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Spruzzi di Storia e di Protagonisti di quella che fu la Classicissima
Inviato da: Morris - 13-03-2024, 02:00 PM - Risposte (15)

Da un libro che scrissi nel 2010........ e dove ho cercato, decisamente  troppo, di essere dolce di fronte ad una corsa lontana dai suoi fasti. O meglio, corsa che sta nelle orbite del "grande ciclismo", grazie alla sponsorizzazione degli "strilloni" su carta e video.....

….Dall’intensa città
scendendo fino ad incontrare
l’insieme dei benevoli sali
padroni invisibili dell’aria di mare.
E proseguire con le onde vicine
verso il profumato incanto
di tanti Mercurio
che t’annuncian primavera.
È lo spazio d’una fatica
che assorbe il fascino
contro ogni aspro dettame
sempre.

Morris


MILANO - SANREMO
Spruzzi di Storia e di Protagonisti di quella che fu la Classicissima

[Immagine: sanremo-chiappucci-intervista06-585x450.jpeg]

Introduzione

“Ha vinto Daems. Anzi ha stravinto, li ha proprio stroncati tutti.” Con queste parole che sono di mio fratello Lorenzo, il corridore di famiglia, la Milano-Sanremo, entrò compiutamente nell’attento bambino sottoscritto. Era il 19 marzo 1962.
Ho scritto ovunque di quanto il ciclismo sia nato in me fin da piccino e non trovo superfluo ribadirlo in ogni occasione, perché è un modo di presentare, fotogramma su fotogramma, un rapporto che alla fine sa essere qualcosa di più.
La “Classicissima di primavera”, ovvero la definizione che spesso accompagna questa corsa anche e soprattutto ai tempi della mia fanciullezza, fu la prima delle grandi classiche di un giorno a farsi conoscere al mio osservatorio, era stata preceduta solo dal Giro d’Italia e dal Tour de France, nonché dalla prova a cronometro, il Trofeo Tendicollo Universal di Forlì, che ha contraddistinto le mie zone e che fu per il sottoscritto la palestra di indelebile saldatura verso lo sport del pedale.
Questo volume non sarà solo il primo dei due che compongono la Storia della Milano Sanremo, ma rappresenterà l’apertura di una collana-viaggio sulle classiche del ciclismo, perlomeno su quelle che trovo oggettivamente più importanti, per quel condensato che tradizione e realtà hanno eletto tali e che, magari, potranno non trovare sulle medesime coordinate taluni.
Saranno storie che definisco essenziali, senza la pretesa di essere organiche, ma tutte più meno incentrate sulle evoluzioni dei percorsi, sul riferimento che recitavano relativamente ad ogni annata; su quei protagonisti corridori che sono sempre, checché ne dica qualche organizzatore, la parte più cospicua di ogni proposta, nonché quegli ordini d’arrivo che, se si vuol essere fedeli al tratto storico delle singole corse, vanno presentati nella loro interezza. Tra l’altro, su quest’ultimo aspetto, i lettori più disponibili alla ricerca, tro-veranno delle sorprese non indifferenti.
La Milano Sanremo dunque, una corsa che ha vissuto fasti altissimi, che divide con la Parigi-Roubaix e il Giro delle Fiandre, il podio più alto della popolarità, al netto delle diversità e delle specializzazioni che hanno progressivamente avvolto e minato il ciclismo. Una corsa dall’itinerario magnifico, un tempo bellissima non solo per questo, ma pure per i suoi tratti agonistici. Oggi, certamente la più cerebrale per quel gioco di attimi che sono il filo conduttore delle prove veloci. Sicuramente colei che più di ogni altra, esprime il sunto dei cambiamenti intervenuti su questo sport: senza stravolgenti modificazioni di percorso, è passata da prova di fatica eccelsa, che vedeva l’arrivo di Sanremo come un’impresa comunque, a meta possibile a tutti e dove i 300 chilometri del tracciato rappresentano l’aspetto tecnico nettamente meno influente. In altre parole, una corsa che è riuscita nell’impresa di non perdere fascino pur cambiando l’indirizzo dei propri aloni, costringendo,di conseguenza, l’osservatorio a riflettere non poco su questa anomalia.  
Una prova che vive moderna uno spaccato di storia, non solo sul proprio sé, ma per le varie diramazioni che ha mosso e che sono arrivate ad incidere sulla cultura, sul costume e sullo stesso stile di chi si pone fraterno al pedale. Abbastanza per impegnare il narratore, a non fare di ciò che segue, una mera rappresentazione di dati.

        Maurizio Ricci (Morris)

Una moderna Classicissima Centenaria.

La Milano Sanremo nacque nel 1907, come vedremo, fra le titubanze del direttore della Gazzetta dello Sport Camillo Costamagna e la non certo cospicua convinzione di chi, inizialmente, lavorò alla posa in opera della prova. Ad oltre un secolo di distanza però, la creatura che vide accanto al determinante Armando Cougnet, le maggiori volontà dell’ispiratore Tullo Morgagni e, successivamente, il peculiare contributo di Augusto Carlo Rossini, a dispetto dei mutamenti enormi incorsi nello sport di riferimento, è ancora perfettamente collocata su quel top internazionale che seppe raggiungere da subito. In altre parole, è sempre una corsa che tutti i corridori vorrebbero nel proprio palmares, nonostante le modificazioni che ne hanno deviato l’apogeo di riferimento, ovvero da prova per uomini di fondo ed eccelsi su ogni terreno, a gara per ruote veloci o, come tutte ad onor del vero, adatta a chi possiede le rare stimmate del finisseur. Sicuramente gli ispiratori che concepirono ed organizzarono per la prima volta la Milano-Sanremo, non avreb-bero mai immaginato che la loro sempre più perfetta macchina organizzativa, potesse arrivare al nuovo millennio con intatto fascino.

Il ciclismo italiano all’alba del 1907.
Il movimento del pedale d’inizio secolo poggiava internazionalmente sulle attività all’interno dei tondini, come venivano chiamati i velodromi del tempo, ma nel breve volgere di un lustro, le manifestazioni su strada avevano saputo, in taluni paesi come Francia e Belgio, raggiungere e superare l’alone del ciclismo su pista sulle attenzioni popolari, fino a determinare le basi per l’elevazione di vere e proprie classiche. La Francia in particolare, era già “moderna”, con tre corse da considerarsi degli autentici fari mondiali, come Parigi-Roubaix, Parigi-Tours e Bordeaux-Parigi, attorno alle quali ruotavano molte gare minori, ma di spessore e continuità tali, da farne riferimento e, soprattutto, fungere da vero e proprio calendario. La nascita del Tour de France nel 1903, aveva proiettato il ciclismo a dominatore delle strade.
In Italia invece, lo spontaneismo pure molto forte, non aveva sempre trovato i sostegni necessari per creare, sulle “macchine spinte a motore umano” a portata di tanti, la spinta che ne creava continuità. In altre parole, s’era in ritardo in maniera tangibile rispetto alla Francia, ed anche nei confronti del Belgio, che pure aveva sopperito con la quantità l’ancor non avvenuta cementazione di gare riferimento. La fotografia del nostro movimento, dunque, viveva di punti isolati e di poche certezze.
E dire che l’avventura era iniziata molto presto, fra i primissimi in tutto a livello mondiale, nel 1870, con la Firenze Pistoia. Gli echi di quella genesi di ciclismo nella penisola - fatti di 23 concorrenti su bicicli aventi una ruota anteriore di 75 centimetri di diametro e di una posteriore di 50, della loro fatica, nonostante la media di soli 13 chilometri sui 33 del percorso e di quella polvere che sollevavano, della vittoria di uno straniero venuto dagli Stati Uniti, ma di origine olandese, tal Rynner Van Heste, s’erano nuovamente concentrati in una risposta, solo nel 1876, con la Milano Torino. Ma pure la corsa fra le due grandi città non era decollata come si sperava, ed a parte le edizioni del 1894, 1896, 1903 e 1905, all’alba del 1907 sembrava definitiva-mente tramontata. I perni sui quali gravitava il movimento dell’evoluta bicicletta su strada di quei giorni erano: la Coppa del Re, nata nel 1897 e fin lì corsa tutti gli anni ad esclusione del 1900 (chiuderà il suo ciclo nel 1909); la “Corsa Nazionale”, partita nel 1902 e corsa ininterrottamente (fino al 1908) e la “XX Settembre, poi negli anni conosciuta col nome di Roma-Napoli-Roma (che arriverà a chiudere il proprio itinerario nel 1961).
A quelle “certezze”, erano giunte a dar manforte, con significativi successi, nel 1905, il Giro di Lombardia, organizzato proprio da “La Gazzetta dello Sport”, che diventerà negli anni la superclassica che tutti conoscono e, nel 1906, il Giro del Piemonte (che si corre ancora oggi), nonché la Milano-Modena (che chiuderà nel 1955), la Milano-Mantova (che giungerà fino al 1962) e quel Campionato Nazionale che, dopo essere stato lanciato nel 1885, si era subito arenato, fino a riprendere il suo ruolo, appunto, nel 1906. Un panorama non vasto, che aveva visto diverse meteore in auge un solo anno, di cui meritano citazioni le più importanti, ovvero: Legnano-Gravellona-Legnano (1905), Milano-Domodossola-Milano (1906), Milano-Erba-Lecco-Milano (1906), Brescia-Milano-Pollanza (1906), Milano-Alessandria-Milano (1906), Milano-Giovi-Milano (1906), Novi-Milano-Novi (1906), Milano-Verona (1906) Milano-Pontedecimo (1906).
Tutte corse gravitanti su Milano e la Lombardia, ma pure alcune che scendevano verso la riviera ligure. E furono proprio le “fresche” ceneri di questi “quadri unici”, uniti ad altri interessi che portavano direttamente verso il mare ed i fiori della Liguria, a spingere ulteriormente verso la nascita della Milano Sanremo, la futura “Classicissima di Primavera”.

I giornali organizzatori e sostenitori del pedale.
Nel 1906, l’impulso verso lo sport che poteva vivere su uno spirito olimpico, nato e cementatosi attraverso ben tre Olimpiadi già svolte, trovò nelle testate giornalistiche, non solo sportive, un riferimento preciso per giungere all’elevazione dei propri scopi. Di converso, la rivoluzione tecnologica che produceva altre occasioni per fare sport, donava, al mondo della comunicazione, allora quasi esclusivo patrimonio dei giornali, l’occasione per porsi nelle condizioni migliori al fine di lanciare taluni “frutti” della suddetta rivoluzione, fino ad aggiungere all’anima narratrice e alla cronaca, una sempre più fitta rete di rapporti col mondo economico.
In altre parole, si stavano creando copiosi spazi alla pubblicità diretta dei prodotti, oltre che dare temi di interesse di massa tali, da aumentare maggiormente le entità delle copie vendute. Lo sport ed i suoi eventi, dunque, rappresentavano un volano in rapida crescita, sul quale l’intervento organizzativo, in appoggio ed in simbiosi alle ancora poco diffuse e precarie società sportive, diveniva un fattore importante per la stessa sopravvivenza delle testate. Discipline come l’automobilismo, il motociclismo e il ciclismo, poi, avendo alla loro base un mezzo, stimolavano ancor più delle altre il rapporto ed il coinvolgimento col mondo imprenditoriale dei rispettivi settori, così fortemente intinti dell’esigenza di coinvolgere il più possibile le masse.
Per lo sport più in generale comunque, l’entrata in scena di questi partners, costituiva un passo peculiare, perché la crescita sportiva italiana, doveva necessariamente passare su organizzazioni adeguate e territorialmente presenti, spinte da volontà precise di propaganda, proselitismo e programmi che non si limitassero a dare qualche risposta allo spontaneismo.
Intanto, all’interno dei giornali, non tutti i redattori vivevano questo coinvolgimento con la medesima convinzione, ed in questo quadro, emergevano figure più peculiari e propulsive. Nella giovane Gazzetta dello Sport, che era na-ta nel 1896 e che, nel 1899, aveva scelto di proporsi sulla distinguibilissima carta rosa, i protagonisti della svolta verso il mondo sportivo, rispondevano ai nomi di Armando Cougnet, giornalista amministratore con un incredibile amore verso il ciclismo e Tullo Morgagni, redattore capo, nonché  progenitore di una fitta tela di rapporti con l’orizzonte dello sport. Grazie a loro lo stes-so ambiente dei costruttori delle “macchine a pedali”, come venivano definite allora le biciclette, non rimase insensibile, anche perché il giornale, sul quale il direttore Eugenio Camillo Costamagna raccoglieva al meglio le idee della redazione, sapeva coprire i periodi di lontananza dagli avvenimenti agonistici, con una serie di approfondimenti sul mezzo e le specifiche peculiarità, da rendere i “fogli rosa”, una palestra per lo stesso lancio commerciale dello strumento.
All’alba del 1907, dunque, dopo gli esaltanti successi riscossi dalla Gazzetta dello Sport, con la proposta e l’organizzazione delle prime due edizioni del Giro di Lombardia, la testata, pur non essendo la più importante e diffusa nemmeno a livello sportivo, era comunque divenuta, un sicuro riferimento del mondo del pedale.

La nascita della Milano Sanremo.
Il fatto progenitore della Milano Sanremo non partì dalle macchine spinte a motore umano, ma da quelle a motore. A metà della prima decade del ‘900, si era all’alba dello sviluppo industriale automobilistico. La realtà mostrava già una discreta consistenza, in termini di proposta e ricerca, per le vetture di grossa cilindrata, molte delle quali venivano definite turistiche. C’erano poi quelle che venivano dichiarate “da corsa” e correvano realmente, visto che esisteva già un calendario di gare.
Le auto di piccola cilindrata per lo più costruite da ditte minori, destinate alle fasce meno abbienti, ma comunque già con un certo tenore economico, andavano lanciate. Erano le cosiddette “utilitarie” sulle quali ogni passo di propaganda era ben accetto, anzi lo si favoriva. E fu proprio in questa direzione che “La Gazzetta dello Sport”, si fece convincere dall’Unione Sportiva Sanremese, guidata dall’Ingegner Francesco Sghirla, nell’organizzazione di una corsa automobilistica, riservata a queste vetture, che da Milano avrebbe rag-giunto Acqui e, da qui, la graziosa Sanremo, già allora meta turistica della migliore borghesia milanese.
La corsa fu un fiasco in tutti i sensi: solo due delle trenta vetture partenti, raggiunsero Sanremo un paio di giorni dopo e l’interesse generale scemò, di fronte alla poca consistenza dimostrata da quelle macchine, ancora ben lontane dal minimo accettabile. Era l’agosto del 1906.
La manifestazione però, aveva stuzzicato non poco la fantasia ed il pragmatismo di Tullo Morgagni (nella foto sotto), 
[Immagine: Tullo-morgagni-1-295x400.jpg]
il capo redattore della Gazzetta dello Sport, il quale, di fronte alla comunque forte volontà degli sportivi sanremesi e all’esigenza del giornale di cancellare quell’insuccesso con un’altrettanto forte risposta sportiva, pensò di mantenere valido l’itinerario che da Milano conduceva a Sanremo, ma con una corsa da riservare alle biciclette. Era convinto che il motore umano, si sarebbe comportato meglio rispetto a quello delle auto, come già il ciclismo dimostrava, attraverso diverse competizioni internazionali e lo stesso Giro di Lombardia, che il suo giornale organizzava. Ne parlò con Armando Cougnet, il quale, oltre ad essere l’Amministratore della testata, era pure il valente giornalista che trattava in primis lo sport del pedale. La sua risposta fu positiva.
Ben più freddo e perplesso, invece, fu il direttore Camillo Costamagna, che accettò di partire per la nuova avventura, più per la mera necessità di coprire il buco finanziario e d’immagine dell’esperienza automobilistica, che per effettiva convinzione. Non a caso il suo “sì” definitivo s’ebbe solo quando vennero portate a Milano le 700 lire che costituivano la dotazione della corsa, la maggior parte delle quali erano state raccolte in un grosso salvadanaio con il quale il giovane aiuto-segretario della Unione Sportiva Sanremese, Piero Perotti, aveva realizzato una pubblica questua attraverso l'intera città della riviera ligure.
Ad onor del vero in tutti persisteva un timore, come lo stesso Cougnet (foto sotto) dichiarò cinquanta anni dopo.
[Immagine: founders-Cougnet2.jpg]
 “L'idea – disse - fugato qualche dubbio, fu accolta. Si aprì semplicemente la carta del Touring Club al 200.000 e si tracciò il percorso che in meno di trecento chilometri congiungeva Milano a Sanremo attraverso Ovada e Voltri col Passo del Turchino, e nella primavera del 1907 lanciammo il bando internazionale della prima Corsa al Sole. A quella epoca non c'era assolutamente in noi la speranza e tanto meno la convinzione, che la competizione dovesse incontrare quella fortuna che poi la fece proclamare la prima corsa al mondo. Ma la Milano Sanremo conteneva in sé un grande potenziale di sviluppo che la fece progredire di anno in anno. Fu essa a crearsi il successo dal suo debutto, caratterizzato dalla partecipazione dei migliori corridori francesi e belgi in rappresentanza delle due maggiori Case: la Peugeot e l'Alcyon, che allora dominavano il mercato e l'arengo agonistico”.
Il 14 aprile 1907, iniziò così il corso ultracentenario della Milano-Sanremo: una nuova manifestazione per il pionieristico movimento del pedale, ma destinata a far colpo su tutta l’Europa, sia per l'impareggiabile scenario scelto, che per il suo autentico significato sul piano tecnico, nonché per la spinta ricevuta dalla prodigiosa riuscita che caratterizzò l'edizione inaugurale. Già alla vigilia della corsa si ebbe la dimostrazione di quanto l’attesa fosse cor-risposta, ed infatti, i manifestini propagandistici che la Gazzetta dello Sport aveva stampato per reclamizzare l'avvenimento, non mancarono di raggiungere lo scopo che i promotori s'erano prefissati, riuscendo ad accentrare l'interesse delle folle. Era tutto pronto e nel ritrovo dell’Osteria della Conca Fallata di MIlano, lungo il Naviglio Pavese, stava per partire quella che poi divenne la prima favolosa cavalcata di un drappello di uomini che si mostrarono superiori alle automobili, nel riuscire a raggiungere, pur partendo in una giornata di pioggia e di freddo, il bel sole della riviera ligure.

