra dello sfortunato Francois Picolot, simbolo perfetto di ciò che s’è sempre detto dei bretoni. Lui, il meccanico di bici, era tornato a farlo e voleva assolutamente completare il sogno di arrivare a Parigi al Tour de France. Per vedere dove potevano allargarsi i suoi confini, si preparò una bicicletta un po’ diversa dalle altre a causa delle menomazioni e, fra l’incredulità dei paesani di Cavan (a pochi km dalla natia Trégrom), dove da tempo s’era trasferito, riprese a prepararsi per l’agonismo. Ad agosto 1921, si iscrisse alla più massacrante delle corse in linea senza soluzione di continuità, coi suoi 1196 chilometri: la Parigi-Brest-Parigi. Questa corsa, in programma dal 2 settembre, poneva un tempo limite oltre il quale non si veniva classificati per il gruppo di partenti definiti “vitesse”, ovvero quelli più competitivi, mentre per l’altro gruppo partente, quello definito “touristes routiers”, in pratica i meno competitivi e poco assistiti, il limite per la classificazione era marcatamente più ampio. Il ciclismo, che in quanto a regole, dirigenti di buon senso e scelte strategiche, è sempre stato perlomeno un po’ carente, o vicino allo spirito raccolto con profondità da Andres Londras quando definì i ciclisti “Forzati della strada”, accettò senza obiezioni l’iscrizione di Picolot fra corridori di “vitesse”. Un assurdo, in considerazione della disabilità evidente di Francois, il quale non si dannò di certo, perché la Parigi-Brest- Parigi, per lui, altri non era che una tappa per arrivare, prima o poi, a Parigi col Tour de France.
Partirono in direzione di Brest 106 ciclisti, 43 “vitesse” e 63 “touristes routiers”. Vinse un grande come il belga Louis Mottiat in 55 ore 7 minuti e 6 secondi, davanti a 56 classificati. Gli altri 50 partenti, o abbandonarono, o arrivarono fuori tempo massimo, o furono squalificati perché saliti su auto, o protagonisti di altre infrazioni molto gravi. Picolot fece un’impresa, viste le sue condizioni, anche se non fu classificato, perché arrivò un’ora e mezza dopo il tempo massimo dei “vitesse”, impiegando 97 ore e 7 minuti, che l’avrebbero classificato al 23° posto assoluto e all’11° fra i “vitesse”. Verso di lui, anche all’arrivo, nessuna indulgenza e, soprattutto, nessuna capacità di derogare, in considerazione della svista all’atto dell’iscrizione. L’unica consolazione però, stava nella creazione di un precedente che avrebbe dribblato eventuali obiezioni all’accettazione per un futuro Tour de France. Dopo quella impressionante corsa, Picolot si fermò di nuovo, per assorbire i segni della mostruosa fatica con conseguenze sulla sua salute e prepararsi al Tour. Il tentativo di dar finalmente un’altra volta gambe al sogno di terminare la Grande Boucle, si concretizzò il 24 giugno 1923, quando fu allo start della prima frazione di quel Tour, la Parigi-Le Havre di 381 chilometri.   Stavolta, alla vigilia dovette superare qualche obiezione, ma al via, grazie a quel precedente nella Parigi-Brest-Parigi, ci poté essere. Partirono dalla Capitale francese in 139 e Francois arrivò 113°, a 4 ore e un minuto dal vincitore. Aveva speso molto però perché alla lunghezza s’accostò quel vento che lo rendeva più fragile di tutti gli altri, visto che la forza sul manubrio la poteva spendere con una sola mano, perchè l’altra poteva esibire solo un appoggio.  La seconda frazione da Le Havre a Cherbourg di 371chilometri, Picolot la superò meglio, poiché non pensò a quanti gli stavano dietro, ed ottenne un piazzamento praticamente uguale a quello della tappa precedente: 114°. La terza tappa che da Cherbourg si concludeva a Brest, dopo 405(!) chilometri, vide un altro mazzo di ritiri, ma non quello di Francois che, a costo di sforzi incredibili, chiuse 97° e la sera di Brest lo vide ancora fra i 100 rimasti in gara. I suoi potevano essere considerati successi, in virtù delle sue condizioni, ma erano vittorie di Pirro, perché per quel sogno si stava distruggendo. E così, stanchissimo, nel corso della quarta tappa, che da Brest si concludeva dopo 412 chilometri a Les Sables d’Olonne, il gladiatorio bretone cadde e lì finì il suo sogno. Fu costretto al ritiro, con conseguenze tali da rallentare non poco il suo ritorno al lavoro e di incrinare ulteriormente il suo stato di salute. La delusione per non essere riuscito a finire il Tour fu enorme, ed in grado essa stessa di far ulteriore male ad una salute via via più compromessa. Tre anni dopo, a settembre, a causa di una nefrite acuta che sfociò in infezione, Francois Picolot lasciò questo mondo. Aveva solo 37 anni.

Tristano Tinarelli
[Immagine: 35556966916_66cd6d2020_b.jpg]
Nato a Baricella (BO) il 21 aprile 1933, deceduto a Bologna il 16 aprile 2009. Passista scalatore. Professionista dal 1959 al 1960, senza ottenere vittorie.
Il suo essere stato un buon dilettante non si determinò dal numero dei successi, bensì dalla sua regolarità negli ordini d'arrivo e da una evidente capacità di entrare nelle fughe. Lo scarso spunto veloce, la forza e il valore dei colleghi dell'epoca, gli hanno impedito di costruirsi un solido palmares, ma le sue belle condotte, gli hanno consentito una certa notorietà. Si segnalò all'osservatorio e al mondo professionistico, in maniera decisa, per una sua stupenda vittoria da dilettante, colta nel giugno del 1958, nel Giro del Frignano, una classica che si correva sulle strade dell'enfant prodige del ciclismo dilettantistico dell'epoca, Romeo Venturelli. Una manifestazione di 134 chilometri con molte salite che partiva da Maranello indi Serramazzoni, Pavullo, Renno, Ponte Pruneto, Sestola, Montecreto, Pievepelago, Barigazzo, Lama Mocogno e l'arrivo a Pavullo. In quell'edizione c'erano tanti bei nomi alla partenza, da segnalare oltre a Venturelli, anche Vittorio Adorni (che finì 13° a sette minuti da Tinarelli). Tristano allora esponente di spicco dell'U.S. Vignolese riuscì a rimanere nel drappello dei primi che superò la salita di Sestola e, sapendo che il difficile finale avrebbe potuto consentire il ritorno di Venturelli, fermato da una crisi di crampi, staccò i compagni di fuga a pochi chilometri dal traguardo, giungendo sul traguardo di Pavullo, fra una folla strabocchevole, tutto solo. Anticipò di 25" proprio il grande corridore di casa, nel frattempo ritornato sui primi inseguitori. Per Tinarelli fu un trionfo, perché contro un Venturelli motivato, era pressoché impossibile vincere. Sulle ali di quel successo trovò un contratto professionistico con la Torpado e nel 1959 passò di categoria. Il primo anno fu particolarmente incolore, senza acuti e poche occasioni di uscire dalla "pancia" del gruppo. Andò un po' meglio nel 1960, quando la sua regolarità trovò più tangibilità e il trentunesimo posto al Giro d'Italia, davanti ad una buona fetta dell'ottimo cast di quel Giro, poteva far prevedere qualcosa di discreto per il futuro. Tristano però, capì che non era il caso di continuare, ed a fine '60 abbandonò l'attività, rimanendo comunque nell'ambiente ciclistico in vari ruoli.

Sergei Yakovlev (Kaz)
[Immagine: 16701704391325Yakovlev,Sergei.jpg]
Nato a Temirtau il 21 aprile 1976. Passista. Professionista dal 1999 al 2008, con 10 vittorie.
Un buon corridore, soprattutto grazie alla sua disponibilità verso la squadra e, conseguentemente, in direzione del capitano di essa. Ottimo sul passo e ben poco egoista. Insomma, uno nato gregario-spalla, prima ancora di poter vedere quanto poteva valere singolarmente. All’occorrenza, era pure uno che sapeva vincere, ma preferiva tessere le file di chi gli consentiva ingaggio e stipendio. A muoverlo una precisa filosofia: meglio farsi apprezzare da chi conta, piuttosto che ricercare vittorie che modificavano poco il proprio cammino, visto che era palese il non essere campione.
Divenne professionista nel 1999, dopo aver vinto nel 1997 il Titolo kazako élite. La sua squadra d’esordio fu la francese Besson Chaussures, una piccola formazione con programma di medio livello e senza precisi capitani. Ciò gli consenti di arrivare più facilmente alla lotta per la vittoria personale, ed infatti nei due anni di permanenza nel sodalizio, vinse sette delle 10 corse presenti nel suo carnet di carriera. Nel 1999, arrivò al successo nella 2a tappa del Circuit Franco-Belge, i Campionato dell’Asia nella prova in linea ed il Prologo del Tour de Hokkaido, in Giappone. L’anno successivo, vinse il Tour de l’Ain, il Gp Riom, il Campionato del Kazakistan su strada, ed in Italia, la quarta tappa del Giro d’Abruzzo. Proprio nel nostro paese, ed in una squadra a base abruzzese, s’accasò nel 2001, la Cantina Tollo-Acqua & Sapone. Qui si evidenziarono compiutamente quelle sue qualità di uomo squadra, che poi firmeranno la sua carriera. Non a caso, nel 2002, fu ingaggiato dallo squadrone tedesco della Telekom, dove strinse amicizia col connazionale in gran crescita Aleksandr Vinokurov, di cui divenne spalla praticamente fino al termine della sua attività agonistica. Nel primo anno di Telekom vinse la settima tappa del Tour de Suisse, che si concludeva Oberstaufen. Si congedò dal team tedesco vincendo a fine settembre 2005 l’ottava tappa del Giro dell’Indonesia.
Nel 2006 passò al team spagnolo Liberty Seguros-Würth che, poi, tre mesi dopo, in seguito allo scandalo doping che coinvolse il Manager-Direttore Sportivo Manolo Saiz, divenne Astana, ovvero la capitale del Kazakistan. Si trattava di un intervento statale per tutelare fino in fondo il sempre più convincente Vinokurov. In quella stagione Yakovlev partecipò al Giro d'Italia, giungendo terzo nella decima tappa, la Termoli-Peschici. Continuò il suo oscuro ma sostanziale lavoro di spalla nell’Astana fino alla fine della carriera agonistica. Nel dopo divenne direttore sportivo della stessa Astana. Ruolo che ricoprì fino al 2019.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 20 aprile
Inviato da: Morris - 20-04-2023, 07:17 AM - Nessuna risposta

Roger Decock (Bel)
[Immagine: 1247475183DECOCK%20Roger%20-%205.jpg]
Nato ad Izegem il 20 aprile 1927, deceduto a Tielt il 30 maggio 2020. Passista. Professionista dal 1949 al 1961 con 33 vittorie. Fiammingo fino alle viscere, scoprì presto, nella personale elezione di vita consistente nel diventare corridore in bicicletta, di essere bravissimo sul passo ma un po' meno nello sprint. Da ragazzo intelligente, decise di esercitarsi fino alla noia negli sprint, ed alla fine, divenne veloce e potente per tenere anche sulle salite aspre, purché non molto lunghe. Insomma, da quell'oscuro lavoro svoltosi in mezzo a decine di kermesse, ne uscì un campioncino. Non a caso, nel 1949, anno d'esordio fra i professionisti, vinse il Campionato delle Fiandre Occidentali e nella stagione successiva, fra vari criterium trionfò nella sempre sentita corsa di casa, ma gran semiclassica: la Bruxelles-Izegem. Roger Decock fece la prima, trionfale apparizione internazionale, aggiudicandosi la Parigi-Nizza del 1951. Ed il fatto che fosse stato capace di vincere una corsa a tappe di rango e, in patria, di cogliere i successi nel Circuito delle Fiandre Occidentali e nel Campionato delle Fiandre, lo elesse corridore molto atteso. In estate partecipò al Tour piazzandosi due volte secondo di tappa (una delle quali a cronometro). Nel 1952, l'esplosione con la vittoria nella corsa che ogni fiammingo vorrebbe vincere: il Giro delle Fiandre. Fu un successo difficile, perché si trovò a dover fare i conti col giovale e talentuoso italiano Loretto Petrucci, che tre settimane prima aveva vinto la Milano Sanremo. Fortunatamente per Roger, nella fuga decisiva a tre, si inserì il trentatreenne, ma ancor forte, nonché furbissimo ex bi-iridato Alberic Schotte. Costui, pur non correndo nel medesimo sodalizio di Decock, aiutò il giovane connazionale a vincere la corsa di casa, facendo la sua parte nella tenaglia che fu fatale al corridore pistoiese. Sia chiaro, Roger Decock, non rubò nulla, meritò quel successo. Nell'estate '52, poi, al Tour de France, si confermò cronoman di rango, piazzandosi secondo a soli 34" da Fausto Coppi nella cronotappa di Nancy di 60 chilometri.
Nel 1954 vinse una miriade di criterium, la semiclassica GP della Schelda e tre tappe del Giro del Belgio, fra le quali la frazione a cronometro . Nelle grandi classiche del nord, non uscì mai dai primi dieci e grazie agli ottimi risultati ottenuti, terminò al quinto posto nel Trofeo Desgrange-Colombo. Il 1955 fu la sua ultima stagione complessivamente positiva, coi successi alla Bruxelles-Ingooigem e nel Gran Premio Stene (allora molto valutato), il secondo posto nel Giro delle Regioni Fiamminghe e il quarto alla Parigi-Bruxelles. Negli anni successivi continuò a cogliere qualche vittoria, ma solo col successo nel Circuito delle Fiandre Centrali, nel 1959, che fu il suo canto del cigno, uscì dal novero dei criterium o poco più.