Maurizio Ricci detto Morris

-continua- [Continua a Leggere]

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Il Galibier e i suoi Angeli
Inviato da: Morris - 22-02-2024, 09:36 AM - Risposte (20)

A coloro che osano sui monti
pedalando linguaggi
che riconoscono
nelle fatiche di tutti
i sottili sentieri
che chiamiamo sensazioni
fino a far volare il corpo
sul paesaggio della mente.

Morris


Avevo nove anni, quando il Galibier divenne parte integrante della mia passione ciclistica. Lo conoscevo già da almeno tre, perché il ciclismo era un penate di famiglia e le mie antenne allora sveglie come mai nel resto della mia vita, lo avevano abbinato al percorso dei miei giochi coi coperchini: nella mia terra i famosi e popolari “quarcì”. Era però, una conoscenza generica, al pari di altre montagne, mi mancava quel “di più” che faceva scattare in me la voglia di ricerca, sia a mo’ di asfissianti domande al mio intorno e sia sui giornali o quei libri che non mi erano poi così lontani, nonostante mi trovassi, all’epoca, fra la terza e la quarta elementare.
Il Tour de France “dell’elevazione” fu dunque quello del 1964, ed il commento radiofonico e su carta dell’impresa di Federico Martin detto e conosciuto da tutti come “Bahamontes”, il fattore trasportante, l’alone leggendario che attorniava il Galibier. Una montagna che mi si presentò non normale, una che dovevo mettere sul trono dei miei percorsi per i “quarcì”; una che un bambino come me, doveva iniziare a vivere come religione.
Trentaquattro anni dopo, col ciclismo non più al ruolo di sport principale d’Europa, anche nella sua massima e mondialmente stravista espressione del Tour de France, Marco Pantani, un ragazzo col mio dialetto e che mi era familiare, scolpì su quella montagna il segno della sua storica grandezza, ed il Galibier tornò a ruggire per tutti, come fosse Wembley o il Maracanà. Ma quel ragazzo, l’unico capace di portare al ciclismo folle oceaniche e non prevedibili, fu ammazzato presto, ed anche i templi o i totem della leggenda del pedale, tornarono nei ranghi di un alone, certo sempre grande ed esteso, ma altrettanto sempre interno allo sport della bicicletta. Fama e popolarità sì, ma niente a che vedere con quel patrimonio di tutti che poteva essere.
Resta però un dato su cui ognuno deve e dovrà fare i conti: su quella montagna che per almeno otto mesi l’anno, impedisce o minaccia attraverso la neve siamese, il passaggio sicuro dello strumento spinto a motore umano, si volgono negli altri quattro, migrazioni con numeri da far gridare all’epocale. E non è certo una spinta sciistica a portare lungo traiettorie, pendenze e il fascinoso paesaggio del Galibier, tutte quelle persone d’ogni parte del mondo. Una religione che permane, un segno che impreziosisce ogni profeta, come lo furono coloro che passarono primi, in bicicletta, su quella cima. Veri e propri angeli custodi d’un luogo che anche percorrendolo in automobile, crea fremiti ed incensi. Qualcosa di più di una semplice “suggestione”, come la definiscono coloro che possiedono un cuore di pietra.

[Immagine: 0?width=3072&height=2304&crop=false&q=70]

…Il Col du Galibier
scorre mistico e risuona
quando gli sei lontano,
t’illumina quando sei da lui
senza perdere frammenti
di fascino, sogno e significati,
perché te li incide
senza dirti come ha fatto…

Maurizio Ricci (Morris)

Una storia lunga oltre cento anni………

Una storia che ha un padre preciso, anche se, probabilmente, sarebbe nata lo stesso. Un romanzo, potremmo dire, che riconduce la sua genesi su un personaggio che ha velocizzato il passaggio del velocipede alla bici e che rappresenta una pietra miliare del ciclismo e del suo tempio maggiore, perlomeno per chi, oltre un secolo dopo, si pone di fronte a questo sport, con le valorizzazioni che vogliono i numeri: il Tour de France.
La figura in questione è quella di Henri Desgrange, un francese, parigino per la precisione, tanto geniale quanto intinto di un sottile senso di superiorità, pur non mancando mai di essere prudente. Un campione sulla bicicletta nato anomalo, in quanto divenuto tale non per la ricerca di un riscatto, ma come frutto di una passione che intendeva come un serio fatto di vita e per la vita. Henri aveva un gemello, Roger, che era di lui l’opposto, un pio-prete senza veste talare, ed incapace di rischiare anche il minimo, uno insomma, che appariva destinato all’anonimato più perpetuo. La loro famiglia, non ricchissima, ma sufficientemente agiata per vivere i tratti migliori della borghesia parigina, aveva lasciato ai fratelli la strada per scegliere senza cadere, scottarsi o raggelarsi, e mentre Roger viveva il tutto nella versione più cupa dell’ignavia, Henri rispondeva con l’effervescenza del carattere, come megafono di una grande capacità di osservare e progettare. Studiò e stava divenendo avvocato, ma prima che le leggi, guardava lo spirito che le produceva, nato nell’ogni giorno dalle metamorfosi sociali che la ricerca scientifica e le risposte tecnologiche stavano presentando. Fu assunto in un importante ufficio del suo ramo di studi, ma vi restò poco: c’era qualcosa di meglio da fare. Già, si fece licenziare perché voleva correre su un mezzo che aveva la pretesa di sostituire in tutto il velocipede e divenire a portata di tanti: la bicicletta. Era il 1891, ed Henri, nato a Parigi il 31 gennaio 1865, aveva già 26 anni. Era da tempo che all’attività intellettuale, accostava le gare, soprattutto su una variante agonistica la cui nascita e la cui morte starà all’interno della Belle Èpque: quella dei tricicli. Lì, si era fregiato del titolo di campione, ma non bastava, lui voleva provarsi meglio su quel mezzo che vedeva come epocale e, proprio nel 1891, all’indomani del licenziamento, si iscrisse ad una corsa che voleva diventare famosa (e lo divenne), che partiva da Bordeaux ed arrivava a Parigi, la sua città. Uno sforzo immane per un neofita, ma lui la finì, non fra i primi, ma la finì. Sempre più vicino e scrutatore del nuovo strumento a pedali, divenne così un assiduo praticante di quei velodromi, allora chiamati tondini, che erano il teatro massimo, denso di folle, del nuovo mezzo.
Qui, si scoprì scevro agli scatti, ma in possesso di una progressione da lasciare a bocca aperta l’osservatorio del tempo. Essendo resistente, provò a segnare la sua epoca con un qualcosa che potesse sì inebriare l’attualità, ma che restasse negli anni. Cercò dunque quei record che sono da sempre un modo per creare effetti superiori al traguardo, portandosi presso gli elementi che fanno critica e si leggono naturali alle disamine.
[Immagine: 13622486837490desgrange3.jpeg]
Henri Desgrange tentò, e vi riuscì. L’11 maggio 1893, nella “sua” Parigi, radunò gran pubblico sulla pista in cemento di Buffalo (chiamata così perché sita su una zona che era stata la dimora parigina della troupe di William Cody, alias Buffalo Bill), e lì seppe dare spettacolo, stabilendo i primati mondiali del “Km con partenza da fermo”,  in 1’37”; dei 10 km, in 16’54” e, soprattutto, dell’Ora, percorrendo la distanza di 35325 metri. Due mesi e mezzo più tardi, allungò il suo palmares di record, ai 100 km, percorsi in 4 ore, 4 minuti e 7 secondi. Era nella storia, ma alla storia non vi passerà per questo. Divenuto famoso e affermato, diminuì l’intensità agonistica drasticamente, fino all’abbandono pochi mesi dopo, ma non lasciò lo sport ed il movimento fisico che saranno suoi compagni, sempre. Guardò con occhi ancor più acuti la “Belle Epoque” che gli scorreva davanti, raccolse le idee, l’osservazione e le esperienze, e cominciò a scrivere.
Nel 1894 pubblicò un libro “La tete et les jambes”: un romanzo che rappresentava un inno alla bicicletta e, di fatto, insegnava al lettore anche il mestiere del corridore sul nuovo mezzo, l’unico spinto a motore umano. Cominciò a pubblicare scritti di varia natura con assiduità sui giornali e ad accostare a tutto questo, anche l’organizzazione di eventi. Nel 1897 divenne direttore del Velodromo del Parco dei Principi, l’anno successivo, scrisse un altro libro, dal titolo “Alphonse Marcaux” e, nel 1900, fu chiamato dagli industriali Albert De Dion e Adolphe Clément, a dirigere la loro nuovissima rivista, l’Auto-Velò: un giornale sportivo che aveva la chiara ambizione di scalzare dal ruolo di leader, “Le Velò”, diretto da quel Pierre Giffard che, nel 1891, aveva lanciato la Parigi-Brest-Parigi e che organizzava pure la Bordeaux-Parigi.
Desgrange, lanciò la nuova testata su buoni livelli, e capì che la proposta di eventi ciclistici era determinante per il successo del giornale stesso, come d’altronde insegnava la testata concorrente. Ed in questa direzione si mosse, contribuendo, nel 1903, all’elevazione di quello che sarà un monumento del pedale su pista e di altri sport: il Velodrome d’Iver, sito in via Nelaton, vicino alla Torre Eiffel, a Parigi. Si trattava di un impianto coperto che garantiva attività sportive tutto l’anno. Ma la svolta nella vita di Henri, non fu nemmeno quella. L’anno però, era quello giusto.
[Immagine: Henri_Desgrange_1914.jpg]

All’inizio del 1903, le vendite de l’Auto-Velò raggiungevano le 33000 copie, ma non erano ancora sufficienti per gratificare uno come Henri, in quanto il giornale di Giffard, era diffuso quasi tre volte tanto: 88000. Per battere la concorrenza, Desgrange cercò idee, coinvolgendo gli uomini della testata, ed una sera raccolse l’indicazione del suo capo redattore, Geo Lefevre, ovvero: l’organizzazione più sensazionale, in grado di richiamare interesse e conseguenti vendite, non poteva che partire da una nuova, più completa ed affascinante prova in bicicletta. Più massacrante dei 1200 chilometri della Parigi-Brest-Parigi, più corposa per itinerari, ed in grado di coinvolgere più territori. In altre parole si doveva organizzare il Tour de France sullo strumento chiave della “Belle Èpoque”: la bicicletta.
Henri coinvolse tutto il coinvolgibile, attraverso gli stessi imprenditori proprietari della testata e l’impresa economica, che stava alla base della consorella organizzativa, si compì: il primo Tour, venne alla luce proprio nel 1903 e fu un successo.
La strada era dunque spianata, ma restava intatto il bisogno di arricchire di interessi la morfologia della corsa, per farne compiutamente un evento di livello mondiale. Ed in questa direzione si mosse ancora una volta con grande acume. Dopo aver inserito gradatamente montagne di grandi difficoltà sul percorso del Tour de France, l’astuto Desgrange, si convinse che nulla era impossibile ai corridori ciclisti, anche se aveva dovuto constatare quanto fossero pochissimi coloro che riuscivano a raggiungere le vette, senza scendere dal mezzo a pedali. Ma non poteva fermarsi, di fronte a questi che considerava solo dettagli di resistenza, sul campo di un vincente percorso verso quel colossale, che sapeva colpire la fantasia degli sportivi con un’intensità via via più eccezionale. Le fatiche sempre maggiori mandavano in bestia i corridori, ma lui incassava i loro improperi e arricchiva di premi e danari i frutti delle loro abnegazioni: il Tour de France, stava diventando la corsa più famosa ed importante del mondo, ed era già la più ricca. Negli anni, Desgrange inserì sul tracciato della grande corsa francese, fra le altre cime, le asperità alpine del Col Bayard (1905), la Cote de Laffrey (1905) e, soprattutto, il Col de Porte (1907); indi il Col de la Republique (1903) per quanto riguarda il “Massiccio Centrale”, il Col du Cerdon (1907) della catena del Giura, nonché il celeberrimo Ballon d’Alsace (1905), vetta dei Volgi in Alsazia. La svolta decisamente più montagnosa, con l’edizione del 1910, quando “sposò” quasi per intero le principali vette dei Pirenei, in ordine di percorrenza, il Peyresourde, l’Aspin, ed i difficilissimi Tourmalet e l’Aubisque. Ma serviva ancora qualcosa di grosso e d’impervio, soprattutto fra le Alpi.
Lì c’era una vetta che stuzzicava giorno e notte l’interesse di Desgrange. Quel colle che avrebbe fatto la differenza, arricchendo il Tour di una variabile importante sul complessivo terreno della leggenda da costruire. Qualche anno dopo, “Patron” Henri, rilasciò un’intervista dove dichiarava, a proposito di quei primi Tour de France, ed in particolare per l’edizione del 1910, quella dell’inserimento pirenaico: Quei poveri corridori non avevano tutti i torti di protestare. Ma senza quelle innovazioni rivoluzionarie, il Tour non sarebbe progredito e oggi non sarebbe quello che è. Mi hanno insultato, ma poi furono gli stessi corridori che riconobbero l’utilità di correre sulle grandi montagne per la propaganda dello sport ciclistico e mi resero giustizia, tanto che nessuno fiatò, nel 1911, quando spinsi il Tour sul terribile Galibier, a oltre 2500 metri di altezza”.
Ed eccola qua, la cima-passo che era stata per tanto tempo nelle orbite di Desgrange. S’elevava fra la neve che anche d’estate a quella altezza si poteva trovare, ed era difficile, a tratti superba forse anche troppo per i corridori, ma era quello che Henri cercava: il suo sogno.
[Immagine: 1913--Desgrange-fuma-e-guar.jpg]

Nel 1911 nasceva così il rapporto fra il Col du Galibier e il Tour de France, una leggenda nella leggenda. Su quel passo si elevò, tanti anni dopo, un monumento a Desgrange: fu una scelta giusta, legittima e, sicuramente, tanto apprezzata dal destinatario di quella ermeneutica. Il fondatore del Tour, amava il Galibier, era la sua montagna preferita.     