Fedor Den Hertog (Ned)
[Immagine: 14541070773538denhertogf80.jpg]
Nato il 20 aprile 1946 a Utrecht. Deceduto a Ermelo il 12 febbraio 2011. Passista. Alto 1,83 per 76 kg. Professionista dal 1974 al 1981 con 14 vittorie.
Una carriera anomala quella di questo tulipano dalla pedalata felice ed armoniosa e dalla classe cristallina. Anomala, perché rimase dilettante oltre ogni limite di ragionevolezza e sembrò a lungo come quei tanti atleti di valore dell'est europeo che non potevano passare all'elite per i motivi che si sanno. Un peccato, perché Fedor, fra i dilettanti, si mostrò corridore di spessore uguale o superiore a due autentiche glorie del pedale orange: Zoetemelk e Kuiper. È vero che nel 1967, mentre si allenava in Belgio, sulle Ardenne, fu investito da un auto, ed in molti pensarono che la sua carriera fosse finita lì; ed è vero che pur recuperando, rimase a lungo col timore di non poter tenere la distanza, e quelle differenze chilometriche che sono sempre esistite fra i dilettanti ed i professionisti. Ma già il 1968 fu sufficiente per far capire, a chi consigliava Fedor e a lui stesso, che il recupero era giunto appieno e che il passaggio nell'elite sarebbe stato possibile senza problemi. Già, perché vincere le Olimpiadi nella 100 chilometri a squadre (assieme a Joop Zoetemelk, René Pijnen e Jan Krekels) che era prova massacrante, nonché tutte quelle prove che lo elessero, in virtù del nome abbinato a Fedor, "Iwan il terribile", erano più che sufficienti per dimostrare l'assurdità di rimanere fra i dilettanti. Fatto sta, che fra i puri, fino a 28 anni, vinse di tutto, annichilendo chiunque, ma alla storia del ciclismo, il buon Den Hertog, è passato come un incompiuto, perché è sempre obbligatorio sottolinearlo e ripeterlo in ogni occasione: il ciclismo dei dilettanti rappresenta solo un segmento propedeutico e non fa storia, ieri come oggi. Fra i professionisti dal '74, Fedor si è segnalato solo per il Titolo olandese su strada nel 1977 e come un cacciatore di tappe. Poco per un corridore col potenziale dei super.
Tutte le sue vittorie.
1976: 2a Tappa del Giro di Olanda, Giro del Midden-Zeeland. 1977: Campionato d'Olanda su strada; 10a Tappa del Tour de France; 3a Tappa della Vuelta di Spagna; 5a Tappa del Giro del Mediterraneo; Freccia Liedekerkse; Trofeo Jan Van Erp; Criterium Schijndel. 1978: 5a Tappa Parigi-Nizza; 5a Tappa Etoile des Espoirs. 1979: 3° Tappa del Giro d'Olanda; GP Frans Verbeeck. 1980: Freccia Maaslandse.

Francesco Desaymonet
[Immagine: 152036210518495Desaymonet,Francesco.jpg]
Nato a Rivoli (Torino) il 20 aprile 1943. Passista scalatore, alto m. 1,77 per 71 kg. Professionista dal 1969 al 1970, senza ottenere vittorie.
Per caratteristiche e generosità non un grande vincente fra i dilettanti, ma pur sempre un corridore sul quale fare affidamento, anche fra i professionisti. Fra i "puri", vinse il Trofeo Strazzi '67 e, soprattutto, si impose, nel '68, in una classica come la Torino-Biella. Fu pure azzurro nel '67 al Tour des Combrailles, corsa a tappe dove finì 7°, primo degli italiani.
I problemi che frenarono la carriera professionistica di questo torinese che piaceva all'indimenticabile Vincenzo Giacotto, furono principalmente due: il troppo ritardato salto di categoria e l'esser finito in uno squadrone, la Faema, tra i più grandi della storia, con tanti corridori titolati e vincenti e, soprattutto, un fuoriclasse inarrivabile come Eddy Merckx. Dipanarsi in un simile team, soprattutto se si è timidi, è dura. Ciononostante, nel primo anno da prof, Desajmonet sfruttò benino le poche opportunità di mettersi in mostra. Nel 1969 infatti, fu 3° nel Giro delle Marche, ma risultò decisivo nel successo del compagno di squadra Tino Conti sul danese Primatista dell'Ora Ole Ritter. I tre si giocarono quell'edizione del Giro in volata. Fu poi 8° nel Campionato Italiano, corse un bel Giro di Romagna (17°), finì 18° il Campionato di Zurigo e concluse 34° il Tour de Suisse. Nel 1970, il rendimento di Desajmonet subì una flessione, ed anche la morte di Giacotto ebbe un ruolo non indifferente su quel calo. A fine anno, la chiusura della Faema, lasciò il corridore torinese disoccupato. Staccò la licenza anche nel '71, ma non trovò squadra e preferì abbandonare.

Ferdinando Guglielmoni
[Immagine: 1303288012GUGLIELMONIFerdinando.JPG]
All'anagrafe Armando, nato a Creazzo (Vi) il 20 aprile 1932, deceduto ad Alonte (VI) il 5 settembre 1987. Passista. Professionista dal 1957 al 1959, senza ottenere vittorie.
Buon dilettante, ma non un vincente per antonomasia, riuscì a passare professionista a venticinque anni, nel 1957, con la Leo Chlorodont, ma non mettendosi particolarmente in luce fu lasciato libero a fine anno. S'accasò nel 1958 alla Bianchi, accanto al Campionissimo Fausto Coppi e fu quella la sua migliore annata, perché in qualche modo riuscì ad essere utile al leggendario compagno e si piazzò 15° nella Milano Torino che resterà il suo miglior piazzamento di carriera. Nel 1959, sempre con la Bianchi, fu nuovamente protagonista alla Milano-Torino, poi chiusa 18° e finì 35° alla Sanremo. Purtroppo, il suo ruolo di gregario senza nessuna velleità personale, poco si integrava con le nuove esigenze di una squadra come la Bianchi, che lo lasciò libero a fine '59. Nel 1960, Guglielmoni staccò la licenza, ma corse praticamente mai, mentre gli si riaprirono le porte di un grande sodalizio nel 1961, grazie alla Gazzola, capitanata dall'Angelo della Montagna, Charly Gaul. Fu un anno grigio per risultanze, ma importante per aver aggiunto, nel suo carniere di gregario, un altro grande nome accanto a quello del Campionissimo. Ed a fine stagione, poté appendere la bicicletta al chiodo con serenità.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 19 aprile
Inviato da: Morris - 19-04-2023, 08:05 AM - Nessuna risposta

Aldo Donadello
[Immagine: 15739806681325Donadello,Aldo.jpg]
Nato a Marostica (Vicenza) il 19 aprile 1953. Passista scalatore, alto m. 1,78 per kg. 69. Professionista dal 1976 al 1984, senza ottenere vittorie.
Un buon corridore che ha fatto la carriera migliore per le sue buone doti, ma che ha pagato il segno dei suoi tempi dove le squadre erano (dato positivo) a misura d’uomo, ed i capitani (dato meno positivo) i depositari di quasi tutti i destini delle corse. E dato che correvano tanto di più dei capitani di oggi, chi era legato a fare da spalla o gregario, di occasioni per emergere ne rimanevano poche, molto poche. Anche se coi se e coi ma non si fa la storia, val la pena ribadire alla faccia di certe ortodossie, che un Aldo Donadello, nei tempi odierni o recenti avrebbe potuto fare qualcosa di meglio.  
Dopo le categorie giovanili passò dilettante in un sodalizio prestigioso: il G.S. Pejo. Nel 1974 vinse l’Astico-Brenta e l’anno seguente si ripeté, inoltre conquistò la quarta tappa del Giro della Valle d’Aosta sul traguardo di Cogne e nella medesima corsa, dura e famosa, finì 2° nella frazione di Valsavarenche alle spalle dell’australiano Gary Clively. Sempre in quella stagione finì 2° anche nel GP Coperte di Somma battuto allo sprint da Flavio Morelli. Le belle prove del ’75 lo portarono al professionismo nel 1976 in seno alla Sanson-Benotto. Qui si dimostrò presto un buon gregario, cogliendo a livello personale il 10° posto alla Coppa Bernocchi ed il dodicesimo alla Coppa Sabatini. L’anno seguente fece il suo esordio al Giro d’Italia, completando la corsa al 38esimo posto. Nel 1978 passò alla “Fiorella Mocassini”: chiuse il Giro 33° e colse il 10° posto al GP di Larciano. Il 1979 portò sulle spalle di Donadello la gloriosa maglia della Bianchi e poté partecipare, dopo aver concluso al 43° posto il Giro d’Italia, anche al Tour de France. Alla Grande Boucle si ritirò nel corso della 17esima tappa, ma prima era riuscito ad ottenere il 7° posto nella tappa di Deauville e, soprattutto, il 3° nella frazione che si concludeva a Metz, che sarà il miglior piazzamento della sua carriera professionistica. Continuò a correre con la Bianchi Piaggio fino al 1984, completando altri 3 Giri d’Italia: 36° nel 1980, 84° nel 1981 e 56° nel 1982. Abbandonò l’agonismo a fine '84.

Delio Rodriguez Barros.
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Nato a Ponteareas il 19 aprile 1916, deceduto a Vigo il 14 gennaio 1994. Passista veloce, completo. Professionista dal 1936 al 1950 con 138 vittorie.
Un corridore che a giudizio di chi scrive e da considerarsi uno dei più sottovalutati dell'intero ciclismo spagnolo. Capostipite di una famiglia in cui anche i fratelli minori, Emilio, Manolo e Pastor, furono professionisti, Delio, risulta troppo di sovente solo meritevole di menzioni, magari parlando del fratello Emilio, o dei suoi contemporanei Berrendero e Ruiz, quando, invece, meriterebbe un obbligatorio capitolo. D'accordo i suoi 138 successi (un record per i ciclisti dell'anteguerra), furono colti per la grandissima parte in patria, ed il ciclismo spagnolo non era da considerarsi ai vertici di oggi, ma restano pur sempre significativi di qualità e, soprattutto, di una continuità che testimonia valori rari. Si dice cercasse solo il traguardo parziale per un gus-to tutto suo della vittoria e non inseguisse quello finale di una corsa a tappe perché meno impregnante o troppo sfumato e, per questo, si concedeva delle amnesie che gli costavano piazzamenti finali migliori. Si tratta di una lettura che può possedere delle verità a livello psicologico, ma non spiega l'andamento comunque di pregio assoluto che Delio Rodriguez ha espresso. Prendiamo la Vuelta di Spagna, dove alle 39 tappe vinte fra il 1941 e 1947 compresi, che rappresentano ancora oggi il record relativamente alla corsa, ci sono i piazzamenti finali a dimostrare un ruolino che in tanti vorrebbero avere: vinse l'edizione del 1945, fu 3° nel 1947, 4° nel 1941, 5° nel 1946 e 7° nel 1942. Non male per uno che si limitava a vincere le tappe che non presentavano particolari difficoltà. Hanno forse simili ruolini i velocisti cacciatori di frazioni? Inoltre, aldilà del numero impressionante di vittorie in frazioni della Vuelta delle Asturie, Vuelta a Burgos, Vuelta della Galizia, Vuelta a Levante, Giro di Catalogna e Volta del Portogallo, vanta ancora delle classifiche finali, come nella Madrid-Salamanca-Madrid (1940), o nella Vuelta a Alava (1940 e '41), nel GP Victoria Manresa ('43), nella Vuelta di Galizia ('45), nella Vuelta di Gallega ('45). A suggellare ulteriormente il suo valore di atleta primario, vanno annotati fra le decine di altri, i successi nel Trofeo Masferrer '40 e nella Madrid-Valencia 1941-'42-'43. Un monumento del ciclismo spagnolo.

Hugo Scrayen (Bel)
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Nato a Wintershoven (Limburgo) il 19 aprile 1942. Passista veloce e pistard nelle prove endurance. Professionista dal 1963 al 1967 con 20 vittorie su strada ed imprecisate su pista, fra le quali 5 internazionali.
Grande e forte atleta con un ottimo talento, ma un po’ troppo lunatico, nonché amante di una vita che non era proprio il massimo per un corridore di quei tempi. Eppure, per facilità di pedalata e ritmicità, era in grado di lasciare a bocca aperta. Dopo una brillante carriera con i dilettanti, fece scalpore al suo debutto professionistico nel febbraio 1963, quando sconfisse il mostro sacro Peter Post nella finale del torneo di inseguimento del Bracciale di Anversa. Raggiunse il celebre olandese   dopo 3780 metri e continuò il suo sforzo e completando i 5 km in 5'59"6, che era allora la migliore prestazione mondiale su pista indoor. Non si ripeté più, ma restò comunque un riferimento della specialità. Uno che vinse due Titoli Nazionali nell’Inseguimento fra i professionisti (su pista ne aveva già vinti due da dilettante dove fu un autentico faro) che aveva i numeri per andare a segno nelle Seigiorni, ma non gli piacevano, oppure in gare più importanti delle kermesse come dimostrò in un terno di successi colti nel 1964, dove impressionò. Le tre corse furono, la Alken-Oudegem di 227 chilometri, la Genk-Oudegem di 230 e la prima tappa del Giro del Belgio, la Bruxelles-Ostende di 216 km dove allo sprint superò nettamente il Campione del Mondo Benoni Beheyt. Non a caso nel ’61 vinse la Gand Wevelgem riservata ai dilettanti e furono in molto a scommettere su di lui circa un bel futuro nelle classiche. Invece, l’Hugo Scrayen, tanto lunatico quanto talentuoso, preferì le kermesse….e le ragazze che stavano nell’intorno di quelle manifestazioni. Insomma, un “flandrien” meno noto di un Fons De Wolf di tre lustri dopo, ma uno fatto così. Perfetto per fare arrabbiare qualche purista.