Il Col du Galibier e il Tour de France

Il Col du Galibier, dunque, arrivò al Tour de France come lo spettro accettato dai corridori e non mancò mai in tutti gli anni di presenza sul tracciato, di lasciare un segno, per la sua imponenza, per le fatiche che richiedeva e per quel fascino particolare che, con lo scorrere dei lustri, non è mai sceso.
Una montagna rispettata, un totem del Tour.
La sua storia nella celebre corsa e nel ciclismo più in generale cominciò, come detto, nel 1911, quando gli allora “pionieri” di questo sport, l’affrontarono con biciclette pesanti 15 chili abbondanti, senza cambio e con un sistema frenante azionato sulla sola ruota anteriore. La carreggiata del passo, non era altri che una mulattiera solo un poco più larga, come si può ben vedere dalla foto precedente, scattata sul Galibier, nell’edizione del 1913.
I primi in assoluto a transitare sulla sua cima furono nell’ordine Emile Georget, Paul Duboc e Gustave Garrigou, che la leggenda vuole come gli unici a non scendere di bicicletta per proseguire a piedi fino alla cima.
Da allora, il Col du Galibier è stato percorso dalle tappe del Tour de France per 62 volte. In 20 occasioni, colui che passò primo sulla sua cima, vinse poi anche la tappa. Potevano essere 63, perché il grande colle alpino, era presente nel tracciato dell’edizione del 1996, ma non fu poi scalato a causa delle condizioni atmosferiche proibitive.
L’unica impresa sulla quale il Galibier ha deciso direttamente le sorti del Tour de France, è stata quella di Marco Pantani, nel 1998. In un giorno da lupi, per il freddo e la pioggia che sui 2400 metri di quota divenne nevischio, a circa cinque chilometri dalla cima, con in fuga un drappello di buoni corridori, il grande campione di Cesenatico, scattò dal gruppo degli uomini di classifica e, per loro, non restò altro che vederlo sparire all’orizzonte. Si visse la leggenda di uno dei più grandi mai saliti su una bicicletta, sulla leggenda del Galibier. Pantani volò sulle pendenze di quella nobiltà, raggiunse e staccò i fuggitivi, li aspettò nella discesa che portava al Lautaret e li staccò nuovamente, con una ascesa portentosa a Les Deux Alpes, dove era posto l’arrivo. Ipotecò il Tour con quello scatto, là dove il Galibier ruggiva la sua mitologia.
L'unica volta in cui il Tour chiuse la tappa direttamente sulla cima del Galibier fu nel 2011, anno del Centenario, nel quale "il Gigante" fu scalato due volte: la prima con conclusione e la seconda con passaggio interno tappa. A passare primo sulla mitica soglia, fu in ambedue le occasioni, il lussemburghese Andy Schleck.
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2011 - L'arrivo vittorioso e solitario di Andy Schleck

Maurizio Ricci detto Morris

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 30 maggio
Inviato da: Morris - 30-05-2023, 07:20 AM - Risposte (1)

Roger Buchonnet (Fra)
[Immagine: 1261989017BUCHONNETRoger-3.jpg]
Nato il 30 maggio 1926 a Magnet (Auvergne), deceduto il 3 marzo 2001 a Saint-Myon (Auvergne). Passista scalatore. Professionista da 1947 al 1958 con 15 vittorie. Un corridore ardimentoso, che ha saputo ritagliarsi notorietà nonostante mezzi non eccezionali. Per due lustri un riferimento per la Regione dell’Auvergne. Partecipò a quattro Tour de France di cui due conclusi ed in quello del 1951 fu protagonista, arrivò sul podio ad un Campionato di Francia, vinse brevi corse a tappe, nonché diverse frazioni delle stesse. In altre parole, uno che c’era, ed in qualche modo qualcosa raccoglieva.
Tutte le sue vittorie. 1947-Ind.con Riva Sport (1): GP de Marmignolles. 1951-Metropole (1): Tappa di Nizza alla Parigi Nizza. 1952-Metropole (1): GP de Marmignolles. 1953-Rochet (2): Vienne-Gartempe, GP Martini. 1954-Rochet (1): Classifica Generale Circuit d'Auvergne. 1955-Rochet (2): Tappa di Monosque alla Parigi Nizza, GP Sazeray. 1956-Rochet (3): Circuit des Monts du Livradois, GP Guéret, GP Bonnat. 1957-Rochet (4): Classifica Generale Circuit d'Auvergne, Tappa di Clermont Ferrand del Circuit d'Auvergne, Tappa di Reus alla Volta a Catalunya, Tappa di Bellac alla Vienne-Gartempe.
I suoi migliori piazzamenti. 1949: 3° nella Classifica Generale Circuit des Six Provinces, 3° nella 3a tappa Critérium du Dauphiné Libéré. 1950: 2° nel GP du Midi-Libre, 2° nel GP Martini, 3° nella 5a tappa Circuit de l'Ouest. 1951: 2° nella tappa di Briancon al Tour de France, 3° nel Campionato Nazionale su Strada, 3° nel GP Chanteloup-les-Vignes, 4° nella tappa di Marsiglia al Tour de France, 7° nella tappa di Parigi al Tour de France, 39° nella Classifica Generale Finale Tour de France. 1952: 2° nella tappa di Tanger al Tour del Marocco, 3° nella tappa di Gap al Critérium du Dauphiné Libéré. 1954: 2° GP Martini, 3° GP des commercants de La Ville-Gozet. 1955: 2° Critérium du Centre, 2° Criterium Montluçon, 2° Gp Ussel, 3° nel GP de la Trinité, 3° nel Gp Mauriac, 3° nel Gp Saint-Vallier, 3° nel Gp Guéret, 51° nella Classifica Generale Finale Tour de France. 1956: Grand Prix d´Issoire, 2° Criterium Dezice. 1957: 2° nella Classifica Generale Vienne-Gartempe, 2° nella tappa Clermont Ferrand del Circuit d'Auvergne, 2° GP Martini, 3° nel Criterium Saint-Amandin.

Richard Everaerts (Bel)
[Immagine: 16784697461325Everaerts,Richard.jpg]
Nato a Rillaar il 30 maggio 1937, deceduto a Bonheiden il Primo maggio 1995. Passista. Professionista dal 1960 al 1965 con una vittoria.
Grandissimo talento a livello giovanile e dilettantistico, dove dimostrò di poter vincere ogni corsa in linea, con azioni da dominatore, anche se poi, per una certa pigrizia, era sovente poco disponibile a concedersi allo spettacolo. I suoi acuti non si fermarono al Belgio, ma sconfinarono anche in quelle terre, come la Polonia, dove i giovani dilettanti belgi si trovarono ad affrontare i "professionisti di stato" dell'est europeo. A 21 anni nel 1958, vinse infatti due tappe del Giro di Polonia e finì 6° nella classifica finale. Nel 1960 passò stabilmente fra gli Indipendenti e vinse il Giro delle Fiandre, poi a fine stagione corse da professionista con la francese Mercier BP, vincendo il GP Rillaar. Nel 1961, il passaggio alla nostra Baratti con qualche corsa in seno alla Carpano. L'Italia non fece bene a Everaerts, che del nostro Paese apprezzò più la cucina, che le corse. Solo di classe e grazie alla spinta che viene da sempre nella terra di religione ciclistica, ovvero il suo Belgio, colse tre piazze d'onore nei Gran Premi di Lanaken, Deurne e Kapellen, ed il terzo posto nella Putte-Mechelen. Nel 1962, passò in pianta stabile alla Carpano, ma la musica non cambiò e da giugno s'accasò alla Mann: solo un 5° posto a Hoegaarden. La stagione seguente, lo vide ancora alla Mann: 2° nell'Omloop Hageland-Zuiderkempen e 3° a Zonnegem. Nel 1964 approdò alla Romeo-Flandria, ed in tutta la stagione colse solo il 3° posto a Geel, poi, nel 1965, il suo miglior risultato di carrioera fra i prof: 2° nella Freccia del Brabante. A fine anno lasciò il ciclismo, ed aprì una caffetteria a due passi dalla stazione di Haacht. E dire che era un corridore di talento....

Dino Liviero
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Nato a Castelfranco Veneto il 30 maggio 1938, deceduto a Tarvisio il 6 maggio 1970. Professionista dal 1959 al 1964, con 5 vittorie.
Un velocista dalla sparata notevole che, per vari motivi, non s'è compiuto come si poteva presumere, anche se è stato, nei pochi anni da professionista, assai popolare. Arrivò presto al ciclismo, evidenziando immediatamente le sue doti velocistiche. Naturalmente, le sue vittorie furono ben presto copiose al punto che una società del Ravennate, l'Edera di Santo Stefano, lo volle assolutamente con sé, ed allora i trasferimenti extraregionali fra i dilettanti, erano rari. Passò professionista nell'ottobre del 1959 in seno alla Torpado. Nel primo vero anno nell'elite si mise subito in mostra vincendo il Giro di Campania e la tappa di Caserta del GP Ciclomotoristico, prova nella quale fu 2° nella frazione di Manfredonia, 6° in quella di Spoleto e 15° nella classifica finale. Nell'anno colse anche un significativo 3° posto nella tappa di Verona al Giro d'Italia chiuso 74°. Nel 1961 vinse il Circuito di Ponte di Piave, si piazzò 2° nelle tappe di Teano e Firenze al Giro d'Italia e finì 6° nella Milano Sanremo. Nel 1962, provò la più grande gioia di carriera, vincendo la prima tappa del Giro d'Italia a Tabiano Terme, che gli valse anche la conquista della Maglia Rosa. Nell'anno si impose anche nel GP Cemab di Mirandola, colse il 3° posto al Giro Toscana, il 4° nella Milano-Mantova e il 6° nella Milano-Vignola. Nel 1963, passò dalla Torpado alla Lygie, ma non fu una stagione felice, solo un 4° posto a Lurago d'Erba, prova del Trofeo "Cougnet". Ancora un cambio di squadra nel 1964, con l'arrivo all'Ibac, ma non giunsero vittorie. Nell'anno fu 4° al Giro di Calabria e quinto nella Sassari-Cagliari. Il calo di risultati e la chiusura dell'Ibac, lo spinsero al ritiro dall'attività agonistica. Un destino crudele lo portò via ai suoi cari, ai suoi tifosi, alla sua gente, il 6 maggio del 1970, a soli 32 anni. Un incidente, in galleria a Tarvisio, l'appuntamento fatale con la morte.

Giordano Tognarelli
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Nato a Ponte Buggianese (PT) il 30 maggio 1922, deceduto a Montecatini Terme (PT) il 25 ottobre 2015. Passista scalatore. Professionista indipendente dal 1949 al 1953, senza ottenere vittorie.
Un esempio, potremmo dire stereotipo, di come la guerra abbia deviato o modificato una carriera. Oddio, sia chiaro, il conflitto se fosse stato tutto qui, nel deviare o modificare le carriere degli sportivi, sarebbe stato solo uno dei tantissimi segmenti, dove l'uomo si manifesta profondamente cretino, ingiusto e tendenzialmente dispotico...per deficienza. Purtroppo fu quello che abbiam visto. Ma restiamo a noi. Giordano Tognarelli, corridore pistoiese, sicuramente di valore superiore al raccolto di carriera, si trovò gli anni della crescita, tarpati da quella tortura e quando, come tanti altri, poté tornare, si trovò a dover recuperare quei pezzi mancanti senza avere il tempo di farlo facendone tesoro, il tutto in un intorno di precarietà che non erano stati cancellati dagli entusiasmi della fine del conflitto. In altre parole, più tecniche, non si era potuto adeguare, con la giusta temporalità, alle distanze delle corse di quei tempi e non poté provare al meglio quegli insegnamenti che tanti direttori sportivi, o semplici atleti, avevano ricavato leggendo il libro "Prendi la bicicletta e vai", il testo-vademecum più incisivo, rapportato alle varie epoche della storia ciclistica, scritto da Giuseppe Ambrosini, ed uscito la prima volta nel 1951. Tognarelli si legò siamese alla Associazione Ciclistica Montecatini, dove si trovò a fianco di Alfredo Martini di un anno e mezzo più anziano e dove, a ventisei anni, da dilettante con licenza di correre anche con indipendenti e professionisti, diede il meglio di sé. Nel 1948 infatti, vinse la Milano-Lugano, il GP Comune di Cerreto Guidi, indi fu protagonista di un grande Giro del Lazio, allora corsa a tappe riservata ai soli dilettanti. Qui, arrivò 3° nella prima tappa, 9° nella seconda, 9° nella terza, 4° nella quarta, frazione in cui conquistò la testa della classifica e 11° nella quinta ed ultima. A Roma, nella classifica finale, fu primo a pari tempo con Pietro Giudici, ma il vertice fu simbolicamente assegnato a questi, poiché a punti, sui piazzamenti in differenza, Tognarelli si trovò con due punti in più rispetto al collega. Una conclusione davvero un po' così, ma ciò tolse poco alla bella prestazione del pistoiese. Il problema era che il Giro del Lazio, verteva su tappe di cui la più lunga era di 178 km e Giordano aveva già 26 anni abbondanti.... Fatto sta, che nel 1949 passò fra gli indipendenti, cercando di recuperare il gap con le lunghezze delle corse professionistiche, ma non raccogliendo risultati apprezzabili, faticò a trovare un ingaggio vero. Ed infatti, nel 1950, fece qualche corsa con la Viscontea, altre con la Benotto, ed altre ancora col GS Spallanzani di Milano. Nell'anno fu 7° nel GP Montemaggio e chiuse col 73° nel Lombardia. Nel 1951, si trovò ancora fra gli isolati e dopo un esordio non privo di difficoltà alla Milano Sanremo che chiuse 134°, corse un buon Giro di Toscana, dove si piazzò 30°, ma per il resto niente di particolare. Corse anche nel 1952, da isolato, e nel 1953, con le maglie della UC Comense, ma non ottenne risultati.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 29 maggio
Inviato da: Morris - 29-05-2023, 08:42 AM - Risposte (5)

Eugène Gréau (Fra)
[Immagine: 1251013642GREAUEugene.jpg]
Nata il 29 maggio 1904 a Nieul-le-Dolent (Pays de la Loire), deceduto il 20 dicembre 1943 a Sonnenburg (Thuringen – Germania). Passista scalatore su strada, ciclocrossista. Professionista dal 1926 al 1933 con 47 successi.
Buon ciclista prima, martire della resistenza, poi. Nella storia di questo figlio di un poco più che villaggio della Vandea, si racchiudono gli insiemi del ciclismo, quando era ancora nella sua fase propulsiva di sport e di vita e quelle derive che han sempre trovato nelle guerre la sublimazione più tangibile della criminalità e dell’imbecillità umana.
Figlio di contadini divenne ciclista portando il latte, quando capì che sapeva pedalare meglio di tanti che non avevano quel carico. Dal 1921 al 1925 fu classificato dilettante ma lui correva pure per guadagnare, basti citare che in quel lasso raccolse 27 successi, anche se non partecipava tantissimo, perché doveva pure lavorare a casa. Divenne professionista quando fece del ciclismo davvero una professione, mise su famiglia (avrà cinque figli) e lavorava saltuariamente alle ferrovie. Da prof il suo talento non eccelso, ma tangibile nelle corse di un giorno e nelle brevi corse a tappe, gli consentì di raggiungere un bel bottino di vittorie e di piazzamenti e di poter mantenere la sua famiglia crescente, senza patemi. Ma da persona a modo quale era, ad un certo punto cercò più sicurezza e, quell’impiego saltuario alle Ferrovie francesi, divenne fisso durante il 1930. Da quel momento iniziò a gareggiare assai meno, si impegnò di più nel ciclocross, perché conviveva meglio col lavoro alle ferrovie e la sua carriera si chiuse a fine 1933, quando aveva 29 anni. Sulla bici era un passista scalatore, con un buon spunto di velocità che sapeva sviluppare meglio in quel ruolo che il tempo definirà “finisseur”. Taluni traguardi conquistati da Eugene Greau, erano di buona evidenza nel ciclismo francese fra le due guerre e dimostravano una vivacità ciclistica che nel pedale mondiale del tempo, vedeva solo il Belgio a livelli simili. Eugene partecipò a tre Tour de France, ma concluse solo l’ultimo, quello del ’29, al 47° posto.
Tutte le sue vittorie. 1926 - JB Louvet -Wolber (4): Champion de la Vienne de cyclo-cross, GP Ferrus, GP "La Rafale", Classifica Isolati Parigi Roubaix. 1927 - JB Louvet -Wolber (5): Circuit des 3 Villes à Angers, Circuit du nord-ouest de la Vendée, GP de Montaigu, Circuit Poitou-Touraine, GP Mestard. 1928 – Dilecta-Wolber (14): Angers-Cholet-Angers, Poitiers-Saumur-Poitiers, Nantes-Missillac, Circuit de la Charente inférieure, Circuit de Vendée, Circuit des Côteaux du Layon, GP de Challans, GP Thomann Chatellerault, GP Thomann Poitiers, Gp Bourgneuf, Gp Fontenay-le-Comte, Gp L'Herbier, Gp Poiré-sur-Vie, Gp Ruelle. 1929 L’automotion Talbot (12): Champion de la Vienne de cyclo-cross, 3 jours de l'Avenir de la Vienne a Poitiers, 1a, 2a, 3a tappa de 3 jours de l'Avenir de la Vienne a Poitiers, Les Adjats-Angoulême-Les Adjats, Poitiers-Châtellerault-Poitiers, G.P de l'Automation a Poitiers, G.P Penaud, G.P Touranica, Gp Loudun, Gp Tours. 1930 – Oscar Egg Dunlop (2): Champion de la Vienne de cyclo-cross, Gp Saint-Calais. 1931 Individuale (7): GP Thomann, Gp Conneré, Gp Dollon, Gp Lavaré, Gp Montfort-le-Rotrou, Gp Saint-Maixent, Gp Vernon. 1932 Individuale (2): GP de Paques au Cuart, Gp Chartres. 1933 Individuale (1): Champion d'Eure-et-Loire de cyclo-cross.
Piazzamenti di Nota. 1926: 2° nella Parigi Lille, 4° Parigi Angers, 16° Parigi Roubaix. 1927:
2° Parigi-Le Havre, 11° Parigi Tours. 1928: 2° GP de la Loire, 2° Tours-Châtellerault-Tours. 1929: 2° Poitiers-Saumur-Poitiers, 2° Tours-Chatellerault-Tours, 47° al Tour de France. 1930: 2° GP de l'Automation a Poitiers, 2° GP du Vélo Sport Fertois. 1932: 2° GP de La Ferté-Vidame.
Finita la carriera ciclistica continuò a lavorare per le Ferrovie francesi. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Eugene Greau si unì alla resistenza. Arrestato dai tedeschi in seguito a un sabotaggio ferroviario, fu incarcerato nel 1941 e poi condannato a morte. La sua richiesta di clemenza viene comunque accolta, forse perché padre di cinque figli. Fu poi deportato in Germania dapprima in Renania poi a Sonnenburg, dove morì di fame e malattie il 20 dicembre 1943. Nel 1999 è stata intitolata ad Eugene Greau, una via nella sua cittadina natale di Nieul-le-Dolent. Alla vigilia del Tour de France 2005, proprio su quella via che era intersecata dalla tappa inaugurale della corsa, il Tour lo ha commemorato.

Franco Ongarato
[Immagine: 1233914019ongarato.jpg]
Nato a Padova il 29 maggio 1949 a Padova. Passista veloce, alto m. 1,76 per kg. 70/71. Professionista dal 1973 al 1974, senza ottenere vittorie.
Un corridore, a dispetto del tanto tempo passato, ancora popolare nella terra di chi scrive, per la sua militanza, da dilettante, nel Pedale Ravennate. Un atleta che avrebbe sicuramente recitato ben altri ruoli nel ciclismo assoluto, se non si fosse scontrato con la sfortuna. Franco aveva qualità eccellenti sul passo ed uno spunto veloce che diventava letale per gli avversari, se a monte c’era una gara densa di fatica. In altre parole aveva tutto per diventare un uomo da classiche nonché cacciatore di tappe nei GT. Ragazzo brillante e deciso, non avrebbe avuto problemi a trovarsi anche tra i professionisti, tanto nel ruolo di capitano che in quello di spalla.  
Arrivò esordiente appassionato e convinto alla Ciclisti Padovani, per seguire il fratello maggiore Pierluigi, già dilettante di un certo valore. Nel 1965 Franco si classificò 2° al Campionato Italiano Esordienti e l’anno seguente vinse il Campionato Italiano cronometro a squadre allievi (Coppa Adriana). Sempre tra gli allievi, rivinse nel 1967, il Campionato Italiano cronometro a squadre e finì 2° nel Tricolore della velocità su pista. Divenuto dilettante lasciò nel 1969 la Padovani per approdare assieme al fratello maggiore al Pedale Ravennate, squadra storica di riferimento per diversi veneti di valore. Ed il vistoso talento del ventenne Ongarato si vide tutto: in stagione 14 vittorie: tra queste il Trofeo Pizzoli, la classifica finale Trofeo del Tricolore, il Criterium Europa a Basilea e la Classifica del più alto punteggio d'Italia. Nel 1970, oltre ai piazzamenti al Milk Race in Inghilterra, vinse due tappe al Tour de Bulgarie, mentre nella stagione successiva si impose in due tappe della Corsa della Pace. Inoltre fu 3° nella Preolimpica di Monaco di Baviera. La Scic squadrone professionistico raggiunse un accordo con Franco per il ’72, ma il giovane padovano non poté darvi seguito, perché bloccato dalla FCI come probabile olimpico. Ed alle Olimpiadi di Monaco Ongarato andò: titolare nella prova su strada, dove si ritirò a verso fine corsa a giochi fatti, e fu riserva nella 100 km. Tra le vittorie dell’anno olimpico, da segnalare una tappa al Tour de l'Avenir e una tappa del Giro d'Italia dilettanti dove finì 7° nella Generale Finale, nonché primo nella Classifica a punti.
Passò professionista nel 1973 con la Dreher ed ottenne da subito alcuni buoni piazzamenti: nella Tirreno-Adriatico 3° a Tortoreto Lido, 3° ad Alba Adriatica e, sempre 3°, a S. Benedetto del Tronto; 8° alla Milano-Sanremo, 3° nella Sassari-Cagliari, 3° nella 9a tappa del Giro d'Italia (Carpegna-Alba Adriatica), 4° nella 17esima tappa del Giro d'Italia (Forte dei Marmi - Verona) e 5° nella 20esima tappa (Auronzo - Trieste). Chiuse il Giro al 113° posto.
Nel 1974 in maglia Filcas ottenne un 3° posto al Giro della Sardegna e un 8°, 6° e 4° al Giro delle Puglie. Disputò la sua ultima corsa l'11 maggio 1974, a Martina Franca, al Giro delle Puglie, dove finì appunto 4° classificato. In serata però, litigò con il presidente Filcas e pur essendo in ottima forma non partì per l'imminente Giro d'Italia, interrompendo l'attività: aveva in tasca un contratto di compromesso con la Magniflex, ma il 15 agosto facendo un tuffo in mare a Lignano Sabbiadoro si ruppe due vertebre, rimanendo paralizzato per un anno. Seguì un lento e parziale recupero, ma a 25 anni fu costretto a chiudere col ciclismo. Entrò nel mondo del tennis gestendo fino al 1994 il mitico "Tennis minigolf di Lignano Sabbiadoro", complesso sportivo con 6 campi in terra rossa, scoprendo un sistema di lavorazione, per avere sugli stessi, un drenaggio immediato dell'acqua dopo la pioggia. Diventò così uno stimati professionista nel ramo costruzione e rifacimento dei campi da tennis in terra rossa. Il motto della ditta, nella quale entrò successivamente anche il figlio maestro di tennis, era, ed è: "drenaggio garantito".

Hubert Opperman (Aus)
[Immagine: 16422374311325Opperman,Hubert.jpg]
Nato a Rochester (Australia) il 29 maggio 1904 e morto a Melbourne (Australia) il 18 aprile 1996. Fondista. Professionista dal 1922 al 1939 con 41 vittorie.
Il primo australiano che abbandonò le corse in patria, per giungere nel continente storico del ciclismo. Visti i risultati, si può dire che Hubert Opperman, non sia stato solo un pioniere del ciclismo australiano, ma un campione con una sua precisa dimensione e collocazione internazionale. Il primo viaggio dall'Australia all'Europa, lo compì nel '28. Appena giunto in Francia disputò, giungendo 8°, la Parigi-Rennes e fu 3° nella Parigi-Bruxelles. Mal spalleggiato e senza esperienza non figurò adeguatamente nel Tour de France. Fu poi la pista a dargli modo di fare sensazione: si aggiudicò infatti la Bol d'Or coprendo la distanza record di km 950,060 e lasciando gli avversari a distanze abissali: Mouton fu 2° a 106 giri, Hout 3° a 155, Sellier 4° a 155, Urango 5° a 498. Nel '31, si impose nella Parigi-Brest-Parigi, battendo in volata il belga Léon Louyet ed altri quattro corridori, correndo alla media di 24, 121 kmh. Fu un epilogo che non ha paragoni nella storia delle manifestazioni di durata. Ma nel suo curriculum, composto da una quarantina di vittorie, figurano pure quattro campionati nazionali, il Gran Premio di Victoria '27, il Giro di Tasmania '29, il Circuito Bourbonnais, in Francia, nel 1931 e il Memorial Bidlake, in Gran Bretagna, nel 1934. All'attivo della sua lunga carriera, anche una striscia di record non indifferente. Notevole quello delle 24 Ore con allenatore in moto, dove coprì la distanza di km 1384, all'incredibile media di km/h 57,669. Anche fuori dal ciclismo, fu una figura di spicco. Dopo aver combattuto sul fronte del Pacifico e in Asia Orientale, come pilota di caccia-bombardieri, nel '49 venne eletto deputato (lo fu fino al '67), ricoprendo gli incarichi di aggiunto del Primo Ministro, di Ministro dei Trasporti, poi del Lavoro e, infine, dell'Immigrazione. Finita la parentesi direttamente politica, si dedicò alla carriera diplomatica.

Daniel Van Ryckeghem (Bel)
[Immagine: 16844767261325VanRyckeghem,Daniel.jpg]
Nato a Meulebeke il 29 maggio 1945, deceduto a Meulebeke il 26 maggio 2008. Professionista dal 1966 al 1973, con 39 vittorie.
Coetaneo di Eddy Merckx, sembrò essere uno dei suoi avversari più accreditati nelle classiche, ma non esplose mai, anche se il suo curriculum è fitto di semiclassiche, nonché di tappe al Tour de France, a quello di Svizzera, ed altri di una certa importanza. Veloce, grintoso e dalla corporatura compatta, sapeva essere fortissimo quando lo sprint si dipanava su gruppetti e possedeva una buona tenuta sui muri, ma ebbe la sfortuna di incocciare in una grande generazione di corridori, non solo in Belgio. Oggi uno come Daniel Van Ryckeghem, sarebbe un signor corridore, un campione di prima grandezza nelle gare di un giorno. La sua, non fu una carriera molto lunga, già agli inizi degli anni settanta, quando si trasferì in Francia alla Sonolor, il suo calo, pur piazzandosi ancora, fu evidente, ed a soli 28 anni lasciò l'attività agonistica. Il resto della vita di Daniel, fu segnato dalla sfortuna. Danny, il suo unico figlio, a cui aveva dedicato tutto se stesso, morì per un tumore a soli 34 anni, dopo una lotta lunghissima. Daniel, non riuscì a superare il dolore e dopo tre anni, tre giorni prima del suo 63esimo compleanno, si suicidò.
Tutti i successi di Van Ryckeghem.
1966: GP Briek Schotte; 5a tappa Tour du Nord. 1967: GP Francoforte; Kuurne-Bruxelles-Kuurne; Attraverso il Bel-gio; Bruxelles-Ingooigem; 1a tappa Tour de Suisse; 2a, 5°, 8a tappa Volta Ciclista a Ca-talunya; 1a tappa Deux Jours de Bertrix; Criterium di Wortegem e Ruddervoorde. 1968: 3a tappa parte a (cronosquadre), 8a e 11a del Tour de France; 3a e 9a tappa del Tour de Suisse; 1a tappa Quattro Giorni di Dunkerque; Giro del Sud-Ovest; Criterium di Arras; Beernem, Gavere e Moorslede. 1969: Giro delle Fiandre Orientali; Leeuwse Pijl; 5a tap-pa Tour du Nord; Circuito delle Frontiere; GP di Hooglede (ciclocross); Criterium di Dein-ze. 1970: E3 Prijs Vlaanderen; Attraverso il Belgio; Putte-Kapellen; Circuito delle Sei Province; GP Elfstedenronde. 1971: GP d'Isbergues; Criterium di Ruiselede e Lokeren.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 28 maggio
Inviato da: Morris - 28-05-2023, 08:11 AM - Nessuna risposta

Michael Boogerd (Hol)
[Immagine: 15600098061325Boogerd,Michael.jpg]
Nato all’Aia il 28 maggio1972. Completo, alto 1,77 per 63 kg. Professionista dal 1994 al 2007 con 55 vittorie. Un corridore brillante, talentuoso, generoso ed agonisticamente onesto. Lo dimostrava ogni volta che sapeva trovare la fuga giusta, dove non si risparmiava e tirava sempre di più rispetto a chi era con lui. Poi, ovviamente, pagava questa disponibilità, perdendo smalto negli sprint decisivi. Sapeva essere forte anche nelle corse a tappe, ma è vissuto nell’era sbagliata, perché uno con le sue misure naturali, piovuto nell’era dei chetoni e dei frullini del fisico anoressico, avrebbe potuto dire qualcosa di tutt’altro genere anche nei GT. A dimostralo i successi, anche ripetuti, di taluni che non gli erano superiori in nulla.
I primi segni di talento li mise in luce nel 1990, quando fra le diverse vittorie conquistò un 2° posto significativo al Tour du Basse-Gaulaine.  Idem l’anno seguente stavolta 2° al Grand Prix Francois Faber, mentre fra i dilettanti nel ’92 sempre fra le tante vittorie fece sua la Drielandenomloop. Michael passò professionista nel ’94 con i colori della Wordperfect-Colnago-Decca restando fedele al team per tutta la carriera seguendone le vicende nei vari cambi di denominazione. Dopo i primi anni di apprendistato, prese parte al Tour de France 1996, conquistando la vittoria nella sesta tappa da Arc-et-Senans ad Aix-les-Bains e chiuse la corsa al 31esimo posto in generale. L’anno dopo fu 8°
nella Setmana Catalana, 3° nella Freccia del Brabante, terzo al Tour de Romandie, prima di conquistare il Titolo olandese su strada. A Tour de France chiuse 16°, ma terzo nella Classifica Giovani, dietro a Jan Ullrich e Peter Luttenberger.
La stagione 1998 fu ottima per Michael Boogerd che conquistò una tappa e la classifica generale alla Setmana Catalana de Ciclismo, fu terzo alla Freccia del Brabante e 5° alla Liegi-Bastogne-Liegi. Al via del Tour de France si dimostrò competitivo fin da subito, restando sempre con i migliori e chiudendo al 5° posto della Generale ed a fine anno col 2° posto al Giro di Lombardia terminò 6° nella Classifica finale di Coppa del Mondo.
Tante le vittorie nel ’99: la Parigi-Nizza, l’Amstel Gold Race, il GP Bruno Beghelli, una tappa alla Volta a la Comunitat Valenciana, una alla Vuelta dei Paesi Baschi, l’Amsterdam Rai Derny Race, l’Acht van Chaam, il Giro dell’Emilia. Chiuse poi 2° la Freccia del Brabante, 2° alla Setmana Catalana de Ciclismo, 9° alla Clasica San Sebastian, 8° alla Coppa Sabatini, 15° al Lombardia e completò al 2° posto la Coppa del Mondo, così come fu classificato 2° nel Ranking Mondiale dell’UCI.  Dopo un 2000 in chiaroscuro, con tre vittorie, ma di pesanti solo una tappa alla Tirreno Adriatico, l’anno seguente Michael Boogerd tornò prepotentemente alla ribalta: vinse il Trofeo Alcudia, conquistò due tappe alla Volta a la Comunitat Valenciana chiudendo 2° nella Generale, vinse ad Ortezzano la 7a tappa della Tirreno-Adriatico (che chiuse 3°) e conquistò la Setmana Catalana de Ciclismo e la Freccia del Brabante. Fu poi 10° al Tour de France, 9° all’Amstel, 5° alla Liegi-Bastogne-Liegi, 3° al Lombardia e tentò vanamente un attacco nel finale del Mondiale a Lisbona (43°). Nel 2002 l’olandese prese parte per la prima ed unica volta al Giro d’Italia, chiudendo 17°, al Tour finì 12° ma vinse la tappa a La Plaine. Nel 2003 vinse nuovamente la Freccia del Brabante e, grazie a tanti buoni piazzamenti, finì 2° nella Coppa del Mondo. Al Mondiale di Hamilton l’olandese chiuse 5°.
Il 2004 fu l’anno dei secondi posti per Boogerd: 2° alla Freccia del Brabante, all’Amstel Gold Race, alla Liegi-Bastogne-Liegi e al Giro di Lombardia. La stagione seguente fu 3° alla Liegi-Bastogne-Liegi, 2° all’Amstel Gold Race. Dopo un 2005 non all’altezza del suo ruolino (solo una vittoria in un criterium), riconquistò l’anno successivo il Titolo di Campione d’Olanda, vinse l’Acht van Chaam, fu 4° nel Campionato di Zurigo, 8° al Lombardia e al Tour de France, pur lavorando alacremente per Menchov, chiuse 13°.  Il 2007 fu la sua ultima stagione nel professionismo: vinse cinque gare di secondo piano e al Tour fu spalla di Rasmussen, chiudendo poi 12°.
Il forte legame creatosi con lo sponsor Rabobank, lo fece diventare, una volta appesa la bicicletta al chiodo, testimonial pubblicitario di quel polo bancario.