Alcide Vaucher (Sui)
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Nato a Sainte-Croix il 19 aprile 1934, deceduto a Ginevra il 3 giugno 1922. Passista veloce. Professionista dal 1955 al 1961 con 5 vittorie.
Arrivò la passione per il ciclismo, sull’onda del richiamo per i successi di Kubler e Koblet. L’età del debutto fra gli allievi fu per Voucher il 1950. Si dimostrò subito molto abile su pista e dai velodromi arrivarono i primi successi. Col tempo, giunsero anche discreti piazzamenti su strada. Da dilettante giunsero otto successi e, soprattutto, nel 1954 si laureò a Baden Campione Svizzero su Strada della categoria. Divenne professionista nel 1955 in seno alla Juvella. Nell’anno d’esordio vinse il Tour del Lago Lemano, fu 4° nella 4a tappa del Tour de Romandie, 5° al GP Martini e al GP de Suisse 8° nel GP di Lugano. Di nota pure il 15° colto al GP delle Nazioni di Parigi a cronometro. Nel 1956 passò alla Mondia e vinse il Critérium d'Annemasse. Finì 2° nel Tour del Cantone di Ginevra, 3° nel Tour della Svizzera Centrale nel Campionato Nazionale dell’Inseguimento e nel Criterium Nyon. Nel 1957, in maglia Cilo, finì 2° nel Trofeo Baracchi in coppia col fenomenale Rolf Graf, 3° nel Tour del Cantone di Ginevra, 4° nel GP di Lugano e nel Campionato Svizzero dell’Inseguimento. Indi 5° nel GP Martini. Nel 1958, passato fra Mondia e Tigra, vinse il Campionato del Cantone di Vaud nell’Inseguimento, fu 2° nella cronometro di Annecy, 3° nel Tour dei 4 Cantoni, 5° nel GP Martini e nel Criterium di Sion. L’anno seguente passato con i medesimi colori del ’58, fu la sua stagione migliore. Vinse la terza tappa del Tour de Suisse, si piazzò 5° in un’altra, fu 2° in due tappe del Tour di Romandia ed in Francia nel Tour de Vaucluse in linea. Sempre in terra francese arrivò 3° nell’ufficioso mondiale a cronometro, ovvero il Gran Premio delle Nazioni, 3° nel Circuit de la Drome-Ardeche e 5° nel Criterium Boussac. In patria 3° nel GP di Lugano, 4° nel GP Martini. Nel 1960, corso con le maglie della Liberia e della Molteni, fu 2° nel Campionato di Zurigo, 3° nella Manica Oceano, 7° nel Campionato Svizzero su strada, mentre nel 1961 in divisa Liberia, si laureò Campione di Neuchatel, suo ultimo successo e nell’anno fu 5° nel Criterium di Nyon e 8° nel Campionato Svizzero. Un buon corridore, abbastanza popolare a cavallo degli anni sessanta.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 18 aprile
Inviato da: Morris - 18-04-2023, 12:03 AM - Nessuna risposta

Emile Abegg (Fra)
Nato il 18 aprile 1886 a Belfort, ed ivi deceduto il 29/02/1920. Fondista. Professionista nel 1910 senza vittorie.
Grazie a buone prestazioni nel ciclismo dell'intorno di Belfort, riuscì a trovar posto, nel suo esordio professionistico, avvenuto nel 1910, nella già fortissima Alcyon-Dunlop, la squadra che raccoglieva grandi nomi del ciclismo internazionale del periodo. Ma l'impatto nell'élite fu disastroso. Nel Tour de France, che faceva tappa nella sua città natale, finì la sua avventura nella quarta frazione, dopo aver raccolto un 60° posto nella suggestiva apertura che ripercorreva la classica Parigi Roubaix, un 50° posto nella Roubaix Metz, ed un 31° posto nella Metz Belfort. In quest'ultima tappa, che comprendeva la scalata al Ballon d'Alsace, consumò le ultime energie e nella Belfort Lyon si ritirò. Chiuse praticamente lì la sua esperienza ciclistica. Dieci anni dopo, a soli 34 anni, la nefrite se lo portò via.

Lorenzo Agazzi
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Nato a Centallo (CN) il 18 aprile 1940. Passista veloce, alto m. 1,72 per kg. 68. Professionista nel 1963 senza ottenere vittorie.
Una scommessa di Vincenzo Giacotto finita senza realizzarsi vittoriosa. Lorenzo Agazzi, dal fisico compatto e dalla pedalata fluida, pareva un predestinato al ruolo di spalla o gregario. Da dilettante, infatti, nel Velo Club Gios, aveva imparato a proteggere l'estro del giovane compagno Italo Zilioli e, più che a vincere, si dimostrò uno che guardava la sostanza del piazzamento, dopo aver lavorato per l'amico campioncino. A settembre del 1962, Giacotto fece fare il salto di categoria al ventunenne Zilioli, ed a febbraio 1963, decise di riservare un posto nella sua Carpano, anche al per lui già pronto Agazzi. La realtà di quella stagione però, smentì il grande nocchiero torinese: il ventitreenne di Centallo deluse, collezionò tanti ritiri, fra i quali anche quello nella nevosa tappa di Celerina al Tour de Suisse. Il solo piazzamento di nota stagionale fu il 42° posto nel Campionato di Zurigo. Ed a fine anno, Agazzi, lasciò il ciclismo.

Alessandro Catalani
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Nato a Pavia il 18 aprile 1905, deceduto a Gemonio il 6 agosto 1986. Passista. Professionista dal 1927 al 1932 con una vittoria. Con Catalani incontriamo un altro corridore la cui traiettoria d'atleta s'è trovata deviata dal periodo e dalle difficoltà che poteva provare un ciclista poco assistito negli spostamenti ed in tutto ciò che una simile attività contemplava. Diversi si rifugiavano nel gregariato proprio per questo, perlomeno ancor prima di poter vedere ciò che potevano valere, e non è un dopo anni di servizio trovano a tarda età l'occasione per dimostrare, a livello di albi d'oro, quella bravura che i conta-vittorie non rilevano. Alessandro Catalani, è stato un corridore caparbio e coriaceo, buon fondista, che nella seconda metà degli anni '20 ottenne qualche dignitoso piazzamento e si segnalò talvolta come valido gregario, soprattutto di Binda. Ma il suo spessore non poteva evidenziarsi compiutamente per il suo status di accasato saltuario. Conquistò nel 1928 il Giro di Toscana e fatto molto importante, purtroppo non raccolto, vinse nello stesso anno la Classifica degli Isolati al Giro d'Italia, dove si piazzò 12° assoluto. Finì poi la stagione con un 5° posto nel "Lombardia". Nel '29 fu 2° per un soffio nella Tre Valli Varesine, battuto da Morelli, 5° nella XX Settembre e 7° sia alla Milano Sanremo che nel campionato italiano, mentre al Giro chiuse 16°.
Nel 1930, gli fu più difficile del solito svolgere l'attività, ma tornò l'anno seguente risparmiando tutte le risorse per correre il Tour de France come "Touristes-routiers", dove venne battuto in una volata a due dall'austriaco Max Bulla, nella tappa di Marsiglia e fu costretto al ritiro alla penultima frazione per una caduta. Provò di nuovo nel 1932, ma oramai la convinzione non c'era più e lasciò il ciclismo.

Bernt Johansson (Swe)
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Nato a Goteborg (Svezia) il 18 aprile 1953. Passista scalatore, alto 1,76 per 68 kg. Professionista dal 1977 al 1981 con 16 vittorie.
Fu una vedette assoluta fra i "puri", vincendo ripetuti titoli nazionali, di Scandinavia e classiche internazionali, col fare del corridore superiore. Nel 1974, a Montreal, in quella che diverrà la sua città preferita, conquistò coi compagni Nilsson, Gagerlund, Filipsson il titolo mondiale nella cronosquadre e poi, singolarmente, la Medaglia d'Oro alle Olimpiadi nel 1976, anticipando di 31", l'italiano Giuseppe Martinelli (colui che da direttore sportivo legherà la sua carriera al compianto ed indimenticabile Pantani e ai recenti Simoni, Cunego e Nibali), nonché il polacco Nowicki e il belga, tanto talentuoso quanto svogliato, Alfons De Wolf.
Passò professionista nel '77, in Italia, il paese dove consumerà praticamente tutta la sua breve carriera nell'elite del ciclismo, all'interno della Magniflex. Lo si attese all'esplosione verso quei livelli che si vedevano come suoi naturalmente, ma Johansson non donò più le giornate splendenti vissute fra i dilettanti. Belle vittorie, anche una certa regolarità nel novero dei migliori in corsa, ma niente da paragonare a quel passato che via via si allontanava.
Fra i suoi successi vanno segnalati il Giro del Levante, proprio all'esordio, nel 1977, quindi, nella medesima stagione, il Trofeo Baracchi in coppia con Carmelo Barone. Il Giro dell'Emilia e la Cronostaffetta con Giovanni Battaglin nel 1978, il Gran Premio di Prato nel '78 e '79, il Giro del Lazio nel 1980. Nel 1978 fu battuto da Francesco Moser nel Giro di Lombardia. L'annata '79 fu la migliore di Johansson: al Giro d'Italia vinse le tappe di Voghera e Boscochiesanuova (con una stupenda azione di forza su Moser e Knudsen) e chiuse la corsa rosa sul podio, dietro a Saronni e Moser. Nello stesso anno si classificò terzo nella Freccia Vallone, piegato, non senza problemi, da Hinault e Saronni.
Nel biennio '78-'79, partecipò ad ambedue le edizioni del GP Terme di Castrocaro a cronometro e le vinse entrambe. Nella prima occasione, battagliò a lungo con Carmelo Barone e nella seconda, niente popò di meno che con lo specialista olandese Roy Schuiten. Costruì i suoi successi con condotte regolari senza pagare alla distanza lo sforzo richiesto dalla lunghezza e dalle difficoltà del percorso. La flessione di rendimento, già avvertita nella stagione '80, si amplificò nel 1981 e Bernt, senza pensarci troppo, abbandonò il ciclismo pedalato proprio alla fine di quell'anno, a soli 28 anni.
Arrivato alimentando curiosità, se ne andò in silenzio, ma non si può dire abbia deluso, per la semplice ragione che in questo sport si chiede troppo, sbagliando, di rivedere e riprendere nella verità del professionismo, gli echi del dilettantismo. Johansson, nell'elite ciclistica, avrebbe potuto fare di più, ma il raccolto non è per niente da disprezzare, anzi. Nel dopo carriera, ha poi ricoperto incarichi importanti all'interno della nazionale svedese.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 17 aprile
Inviato da: Morris - 17-04-2023, 07:49 AM - Nessuna risposta

Gerard Debaets (Bel)
[Immagine: 16618819341325Debaets,Gerard.jpg]
Nato ad Heule (Watermolen) il 17 aprile 1899, deceduto a North Haledon (Usa), il 27 aprile 1959. Passista veloce su strada ciclocrossista e pistard seigiornista. Indipendente nel 1923 e professionista dal 1924 al 1940 con 13 vittorie su strada ed imprecisate su pista, fra le quali 18 internazionali: 17 Seigiorni ed un Campionato nazionale di Mezzofondo.
È stato il più dotato di una famiglia di cinque fratelli, tutti corridori: César, Michel, Gaston, Arthur, gli altri quattro. Autentico purosangue, se la cavava bene tanto su strada e fra il fango, quanto su pista. Sulla bicicletta parlava un suo linguaggio particolare, da oratore, proprio come nella vita, in particolare quando c’era da contestare i voleri di una famiglia che aveva già modificato gli itinerari del fratello maggiore Michael, ingegnere, che se ne era andato negli Stati Uniti, o quando la Federazione Ciclistica Belga non accettava le sue contestazioni. E quell’eccezionale “flandrien” che era sulla bicicletta, sapeva così divenire un perfetto latino che amava il prodotto delle sue capacità, ovvero quel business che pure il ciclismo doveva saper produrre. Uno che salì in gara sulla bicicletta, causa guerra, già a 21 anni e che vinse subito una prova, la Liegi Verdun, che vedeva allo start pure dei professionisti. Uno che fece suo tre volte il Giro delle Fiandre, la prima, nel 1923, fra gli indipendenti, indi nel 1924 e nel ’27 totalmente fra i prof, diventando il primo a fare doppietta nella grande classica, ben presto divenuta l’incenso della sua terra di nascita. Uno che nel 1925 si impose tanto nel Campionato del Belgio quanto nella Parigi-Bruxelles e che l’anno dopo vinse l’ipotetico ritorno ovvero la Bruxelles Parigi. Uno che provò nel ’25 la Bordeaux Parigi e che arrivò 2° così come arrivò 2° a due Parigi Roubaix, ma sempre con molta sufficienza, perché aldilà della gloria, a suo giudizio, si vincevano pochi soldi per la fatica che ne stava a monte. Ed era meglio ricercarli là dove c’erano. Tanto più alla luce della per lui (che aveva un talento incredibile in ogni azione del pedale) minore fatica di quelle prove, ovvero le Seigiorni, in particolare aldilà dell’Atlantico. Così, dopo l’assaggio vincente del ’25 in quel di New York, iniziò da fine ’27 a correre su pista e sempre più fra Stati Uniti e Canada. Li vinceva e guadagnava, col fratello ingegner Michael che gli preparò la strada, ospitandolo agli inizi e poi facendogli da manager. La leggenda (per modo di dire), dice che il Gerard Debaets se ne andò a New York, dopo aver vinto la di questi Seigiorni assieme all’italiano Tano Belloni, con in tasca un assegno di 5000 dollaro (oltre 90000 euro di oggi) di solo premi. Ma dietro c’erano altre entrate non specificate come l’ingaggio di partenza, le indennità giornaliere fisse, gli accordi di ogni genere stipulati dal fratello manager e persino le scommesse. In altre parole, una fortuna per Gerard che, fra l’altro, si divertiva tantissimo e la gente lo amava perché in fondo oltre allo spumeggiante talento, Debaets evidenziava sorrisi, battute, simpatia e tante acrobazie. E quando a carriera pressoché finita decise, nel 1940, di diventare cittadino degli Stati Uniti, litigando per l’ennesima volta con Federazione belga e famiglia, a Detroit, dove si era stabilito, esattamente al Cadieux Café, si iniziò a tenere ogni anno un bellissimo festival ciclistico il “The Debaets Race”. Festival che è continuato anche dopo la sua scomparsa, come un simbolo alla memoria di un ciclista che, da grande campione in Europa, scelse le Seigiorni di Stati Uniti e Canada, perché era ciclismo anche questo.
Le sue vittorie su strada. 1920 (ancora dilettante): Liegi-Verdun. 1923 (Indipendente): Giro delle Fiandre Indipendenti, Circuit Disonais. 1924 (Labor): Giro delle Fiandre, 1a tappa Critérium des Aiglons, 2a tappa Critérium des Aiglons, Classifica generale Critérium des Aiglons. 1925 (Individuale): Parigi-Bruxelles, Campionato del Belgio su strada, Gp Brasschaat, Gp Soissons. 1926 (Alcyon): Bruxelles-Parigi. 1927 (J.B.Louvet): Giro delle Fiandre.
Le sue vittorie su pista. 1925: Seigiorni di New York (con Alfons Goossens). 1927: Seigiorni di Detroit (con Anthony Beckman). 1928: Sei giorni di New York "1" (con Franco Giorgetti), Seigiorni di Chicago (con Anthony Beckman). 1929: Seigiorni di New York "2" (con Franco Giorgetti), Seigiorni di New York "3" (con Franco Giorgetti). 1930: Seigiorni di New York "1" (con Gaetano Belloni), Seigiorni di Chicago (con Anthony Beckman). 1933: Seigiorni di New York (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Chicago (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Toronto (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Montréal (con Alfred Letourneur). 1934: Seigiorni di New York "1" (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Chicago "1" (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Buffalo "1" (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Detroit "1" (con Alfred Letourneur), Seigiorni di Filadelfia (con Alfred Letourneur). 1936: Campionati Statunitensi di Mezzofondo/Stayer.

Piero Bertolazzi
[Immagine: 15883536091325Bertolazzi,Pierino.jpg]
Nato a Vercelli il 17 aprile 1906, deceduto a Diano Marina il 16 febbraio 1964. Passista veloce, Professionista dalla fine del 1930 al 1935 con una vittoria.
Fenomenale tra i dilettanti; nel 1929 diventò campione del Mondo su strada a Zurigo, battendo in volata un gruppetto di compagni di fuga. Nel 1930, nel mondiale dilettanti di Liegi, mentre si apprestava a disputare la volata venne fermato da una foratura e si piazzò nono. La sua dote principale era la velocità, ma deluse in maniera incredibile le aspettative da professionista, non riuscì mai ad emergere, né ad ottenere risultati significativi. Abbandonò l'attività agonistica nel 1935, dopo quattro anni da professionista, con la vittoria nel GP Industria di Torino come indipendente all’indomani dello sfortunato mondiale dilettanti del 1930, un 2° posto nel GP Nizza del ’31 e l’8° nel GP Europa (Francia) del 1932. Nel dopo carriera entrò a far parte del personale del giornale La Stampa. Successivamente fu anche Direttore Sportivo (in particolare di Frejus ed Ignis).

Willy Lauwers (Bel)
[Immagine: 16377002081325Lauwers,Willy6.jpg]
Nato a Hemiksem il 17 aprile 1936, deceduto in gara su pista a Palma di Maiorca il 12 aprile 1959. Pistard e stradista passista veloce. Professionista dal 1956 con 11 vittorie. Un talento precoce, già con autentiche dimostrazioni di qualità nel massimo ciclismo sia su pista che su strada, venuto a mancare non ancora 23enne in uno dei più tragici e misteriosi incidenti su pista della intera storia del pedale. Soprannominato "Rupske", per un modo particolare di stare sul mezzo, come se fosse un "dondolo" e per doti acrobatiche tanto evidenti ed efficaci, tali da farne una attrazione. Proveniente da una famiglia siamese al ciclismo, figlio di Stan, corridore professionista al pari dello zio Henri alla fine degli anni '30 e fratello di Danny, nato un anno prima della sua morte, trovò sui velodromi un terreno incredibile per formarsi e testimoniarsi versatile e resistente. A 19 anni ai campionati belgi su pista per dilettanti, fece tre gare e non uscì in nessuna dal podio: 3° nella velocità, 2° nell'omnium, e 1° assieme a Guillaume Tobback nell'americana. E che per quest'ultima specialità avesse già le qualità per essere professionista di vaglia, lo si capì subito. Spinto al passaggio fra i prof dall'ambiente stesso delle Sei Giorni, nel '56 esordì nella massima categoria e fu subito significativo. Non ancora ventenne fu protagonista alla Gand Wevelgem che chiuse al 16° posto dopo una gran condotta, indi finì 2° nel GP di Hanret, mentre su pista dopo il 7° posto nella Sei Giorni di Anversa ed il 6° in quella di Gand, finì 2° in quella di Bruxelles assieme a Rijckaert. Nel '57 si migliorò sensibilmente, vincendo da subito con Arnold e Teruzzi la Sei Giorni di Anversa, a quei tempi la più blasonata, finendo 3° nei campionati belgi della velocità fino a raccogliere significative risultanze su strada: 4 vittorie e piazzamenti di valore come il 2° posto nel GP l'Escault. Nel 1958, deciso a provarsi un po' meglio su strada vinse sei corse fra le quali una semiclassica come la Hoegaarden-Anversa-Hoegaarden, dove superò gran parte del gotha del ciclismo belga. Lanciato verso una stagione che doveva vedere nell'estate il punto migliore, segmento che aveva curato poco in precedenza, accettò l'ingaggio per una grande riunione dietro motori al Velodromo Tiradon a Palma di Maiorca il 12 aprile 1959. Fra gli stayer si era già cimentato ed anche lì aveva mostrato grandi doti, ma la tragedia purtroppo lo attendeva. Caduto a causa di motivi mai chiariti (forse lo scoppio di un tubolare), fu investito dalla grossa moto di Vicente Ferra, allenatore di Pedro Gomila, trovando la morte praticamente all'istante. Le circostanze dell'incidente, comunque, non furono mai chiarite: quel che è certo, è che in quel momento gli stayer di testa, dove si trovava Lauvers, stavano viaggiando ad 85 km/h.

Francis Augustin Bazire (Fra)
[Immagine: 15370831191325Bazire,Francis.jpg]
Nato a Écalles-Alix (Alta Normandia) il 17 aprile 1939, deceduto a Rouen (Alta Normandia il 18 gennaio 2022. Passista veloce. Professionista nel 1965 e 1966 senza ottenere vittorie.
La convinzione, in gran parte popolare che i normanni dovessero essere biondi alla Jacques Anquetil o alla Gerard Saint, si infrangevano in quegli anni con quel bruno che era Francis Bazire, un corridore che fece presto a diventare popolare perché gran dilettante, probabilmente il migliore per corse di un giorno che aveva la Francia a cavallo degli anni sessanta. Già, perché la fama del ragazzo di Écalles-Alix, fu così capace di varcare i confini francesi, visto il suo protagonismo nei grandi appuntamenti internazionali, dove fu sempre un bel piazzato. In patria, da “puro”, fu vincente nel 1959 nella rinomata crono Pont-Audemare (lunga 85,6 km!), fu poi 3° nel 1960 nella Parigi Troyes e nel Tour du Finistère, 3° nei Campionati Francesi su strada nel ’63. Meglio fuori Francia: 5° (primo transalpino) ai Mondiali di Salò ’62, vincitore a Napoli dei Giochi del Mediterraneo ’63, indi 2° dietro all’italiano Vicentini ai Mondiali di Renaix in Belgio sempre nel ‘63, nonché 4° (primo francese) ai Mondiali di Sallanches in terra d’oltralpe e 54°, ma animatore, delle Olimpiadi di Tokyo. Insomma una lunga serie di segni positivi, ma pure una lunga, troppo lunga militanza fra i dilettanti. Arrivò cosi al professionismo in seno alla Peugeot di Gaston Plaud nel 1965, già troppo spremuto. Si potrebbe dire spento. Nei due anni nell’élite del ciclismo, fu 3° nel Circuit de la Vienne, ed in due Criterium, a Saint-Macaire-en-Mauges e ad Hénon nel 1965, ed il suo miglior risultato lo colse in Belgio, quando finì 2° nella Hoeilaart - Diest – Hoeilaart, nel ’66. Alla fine di quest’ultima stagione, intelligentemente, abbandonò il ciclismo agonistico.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 16 aprile
Inviato da: Morris - 16-04-2023, 12:48 AM - Nessuna risposta

Mario Bruschera
[Immagine: 1238234756BRUSCHERA%20Mario.jpg]
Nato a Milano il 16 aprile 1887 ed a Milano morì il 23 febbraio 1968. Professionista dal 1909 al 1915 con 8 vittorie. Come tutti i corridori dell'epoca, anche quelli che superficialmente si definivano velocisti, era dotato di fondo, e non poteva essere diversamente, vista la morfologia delle gare su strada del tempo. Questo milanese però, possedeva nei finali una grande lucidità che lo faceva più veloce di altri. E lo dimostrò compiutamente nella sua vittoria più illustre, proprio la XX Settembre 1910, quando, sia sul traguardo intermedio di Napoli, che in quello decisivo di Roma, seppe battere i due più forti corridori italiani, ovvero Ganna e Galetti, anch'essi accreditati di ottimi spunti veloci.
Buschera confermò dunque quanto di buono si era potuto vedere di lui nell'anno d'esordio, ovvero il 1909, quando vinse la Coppa Val d'Olona, finì secondo nel Campionato Italiano su strada, terzo nel Giro della Provincia di Pavia e nella Milano Modena. Prima della Roma-Napoli-Roma, nel 1910, aveva già vinto due tappe del Giro "Ai mari, ai laghi, ai monti" e il Circuito del Casalese. Successivamente, s'aggiudicò il Giro del Piemonte nel 1911 e la Coppa San Giorgio nel 1912, anno nel quale finì 5° al Giro di Romagna. Ma la sua carriera fu assai breve, poiché sfociò in un rapido declino, ancor prima dell'arrivo della Prima Guerra Mondiale. Nel 1913 e nel 1914 nonostante l'inserimento in formazioni di rilevanza, non si fece mai notare e dopo il conflitto, pur avendo solo trenta anni, non riprese più l'attività agonistica.

Herman Frison (Bel)
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Nato a Geel il 16 aprile 1961. Passista veloce. Professionista dal 1983 al 1996 con 30 vittorie. Un buon corridore che è stato un'ottima spalla, o un gregario di pregio, a seconda delle visioni, ma non un campione. E come tutti i corridori di buon livello, possibile al raggiungimento di qualche traguardo stellare, in particolare quando questi si determinava in una sola giornata.
Buon dilettante (fu secondo nel Campionato nazionale '83, poco prima di passare nell'elite), ma non eccelso, anche perché pur essendo veloce non possedeva lo spunto letale e pagava le ascese lunghe, nonché la ripetitività ravvicinata di quelle corte. Caratteristiche che ha mantenuto fra i professionisti, anche se moderatamente più smussate. Le aggiunte importanti, che sono poi quelle che gli hanno consentito un più che discreto palmares, stavano nell'abnegazione verso il mestiere, ed in una determinazione feroce, capace di sopportare oltre i limiti delle proprie consistenze fisiche, il peso della corsa. In ogni caso, un esempio del declino in cui si era ficcato il ciclismo belga, durante il segmento in cui Herman Frison ha corso. Anzi, il pedale fiammingo e vallone, deve ad atleti come lui, una devozione speciale, perché grazie a loro, fu attutito il colpo dei tre lustri più neri della storia di quel ciclismo. Fra i 30 successi del corridore di Geel, spicca la Gand Wevelgem 1990, ma vanno sottolineati pure quelli nella Quattro Giorni di Dunkerque '87 e nella tappa di Pforzheim al Tour de France 1987 e nella Heusden-Destel-Bergen '94.
Il suo ruolino.
1983: 3a Tappa (a) del Giro d'Olanda. Piazzamenti importanti: 3° nel Giro d'Olanda. 1984: Criterium di Booischot. 1985: Criterium di Tongerlo. 1986: GP Stad Vilvoorde; Sint-Pieters-Leeuw; Chaumont-Gistoux; 5a e 6a Tappa del Giro delle Valli Minerarie. Piazzamenti importanti: 2° nel Campionato delle Fiandre; 3° nella Mandel - Leie - Schelde. 1987: 4a Tappa del Tour de France; Quattro Giorni di Dunkerque; 2a Tappa della Quattro Giorni di Dunkerque; Grote Prijs; Criterium di Peer. Piazzamenti importanti: 2° nell'Attraverso il Belgio; 3° nella Gand-Wevelgem 3° nel Campionato Nazionale su strada. 1988: Polder-Kempen; 2a Tappa del Giro di Danimarca; Criterium di Kalmthout, Geetbets e Humbeek. Piazzamenti importanti: 2° Campionato nazionale su strada. 1989: Sint-Katelijne-Waver; Hageland-Zuider-kempen; Criterium di Viane e di Betekom. Piazzamenti importanti: 2° nel Giro delle Fiandre; 3° nel Campionato delle Fiandre. 1990: Gand Wevelgem; 2a Tappa del Tour della Comunità Europea; Cri-terium di Nokere. 1991: Putte-Ka-pelle; Criterium di Wetteren. 1992: Criterium di Waver e di Dilsen. Piazzamenti importanti: 2° nel GP Impanis; 3° Mandel-Leie-Schel-de. 1993: Druivenkoers-Overijse. Piazzamenti importanti: 2° Parigi-Bourges; 2° nel GP Jef Scherens. 1994: Heusden-Destelbergen.

Rolf Maurer (Sui)
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Nato il 16 aprile 1938 a Hedingen ed ivi deceduto il 6 giugno 2019. Passista scalatore. Professionista dal 1960 al 1969 con 16 vittorie. A giudizio di chi scrive, uno dei corridori più intelligenti degli anni sessanta e, probabilmente, lo svizzero più brillante di quel periodo. Un atleta, che sapeva far tesoro di quello che era il suo potenziale non da super e nemmeno da campione di prima fascia, cogliendo sempre il massimo di ciò che poteva. E le sue vittorie, tra l'altro sempre colte col piglio di uno che lascia a chi osserva la sensazione che a vincere fosse il più forte. Non era così, ovviamente, ma anche questo da un segno della sua abilità. Sino ai 25 anni, ad esempio, sfruttò al massimo le possibilità che gli venivano dallo status di indipendente, correndo sia tra i dilettanti che tra i professionisti, ed acquisendo una esperienza che se fosse rimasto solo tra i "puri" o avesse anticipato troppo il passaggio, non sarebbe stata possibile. Ed in quella fase raccolse vittorie e piazzamenti che gli sono serviti non poco, sia come verifica che come stimolo, per tracciare la carriera migliore in questo sport. Da dilettante, nel '57, si era segnalato per la vittoria nel campionato svizzero dell'inseguimento, poi nell'anno d'esordio fra gli indipendenti, il 1960, per la vittoria nel Giro del Mendrisiotto, ed una serie di piazzamenti importanti per un giovane. Nel 1961, fece un gran salto vincendo il Campionato di Zurigo, allora non ancora la classica che poi è stata per anni, ma pur sempre una bella corsa, a cui aggiunse l'ottimo successo nel GP di Friburgo. Dopo una stagione d'assestamento coincidente pure con la ferma militare, passò totalmente fra i prof nel '63 e vinse una tappa del Giro di Romandia. Il 1964 fu il suo anno d'oro. Vinse dapprima il Giro di Romandia, quindi in solitudine la 10 tappa del Giro d'Italia che si concludeva a San Marino e chiuse la "corsa rosa" al 9° posto. In giugno trionfò, è proprio il caso di dirlo, nel Giro della Svizzera, dove, oltre alla classifica generale finale, s'aggiudicò due tappe e la rassegna dei GPM. In seguito vinse il GP Liechtenstein nel '65, la 1a tappa della Tir-reno Adriatico '66 (che chiuse 3°), il Giro dei Quattro Cantoni, il GP Campagnolo a Vicenza e la 5° tappa del Giro di Svizzera nel 1968. Nel suo ruolino non sono poi mancati i buoni piazzamenti nei campionati svizzeri (3° nel '61 e 2° nel '62), nel Giro di casa (2° nel '63 e '67), ed in altre prove.