Maurice Desimpelaere (Bel)
[Immagine: 16408609161325Desimpelaere,Maurice2.jpg]
Nato il 28 maggio 1920 a Ledegem, deceduto il 30 gennaio 2005 a Wevelgem. Passista veloce. Professionista dal 1942 al 1950 con 40 vittorie.
Un corridore veloce, ma non velocissimo, bravo sul passo e discreto sulle salite brevi e secche. In altre parole, adattissimo alle classiche, anche se il suo bottino ne ha raccolte solo due fra le più grandi, mentre si è arricchito di diverse dal valore medio. Bravissimo nei criterium, corse che in Belgio, hanno storicamente dimostrato sostanze non così tali in altre nazioni del ciclismo tradizionale. Lì, la sua volata lunga o quei colpi da finisseur che pure erano tanta parte del suo bagaglio di qualità, divenivano spesso letali. Fu capace di tradurre al meglio un colpo di fortuna alla Parigi Roubaix del 1944, quando il gruppetto al comando che stava inseguendo fu fermato ad un passaggio a livello e lui poté rientrare e battere tutti i volata, compreso l'indomito italiano trapiantato in Francia, Jules Rossi, che fu l'ultimo ad arrendersi e per pochi centimetri tra l'altro. Di origini umili, ma non poverissime, Desimpelaere, ha il pregio di aver messo fine alla carriera ai primi segni di tramonto. A ben guardare la storia dell'intero sport, in pochi vi sono riusciti. Un ottimo corridore, Maurice, ma non un fuoriclasse.
Tutte le sue vittorie, stagione su stagione. 1942: Criterium di Beernem, Kaprijke e Dixmude. 1943: Criterium di Dikkelvene e Ninove. 1944: Parigi Roubaix; Criterium di Bruxelles, Ledegem e Bavilhove. 1945: GP d'Esperaza; G.P Stad Vilvoorde; Campionato Belga per Club; Circuit de la Capitale, Criterium di Oostkamp, Oostnieuwkerke, Lokeren, Marcinelle, Mons e Bonheiden. 1946: Attraverso il Belgio; 2a Tappa dell'Attraverso il Belgio; Campionato Belga per Club; Bruxelles-Moorslede; Criterium di Rollegem (2 giugno) e Rollegem (7 agosto). 1947: Gand-Wevelgem; Circuit delle Tre Città Sorelle, Bruxelles-Moorslede; Paris-Montceau les Mines; Campionato Belga per Club; Criterium di Tournai e Ostende. 1948: Giro delle Fiandre Occidentali; Criterium di Stesene, Bredene e Moorsele. 1949: Parigi-Saint Etienne; 1a Tappa della Parigi-Saint Etienne; Criterium di Aartrijke e Izegem.

Amedeo Gattafoni
[Immagine: 14695385183538FotoGattafoni.jpg]
Nato a Civitanova Marche (Macerata) il 28 maggio 1944. Passista veloce, alto 1,87 per kg 83. Professionista dal 1969 al 1971, senza ottenere vittorie. Un ragazzone altissimo per i suoi tempi e pesante, divenuto ciclista in un'epoca lontanissima dall'attualità redditizia del trasformismo scheletrico di anglosassone ideazione. Già, quel trasformismo che essendo assente negli anni sessanta (universalmente migliori e più umani rispetto agli odierni), ha lasciato il corridore Gattafoni sulla linea del suo buon talento, ma pure a combattere con l'entità di complicate controindicazioni. E lui, da ragazzo positivo quale era, s'è impegnato assai, ma ha pure pagato gli sforzi richiesti dalla visione orizzontale e non specializzata del ciclismo di quei tempi e della mancanza di una certa conoscenza pulita e realmente scientifica negli allenamenti per reggerli. Morale: per essere un corridore in grado di portare ovunque con competitività il suo fisico "complicato", s'è bruciato presto, prima del tempo di logica, anche perché allora, i dilettanti, correvano su chilometraggi non certo inferiori ai professionisti di oggi.
Amedeo scelse il ciclismo, perché era lo sport di famiglia: suo zio, Rolando Verdini detto "Barbetto", era stato un corridore professionista agli inizi degli anni cinquanta, prima come gregario di Fiorenzo Magni e, poi, continuando a correre fra dilettanti ed amatori, fino agli esordi del nipote, seppe divenire un grande amico di Gino Bartali. Il giovane Gattafoni non tardò a farsi notare, aldilà della parentela con una gloria locale e per la sua imponenza fisica unica: in bici ci sapeva fare e vinceva pure. A vent'anni era già ben collocato nella popolarità e nella considerazione dell'osservatorio marchigiano: erano ancora poche però le sue uscite nazionali. L'occasione arrivò imperiosa e prestigiosa a poco più di 21 anni, poiché l'11 settembre 1966, sui non facili 214 chilometri del cagliaritano, con Cagliari sede d'arrivo, si sarebbero svolti i Campionato Italiani su strada dilettanti. Qui il gigantesco Amedeo fu davvero.....gigantesco. Dopo aver promosso una fuga iniziale che non andò a buon fine, a poco più di metà gara ne promosse un'altra, composta da sette corridori che fu, alla fine, decisiva. Il veemente inseguimento di azzurri ed azzurrabili del CT Rimedio, portò però, a soli duecento metri dai fuggitivi, a cinque chilometri dalla conclusione, quel che restava del gruppo, decimato da una giornata caldissima, dalle salite e dal vento contrario che accompagnò i concorrenti negli ultimi 40 chilometri di gara. A quel punto Gattafoni partì nuovamente e stavolta solo i lombardi Bianco e Franzetti riuscirono a seguirlo. Ma all'ultimo chilometro il corridore marchigiano se li tolse di ruota e andò a conquistare solitario il Titolo Italiano. All'indomani della conquista avrebbe voluto passare professionista (che era la scelta più giusta), ma fu fermato dalla lista dei P.O. E così il buon Gattafoni continuò fra i cosiddetti puri, Vinse ancora gare importanti o pesanti come il GP San Basso, il Trofeo Strazzi, la tappa più importante del Giro d'Abruzzo, ma al professionismo passò solo nel '69, approfittando del passaggio alla massima categoria del gruppo dilettantistico in cui s'era accasato, lasciando l'Ercoli di Civitanova, ovvero il G.S. Gris 2000 di Bologna. E con la Gris 2000, nel primo anno fra i prof, partecipò al Giro d'Italia, dove, per un colpo di sfortuna, si giocò quella possibile vittoria di tappa che poteva cambiargli la carriera. Accadde nella seconda frazione con arrivo a Mirandola, dove il corridore civitanovese fu autore di un'importante fuga solitaria, che non ebbe successo perché fu bloccata a meno di trenta chilometri dal traguardo, da un passaggio a livello chiuso. Al Giro poi si ritirò, ma all'indomani della grande corsa fu 4° nel GP di Tarquinia, indi il 14° al Trofeo Matteotti fu la sua miglior piazza fra estate ed autunno '69. La chiusura della Gris a fine stagione lo lasciò senza contratto e per il '70, s'accasò alla modesta Civitanova Marche: sodalizio da applaudire, ma non in grado di seguire programmi di rilievo. Nell'anno, il miglior piazzamento di Gattafoni, fu il 18° posto nella Milano Vignola. A fine anno rimase disoccupato. Staccò la licenza anche per il '71, ma non corse mai.

Nicola Miceli
[Immagine: 16610007021325Miceli,Nicola.jpg]
Nato a Desio, nella provincia di Monza e Brianza, il 28 maggio 1971. Passista scalatore. Professionista dal 1993 al 2001 con 6 vittorie. Un corridore di buone qualità ma incostante, aspetto che ne ha limitato il curriculum e lo ha esposto, visto il suo carattere deciso, a non facili convivenze nei sodalizi in cui ha militato: ben sette su nove anni di professionismo. In ogni caso un corridore che, se in giornata, era un osso duro per tutti.
Da allievo si mise in evidenza per le sue doti di scalatore e vinse corse di peso nella categoria: su tutte la classifica generale della Drei Etappen Rundfahrt Frankfurt. Due anni dopo passò dilettante nelle file della S.C. Panor-Ceramiche Pagnoncelli con la quale nel ’91 conquista il successo nella Coppa Mobilio Ponsacco, fu terzo in una tappa al Giro delle Regioni che poi chiuse terzo nella classifica generale finale.  alle spalle di Davide Rebellin e José Lamy. Nel 1992 trascorse un periodo come stagista alla Carrera-Vagabond-Tassoni ed in quel lasso conquistò la vittoria in entrambe le prove della Crono-Staffetta a Cepagatti (con Tafi, Roscioli, Perini, Giannelli e Pulnikov). Passò professionista nel 1993 con la Carrera Jeans con un contratto triennale. Nell’anno d’esordio colse i suoi migliori piazzamenti al Giro di Toscana (15°) e al G.P. Industria e Artigianato di Larciano (17°). Nel ’94 ad agosto finì 8° alla Subida a Urkiola in Spagna ed il 6 ottobre ruppe il ghiaccio conquistando il Giro del Piemonte. L’anno dopo fu 4° alla Vuelta Ciclista al Pais Vasco sull’arrivo di Vitoria, e 10° al Giro del Friuli. Nel 1996 iniziò con la maglia della colombiana Glacial, il suo continuo cambiamento di squadre ogni anno. In quella stagione partecipò per la prima volta al Giro d’Italia, dove si ritirò nel corso dell’ottava tappa. Andò molto meglio al Giro di polonia dove al 2° posto in una tappa aggiunse medesimo piazzamento nella Generale Finale.
Nel 1997 Nicola Miceli corse per l’Aki. A maggio fu 5° al G.P. Industria e Commercio di Prato e nello stesso mese prese nuovamente parte al Giro d’Italia, stavolta con buone soddisfazioni: 2° nella  Breuil-Cervinia, completò la Corsa Rosa al 4° posto.  Il 1998 Miceli lo passò in seno alla Riso Scotti ed al Giro d’Italia vinse la quarta con arrivo al Monte Argentario grazie ad un’azione da gran finisseur. Fu poi 3° sul traguardo dell’Alpe di Pampeago, ma prima della partenza della penultima frazione, fu fermato per un livello di ematocrito fuori norma. L’anno successivo Nicola passò alla Liquigas conquistando la seconda tappa del Trofeo Interspar, colse poi un 3° ed un 2° di tappa alla Settimana ciclistica Lombarda che chiuse al posto d’onore. Vinse poi la nona tappa del Giro del Portogallo, fu 2° al Giro di Toscana e prese parte alla Vuelta di Spagna chiusa 36°. Nel 2000 corse per l’Alessio ottenendo il 3° posto al GP Industria & Artigianato di Larciano e chiuse 10° la Classifica Generale della Vuelta a Asturias. L’anno seguente con la maglia della Tacconi Sport corse la sua ultima stagione. Nel dopo diventò un affermato imprenditore.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 27 maggio
Inviato da: Morris - 27-05-2023, 06:39 AM - Nessuna risposta

Michele Bartoli
[Immagine: 16814900891325Bartoli,Michele.jpg]
Nato a Pisa il 27 maggio 1970. Passista veloce alto 1,80 per 65 kg. Membro della grande generazione del 1970, Michele Bartoli, detto "il Leoncino", può essere considerato un grande cacciatore di classiche. Professionista dall'agosto 1992 al 2004, nella seconda metà degli Anni '90, è stato davvero il numero uno delle corse di un giorno. Inadatto alle lunghe salite, ma fortissimo in quelle brevi e dure, quindi ideale per le gare in linea, nonché dotato di classe cristallina, in certe giornate è parso davvero insuperabile. Ha ottenuto in carriera complessivamente 57 vittorie, fra cui spiccano 7 prove di Coppa del Mondo, ed una classica, la Freccia Vallone (1999), che solo gli assurdi metodi dell'UCI, potevano relegare per anni dietro ad una San Sebastian. Ricapitolando, nel palmares di Michele ci sono: 2 Giri di Lombardia (2002 e 2003), 2 Liegi-Bastogne-Liegi (1997 e 1998), il Giro delle Fiandre 1996, il Campionato di Zurigo 1998 e l'Amstel Gold Race 2002. Al Giro d'Italia ha vinto due tappe (Lienz '94 e Schio '98), mentre ha sempre sacrificato il Tour, anche quando l'ha corso, per ricercare la condizione migliore per il finale di stagione, con la prospettiva di quel mondiale che gli è sempre sfuggito. Nella corsa iridata, è stato due volte medaglia di bronzo (Lugano '96 e Valkenburg '98), ma ha pure dimostrato, in diverse occasioni, un nervosismo che gli ha creato non pochi danni per le positive risultanze di gara. Un rapporto molto contrastato, e dire che in più di un'occasione, era parso come il più forte in corsa. A dimostrazione delle sue indubbie qualità, nel suo curriculum ci sono due Coppe del Mondo (1997 e '98), ed il primo posto nel ranking mondiale dell'UCI, tra l'autunno 1998 e l'estate '99. Campione italiano nel 2000, può vantare anche altri successi di pregio, come diverse classiche nazionali e altre con maggiori tinte internazionali, come il Giro del Lazio, Freccia del Brabante ( ne ha vinte 2), l'Het Volk, il GP Plouay, il GP di Fourmiese, il GP Cerami, il GP Gippingen e l'Henninger Turm. Nelle brevi corse a tappe ha trionfato nella Tirreno Adriatico, nella Settimana Siciliana, nel Giro del Mediterraneo, ed in due edizioni della Tre Giorni di La Panne. A compromettergli la carriera, un paio di incidenti molto pesanti: il primo durante il Giro di Germania '99, indi una rovinosa caduta al Giro d'Italia nel 2002. Spettacolare come pochi nelle sue punte da campione di razza, ha pagato oltre agli incidenti, le sue pecche caratteriali e l'estrema dedizione a programmi che poteva vivere con maggiori variabili. La sua è stata una grande carriera, ma non è esagerato per nulla dire che le sue qualità, la potevano costruire ancora migliore.

René Martens (Bel)
[Immagine: 16289419601325Martens,Rene.jpg]
Nato ad Hasselt (Limburgo belga) il 27 maggio 1955. Passista, alto. Professionista dal 1978 al 1990 con 13 vittorie.
Un bel corridore che ha saputo entrare nella storia ciclistica, pur non avendo a disposizione mezzi tali da fungere da capitano. Un gregario-spalla fedele, che seppe aspettare le occasioni propizie e che alla fine ha saputo vincere 2 gran classiche e tre simi-classiche, nonché a correre in Nazionale belga ben 4 mondiali: un numero sempre importante, alla luce dell’unicità del prestigio del ciclismo in quel paese e dei gran corridori che il Belgio ha sempre avuto.  
Gran dilettante, capace di conquistare fra i tanti successi, corse d prestigio come il Tour della Provincia di Liegi e il GP Reningelst nel 1976, la Flèche Ardennaise e il Circuit du Hainaut nel 1977 e di correre col quartetto belga la 100 chilometri a squadre ai Mondali di San Cristobal ’77. Eddy Merckx lo volle prof con sé, alla C & A per la stagione ’78, poi il “cannibale” non corse e chiuse l’impareggiabile carriera, mentre il 23enne Renè, passò la stagione ad imparare bene il mestiere, ed a cogliere piazzamenti significativi, come due secondi di tappa al Tour de France, bellamente concluso al 26esimo posto. La chiusura della C & A, lo portò nel 1979 alla Flandria. Nell’anno vinse tre corse, due tappe alla Setmana Catalana e il Gp Bilzen. Ripartecipò al Tour de France che chiuse 30° e fu tra i protagonisti della  Liegi-Bastogne-Liegi, che concluse 12°. A fine stagione causa chiusura della Flandria, si trasferì per il 1980 alla DAF Trucks, che sarà il suo sodalizio per tre anni, i migliori della sua carriera. Con questa compagine ha ottenuto le sue vittorie più importanti: una tappa al Tour de France 1981 (la 9a da Nantes a Le Mans), ma, soprattutto il Giro delle Fiandre 1982, dove trionfò dopo un assolo lungo quasi cinquanta chilometri, concluso con una ventina di secondi di vantaggio sul trio che lo inseguì vanamente, composto da Eddy Planckaert, Pevenage e Pollentier. Sempre nel 1982, vinse la Flèche Hesbignonne ed il Gp Dilsen. Nel 1983, con la squadra diventata Aernoudt, esordì alla Vuelta di Spagna, che chiuse 48º e vinse la Schaal Sels, nonché l Criterium Koersel. L’anno seguente con la maglia della spagnola Teka, rivinse il Gp Dilsen. Nel 1985 approdò alla francese Fagor, con un contratto biennale. In quel lasso vinse la Bordeaux Parigi ’85 e il Gp Bilzen del medesimo anno. Nel 1987 s’accasò alla SEFB e rivinse la Flèche Hesbignonne, che fu anche l’ultimo suo successo. Continuò a correre con l’ADR e con la Tulip, con la cui maglia chiuse con l’agonismo nel 1990. In carriera ha partecipato a 9 Tour de France, portandone a termine 8 (miglior risultato il 24º posto del 1982), 4 Vuelta di Spagna di cui 3 concluse (miglior piazzamento quello all'esordio). Non ha mai corso il Giro d’Italia. Dal 1980 al 1983, ha partecipato ai Campionati Mondiali, ritirandosi nella prima occasione, arrivando al traguardo nelle altre tre, con miglior risultato il 16º posto di Goodwood ‘82.

Virgilio Salimbeni
[Immagine: 1287214376SALIMBENIVirgilio-2.jpg]
Nato a Lainate (MI) il 27 maggio 1922. Velocista, altezza m. 1,74 per kg. 72. Professionista dal 1947 al 1956 con 11 vittorie.
Questo ragazzo milanese dal fisico compatto e dallo spunto veloce di nota, si mise in luce alla ripresa dell’attività dopo il conflitto mondiale. La categoria dilettanti, allora spesso in competizione promiscua con indipendenti e professionisti, lo elevò al rango di ciclista da futuro, nel Trofeo Matteotti del 1947. La bella vittoria che Salimbeni ottenne sulle strade di Abruzzo, al cospetto di diversi professionisti, gli fece guadagnare immediatamente l’ingaggio della Legna-no. Virgilio, ragazzo abbastanza taciturno e concreto, poté così entrare nel professionismo dalla parte eletta, con l’etichetta di grande speranza di un ciclismo italiano che si stava dimostrando forte, nonostante le ferite e le tragedie della guerra. Salimbeni rispose, non diventando un campione, ma un ottimo corridore, in grado di lasciare per un lustro una buona traccia di sé. Già nel ’48 fu inserito nella Nazionale al Tour de France (dove si ritirò), così come nel 1950 (si ritirò) e ’51 (finì 54°). Nel ’50 fu azzurro anche ai Mondiali di Moorslede in Belgio, dove però si ritirò. In quel lasso interamente trascorso con le maglie verde oliva della Legnano, vinse la Coppa Bernocchi, il Circuit du Cantal ed una tappa del Tour della Lorena in Francia, la Milano San Pellegrino, tutte nel ’48; trionfò nel Giro del Lazio, nel Giro dell’Emilia, nel Criterium di Zurigo ed in una tappa del Giro dei Tre Mari, nel 1949. Nel 1952 passò alla Ganna e vinse il Trofeo Banfo, ma la sua carriera si avviò ad un lento tra-monto. L’anno successivo, la vittoria nella tappa di Enna al Giro di Sicilia, fu il suo “canto del cigno”. Nel ’54, continuò a correre da gregario di Fiorenzo Magni nella Nivea Fuchs, poi nel ’55 si alternò fra la Girardengo e la Augustea e nel ’56, staccò la licenza da isolato. Ma non ebbe più occasioni di mettersi in evidenza.

Gilberto Vendemiati
[Immagine: 151613306718495Vendemiati,Gilberto.jpg]
Nato a Ferrara il 27 maggio 1940. Passista. Professionista dal 1964 al 1968, senza ottenere vittorie.
Iniziò, per gioco a frequentare a metà degli anni cinquanta il Velodromo "Fausto Coppi" di Ferrara, poco distante da casa sua e, grazie a quelle giornate, si impossessò della passione per il ciclismo. Nel 1957, esordì come allievo con il "Velo Sport" della sua città, dimostrandosi abbastanza bravo anche su strada. Passato dilettante nelle file del Pedale Ravennate, Gilberto, di carattere timido ed un po’ introverso, trovò l’ambiente ideale per migliorarsi. Una crescita palpabile in risultanze, che non si arrestò nonostante una brutta caduta in pista, proprio nell’anno d’esordio nella categoria. Nel 1960, visse il suo primo scalino verso la notorietà, andando a vincere due tappe del Giro di Campania e una del Giro di Puglia, nonché la Coppa Mengoli, una classica bolognese per puri. Dotato sul passo, forte in salita e discreto in volata, Vendemiati salì un altro gradino l’anno successivo, vincendo tanto fino a guadagnarsi la stima e l’interesse del CT Elio Rimedio. Con la Nazionale partecipò al Tour de L’Avenir, dove vinse la tappa più lunga (Perpignano-Tolosa di 206 chilometri), superando allo sprint i compagni di una fuga lunga 180 km. Fu azzurro anche ai mondiali di Berna, dove chiuse al 14° posto, ma nel corso della gara fu autore di una lunga azione, poi stoppata da Rimedio che non voleva pregiudicare la corsa di De Rosso, eletto capitano del team azzurro. Lo screzio costò a Vendemiati la non convocazione in Nazionale durante il 1962. E dire che durante quell’anno, pur essendo militare, Gilberto raccolse i suoi maggiori successi. Su tutti, di gran valore il Giro della Valle D’Aosta e la Torino-Mondovì. Grazie alla vittoria in questa cittadina, arrivò il contratto con la squadra professionistica locale: la Gazzola. Con questo sodalizio rimase due anni, con alterno rendimento e risultanze non pari alle attese. Nel 1965 e 1966 fece parte della Salvarani, contribuendo da bravo gregario, ai grandi successi della formazione parmense. Nel 1967 passò alla "Max Meyer" di Gastone Nencini, il quale fu un ottimo consigliere per Gilberto, davvero in tutto e per tutto. Tra l’altro, di Gastone, Vendemiati era stato tifoso. L’ex grande corridore toscano suggerì a Vendemiati di svolgere un corso da massaggiatore, favorendogli poi l'inserimento, con questa professione, nel mondo del ciclismo. Fu un lampo per Gilberto che, nel 1968, chiuse col ciclismo pedalato, ma iniziò una carriera di grande pregio nel nuovo ruolo. Dopo esser stato massaggiatore di "Max Meyer", "Scic", "Magniflex", "Famcucine", "Sammontana", "Bianchi", "Ariostea" e Fassa Bortolo.

Maurizio Ricci detto Morris [Continua a Leggere]

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 26 maggio
Inviato da: Morris - 26-05-2023, 07:45 AM - Nessuna risposta

Erich Bautz (Ger)
[Immagine: 16122127241325Bautz,Erich.jpg]
Nato i 26 maggio 1913 a Dortmund, ed ivi deceduto il 17 settembre 1986. Completo su strada e pistard, in particolare Stayer. Alto 1,75 per 72 kg. Professionista dal 1933 al 1952 con 26 successi fra strada e pista solo in competizioni internazionali o assimilabili. Uno dei padri del decollo del ciclismo tedesco, capace da atleta di essere un riferimento per almeno tre generazioni e, poi, da allenatore, uno scopritore di talenti inesauribile e di valore. In altre parole, una figura di grande evidenza nella storia del pedale della Germania.
Venne selezionato per due volte nella nazionale tedesca di ciclismo su strada per partecipare al Tour de France e in tre occasioni gareggiò ai Campionati del mondo di ciclismo su strada, concludendo al nono posto la prova del 1935, corsa in Belgio, a Floreffe.
Stradista completo fu davvero uno dei migliori corridori germanici nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale. Dopo l’infelice esperienza al Tour de France del 1936, dove fu costretto al ritiro per le conseguenze di una rovinosa caduta nella sesta frazione, si rifece in quella grande corsa l’anno dopo. Nel 1937, infatti, indossò per cinque giorni la maglia gialla alla Grande Boucle nella quale vinse due tappe. Conquistò la gialla con un assolo notevole nella vittoriosa tappa di Belfort, dove passò primo sul mitico Ballon d’Alsace, ed arrivò al traguardo con 3’45” su Bartali e 4’29” su Amberg. Rivinse a Royan piegando Lapebie (che poi vincerà il Tour) ed il gruppo, allo sprint. Bautz poi a quella edizione del Tour de France chiuse al 9° posto. Fu tre volte campione tedesco ('37, '41 e '50), vinse il Giro di Germania '47 (primo in sei tappe nei sei giri disputati) e diverse prove in linea nel suo paese, nonchè tappe all’estero, come ad esempio al Tour de Luxembourg ’37. Si dedicò anche all'attività su pista aggiudicandosi per due anni il Titolo nazionale stayer. In questa specialità ottenne anche il bronzo ai Campionati Europei del 1950, svoltisi nella natia Dortmund. A porre fine alla sua carriera fu una caduta in una gara a Dortmund, il 27 ottobre 1952, nella quale riportò la frattura di un'anca. Successivamente, come detto, divenne allenatore federale e lanciò, fra gli altri, Junkermann e Altig.

Edmond Delathouwer (Bel)
[Immagine: 1444986606170DelathouwerEdmond.jpg]
Nato a Boom il 26 maggio 1916, deceduto a Merksem il 26 agosto 1994. Professionista dal 1938 al 1940 con due vittorie. Un buon corridore potenziale, che non ha trovato la forza di ritornare dopo il conflitto, a parte un velleitario tentativo a 35 anni, nel '51, fra gli indipendenti.
Un passista di bello stile e potenza, poco resistente al ritmo richiesto per affrontare al meglio le salite lunghe, ma con un discreto spunto veloce. Una carriera che sta tutta nel 2° posto nella Gand Wevelgem del 1938, nel successo prestigioso alla Freccia Vallone del 1939 e nella vittoria nel GP Haasdonck del medesimo anno. Sempre in quella stagione, si piazzò 19° nel Giro delle Fiandre e 13° nella Liegi Bastogne Liegi. Al Tour de France, si ritirò alla nona tappa.

Jean Graczyk (Fra)
[Immagine: 16419309881325Graczyk,Jean2.jpg]
Nato il 23 maggio 1933 a Neuvy-sur-Barangeon, deceduto a Vignoux-sur-Barangeon il 27 giugno 2004. Passista veloce, pistard e ciclocrossista. Professionista dal 1957 al 1972 con 78 vittorie. Di origine polacca, naturalizzato francese il 23 giugno 1949. Un corridore che ha segnato un'epoca, ed anche se non ha raggiunto risultati eclatanti, quanto fatto è lautamente sufficiente per definirlo un campione. Dotato di una notevole punta di velocità che emergeva su doti di passo altrettanto notevoli, s'è distinto pure per dinamismo e combattività e per la tangibilità dimostrata in quelle che erano le sue palestre, volute e cercate, ovvero le corse a tappe, specie il Tour de France. Si segnalò già da dilettante neofita, come grande inseguitore e finisseur su strada, poi come ruota veloce che amava fare la gamba anche nel ciclocross. Vinse una classica per "puri" come la Parigi-Vierzon, poi, nell'ultima stagione nella categoria, coincidente coi Giochi Olimpici di Melbourne, si laureò Campione di Francia, sia su strada, che su pista nell'inseguimento a squadre. In quest'ultima specialità, alle prime Olimpiadi australiane, conquistò la Medaglia d'Argento.
Partecipò anche ai Mondiali di Copenaghen, dove giunse 16°. Passato prof in seno all'Helyett-Potin di Jacques Anquetil, vinse all'esordio 9 corse, compreso il Giro delle 6 Province del Sud Est, dove colse due tappe e pure la Classifica a punti. Partecipò al Tour de France, ma si ritirò alla 6a tappa. L'anno seguente i successi furono 7, ma di spessore maggiore, fra i quali la Classifica a Punti del Tour de France, una tappa alla Vielta di Spagna, ed una al Delfinato, nonché il GP d'Orchies.
Tanti pure i piazzamenti di pregio, caratteristica che l'accompagnò sempre e che nel '58, appunto, gli consentì di portare a Parigi la Maglia Verde. Partecipò ai Mondiali di Reims dove chiuse 24°. Nel 1959, ancora 7 successi, fra i quali la tappa di Rennes al Tour e, soprattutto, la Parigi-Roma, ovvero l'unica edizione della Parigi Nizza, che s'allungò con la Menton-Roma, ad un rango di corsa a tappe di gran pregio, lunga 12 giorni e con un cast da Giro-Tour. Si ritirò ai Mondiali di Zandvoort dopo aver lavorato per il futuro iridato André Darrigade. Lanciatissimo, nel '60, Jean Graczyk fu, nell'anno, il corridore con più costanza ai vertici mondiali, al punto di vincere il Trofeo Superprestige Pernod, una classifica migliore di ciò che venne dopo, ovvero, Coppa del Mondo e l'attuale abortistico World-Tour. In quella stagione, nei 14 successi colti, Jean andò a segno in tutte le corse a tappe a cui partecipò, dalle quattro frazioni vinte al Tour de France, arricchite dalla sua seconda Maglia Verde a Parigi, al Delfinato, al Sardegna, alla Parigi Nizza, vinse poi il Criterium National e impreziosì il tutto col 2° posto alla Sanremo, al Giro delle Fiandre e col 3° posto alla Parigi Bruxelles, ed il 5° alla Liegi Bastogne Liegi. Unica nota stonata di quell'anno, il Mondiale, dove non andò oltre il 30° posto. Anche nel '61, il numero dei suoi successi rimase in doppia cifra, 10, fra i quali il Gran Premio Ciclomotoristico, ed una tappa dello stesso, una frazione del Delfinato, nonché il 2° posto alla Freccia Vallone, il 4° nella Parigi Bruxelles e il 7° al Fiandre. Si ritirò ai Mondiali. Nel 1962, andò a segno 12 volte e fra questi centri, anche quattro tappe alla Vuelta di Spagna e una alla Parigi-Nizza. Fra le 8 vittorie colte nel 1963, due frazioni del Giro di Catalogna, una al Tour del Sud-Est e l'allora prestigioso GP di Monaco. Dopo tanti anni di vittorie e pochi contrattempi, il 1964 fu un anno difficile per Graczyk, che ebbe diversi malanni che gli fecero saltare corse importanti come il Criterium National e dove si evidenziarono i primi segni di declino. Ciononostante, vinse un paio di corse minori e fu protagonista, anche se piazzato, a classiche come Milano Sanremo (6°) e Bordeaux-Parigi (7°). Nonostante i 6 successi conquistati nel 1965, il tramonto di Graczyk apparve tangibile come l'incipiente perdita di capelli. Il franco polacco, amante della natura, pensò di attutire i colpi dell'età incentivando la partecipazione alle proposte invernali nel ciclocross e nel gennaio del 1966, andò a segno in una anomala prova a coppie con Raymond Poulidor, in quel di Fontenay sous Bois, Fu quella l'unica vittoria colta nell'anno, anche se, a dispetto del crepuscolo arrivante, continuò a cogliere tanti piazzamenti su strada. Divenuto gregario di Anquetil ed Aimar, anche nelle stagioni '67 e '68 continuò a piazzarsi. Poi, nel '69 andò a portare esperienza nella giovane squadra della Sonolor, ed a Quesnoy, raggiunse il suo ultimo appuntamento con la vittoria. Continuò a correre su pista, nel cross e qualche criterium su strada fino al 1972. Per divertirsi, innanzi tutto. E poi si diede alla caccia e al commercio. In carriera fu soprannominato "Popof", un appellativo non simpaticissimo, che in Francia s'usava qualche decennio fa, per indicare i polacchi.