Roberto Poggiali
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Nato a Firenze il 16 aprile 1941. Completo, alto m. 1,71 per kg. 65/66. Professionista dal 1963 al 1978 con 10 vittorie.
La sua interminabile carriera e le vittorie pure di pregio colte, non rendono a questo corridore fiorentino, un atto sincero sulla sua tangibilità nella storia del ciclismo di due decadi. Roberto Poggiali è il classico corridore che se fosse vissuto in un'epoca come quella odierna, fatta di programmatori oltre ogni limite di ragionevolezza, sarebbe stato un campione considerato e riverito. Aveva tutto per emergere, ma doveva correre tutto l'anno il più possibile al massimo e, non essendo veloce, preferì aiutare, per gran parte della sua carriera, i compagni, in particolare Felice Gimondi e Francesco Moser, ai quali donò le sue non comuni ed indubbie facoltà.
Ciononostante, fu un evidente degli anni Sessanta e Settanta, un leader non riconosciuto come tale nelle enunciazioni dell'osservatorio, ma poi puntualmente presente nella sostanza. Un gran corridore, verso il quale resterà perenne, nel sottoscritto, un'immagine positiva e un'ammirazione ben superiore a quella riservata a campioni ricchi di presenze negli albi d'oro, ma che non riconosco con le medesime qualità di Poggiali.
La storia dello sport e del ciclismo in particolare, non va sempre letta sulle facciate, ci sono riferimenti e disquisizioni sottili che possono permettere una visione più precisa dei contesti e delle realtà e se sono qui ad innalzare Roberto, è solo per meri suoi meriti.
Gran dilettante, vinse tra l'altro il campionato italiano di categoria nel 1962, passò professionista presto, come si dovrebbe sempre fare, l'anno seguente, a ventuno anni e mezzo, senza seguire il miraggio delle Olimpiadi. Già alla prima stagione, corsa in maglia Lygie, chiuse bene il Giro al 24° posto, aiutando il dominio del capitano Taccone, nelle sue quattro tappe vinte consecutivamente. Nel '64, scioltasi la Lygie, approdò alla Ignis: finì il Giro d'Italia al 14° posto, dopo esser stato terzo nella difficile tappa di San Pellegrino. In evidente crescita tecnica e d'approccio all'agonismo, Poggiali fu autore di una bellissimo 1965, legando il suo nome ad una classicissima come la Freccia Vallone, quel giorno resa "storica" dal debutto al professionismo (con immediato protagonismo prima del ritiro), di chi diverrà, di lì a poco, il più forte ciclista mai visto (per me anche il più grande atleta dell'intero sport), Eddy Merckx.
Roberto si trovò nella fuga decisiva a tre con Felice Gimondi e Tommy Simpson e lì batté sul traguardo di Marcinelle, con un perentorio scatto nel finale. Al Giro d'Italia finì 8°, dopo esser giunto terzo nella tappa di Firenze mentre in Spagna, nel Giro di Catalogna vinse la quinta tappa.
Nel '66 passò alla Bianchi, ma complice qualche acciacco di troppo, non trovò mai occasione di emergere. Chiuse comunque il Giro, al 21° posto. Nel 1967 s'aprì una nuova era per il forte corridore toscano. Felice Gimondi, che ben conosceva le qualità di Poggiali, lo volle in seno alla Salvarani e per Roberto iniziò un lavoro di gregariato di lusso, che gli tolse molte delle possibilità individuali.
Tornò a ruggire nel 1970, quando il bergamasco gli lasciò qualche licenza e lui, bellamente, trionfò nel Giro di Svizzera. Un'altra dimostrazione delle sue qualità la diede chiudendo la "corsa rosa" all'undicesimo posto, senza curare minimamente la classifica. Nel '71 vinse la Coppa Sabatini e, finalmente, fu convocato in azzurro per i Mondiali di Mendrisio, dove fu una pedina importante.
Nella stagione seguente vinse, col solito assolo, il G.P. Cannes, ed a fine anno, chiuse il suo sodalizio con Gimondi, passando alla Sammontana di Alfredo Martini assieme all'amico Franco Bitossi. Vinse la tappa di Monte Sant'Angelo del Giro di Puglia, chiuse il Giro al 12° posto, giunse 2° nel Giro del Lazio e nel G.P. di Castrocaro, mentre in azzurro, fu una pedina peculiare (finì 9°) nel trionfo di Gimondi al Mondiale.
Un nuovo capitano, Francesco Moser, ed un nuovo team, la Filotex, nel 1974. Nell'anno, in mezzo ai soliti e non elencabili tanti piazzamenti, colse i successi nel circuito di Magliano e, alla grande, nel Giro del Lazio. Si ritirò, dopo aver fatto il suo lavoro, ai mondiali di Montreal. Nel '75 vinse il Giro del Friuli, e giunse 18° al Mondiale. Nell'anno successivo, con già 35 primavere alle spalle, fu ancora importante per Moser e trovò il modo, oltre a finire tra i protagonisti la "corsa rosa" (12°), di vincere quel Giro dell'Umbria che, negli anni precedenti, gli aveva riservato due amari secondi posti. Azzurro ad Ostuni, fu anche in quella occasione una spalla importante per Moser.
Continuò a correre fino al '78, dimostrandosi in ogni occasione un faro del gruppo. Finita la carriera divenne direttore sportivo, ma in quel ruolo così importante soprattutto per i più giovani, non vi rimase molto tempo. Un peccato.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 15 aprile
Inviato da: Morris - 15-04-2023, 06:34 AM - Nessuna risposta

Armando Fabbri
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Nato a Cesena il 15 aprile 1927. Passista scalatore, alto m. 1,75 per 70 kg. Professionista nel 1952 al '53, senza ottenere vittorie. I suoi esordi si consumarono nella categoria dei liberi, dopo il conflitto, quando il suo soprannome, "Martèin", divenne popolare quanto le sue copiose vittorie. Certo, successi che contavano poco agonisticamente, però l'importante, per lui e il suo intorno, c'era eccome. Passato dilettante all'interno della culla storica del ciclismo cesenate, ovvero l'Unione Ciclistica Renato Serra, si mostrò tanto bravo in salita, quanto vulnerabile negli arrivi in volata. Ma la sua scorza di corridore comunque tenace, gli consentì di vincere diverse gare nel territorio marchigiano e di cogliere piazzamenti di pregio. Al punto che nel 1952, riuscì a conquistare il passaggio fra i professionisti con la Welter-Ursus. Qui però, nonostante talune belle gare, in specie alla Milano-Torino quando fu l'unico a tenere la ruota di Fiorenzo Magni in discesa (guadagnandosi i complimenti del "terzo uomo"!), non ebbe la possibilità di sfondare, ed a fine anno, la morte prematura del padre, lo costrinse ad abbandonare l'attività.

Graham French (Aus)
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Nato a Ulverstone (Tasmania) il 15 aprile 1926, deceduto in Gold Coast il 9 marzo 2012. Pistard Stayer in particolare. Professionista dal 1951 al 1959 con un numero imprecisato di vittorie si pista di cui almeno 15 di primario valore internazionale.
Arrivò all'aeroporto di Bruxelles alla fine del 1954, con due ruote ed una bicicletta che pareva un cancello, veniva dall'Australia, ed era sconosciuto a tutti. Il suo nome non figurava fra i già nobili aussie che avevano impreziosito le piste degli affollatissimi GP del periodo, dei Mondiali e delle Olimpiadi. Di quella terra lontana ed affascinante, che era diventata dimora e nuovo paese dell'italiano Nino Borsari, olimpionico nel 1932, si conoscevano bene Sid Pattersson (l'unico capace di vincere un mondiale sia nell'inseguimento che nella velocità), il grandissimo Russel "Mocka" Mockridge, corridore totale e sempre in grado di stravolgere tutta la conoscenza ciclistica fin lì evidenziata, il velocista Lionel Cox, il seigiornista Reginald Arnold, ma di questo Graham French, nessuno proprio sapeva nulla. Già, perché le sue generalità recitavano quel nome e quel cognome, la data di nascita nel 15 aprile 1927 (coetaneo di Pattersson, dunque) e quella provenienza da Ulverstone in Tasmania che poi tanti smarriranno, forse per mantenere alto quel mistero che coinvolge, ancora oggi, il tratto agonistico di questo figlio dell'incantevole isola a sud dell'Australia continentale.
Qualcuno aveva dato al biondo e piuttosto tozzo Graham, l'indirizzo di un allenatore ed un tempo campione delle gare dietro moto: Frans Cools. Quell'incontro serviva come il pane al tasmaniano, perché era quella la specialità che un paio di mesi prima, Sid Pattersson, sulla pista di Melbourne, gli aveva consigliato come la più adatta ai suoi mezzi. Ed il già quasi ventottenne French, voleva assolutamente provarla. Nella sua lontana terra, gli stayer erano solo un'attrazione ancor densa di curiosità e le gare erano davvero pochissime. Quando si presentò a Cools, sconosciuto com'era, il buon Graham un po' guascone come tutti i tasmaniani, pensò bene di darsi una credibilità, sostenendo d'essere un amico e compagno di squadra di Mockridge, proprio quell'anno vincitore di una gara molto sentita dai fiamminghi con ambizioni su pista: il GP Marcel Kint. In parte le dichiarazioni di French erano vere: con "Mocka" aveva condiviso la stessa appartenenza nell'equipe australiana Rudge, ma nel ciclismo aussie del periodo, le squadre erano davvero sui generis e non andavano molto oltre la semplice conoscenza dei singoli. Le parole del giovanotto però, furono sufficienti ad alimentare la curiosità di Cools, che decise di provare le qualità del ciarliero Graham sulla magica pista di Anversa. Fu proprio un derny, il primo riferimento europeo di French, professionista isolato già nel '51, poi per due anni fermo ad allevare bestiame, ed il ritorno proprio durante il '54, sempre nelle poco competitive gare australiane.
La risposta di Graham sulla pista fu strabiliante. Frans Cools capì subito che le doti del ragazzo della Tasmania erano primarie: French rispondeva alle sue accelerazioni e sapeva mantenere una forte velocità sulla linea degli stayer. Le prove dei giorni successivi superarono i primi responsi, ed anche le risposte con le moto degli stayer furono estremamente convincenti: Frans Cools, allenatore esperto, ma ancor giovane, aveva trovato un campione in grado di competere con gli assi del periodo, Dolf Verschueren su tutti.
Il record sull'ora dietro derny di Graham French.
Frans Cools, volle bruciare le tappe. Graham, il tasmaniano era in Europa da una sessantina di giorni e dietro le spalle aveva esperienze ridicole, ma per l'allenatore era già pronto per entrare nella storia del ciclismo. Deciso ed impavido il "pacer" di Crayford, prenotò il velodromo di Anversa per il 7 febbraio 1955, con l'intento di portare Graham French a cancellare il primato di Verschueren. Per il corridore degli antipodi, l'occasione era ghiotta, d'altronde non era certo nelle condizioni di poter mettere dubbi o contestare il suo allenatore. In fondo non aveva niente da perdere, ed agli occhi dell'osservatorio era ancora un perfetto sconosciuto. Ciononostante, il pubblico accorse numeroso, attirato dalla curiosità di vedere quell'atleta venuto dal nulla, elevare la sfida "all'uomo dietro moto" per antonomasia. Il tentativo si svolse regolarmente, e si dipanò senza nessuna tabella di marcia concordata, ma con la sola sensibilità di Cools a dettare i ritmi per le gambe, a suo giudizio convincenti, di French. Nell'animo del "pacer" belga, la volontà di segnare qualcosa di unico, era forte al punto, di condurre la prestazione dell'aussie su ritmi in grado di poter superare i sessanta all'ora.
Per una cinquantina di minuti, i piani molto istintivi di Cools, stazionarono sulle ali della speranza più impensabile, con una media collocata sui 60,300 kmh! Solo nei dieci minuti finali, l'ovvia flessione di Graham, fece scendere la media a 59.875 kmh, ma era pur sempre record mondiale, con la bellezza di 1 km e 189 metri in più del grande Dolf Verschueren.
Graham French l'aveva fatta davvero grossa, quasi volesse rivivere, nel suo campo, la celebre frase di Caio Giulio Cesare: "Veni vidi vici"!
La carriera di Graham French.
Sulle ali di quell'incredibile primato, il corridore di Ulverstone, provò la corsa dietro derny su strada, a Wevelgem, uscendo sconfitto d'un soffio dallo specialista belga Lucien Demunster, Si schierò poi su pista, nei GP degli stayer, ed anche dietro le grosse moto, si dimostrò degno del record mondiale dell'ora coi derny, non uscendo mai dai primi cinque. Vinse la Ruota d'Oro, ed assaggiò i podi illustri: finì, infatti, terzo, dietro al giovane fenomeno tedesco Karl Heinz Marsell e al sire Dolf Verschueren, nel Campionato Europeo, mentre ai Mondiali che si svolsero al Vigorelli di Milano (dove lo spagnolo Guillermo Timoner vinse la prima delle sue sei maglie iridate), giunse quarto.
La puntata italiana, gli valse un contratto con la Torpado per la stagione successiva. Nel 1956, il suo crescendo di risultati continuò, anche se finì il sodalizio diretto con Frans Cools. Affidatosi al pacer Georges Grolimund, confermò il terzo posto agli Europei Stayer (battuto da Verschueren e dal francese Godeau), ma ai Mondiali di Copenaghen sbaragliò il campo, laureandosi, proprio ai danni del grande Timoner e dello svizzero Bucher, Campione del mondo.
Nel 1957, onorò la maglia iridata, confermandosi fra i migliori e chiuse la stagione col terzo posto ai Mondiali di Roucourt, dietro al belga Depaepe e allo svizzero Bucher. In quei tre anni che lo avevano posto all'attenzione mondiale, Graham French, dispensò sorrisi ed una spiccata simpatia, ma mantenne ugualmente quell'alone di mistero che pareva a lui siamese fin dal suo arrivo a Bruxelles. Alla fine dell'anno, dopo il secondo posto nel GP di Zurigo (vinto da Depaepe), tornò in Australia.
Nel 1958, i suoi viaggi per le gare in Europa furono pochi ed incolori. Ai mondiali di Parigi guadagnò la finale ad otto, ma poi deluse, giungendo settimo. Il suo canto del cigno si consumò alla "Sei Giorni" di Melbourne, dal 16 al 21 marzo 1959, dove, in coppia con Murray, giunse secondo dietro Pattersson e Reynolds. Il giorno dopo, appese la bicicletta al chiodo e sparì letteralmente dal mondo del ciclismo, tornando nella nebbia degli enigmi, proprio come prima del suo arrivo a Bruxelles. Si sa, perché me lo ha raccontato Danny Clark, che è stato il silenzioso maestro di diversi ciclisti, lui compreso. È morto agli inizi di settembre 2012 in Gold Coast, dove s’era trasferito a fine anni novanta.   