Marino Sacchi
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Nato a Firenze il 26 maggio 1924. Fratello maggiore del più noto Enzo, pistard di valore mondiale. Passista scalatore, alto m. 1,68 per 69 kg. Professionista dal settembre 1949 al 1951, senza ottenere vittorie.
Si fece notare da dilettante, vincendo due edizioni consecutive (nel 1947 e 1948) della Coppa Giulio Burci e per le sue buone condotte. La Bottecchia che voleva allargare i propri orizzonti in Toscana, ed era alla ricerca di buoni corridori di quella regione, lo mise sotto contratto nel settembre del 1949, per poi tenerlo nelle proprie file anche nel 1950. Marino Sacchi però, deluse le aspettative: non fu selezionato per il Giro d'Italia e colse solo un 20° posto nel Trofeo Matteotti. A fine anno Marino Sacchi, si trovò isolato e continuò come tale nel 1951, ma senza risultati. A fine anno chiuse con l'agonismo.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 25 maggio
Inviato da: Morris - 25-05-2023, 07:55 AM - Nessuna risposta

Winfried Bolke (Ger)
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Nato a Genthin il 25 maggio 1941, deceduto a Dortmund il 26 gennaio 2021. Passista, pistard e ciclocrossista. Professionista dall’ottobre del 1963 al 1972, con 13 vittorie. Un corridore poliedrico e positivo ovunque, pur senza toccare quelle eccellenze, che sono la base per essere tangibili campioni. Alla storia comunque passa come un buon corridore anche se molto sofferente di fronte alle lunghe salite lunghe o troppo pendenti. Resta comunque notevole il ricordo delle sue accelerazioni e di una certa disponibilità a prendere iniziative. Purtroppo per lui ha svolto la carriera in quegli anni sessanta pieni di campioni su ogni terreno. Fosse nato dopo anche per Bolke il curriculum sarebbe stato migliore. Gran dilettante dopo un paio di Titoli tedeschi su strada giunse alla medaglia di bronzo ai Campionati del mondo di Renaix. Nell’ottobre di quell’anno, quando s’aprivano le stagioni del cross e delle seigiorni passò al professionismo con la francese Peugeot. La sua prima esperienza col ciclismo migliore fu davvero buona. Nel 1964 infatti si temprò con un bel quarto posto al Giro del Belgio e solo Rudi Altig gli finì davanti ai Campionati di Germania. Nell’anno poi vinse poi fra le altre, il Tour de l’Oise, mini corsa a tappe di buon livello. Nel triennio 1965-’67 vinse per tre stagioni consecutive i Campionati tedeschi, eguagliando Hans Junkermann, che aveva fatto la tripletta fra il 1959 ed il 1961. Il loro record, oltre mezzo secolo dopo, è ancora immacolato. Divenne poi colonna delle rappresentative tedesche ai Mondiali su strada, anche se nelle manifestazioni iridate, non riuscì mai ad essere protagonista. Notevoli pure le sue presenze ed i buoni comportamenti nelle seigiorni e nelle attività su pista più generali. Nel 1967 fu Campione Nazionale nel Madison. Inoltre, soprattutto negli ultimi anni di carriera, tornò con un certo successo a quel ciclocross che l’aveva visto evidente agli inizi: fu infatti 10° ai Mondiali open di Calais nel 1963. Insomma, un buon corridore, anche per quella completezza che va sempre valutata come un pregio.
I suoi migliori risultati anno per anno. 1964: 1° nella 3a tappa del Tour de l'Oise, 1° nella Classifica Generale Finale del Tour de l'Oise, 1° nella 5a tappa del Giro di Catalogna. 2° nel GP di Cannes, 2° nella Rapertingen – Hasselt in Belgio, 2° nel Campionato Nazionale su Strada, 3° nella 6a tappa del Giro di Catalogna, 4° nella Classifica Generale Finale del Giro del Belgio, 5a nel GP d'Aix en Provence. 1965: 1° nel Campionato Nazionale su Strada, 2a nel GP Nieuwerkerken, 2° nel GP Zichem. 1966: 1° nella 3a tappa della Parigi-Lussemburgo, 1° nel Campionato Nazionale su Strada, 1a nel Criterium Vayrac. 2° nella 8a tappa Parigi-Nizza, 2° nel GP Overpelt, 3° nella Classifica Generale Finale della Parigi- Lussemburgo, 3° nella Seigiorni di Monaco. 1967: 1° nel Campionato Nazionale su Strada, 1° nel Campionato Nazionale del Madison su Pista, 2° nella 6a tappa del Tour de France, 2° nella 4a tappa del Giro del Lussemburgo. 1968: 1° nella Maaslandse Pijl. 2° nel Campionato Nazionale su Strada, 2° nel GP Helchteren. 1969: 1° nel GP Saint-Raphael. 2° nella Omloop van Midden-Belgie, 2° nel GP Union Dortmund, 2° nel Tour du Condroz, 2° nel GP Nümbrecht, 2° nella Seigiorni di Monaco, 3° nella Maaslandse Pijl. 1970: 1° nel Kaistenberg Rundfahrt, 1a nel Porz am Rhein. 2° nel Giro del Noird Ovest, 2° nel GP Krefeld, 3° nel Campionato Nazionale su Strada, 3° nel GP Linz, 3° nella 2a tappa parte b Falcon Cycles, 7° nella Classifica Generale Finale del Falcon Cycles. 1971: 3° nel GP Saarbrücken di Ciclocross.

Jean-Pierre Danguillaume (Fra)
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Nato a Joué-lès-Tours il 25 maggio 1946. Passista veloce. Professionista dal 1970 al 1978 con 68 vittorie.
Forse il più forte di una famiglia infinita di ciclisti. Figlio di André, fratello di Jean-Louis, nipote di Jean, Camille, Marce e Roland, tutti divenuti professionisti, Jean Pierre è stato un ottimo cacciatore di tappe, un attaccante, uno che garantiva, sempre, quelle iniziative che sono il bello delle corse. Uno che seppe tra l'altro fermarsi, quando capì di essere sul punto di tramontare, e pure questo è un merito. Fu un ottimo dilettante, partecipò alle Olimpiadi di Città del Messico nel quartetto della "100 Chilometri" e, l'anno successivo, suggellò la sua grandezza imponendosi, in mezzo ai professionisti di stato, nella prestigiosissima Praga-Varsavia-Berlino, universalmente conosciuta come la "Corsa della pace".
Passato prof nel 1970, si mostrò subito un protagonista vincendo fra le altre corse anche la 22a tappa del Tour de France.
Nel suo palmares finirono poi il G.P. di Plouay 1971, il G.P. di Roquebrune 1972, il Criterium National 1973, la Ronda Nivernese 1973, il G.P. di Cannes e la Parigi-Bourges '75. Fortissimo nelle brevi corse a tappe, seppe imporsi nel Midi Libre 1974, nel Tour de l'Indre-et-Loire e nel Tour de l'Aude 1977. Partecipò a 9 Tour de France conquistando complessivamente 7 tappe, con miglior piazzamento il 13° posto nel 1974 e fu al via due volte alla Vuelta, nella quale, sempre nel '74, giunse settimo. Dal 1971 al 1977 compreso fece parte della nazionale francese ai Mondiali, classificandosi 3° a quelli di Yvoir, nel 1975. Insomma un corridore tra gli evidenti degli anni settanta ed ancora molto popolare in Francia.

Graziano Salvietti
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Nato a Figline Valdarno il 25 maggio 1956. Passista scalatore, alto m. 1,73 per kg. 66. Professionista dal 1979 al 1986, senza ottenere vittorie.
Sedici anni di onorata carriera. Considerato corridore fortissimo sul passo dal carattere battagliero e spigliato ebbe una esplosione travolgente al suo secondo anno da allievo che si ripeté da juniores al punto che in due anni conquistò ben 28 gare. Abbastanza per essere considerato uno dei più promettenti ciclisti in circolazione su scala nazionale. Indossò la maglia azzurra ai Campionati Europei Juniores di Varsavia e da dilettante fu sufficientemente in grado di mantenere il blasone conquistato cogliendo diversi traguardi di peso, come il Circuito della Valle del Liri, il GP La Torre ed il Goro delle Colline Chiantigiane nel 1976, il GP Città di Empoli e la Coppa Caduti di Sant’Alluccio l’anno seguente. Passò professionista nel 1979 in seno alla Zonca Santini e furono otto le sue stagioni nella categoria maggiore. Tre i Giri d'Italia disputati ('80-63°; '83-117° e '84-79°) e un Tour de France ('86-ritirato alla 13esima tappa), nonché fedele spalla di Francesco Moser. Per due anni di seguito ('81 e '82) è stato Campione Italiano a Squadre Professionisti con la maglia della Fam Cucine Campagnolo, ovvero il suo secondo team professionistico (gli altri, la Vivi Benottp, l’Ariostea e la Gis). Il miglior risultato individuale nel 1979 quando giunse 2° nella Coppa Sabatini. Cessò l'attività nel 1986 ed intraprese l'attività di agente di commercio nel settore ciclistico. Molto conosciuto nell'ambiente ciclistico, ha lasciato un buon segno, in particolare in casa Olimpia Valdarnese: il sodalizio dove iniziò la sua carriera e dove i suoi echi sono più vivi che mai.

Georg Totschnig (Aut)
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Nato a Innsbruck, 25 maggio 1971. Passista scalatore alto 1,75 per 62 kg. Professionista dal 1993 al 2006 con 23 vittorie.
Un corridore che seppe divenire popolare, soprattutto per i ruoli recitati nelle grandi corse a tappe e per la costanza delle sue presenze. Alla fine un atleta che ha vinto abbastanza poco, ma che va annoverato fra gli austriaci d’evidenza nella storia di questo sport.
Avvicinatosi al ciclismo molto giovane, nel 1989 si laureò campione austriaco a cronometro tra gli juniores e, l’anno seguente, passato dilettante, fu 25esimo al Giro d’Austria e nel ’91, 10° Nel 1992 fu 4° nella Generale del Giro del suo Paese e prese parte alla prova individuale dei Giochi Olimpici di Barcellona, chiudendo 56°. Nel 1993, ancora dilettante, conquistò finalmente la vittoria al Giro dell’Austria, ed a fine settembre corse la sua prima gara professionistica, il Giro dell’Emilia, con la maglia della Gatorade. Passato nel ’94 alla Polti, fu 3° in una tappa del Tour du Pont e al Giro d’Italia ben figurò: 5° nella frazione di Les Deux Alpes e 13° nella Generale Fanale. Fu poi 4° all’Euskal Bizikleta. L’anno seguente, al Giro d’Italia fu 2° nella tappa di Maso e 6° in quella di Monte Sirino, nonché a quella del Lenzerheide pass. Georg completò la corsa rosa, 9°. Nel 1996 fu 1° nel Campionato austriaco a cronometro e chiuse la Vuelta di Spagna al 6° posto, dopo diversi piazzamenti di tappa. L’anno dopo, Totschnig, passò al Team Deutsche Telekom, ed a luglio vinse entrambi i Titoli austriaci: su strada e a cronometro. Al via del Tour de France, da gregario, completò la corsa al 34º posto. Ad agosto prese parte alla Vuelta a Castilla y León, vincendo la quarta tappa e conquistando la Classifica GPM. Nella stagione successiva, a giungo fu protagonista alla Volta Ciclista a Catalunya, con un 2° di tappa ed il 2° nella Generale finale. Al Tour de France, fu spalla di Jan Ullrich e completò la Grande Boucle 27°.
Nel 1999, al Giro d’Austria fu 2° nel tappone e nella Generale Finale. Meglio, nella stagione seguente, quando nel Goro del su Paese conquistò tappa e Classifica definitiva.
Nel 2001 passò alla Gerolsteiner (sodalizio con cui rimase fino alla fine della carriera).  A maggio fu 4° alla Clasica Alcobendas e a giugno chiuse 6° il Tour de Suisse. A luglio fu 3° all’International UNIQA Classic e vinse nuovamente il Titolo di campione nazionale a cronometro, davanti a Peter Luttenberger.
Nel 2002, fu tra i protagonisti del Giro d’Italia: 4° nella tappa di Folgaria, 9° nella crono di Numana e 7° in quella di Monticello Brianza e 7° nella Generale Finale. Due settimane dopo, fu ancora tra i protagonisti del Giro di Svizzera, che chiuse al 5° posto.
Nel Giro d’Italia 2003, si confermò tra i big della corsa: 10° nella tappa dell’Alpe Pampeago, ed il giorno seguente nella cronometro di Bolzano, mentre nella diciottesima frazione, con arrivo a Chianale, chiuse 3°. A Milano completò la corsa rosa al 5° posto. Al via anche del Tour de France, mostrò le sue qualità di resistenza, cogliendo qualche buona piazza, ed il 12° posto finale.
L’anno seguente, Totschnig conquistò la tappa di Malbun del Giro di Svizzera, chiuso poi 4°. Indi, dopo aver conquistato il Titolo nazionale a cronometro, si concentrò per una bella figura al Tour de France, dove dopo diversi piazzamenti di tappa chiuse 7°. Ad agosto prese parte ai Giochi Olimpici di Atene completando la prova in linea al 22esimo posto. L’anno successivo, finalmente, vinse la tappa di Ax-3 Domaines al Tour de France, con un arrivo in solitudine. A Parigi chiuse 26°. Due settimane dopo vinse il Gp Gmund. Nel 2006 vinse la Waidhofen an der Ybbs e partecipò al suo ultimo Tour de France, che terminò 47°. A dicembre si ritirò dall’agonismo.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 24 maggio
Inviato da: Morris - 24-05-2023, 08:47 AM - Nessuna risposta

Giordano Cottur
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Nato a Trieste il 24 maggio 1914. Deceduto a Trieste l'8 marzo 2006. Professionista dal 1938 al 1949 con 11 vittorie. A dispetto dei successi, pochi, ma non possedeva volata, Cottur è da considerarsi un autentico riferimento, per valori e tangibilità sulle strade, del ciclismo italiano a cavallo del secondo conflitto mondiale. Un corridore a cui è mancato davvero poco, per vincere quel Giro d'Italia che ha sempre inseguito con devozione, anche per reazione patriottica agli eventi di quei tempi che vedevano la sua Trieste, una città di confine in tutto. Già, perché Giordano non solo vi è nato, ma nel capoluogo giuliano vi ha sempre vissuto e lavorato.
Gran dilettante, categoria nella quale probabilmente militò troppo a lungo, dove fece incetta di vittorie (70), quasi sempre con arrivi solitari perché anche da "puro" il suo sprint si dimostrò carente. Fu 5° ai Mondiali di Copenaghen nel '37. Passò prof a 24 anni nel 1938, con la Lygie e si dimostrò subito corridore di vertice, partecipando con grande tangibilità al Giro e al Tour, dove fu una spalla importantissima nel successo di Gino Bartali. Al Giro vinse la tappa di Lanciano e giunse 2° in quella dell'allora ben più terribile Terminillo. In Francia, nonostante il lavoro di scudiero, giunse 2° nella dura frazione di Bayonne. Si capì dunque subito che, per caratteristiche e risultanze, erano le grandi corse a tappe il suo terreno ideale. Ed alla fine il suo palmares, che è denso di piazzamenti come pochi, ci presenta 7 partecipazioni al Giro d'Italia, con 3 terzi posti (nel '40 alle spalle di Coppi ed Enrico Mollo, nel '48 dietro Magni e Cecchi ed infine nel '49, battuto da Coppi e Bartali), un 7° ed un 8°, vincendo 5 tappe (la citata Napoli-Lanciano nel '38, Venezia-Trieste nel '39, Milano-Torino nel '48 e '46, Firenze-Perugia nel '47). Indossò la Maglia Rosa per 14 giorni: 5 nel '49, 8 nel '48 e una nel '46. Disputò 2 Tour de France con un 8° posto finale nel 1947 e il 25° nel '38, cogliendo oltre il 2° posto di Bayonne anche il 3° a Luchon nel '47. In quest'ultimo anno contribuì a far conquistare all'Italia il 1° posto per nazioni nella Desgrange-Colombo, piazzandosi 5° nella classifica dietro Schotte, Camellini, Bartali e Magni. Aldilà delle tappe del Giro, Cottur vinse: la Trieste-Postumia-Trieste nel '38; il Giro d'Um-bria, la crono (con Servadei) del GP di Torino nel '39; il Trofeo dell'Impero nel '43; la Trieste-Opicina nel '45. Cottur è poi passato alla storia, perché nel Giro d'Italia '46, entrò nella sua Trieste al comando di un drappello di 17 corridori, dopo che il gruppo, a causa dei lanci di pietre da parte dei seguaci di Tito, fu fermato a Pieris. Trieste era stata assegnata all'Italia, ed era stata fin lì governata dagli anglo-americani. Era il 30 giugno 1946. Dopo la carriera ciclistica, divenne diesse di squadre prof fino al '57, indi continuò a seguire il lancio di giovani del triestino e gestire in Città un negozio di biciclette e ciclomotori, fino all'ultimo dei suoi giorni. Morì a 92 anni.