Raymond Poulidor (Fra)
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Nato a Masbaraud-Merignat (Francia) il 15 aprile 1936; alto 1.72, peso forma kg. 69. Completo. Professionista dal 1960 al 1977 con 197 vittorie comprese le speciali classifiche. Un modello di coscienza professionale, dotato di un carattere semplice, ricco di simpatia e con una serenità di fondo (sempre sorridente ed affabile, sia nelle vittorie che nelle sconfitte), che lo ha reso popolarissimo: si potrebbe dire parte integrante delle proiezioni sportive delle famiglie francesi. Decisamente preferito nei confronti di un altro grande transalpino del momento: Jacques Anquetil. Soprannominato "Poupou", la folla lo salutava con ammirazione e con grande simpatia, quasi lo invocava. Professionista a 24 anni in quanto per 28 mesi aveva dovuto prestare servizio militare in Africa del Nord, si è bene amministrato restando sulla breccia fino a 41 anni, correndo sempre con la maglia della Mercier. Un sondaggio del 1973, rivelò che il quarantotto per cento dei francesi considerava Poulidor come il campione francese più conosciuto ed apprezzato. Ha conquistato quasi duecento successi, a dispetto di chi lo ha definito un "eterno secondo".
Tra queste vittorie, il Campionato nazionale (1961); Milano-Sanremo (1961); Freccia Vallone (1963); Giro del Delfinato (1966); 1 Vuelta di Spagna (1964); Circuito Sei Province (1969); Settimana Catalana (1973); Etoile des Espoirs (1971); 2 Parigi-Nizza (1972-1973); Midi Libre (1973); GP Cannes (1964); 5 Criterium Nazionale (1964-1966-1968-1971-1972); Nizza-Seillans (1969); GP Nazioni (1963); GP Lugano (1963); Mont Faron (1966); Trofeo Super Prestige (1964); Sette successi di tappa al Tour de France. Ha preso parte a 14 edizioni della Grande Boucle, ma la sua lunga carriera non gli ha mai offerto la gioia di primeggiare a Parigi. Non solo, ma pur da grandissimo protagonista per tre lustri al Tour de France, non è mai riuscito, neppure per un giorno, a indossare la maglia gialla. Eppure vanta un ruolino pazzesco: 3° nel '62, 8° nel '63, 2° nel '64, 2° nel '65, 3° nel '66, 9° nel '67, ritirato nel '68, 3° nel '69, 7° nel '70, 3° nel '72, ritirato nel '73, 2° nel '74, 19° nel '75 e 3° nel '76. Avrebbe fatto meglio se, come tanti altri campioni, avesse cercato la messa a punto della condizione al Giro d'Italia, che invece non ha mai disputato. Pochissime, in effetti, sono state le sue presenze nelle corse italiane. Gli manca pure la maglia iridata, ma nelle 15 partecipazioni al Mondiale, è stato 2° nel '74, 3° nel '61, '64 e '66, nonché 5° nel '60 e '63. Un grandissimo corridore, dunque. Un altro che rende ridicoli i dogmi di chi osserva col pallottoliere delle vittorie e che ha contribuito a rimandare al mittente le stupidaggini di chi ha fatto del ciclismo il cultore sportivo dei primi posti, traducendo in sconfitto per antonomasia il secondo arrivato.

Roger Rondeaux (Fra)
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Nato a Mareuil-le-Port il15 aprile 1920, deceduto a La Rochelle il 24 gennaio 1999. Ciclocrossista e stradista. Prof dal 1947 al 1957 con 23 vittorie fra cross e strada.
Un padre del ciclocross a tutti gli effetti. Primo, per essere stato colui che più di tutti (anche di Robic) lo ha fatto cementare su orbite diverse da quelle della sperimentazione, alle quali era ancora relegato nell'immediato dopoguerra. Secondo, per essere stato capace di far capire a taluni scettici quanto il ciclocross non fosse una pratica in antitesi alla strada e non a caso i suoi migliori risultati sui non numerosi asfalti della sua epoca, li ha raggiunti quando era la stella del fuoristrada. Terzo, per aver contribuito in maniera notevole allo sviluppo di una tecnica nell'affrontare gli ostacoli di una gara di ciclocross. Rondeaux si dedicò a questa disciplina subito dopo la guerra, quando aveva già 25 anni. Fino a quel momento per motivi ovvi, il suo rapporto col pedale s'era dipanato su comunque rare esperienze amatoriali. Il ciclocross, con la sua promiscuità per categorie e licenze, gli consentì un più facile inserimento, e quella fu la vera causa scatenante della sua militanza. Si scoprì nel 1945, quando giunse 3° nel campionato nazionale di cross, dietro a Robic e Piot. L'anno successivo colse su strada un importante 3° posto nel Circuito del Mont Vantoux e nel cross si confermò figura di valore, giungendo 2° nel Criterium International: di fatto un mondiale della specialità senza essere codificato come tale. Nel '47, la sua consacrazione: vinse il primo dei suoi 7 Titoli nazionali di ciclocross (gli altri nel '48, '49, '51, '52, '53, '54) e finì 2° nel Criterium dietro Robic. Ma ormai era una stella e nel 1948 e nel '49 quel mondiale non ufficiale fu suo. Finalmente, nel 1950, l'UCI definì anche per il ciclo-cross i campionati mondiali che su disputarono a Parigi il 26 febbraio. Rondeaux inanellò un gran duello con Robic e la prova si chiuse allo sprint, dove a vincere fu "Testa di vetro". L'egemonia di Rondeaux era però alle porte e si concretizzò con 3 Titoli Mondiali nei tre anni successivi che potevano essere 4, se a Crenna, nel '54, non fosse caduto e non avesse rotto il telaio della bicicletta. Sulla soglia dei 35 anni, il vecchio sire, lasciò il testimone ad André Dufraisse e, di fatto, si ritirò. In tutti quegli anni però, aveva pure trovato il modo di emergere anche su strada, cogliendo vittorie soprattutto in Spagna, dove, nel '52, aveva vinto la Subida a Arantzazu e tre tappe della stessa. Rondeaux era davvero il prototipo di un ciclocrossista: agile, flessibile ed abile nel risalire in bicicletta su ogni tipo di terreno, o circuito di gara. Un grande.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 14 aprile
Inviato da: Morris - 14-04-2023, 12:23 AM - Nessuna risposta

Georges Decaux (Fra)
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Nato a Gamaches (Haute Normandie) il 14 aprile 1930, deceduto a Abbeville (Picardie) il 12 ottobre 2015. Passista veloce e pistard. Professionista dal 1952 al 1956 con 6 vittorie su strada ed imprecisate su pista di cui una di valore internazionale.
Il richiamo del record mondiale dell'ora dietro derny, ottenuto dal non trascendentale Jean Bobet, stuzzicò subito le volontà di Georges Decaux, un connazionale coetaneo, campione nazionale fra gli stayer nel 50 e nel 51, quando ancora militava fra i dilettanti e gli indipendenti. Decaux, normanno, come tanti corridori del tempo, pur avendo nella pista il suo pezzo forte, non disdegnava di frequentare, soprattutto in estate, le gare su strada. Ed infatti, proprio nella sua unica partecipazione al Tour de France '52, aveva subito raccolto una vittoria, grazie ad una lunga fuga, nella tappa Avignone-Perpignan. Fu quello il successo più importante della sua carriera (le altre sue vittorie, furono colte nelle edizioni 1952 e 1954, del Circuito della Valle della Loira), anche se, sull'amico mezzofondo, seppe conquistare il secondo posto nel Campionato Europeo '56 (fu terzo nel '52) ed i titoli nazionali della specialità nel '56-'57-60. Ma l'abilità di questo transalpino originale, sempre sorridente e peperino, si scontrò con autentici mostri dei tondini e solo sulla sua terra, riuscì ad emergere con la costanza che la sua agilità e resistenza facevano presagire. Decaux, sapeva bene che il record di Bobet era battibile per uno con le sue caratteristiche e voleva anticipare il connazionale Queugnet, più solido e di maggior spessore internazionale, anche se spesso perdente in patria al suo cospetto. Pochi mesi dopo Jean Bobet, dunque, Georges Decaux, tentò il record dell'ora dietro derny sul medesimo velodromo di Parigi e, con una condotta prudente, tutta votata a superare il limite del meno illustre dei Bobet, riuscì nell'impresa: 55,195 km. Decaux scese di bicicletta con una convinzione: quel primato era superabilissimo, se a tentarlo fosse stato uno stayer di pregio. Il pensiero di Georges era condiviso da altri........

Giacomo Fini
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Nato a Seravezza (Lucca) l'11 aprile 1934. Passista scalatore, alto m. 1,82 per kg. 74. Professionista dal 1957 al 1961 con 4 vittorie. Un ciclista che pareva potesse diventare un big, non già fra i dilettanti dove pur forte si confondeva fra i tanti, bensì nella promiscuità importante e significativa degli indipendenti, dove la mescolanza fra la categoria cadetta e quella assoluta dava più precise dimensioni sull’atleta, la sua crescita e le prospettive. Lo chiamavano pure la “Speranza della Versilia". Fini si rivelò soprattutto proprio nel primo anno fra gli “indipendenti”, dove conquistò tutti i traguardi vincenti di carriera, nonché il Campionato Italiano della categoria ed incontrò il primo personaggio che lo lanciò ai vertici ciclistici, Learco Guerra. Costui capì che il ragazzo versiliese aveva i numeri sufficienti per pedalare fra i grandi professionisti. Perlomeno poteva essere una gran spalla o gregario. E così fu. Non a caso il Titolo Tricolore, che era a punti su più prove, il Fini lo aveva vinto grazie alla sua straordinaria regolarità che era poi quello che il Guerra cercava. Sta di fatto che poi, il giovane di Serravezza, arrivò alle corti di grandi corridori, come Rik Van Looy, Charly Gaul, Federico Bahamontes, Emile Daems, Germain Derijcke, Rolf Graf, Guido Carlesi ecc. Partecipò a 4 Giri d’Italia che concluse tutti (70° nel '57, 78° nel 1959, 95° nel 1960, 79° nel 1961). Finita la carriera a soli 27 anni, aprì dapprima un maglificio indi assieme alla moglie Giulia iniziò a gestire stabilimenti balneari dove nei primi anni settanta conobbe Vincenzo Torriani che lo convinse ad accettare un incarico via via più importante nella direzione tecnica del Giro d’Italia e di tutte le corse organizzate da “La Gazzetta dello Sport”. E lì, il predestinato Fini, passò altri decenni nel grande ciclismo.
Le sue vittorie. 1957 - Faema-Guerra (4): Campionato Italiano Indipendenti (Classifica Finale a punti), Gp Montenero di Bisaccia, Gp Castelluzzo (Sicilia), Gp Cosenza.
I suoi piazzamenti più importanti. 1957: 2° alla Coppa Sabatini, alla Milano Rapallo, al Giro Valle del Crati, 3° al Giro del Piemonte, 6° al Giro dell’Emilia, 9° Coppa Mostra del Tessile, 12° Giro dell'Appennino, 13° nella Coppa Agostoni e nella Coppa Bernocchi. 1958: 2° al Gp Pistoia, 4° nel Giro dell'Appennino, 5° Circuito di Frosinone, 7° prima Tappa Giro di Sicilia, 7° Giro della Provincia di Reggio Calabria, 8° sesta Tappa Giro di Sicilia, 9° G.P. Ceramisti - Ponzano Magra, 9° Giro di Sicilia, 10° al Giro di Toscana e al Giro di Sardegna, 13° Giro di Romagna, 15° Milano-Torino. 1959: 9° Giro delle Alpi Apuane. 1960: 10° decima Tappa Giro d'Italia, 11° Milano-Vignola, 14° Giro del Veneto, 15° sesta Tappa Giro d’Italia. 1961: 13° G.P. Industria e Commercio di Prato.

Mario Gervasoni
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Nato a Gabella Ligure (AL) il 14 aprile 1932, deceduto a Novi Ligure (AL) il 31 marzo 2014. Passista scalatore, alto m. 1,78 per kg. 68-70. Professionista dal 1952 al 1958 con 8 vittorie. Un corridore più popolare di quanto sia comune pensare. Fu un riferimento per il mondo dei professionisti indipendenti nella sua zona, anche se non riuscì mai ad entrare nei sodalizi che videro Coppi mitico faro. Un buon corridore che non aveva sprint sufficiente per cogliere qualche traguardo in più e che, per questo, sfiorò traguardi anche di un certo peso.
La sua avventura ciclistica partì nel 1949, fra gli allievi in seno alla S.C. Fossati. Nei due anni di militanza nella categoria, vinse la bellezza di 38 corse. Vizio vincente che non perse fra i dilettanti in seno alla C.V.A.-Maino. Fra la quindicina di successi colti nell’unico anno trascorso fra i dilettanti anche il Titolo Italiano nell’Inseguimento a Squadre su pista conquistato sulla pista di Como assieme a Defilippis, Messina e Risso.
La parentesi fra gli indipendenti la passò praticamente ed interamente nel professionismo vero e proprio, dapprima con la Girardengo che lo assunse già nel 1952, indi nel 1955 e ’56 con la Frejus e nel 1957 con la Asborno, che altri non era che la prosecuzione della Frejus. Solo nel ’58, l’ultimo di carriera, lo corse come puro indipendente, ma per pochissime gare. In carriera corse tre Giri d’Italia: nel 1952 (76°), nel 1955 (63°) e nel ’56 (dove si ritirò nella famosa tappa del Bondone). Corse sovente all’estero, lasciando ovunque il segno. In particolare al Tour del Marocco dove vinse una tappa e si piazzo sul podio in un’altra. Idem nel Tour d’Europa. In Francia mancò d’un soffio la vittoria nel GP Simplex. Queste esperienze, sue parole, lo hanno reso un uomo migliore e compiutamente soddisfatto di aver legato una parte della sua gioventù al ciclismo.
Tutte le sue vittorie.
1952-Girardengo (1): Circuito Pievesina. 1953-Girardengo (1): Tappa Agadir del Giro del Marocco. 1955-Frejus (3): Gp Casalnoceto, Gp Casatissima, Circuito Pieve del Cairo. 1956-Frejus (3): Tappa Etain del Tour d’Europa, GP Industrie Pontecurone, Circuito di Guazzora.
I suoi migliori piazzamenti.
1952: 2° nel Trophée Simplex (Francia). 1953: 2° Tappa di Enna al Giro di Sicilia, 3° Tappa di Mogador al Giro del Marocco, 3° Tappa di Catania al Giro di Sicilia, 3° Tappa di Vittoria al Giro di Sicilia. 1956: 2° Tappa di Lorraine al Tour d’Europa, 3° Tappa di Grosseto (Giro d'Italia).

Alexandre Gontchenkov
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Nato il 14 aprile 1970 a Lviv, in Ucraina. Passista veloce. Alto 1,82 m. per 76 kg. Professionista dal 1993 al 2000 con 8 vittorie.
Classico esempio di scuola sovietica nel ciclismo: grande ritmicità, potenza e, soprattutto, quei lavori di intensità che portano ad uno sviluppo precoce in termini agonistici. Ovviamente Alexandre era dotato, altrimenti non sarebbe giunto a certe risultanze e pure ad un segmento agonistico non breve. A lungo ha fatto pensare ad un'esplosione che non è mai avvenuta, per lasciar spazio ad una incostanza e a quel "quid" che gli ha fatto mancare diversi grossi traguardi. Molti secondi posti, taluni beffardi, ed un insieme di piccole e più vistose delusioni. Come detto, giunse presto ai vertici, soprattutto su pista, sua palestra d'esibizione ed allenamenti. Grande inseguitore, soprattutto a squadre, vinse nel 1988 in questa specialità il Titolo Nazionale, assieme ad Evgueni Berzin, Niklas Ziplauskas, Dimitri Neliubin e, poi, con Valerj Baturo, Evegeny Anachkine e, ancora, Dimitri Neliubin, conquistò ad Odense il Titolo Mondiale. Punto fermo del quartetto, più di ogni altro, due anni dopo rivinse il Titolo Nazionale e con Evgueni Berzin, Valerj Baturo, Dimitri Neliubin, si laureò nuovamente Campione del Mondo. Tenuto in "naftalina" per le Olimpiadi di Barcellona, pagò gli sconvolgimenti del suo paese e, persino la scelta di aggregarsi, pur ucraino, al gruppo russo, aspetto che proseguì fra i professionisti. A Barcellona, schierato sia nell'inseguimento individuale che a squadre, deluse, viste le attese. Poi nel 1993 il passaggio al professionismo con la Lampre Polti. Dopo un apprendistato che lo vide partecipare al Giro d'Italia, dove si ritirò nella diciottesima tappa, fu autore, sul finale di stagione, di una stupenda Parigi Tours, chiusa al 3°posto. Per vederlo vincere però, dopo una serie significativa di piazzamenti su cui spiccarono i secondi posti alla Freccia del Brabante '95 e, soprattutto, alla Milano Sanremo e alla Tirreno Adriatico nel '96, sarà necessario giungere alla tarda primavera di quell'anno, quando vinse prima la tappa di Les Diablerets al Tour di Romandia e poi, una ventina di giorni dopo, sempre in terra svizzera, la tappa di Losanna del Giro d'Italia. Un gran bell'anno il 1996, con altri piazzamenti nota, cui fece seguito un '97, dove il suo ruolino fu d'attenzione generale e culminò con le vittorie nel GP di Camaiore e nel finale di stagione nel Giro dell'Emilia. Sembrava lanciatissimo, invece, pur con qualche altra giornata buona ed un paio di vittorie, la sua carriera iniziò a scendere, ed a fine 2000, chiuse l'attività agonistica.
Tutte le vittorie di Alexandre Gontchenkov. 1996 (Roslotto-ZG Mobili) 2 successi: Tappa Losanna (Giro d'Italia); Tappa Les Diablerets (Tour de Romandie). 1997 (Roslotto-ZG Mobili) 4 vittorie: Giro dell'Emilia; GP Città di Camaiore; Tappa Marsiglia (Giro del Mediterraneo); Tappa Alghero (Settimana Ciclistica Internazionale Coppi-Bartali). 1998 (Ballan) un successo: Tappa Boulogne sur Mer (Quattro Giorni di Dunkerque). 1999 (Ballan Alessio) una vittoria: Tappa Arco (Giro del Trentino).
In carriera ha partecipato a un Giro d'Italia (1996: 30°) a 4 Tour de France (1994: ritirato 2° tappa - 1995: 96° - 1996: ritirato 6° tappa - 1997: ritirato 15° tappa) a 3 Campionati del Mondo (1988 Odense Inseguimento a Squadre Juniores: vincitore - 1990 Maebashi Inseguimento a Squadre Dilettanti: vincitore - 1997 San Sebastian su strada: ritirato), a una Olimpiade (Barcellona 1992, Inseguimento Individuale: 11° - Inseguimento a Squadre: 6°.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 13 aprile
Inviato da: Morris - 13-04-2023, 07:14 AM - Nessuna risposta

Dino Bruni
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Nato a Portomaggiore (Ferrara) il 13 aprile 1932. Passista veloce, alto m. 1,78 per kg. 78. Professionista dal 1957 al 1964, complessivamente ha ottenuto 29 vittorie. Una gran bella carriera la sua, anche se non c'è il titolo o la classica che sposta l'orizzonte della disamina. Soprattutto una carriera che ha toccato a lungo il meglio del pedale non con l'anonimato, o l'umile ruolo che si lega con superficialità alle spalle o ai gregari, bensì col copione dell'outsider che ogni tanto lascia il segno e che sa annichilire anche i favoriti col fare del campione di razza. Tricolore nel 1950 fra gli allievi, Dino è poi divenuto da subito un dilettante d'evidenza nazionale ed internazionale, per un lustro abbondante. Ha infatti partecipato sia alle Olimpiadi di Helsinki '52 e sia a quelle di Melbourne '56, raccogliendo in Finlandia il 2° posto nella prova a squadre e il 5° nella prova individuale, mentre in Australia finì 4° con la squadra e 28° in linea. In mezzo alle due edizioni dei Giochi vinse il bronzo nella prova iridata su strada di Frascati nel 1955.
Passato professionista nel 1957, pur non arrivando ad ergersi campione a tutto tondo, è stato un forte corridore, che ha saputo costruire, attorno alle sue indubbie qualità di combattente e ruota veloce, il copione più adatto. Non a caso il grosso delle sue vittorie, si è determinato in volata, ed a farne le spese, ogni tanto anche autentici big come Van Looy, Darrigade e Poblet. Notevole pure l'abnegazione di Bruni nel rovesciare la sfortuna. Nel 1958, quando era lanciatissimo, si ruppe quel bacino che, si sa, per uno sportivo è sempre stato motivo di interrogativi circa il pieno recupero agonistico. Tra l'altro, la Bianchi, la sua squadra, convinta non potesse più essere quello di prima, lo licenziò immediatamente, aggravando enormemente il cammino psicologico del suo recupero. Dino però, seppe vincere quella sfida, tornando competitivo e, soprattutto, vincente. Nel suo palmares sono finite diverse classiche in linea, come la Tre Valli Varesine '59, il Giro di Reggio Calabria '61 e la Coppa Sabatini di Peccioli, nel '61 e '63. Ancor più tangibile il suo ruolino vittorioso nelle tappe dei Grandi Giri. A Napoli, nel Giro d'Italia '60, conquistò tappa e maglia rosa (che tenne per un giorno) e nella medesima edizione vinse anche la frazione che si concludeva a Trieste. Ancora migliore il suo palmares nel Tour de France: vinse a Rouen e a St Etienne nel '59 e a Pougues-les-Eaux nel '62. Trionfò poi in tre tappe del Giro del Sud-Est in Spagna nel '58, in una del Tour de la Champagne '60 e una al Tour de Suisse '62. Fra i professionisti fu azzurro ai Mondiali di Zandvoort nel 1959, dove chiuse 31°. A 32 anni, nel 1964, mise il punto alla sua carriera sulla bicicletta, ma non si chiuse lì la sua voglia di sfide sportive. Lo fece con la caccia, dove col suo cane vinse un campionato internazionale e due italiani e l'ha fatto più recentemente ed un lasso lunghissimo in gare di cross e di fondo coi cavalli. Già i suoi amatissimi puledri che custodisce tutt'oggi come dei figli. Un gran personaggio, Dino Bruni da Portomaggiore.

Olaf Ludwig (Ger)
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Nato a Gera il 13 aprile 1960. Passista Veloce. Professionista dal 1990 al 1997 con 60 vittorie.
Con questo corridore longilineo e proporzionato, incontriamo uno dei mostri sacri del ciclismo del blocco orientale. Prima della caduta del Muro nel 1989, infatti, Olaf aveva accumulato un palmares da brividi e si era dimostrato un atleta completo, capace persino di tenere e di emergere su quelle salite che, poi, da professionista, saranno le variabili più indigeste per lui. D'altronde, la differenza fra il dilettantismo e l'elite del ciclismo, s'è sempre dimostrata una costante, in ogni latitudine.
Fra le innumerevoli vittorie presenti nel suo palmares giovanile e dilettantistico, fra strada, prove a cronometro e pista, ci sono: 3 maglie iridate, 9 titoli nazionali, 2 vittorie nella Corsa della Pace e 28 tappe della stessa, il Tour de l'Avenir e 5 tappe dello stesso, nonché, soprattutto, la Medaglia d'Oro alle Olimpiadi di Seul e quella d'Argento a Mosca, quando aveva solo 20 anni. L'arrivo al professionismo, già assai spremuto, a 30 anni, per i motivi che sappiamo, ci ha tolto la possibilità di vedere il vero Ludwig. Gli era restato come distinguo lo spunto veloce e, su questo, ha saputo costruirsi ugualmente una gran bella carriera.
Ha vinto la Coppa del Mondo nel 1992, s'è imposto in classiche come l'Amstel Gold Race ('92) e l'Henninger Turm ('94); semiclassiche come il GP E3 Harelbeke ('91), GP Fourmies ('92), Kuurne-Bruxelles-Kuurne ('92), Veenendaal-Veenendaal ('95), GP Van Steenbergen ('91); ha conquistato frazioni in tutti i GT a cui ha preso parte, giungendo, proprio nell'anno di esordio, il 1990, a vincere la Maglia Verde al Tour de France, manifestazione nella quale ha complessivamente raccolto tre tappe. Insomma, un ruolino da campione, rimarcato da una serie di piazzamenti di prestigio nelle classiche di primavera, a cui accostava protagonismo in estate, fino ad arrivare a correre con possibilità il Mondiale (fu 3° nel 1993). Quanto basta per far capire che il ciclismo internazionale, vedendolo passare nell'elite già anziano, aveva perso una parte di quel copioso protagonista, sicuramente superiore a diversi dal curriculum professionistico stellare. Lasciò il ciclismo su strada a fine '96, vincendo a Gera, la sua città, dove aveva corso la sua prima gara da esordiente nel 1973. Il 1997, lo passò fra i pistard, conquistando le Sei Giorni di Colonia, in coppia con Etienne De Wilde, e di Berlino, con Jens Veggerby. A fine carriera è divenuto Team Manager della Deutsche Telekom.

Augustin Ringeval (Fra)
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Nato il 13 aprile 1882 ad Aubigny-aux-Kaisnes, deceduto il 5 luglio1967 ad Amélie-les-Bains. Fondista. Professionista dal 1903 al 1913 con una vittoria. Un eterno piazzato che, agli inizi, poteva essere visto come un futuro vincitore del Tour de France. Stupiva la sua regolarità, anche se non possedeva spunti come ad esempio i fratelli Leon ed Emile Georget. Poi con l’andare del tempo anziché maturare e divenire quel che sembrava potesse diventare, iniziò a calare il rendimento e quella vittoria nella Parigi-Joigny, del 1903, rimase incredibilmente isolata. Nel 1905 partecipò al suo primo Tour de France piazzandosi nei primi dieci di tappa, in otto delle undici frazioni della corsa. Alla fine concluse al 6° posto. Sempre nel ’05 si classificò 2° nella Parigi Valenciennes. Nel 1906 affrontò con buone risultanze la terribile Bol d’Or sulla pista di Buffalo. Dopo le 24 ore di gara chiuse 4°. Al Tour, invece, dopo 6 tappa sulla falsariga dell’edizione precedente alla settima frazione incredibilmente non partì. L’anno seguente iniziò il suo bel rapporto con la Bordeaux Parigi. Prima partecipazione e 2° posto finale a Parigi. Alla Bol d'Or fece meglio dell’anno prima: stavolta finì 2°. Alla Parigi Roubaix a dimostrazione del suo grande fondo, chiuse 5° mentre al Tour de France concluse 8° a Parigi dopo cinque piazzamenti nei dieci di tappa. Nel 1908 fu 4° sia alla Parigi-Roubaix che alla Milano-Sanremo. Indi fu 5° nella Parigi-Bruxelles e nella Bordeaux-Parigi. Al Tour però si ritirò già alla quarta tappa. Col 1909 il suo calo di rendimento iniziò a farsi più tangibile: si ritirò alla Grande Boucle ed il miglior piazzamento di stagione fu il 7° posto nella Parigi Liegi. L’anno seguente, il 4° posto alla Bordeaux Parigi, fu il suo miglior piazzamento. Alla Milano Sanremo e alla Parigi Bruxelles chiuse 16° mentre al Tour de France concluse 19°, con solo due piazzamenti nei dieci di tappa. Nel 1911 tentò la grande avventura della Parigi-Brest-Parigi, dove finì 9°, ma 2° fra i Touristes-Routiers. Chiuse invece8° la Bordeaux-Parigi. Ormai in netto calo chiuse 30° la Grande Boucle del ’13 mentre a quella del ’14 si ritirò già alla seconda tappa. Con quel ritiro dal Tour abbandonò pure le competizioni.

René Strehler (Sui)
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Nato a Affoltern am Albis (Svizzera), il 13 aprile 1934. Passista e pistard endurance. Professionista dal 1955 al 1962 con 14 vittorie. Strehler è stato un talento tanto precoce quanto incostante, forte sul passo e adattabile, se ispirato, ai percorsi più difficili, quindi capace, all'occorrenza, di tenere anche in salita. Un tipo davvero particolare per la facilità con la quale si esibiva sia su strada che su pista, ma pure per la sua facilità a perdersi in condotte non degne delle sue qualità, se non in vera e propria abulia. Ne nacque un'incostanza che ha fortemente limitato il curriculum di Rene, il quale, spinto dai suoi alti e bassi, finì ben presto per trasformarsi in un corridore molto casalingo.
Si segnalò diciottenne, quando trascinò il quartetto svizzero sulla mitica pista dell'Oerlikon di Zurigo, al record mondiale sulla distanza dei quattro chilometri. Passò professionista (e per un certo periodo approfittò della doppia licenza) già nel 1955, cogliendo subito un gran successo su strada, il Giro della Svizzera Romanda, dove batté Ugo Koblet. In Svizzera, il fatto fece molto clamore e chi pensava ad un colpo di fortuna, ebbe subito occasione di ricredersi, perché nel Tour de Suisse, qualche settimana dopo, Strehler vinse una tappa e fu protagonista nelle frazioni meno impegnative.
Sull'onda dei successi su strada si presentò ai campionati mondiali su pista al Vigorelli di Milano, schierandosi nell'inseguimento. Arrivò alla finalissima dopo aver battuto fior di inseguitori e qui venne sconfitto, non senza affanni, dall'allora numero uno, l'italiano Guido Messina.
Nel 1956, fecero capolino le sue "amnesie": vinse tre tappe al Giro di Svizzera, si piazzò in altre due, ma finì lontano in classifica. Con Koblet e Graf, vinse poi il G.P. d'Europa-Coppa Sarom a Ravenna, e quella fu una delle sue rare e significative prestazioni oltre i confini svizzeri. Nel 1956, '57, '58 e '59 le sue performance scesero assai, solo qualche piazzamento sempre in Svizzera, giusto per far capire che c'era. Nel '60 tornò a ruggire, in maniera tanto inaspettata, quanto sincronica al personaggio. Vinse la Ginevra-Berna, il Giro del Nord Ovest, il Criterium di Berna e si laureò campione svizzero. Un poker che lasciava intendere nuova concentrazione? Manco per idea, e, dopo un '61 con qualche piazzamento, nell'aprile del '62, allo scoccare dei ventotto anni, lasciò il ciclismo.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 12 aprile
Inviato da: Morris - 12-04-2023, 07:33 AM - Nessuna risposta

Fiorenzo Aliverti
[Immagine: 16290964071325Aliverti,Fiorenzo.jpg]
Nato a Cantù (CO) il 12 aprile 1957. Passista scalatore, alto 1,71 m. per 67 kg. Professionista dal
1981 al 1985 senza ottenere vittorie.
Un corridore che ha raccolto forse meno di quel che poteva valere, anche perché la sua generosità e la mancanza di uno spunto veloce di nota l’hanno ben presto trasformato in una ottima spalla o gregario. In ogni caso fors’anche per quel che è stato, e che è, il suo “dopo carriera”, un personaggio popolare nel mondo del ciclismo. Fiorenzo è stato un gran dilettante che ha saputo crescere e che ha pettinato bene le sue doti, così come lo ha saputo fare fin da subito su quel mezzo bicicletta che ha sempre rappresentato per lui un secondo gruppo sanguigno. Nella categoria cadetta passò nel 1977, all’interno di un “mitico” sodalizio (le cui maglie saranno le uniche di Aliverti fra i cosiddetti “puri”): il Gruppo Sportivo Passerini Gomme. Il buon ruolino di Aliverti fece tangibilmente capolino nel ’78, quando finì 2° nella quarta tappa del Giro della Valle d’Aosta e nel ’79, quando vinse il GP Sportivi di San Vigilio di Concesio, fu 3° nel Trofeo Alberto Triverio, 4° nella Rho-Macugnaga e 6° al Giro dei Tre Laghi. Tutto questo fu il preludio dell’esplosione nel 1980, anno nel quale vinse la prima tappa del Giro delle Regioni (che era una gran corsa internazionale), la quarta e la settima tappa del Giro Ciclistico d’Italia e il GP Industria di Origgio. Fra i piazzamenti di nota anche il 3° posto alla Piccola Sanremo. Le qualità di Fiorenzo non passarono inosservate e nel 1981 la Hoonved-Bottecchia di Dino Zandegù lo chiamò al professionismo. Ad inizio stagione, prima del Giro d’Italia, fu 13° nel Trofeo Laigueglia, 10° nel Trofeo Pantalica e 7° nella Coppa Sabatini a Peccioli.  Nella “Corsa Rosa” ottenne il 4° posto nella frazione con arrivo a Lanciano, dietro a Beccia, Argentin e Schmutz e chiudendo poi il Giro al 62° posto. L’anno successivo, il canturino non fu allo start del Giro d’Italia, perché destinato al Tour de France. Prima della grande corsa francese, fu 9° nel duro Giro dell’Appennino, 20° al GP Industria e Commercio di Prato, indi nella sua prima ed unica apparizione al Tour de France chiuse al 113° posto. Nel 1983 venne assunto dall’Alfa Lum di San Marino, per essere destinato a fungere da spalla al capitano spagnolo Marino Lejarreta. Aliverti fece così il suo esordio alla Vuelta di Spagna ed in terra iberica il suo lavoro fu davvero intenso perché per piegare Lejarreta che aveva conquistato la Maglia Amarillo, Hinault si avvalse di una alleanza internazionale. Non fu una bella pagina. A livello personale Fiorenzo finì 10° nella tappa di Leon e chiuse 49° nella Classifica finale di Madrid. Tornato in Italia prese parte al Giro d’Italia, chiudendolo al 51° posto. Una settimana dopo, fu 5° al GP Montelupo, indi chiuse 4° il GP di Camaiore e finì 6°, ad agosto, nella Tre Valli Varesine. Nel 1984 Franco Cribiori lo volle all’Atala Campagnolo, anche qui con compiti di gregariato. Nell’anno fu 7° nel Giro di Toscana vinto da GB Baronchelli e diciannovesimo al all’Henninger Turm di Francoforte, all’epoca ancora gran classica. L’anno successivo un calo di rendimento che sentiva marcato lo indusse ad abbandonare il professionismo, ma non quel mezzo a pedali che era parte di sé. Si trasferì nel lucchese, a Pietrasanta, aprì un negozio-officina per biciclette, da quelle da competizione alle normali da passeggio, ed è divenuto per le zone d’intorno un riferimento. Dal 2000 e per quasi due lustri allestì una squadra ciclistica internazionale femminile, che pareva fatta sulle sue misure: competitiva, simpatica ed a modo.

Johan Capiot (Fra)
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Nato a Rijkhoven il 12 aprile 1964, professionista dal 1986 al 2000 con 55 vittorie su strada. Potremmo chiamarlo l'amico del Brabante, visti i suoi ripetuti successi su quella terra. Capiot era un corridore veloce, temibile, ma amava la linearità di gara e pagava alla lunga gli sbalzi di ritmo delle classicissime. Sbalzi che molto spesso si chiamavano asperità, muri, cote. Oddio, non è che non riuscisse a digerirle, ma non come avrebbe voluto il suo sprint, per emergere come voleva. Una carriera dunque densa di pochi grandi traguardi, ma tanti medi, proprio come era il Johan Capiot corridore. In successione i suoi principali successi: GP André Defoort, Beveren-Waas e G.P. Alberic Scotte nel 1986, Veenendaal-Veenendaal nell '87, Freccia del Brabante '88, Freccia del Brabante '89, Het Volk, Hengelo - Nacht van Hengelo '90, Paris-Tours '91, Het Volk e Freccia del Brabante '92, Flèche de Liederkerke'93, G.P. Samyn e Clasica de Almeria '94, G.P. Samyn '95, Attraverso il Morbihan, Heusden-Destelbergen e Tienen-Bost '96, G.P. Wanzele '98.

Ernesto Donghi
[Immagine: 152045161018495Donghi,Ernesto.jpg]
Nato a Nibbiono (Como) il 12 aprile 1945. Passista, alto m. 1,74 per kg. 72/73. Professionista dal 1969 al 1970, senza ottenere vittorie. Prometteva da dilettante ed era completo. In seno alla U.C. Albavilla vinse diverse corse e, soprattutto, era uno che c’era sempre fra i protagonisti e si piazzava ovunque. In altre parole uno che poteva rendere bene fra i professionisti, in quanto , oltretutto, appariva poco sfruttato o eroso dalla militanza in una categoria che restava cadetta o, al limite, intermedia. E l’occasione di diventare un corridore professionista l’ebbe nel 1969, quando da Tregasio, la sartoria dell’appassionatissimo Giuseppe Sala, costituì una squadra professionistica zeppa di neopro, fra i quali, appunto, Ernesto Donghi. Ed il 24enne di Nibbiono rispose subito con un presente di tutto rispetto che valorizzava quanto di bene si era detto di lui. Nella sua prima stagione da pro, infatti, fu sovente fra i migliori, anche se non colse vittorie. Dopo un buon 27° posto alla Sanremo finì 4° nel Gran Premio di Antibes in Francia, indi 5° nel Gran Premio Industria e Commercio di Prato. Alla Tirreno Adriatico fu 4° nella frazione a cronometro di San Benedetto del Tronto e concluse la corsa a tappe al 6° posto, primo fra i neoprofessionisti. Alla Milano Torino chiuse 8° così come nel GP Mirandola. Partì con belle speranze per il Giro d’Italia, ma nell’undicesima tappa la Campobasso Scanno si sentì male e fu costretto al ritiro. La leggenda vuole che Donghi ed altri quattro compagni di squadra, fra la frazione citata e quella del giorno successivo che si concludeva a Silvi Marino, si sentissero tutti male, fino ad essere costretti ad abbandonare. Un filo conduttore li univa: tutti e cinque avevano riempito le borracce con l’acqua di un abbeveratoio. Dopo l’infelice conclusione del Giro, finì 8° nel Trofeo Matteotti. Nel 1970 sempre in Sagit ebbe un calo notevole nel rendimento in primavera. Stavolta però concluse il Giro d’Italia piazzandosi 81°. La speranza di ottenere in estate quello che gli era mancato in primavera andò delusa ed a fine stagione, di fronte all’abbandono della Sagit s trovò disoccupato. Nessuno si fece avanti ed Ernesto fu costretto a correre qualche gara del ’71 senza la maglia di un team professionistico. Fu un lasso molto breve perché dopo poche settimane lasciò l’agonismo.

Louis Gauthier (Fra)
[Immagine: 16108967941325Gauthier,Louis.jpg]
Nato a Blanzy (Saone-et-Loire) il 12 aprile 1916, deceduto a Saint-Vallier (Saone-et-Loire) il 6 agosto 2005. Passista veloce. Professionista dal 1935 al 1956 con 80 vittorie. (74 da prof)
Uno specialista delle corse in circuito che sapeva vincere in volata o con azioni da finisseur. Con quelle corse si guadagnò da vivere decentemente, ma corse pure prove assai più impegnative, anche se su queste lasciò tracce assai inferiori. Una carriera lunghissima, ben 24 anni considerando i 3 fra le leve giovanili. Uno che divenne popolarissimo lungo la Loira e che finì la carriera col grande rimpianto di non essere mai riuscito a vincere la Parigi-Tours, la grande corsa delle sue zone. Sfiorò pure il successo nella Parigi Roubaix, ma il suo cruccio, ripeto, fu la “Tours”. E la rispettò così tanto, da non parteciparvi più, dal momento in cui non si sentì più competitivo, l’avrebbe sfregiata. Finita la carriera, divenne un allenatore eccellente, per l’UV Blanzy.
Tutte le sue vittorie.

1935 (3): GP Sive a Montceau, Criterium Chalon-Chagny-Chalon, Chalon-leCreusot-Chalon. 1936 (3): Prix d'ouverture à Digoin, GP Sive a Montceau, GP Gerschel a Chalon.1937 (1): Campionati de Saone-et-Loire. 1938 (5): GP Sive a Montceau, Prix de la Fête a Montceau, GP de Paray, GP Perraud a Digoin, Prix de Nolay. 1939 (5): Campionato Francese Indipendenti, GP de Montceau, Prix Sirday a Dijon, GP de la Renaissance a Dijon, Prix de Briennon. 1942 (2): 1a tappa e CF del Circuit du Midi. 1943 (1): Critérium National (zone del Sud). 1945 (1): Boucles de la Seine. 1946 (3): Parigi-Montceau, Saint-Etienne-Montceau, Prix Gily au Creusot. 1947 (4): Prix thermal de Bourbon-Lancy, Criterium Chauffailles, Saint-Vallier, Coteau. 1948 (12): GP de la Libération, GP de l'U.V.Chalon, GP du Bourg-Neuf, Prix des Chaussures Lorène a Montceau, Prix Roc à Autun, GP du textile a Roanne, Criterium du Centre a Montlucon, Saint-Honoré, Sanvignes, Saint-Vallier, Mercurey, La Clayette. 1949 (3): GP Martini a Macon, GP du Centre a Montlucon, GP d'Iguerande. 1950 (8): G.P de l'Echo du Morvan, Prix de la P.S.Autun, Criterium di Blanzy, Saint-Vallier, Autun, Saint-Honoré, Néris, Dompierre. 1951 (12): Circuit des Monts du Livradois, Prix de la Renaissance a Dijon, Circuit de l'Est a Montceau, Criterium di Blanzy, Gueugnon, Perrecy, Amplepuis, La Clayette, Sanvignes, Chauffailles, Ambert, Craponne. 1952 (13): 2a tappa del Circuit de Saone-et-Loire, Class. Finale del Circuit de Saone-et-Loire, GP Nervar a Saint-Chamond, GP Peugeot a Moulins, GP de Roanne, Prix du Textile a Roanne, Criterium di Gozet, Coteau, Montlucon, Cosne, Creusot, Saint-Vallier, Palinges. 1954 (3): Prix de la Croix-Menée au Creusot, GP de Blanzy, GP de Saint-Vallier. 1956 (1): GP Brandt a Montceau.
Piazzamenti importanti.
1940: 4° nel Critérium National, 6° nella Parigi-Reims, 8° nel GP de l’Auto. 1941: 2° nel Circuit d'Europe a Daumesnil, 3° nel GP delle Nazioni, 4° nella Parigi Tours, 6° nella Parigi Caen. 1942: 2° nel GP d'Ile de France, 6° nella Parigi Reims, 10° nella Parigi Tours. 1943: 2° nella Parigi Tours,2° Circuit de Paris, 4° Critérium National (zone Nord), 7° Campionato di Francia. 1944: 2° nella Parigi Tours, 2° Circuit de Paris, 3° GP de Quillan, 10° Campionato di Francia. 1945: 11° Parigi Tours. 1946: 2° nella Parigi-Roubaix, 2° GP de la Libération a Autun, 3° GP de Quillan. 1947: 2°  GP de Quillan, 2° GP de Blanzy, 6° GP delle Nazioni. 1948: 2° GP Martini a Macon. 1949: 2° Circuito dei 2 Ponti a Montluçon, 2° Prix du Trentenaire a Chalon. 1950: 2° Moulins-Engilbert 2° Circuito dei 2 Ponti a Montlucon, 2°GP Sive à Montceau, 2° GP de Bourbon-Lancy. 1951: 2° Prix Léon Daniel a Montlucon, 6° Parigi-Montceau. 1952: 2° nella Bourbon-Lancy, 3° Circuito dei 2 Ponti a Montceau, 4° nella Lyon-Montluçon-Lyon. 1953: 2° Prix des Boulevards a Grenoble, 2° Prix du Textile a Roanne. 1954: 2° Circuit de Saone-et-Loire, 6° nella Parigi-Montceau. 1955: 3° GP Chauffailles.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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