Bo Hamburger (Den)  
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Nato a Frederiksberg, nei pressi di Copenaghen il 24 maggio 1970. Passista veloce alto 1,74 per 59 kg. Professionista dal 1991 al 2006 con 21 vittorie.
Si avvicinò al ciclismo mostrandosi presto completo e talentuoso con una serie di bei piazzamenti internazionali. Nel 1991 passò professionista con la TVM, dove si fermò per sei stagioni. Al primo anno fu 2° nella Generale della Vuelta a la Ribera e, l’anno seguente fu ancora 2° nella Classifica finale del Giro di Svezia, nonché 4° ed 8° al Giro di Lombardia.
Il ’93 fu un anno positivo per Hambuger che s piazzò 3° al Tour de l’Avenir e alla Vuelta a los Valles Mineros, mentre in Germania nell’Hofbrau Cup fu 2°. Al Tour de France Bo chiuse 31°
L’anno seguente finì terzo al GP Herning e conquistò la vittoria nell’Omloop der Vlaamse Ardennen-Ichtegem. Al Tour de France, fu protagonista nella frazione Poitiers-Trélissac tagliando l’arrivo per primo e cogliendo il successo più importante della sua carriera. A Parigi chiuse al 20esimo posto della Generale, ed al terzo nella classifica giovani. Ad agosto, finì terzo nella Wincanton Classic, gara di CdM.
Nel 1995 conquistò la vittoria al Criterium di Hadsten, fu secondo al GP Herning, terzo nella tappa di Monestir de Montserrat alla Volta a Catalunya. Dopo aver corso il Giro d’Italia (95°), al Tour de France fu sesto a Vitré e nono a Liegi, chiudendo la corsa 17°, ed al 2° della classifica dei giovani alle spalle di Pantani. L’anno seguente fu 2° al GP de Wallonie, si piazzò sul podio a due tappe del  Giro del Lussemburgo e fin’ 2° nel Campionato danese. Chiuse il Tour de France 13°. Il 1997, l’ultimo in maglia TVM, Bo due podi di tappa al Midi Libre e vinse a Girona una tappa della Volta a Catalunya. Al Tour su ritirò. Fu però gran protagonista al Mondiale di San Sebastian, dove si giocò il successo e fu superato dal solo francese Laurent Brochard.  
Nel ’98 passò alla francese Casino e fu 2° al Giro del Mediterraneo, vinse la tappa di Tabernes de Valldigna alla Volta a la Comunitat Valenciana che chiuse 2°, indi vinse la tappa di Balmaseda del Giro dei Paesi Baschi. Il 15 aprile colse un gran successo nella Freccia Vallone, arruvando solo sul Muro di Huy. Fu poi 5° all’Amstel Gold Race. Dopo il Tour de France chiuso 15° con tanti piazzamenti di tappa, vinse il Gp Charlottenlund ed il Criterium Hadsten. L’anno seguente s’accasò
alla Cantina Tollo, con cui visse una annata non indimenticabile e l’anno successivo passò alla Memory, con cui vinse la tappa di Saint-Étienne alla Parigi-Nizza e fu 10° alla Sanremo. A giugno, si laureò Campione danese.
Nel 2001 in maglia del team danese CSC fu trovato positivo ad un controllo antidoping e fu fermato per una stagione. L’anno seguente venne in Italia alla Alexia Alluminio, con la cui maglia fu 2° al GP Fred Mengoni. Nel 2003 passò alla Formaggi Pinzolo ottenendo nuovamente il 2° posto al Mengoni ed il 2° al GP Industria e Commercio di Prato. Al Giro d’Italia chiuse 54°. Ancora un cambio di maglia e nel 2004 approdò all’Acqua & Sapone, con la quale vinse il Giro della Riviera di Ponente ed il Gp Andorra. Prese poi parte ai Giochi Olimpici di Atene (24°). Chiuse poi la carriera nel 2006.

Sean Kelly (Irl)
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Nato a Carrick-on-Suir (Tipperary) in Irlanda il 24 maggio 1956. Passista veloce alto 1,80 per 77 kg. Professionista dal 1977 al 1994 con 237 vittorie.
Le vittorie di questo irlandese, da definirsi….completo, sono comprendendo anche le speciali classifiche 237, ma la sua carriera s'è consumata con una longevità ed un equilibrio da primissimi della storia. Per intenderci, chi scrive, lo considera senza se e senza ma, il più grande corridore di tutti i tempi di lingua inglese, ed un componente interno alla “top ten” della storia. Ovviamente meriterebbe approfondimenti ben diversi da queste poche righe. Corridore dato per vincente sin dagli inizi, parve ad un certo punto condannato ad accontentarsi di traguardi non di primissimo piano. Poi, nel 1983 la svolta, proprio col suo primo successo al Giro di Lombardia. Per Sean quella vittoria fu come rompere il ghiaccio, anche se il suo palmares era già denso di decine e decine di traguardi. La "Classica delle foglie morte" aprì così la sua lunga stagione di cacciatore di classiche. Nel 1984 vinse la Parigi-Roubaix, la Liegi-Bastogne-Liegi e il Gran Premio d'Autunno, nell'85 di nuovo il Giro di Lombardia, indi la Milano-Sanremo e la Parigi-Roubaix nell'86 e piazzamenti d'onore in quasi tutte le altre. Nel 1988 trionfò nella Gand Wevelgem e nel 1989 nella Liegi-Bastogne-Liegi, indi ancora il Giro di Lombardia nel 1991 e la Milano Sanremo nel 1992. Adattissimo per le corse a tappe di media durata, si specializzò nella Parigi-Nizza, che vinse sei volte dall'82 ininterrottamente sino all'88. S'è poi imposto nel Giro della Svizzera nel 1983 e nel '90, indi nella Tre Giorni di La Panne '80, nel Criterium della Strada '84 e '87, nel Giro dei Paesi Baschi '84, '86, '87, nel Giro della Catalogna '84 e '86 e nel Giro d'Irlanda '85, '86, '87. Ma il suo successo principe nelle corse a tappe, fu colto alla Vuelta di Spagna nel 1988. Anche sul finire della carriera, continuò dunque a vincere gare di grande qualità, risultando competitivo fino all'ultimo giorno di corsa. E' stato il primo numero uno del Ranking UCI e se proprio vogliamo trovare punti amari nella sua splendida carriera, possiamo annotare il Tour de France, dove non fu mai tangibile e la mancanza di una maglia iridata, dove tra l'altro corse senza mai una squadra. Ciononostante, salì due volte sul terzo gradino del podio: a Goodwood nel 982 e a Chambery nell'89. Un grande.

Pierre Martin (Fra)
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Nato il 24 maggio 1938 a Parigi. Passista scalatore alto 1,74 per 68 kg. Professionista dal 1963 al 1966 con 10 vittorie.
Un corridore dalla carriera professionista corta, ma di buona qualità. Non a caso ha corso con i due più grandi francesi del periodo, Poulidor prima ed Anquetil poi. Uno che sapeva lavorare per il bene della squadra e, all’occorrenza, sapeva pure vincere.  
Pierre Martin iniziò a pedalare nel 1956, all'età di 18 anni. Fece presto a dare segni di qualità, ma non cercò di bruciare le tappe fra i dilettanti e non si intestardì nella ricerca di un posto per le Olimpiadi di Roma. Passò comunque professionista un po’ tardi, dopo una lunga permanenza fra gli indipendenti ed i dilettanti “Hors Categorie”. Diversi i successi in quel periodo a cominciare dalla Parigi-Mantes che conquisto nel 1962.
Il salto nel massimo ciclismo lo fece l’anno dopo, in seno alla Mercier BP di Raymond Poulidor diretta dal celebre Antonin Magne. Nella stagione d’esordio lavorò sempre ed esclusivamente come gregario e ciò lo spinse a fine anno a cambiare sodalizio. Nel 1964, infatti approdò al ben più modesta Bertin-Porter 39 che gli lasciò spazi ma con un programma forse troppo modesto. Nell’anno Pierre Marton colse piazzamenti e ruppe il ghiaccio vincendo la tappa di Beauvais del Tour dell’Oise (negli anni futuro conosciuto come Tour de Picardie). Anquetil lo vide e suggeri a Raphael Geminiani di portarlo alla Ford France per il 1965. L’accordo andò in porto e per Martin quello fu in ogni senso l’anno d’oro. Nella stagione vinse la quarta tappa a Thonon-les-Bains del Critérium du Dauphiné Libéré, la seconda e la terza tappa del Tour de l'Oise, rispettivamente a Beauvais ed a Creil, la Plounevez-Quintin, il Gp Laniscat, il Gp Locmiquélic, il Circuit des Monts du Livradois e il Circuit de la Vienne. Soprattutto partecipò finalmente al Tour de France vincendo la prima tappa parte B della crono-squadre di Liegi. Chiuse poi la Grande Boucle al 65° posto. Nella stagione fu pure 3° nella Perros-Guirec. Abbastanza, per dedicarsi al gregariato nel ’66 e chiudere con l’agonismo a fine anno.

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 23 maggio
Inviato da: Morris - 23-05-2023, 07:26 AM - Nessuna risposta

Ignazio Aru
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Nato a Pirri (CA) il 23 maggio 1937, deceduto a Quartu Sant'Elena (CA) il 5 ottobre 2020. Passista scalatore, alto m. 1,78 per 72 kg. Professionista dal 1960 al 1963, senza ottenere vittorie.
Un corridore assai più forte di quanto non dicano la breve carriera (fatta oltretutto di non tante partecipazioni), ed i pochi piazzamenti. A margine dei cosiddetti "perché", ci stanno tanti aspetti, non ultimi, la sua residenza in Sardegna, che a quei tempi rappresentava una salita in più e quella sfortuna che lo avvolse nel momento in cui poteva far capire a tutto l'ambiente, nonché a stesso, di essere ben diverso da una comparsa, o dal semplice numero portato in gruppo. I buoni comportamenti, soprattutto nelle corse più dure, lo portarono all'esordio fra i professionisti nel febbraio 1959, grazie all'iniziativa di Francesco Pretti che abbinò la sua Audax Cagliari, a corridori svizzeri in occasione della seconda edizione del Giro di Sardegna. Qui, Aru, fu protagonista nella tappa più dura della manifestazione, dove giunse 4° superando in volata Luison Bobet e Rik Van Looy. Chiuse poi il Giro al 12° posto. Ciò gli valse l'ingaggio della Tricofilina Coppi nel prosieguo di stagione. La squadra di Coppi però, col "Lombardia", chiuse i battenti, ed Ignazio si trovò ad iniziare la stagione '60, con le maglie della comunque peculiare formazione dell'Audax Cagliari. Partecipò così alla già prestigiosa gara d'esordio proprio sulle strade di casa, ovvero quel Giro di Sardegna che sapeva raccogliere gran parte del gotha ciclistico mondiale e dove s'era segnalato l'anno prima. Stavolta, Aru, fu un grandissimo protagonista e per tanti aspetti vincitore morale. Con una condotta di gara sempre di vertice, fu sesto nella tappa inaugurale, coi primi nella seconda e quinto alla terza, che si concludeva proprio a Cagliari. Nel capoluogo sardo conquistò la bella maglia bianca con fasce orizzontali rossoblù di leader, ed il Giro proseguì lasciando in più di un'occasione presagire un suo successo. Ignazio infatti, seppe sempre rispondere con prontezza agli attacchi dei grandi avversari. Poi, purtroppo, ad una manciata di chilometri dalla conclusione della frazione di Sassari, l'ultima di quel "Sardegna", subì l'acuto peggiore, quello della sfortuna, materializzatosi con una foratura che non poté essere recuperata in tempi rapidi, a causa del ritardo col quale arrivò il soccorso dell'auto del cambio-ruota. Senza compagni di squadra ripartì con veemenza, ma il gruppo che era in piena bagarre finale, sì spezzo e ad approfittarne fu l'olandese Joe De Roo, che finì secondo dietro Defilippis nella tappa, ma conquistò la classifica finale. Aru chiuse 25° a Sassari, con un ritardo di 1'22" e concluse sesto nella generale. Il colpo psicologico fu grande, ed andò ad appesantire tanto le difficoltà logistiche della sua militanza nell'elite ciclistica. Durante il resto del 1960, fu poi ingaggiato per qualche gara dalla Philco, ma non partecipò al Giro d'Italia. E fu così anche nel '61 con la Vov, nel '62, dove si divise fra Atala e Gazzola e nel '63 con la Lygie. Il miglior piazzamento di quegli anni, lo colse nel '61, quando finì 8° nella Berna-Ginevra. Insomma, una conclusione di carriera progressivamente amara, quando poteva essere cosparsa di una certa luminosità. Da uomo che nel lavoro e nei sacrifici aveva vissuto sin da subito, aprì assieme alla moglie, meno di un lustro dopo, un ristorante in Quartu Sant'Elena. E da ristoratore divenne apprezzato ed amato, come fosse un campione.

Roberto Caruso
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Nato a San Nicandro Garganico (FG) il 23 maggio 1967. Passista veloce. professionista dal 1991 al 1998 con 4 vittorie.
Dopo le categorie giovanili passò dilettante mettendosi in mostra per il talento e, nel 1990, in seno all’abruzzese Cafè Lunik, fu protagonista di una grandissima stagione sportiva. Roberto conquistò la vittoria nel GP San Basso, nel Trofeo Adolfo Leoni e nella Ciociarissima. In maglia azzurra al Giro delle Regioni ottenne il secondo posto nella Generale finale alle spalle dell’austriaco Dietmar Hauer e davanti a Pavel Tonkov. Chiuse poi terzo nella Classifica dei GPM. Ancora azzurro ai Campionati del Mondo di Utsunomiya, dove conquistò il posto d’onore alle spalle di Mirco Gualdi. Nel ’91, Caruso passò prof coi colori della Selle Italia per poi passare alla ZG Mobili con la quale nel 1993 ottenne il terzo posto al Giro del Lazio e conquistò la vittoria nel prestigioso GP Città di Lugano. A settembre vinse la terza frazione della Vuelta al Tachira sul traguardo di San Cristobal. Nel 1995 Caruso sfiorò la vittoria alla Wincanton Classic, conosciuta anche come Leeds International Classic, prova di Coppa del Mondo, cogliendo il secondo posto alle spalle di Maximilian Sciandri. Si rifece col successo nella Tre Valli Varesine davanti a Angelo Lecchi e Stefano Colagè. Nel ’96 passò alla Glacial senza ottenere risultati di rilievo, ma l’anno seguente, in maglia Ros Mary, bissò il successo alla Tre Valli Varesine. Nello stesso anno, Caruso fu secondo nel Giro della Romagna alle spalle di Francesco Casagrande e chiuse nono la Coppa Sabatini.
Nel 1998 con la maglia della Riso Scotti prende parte per la prima volta in carriera al Tour de France, dove si ritirò nella decima tappa e a fine stagione appese la bicicletta al chiodo.  

Oleg Nikolayevich Logvin (Blr)
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Nato il 23 maggio 1959 a Minsk (Blr). Passista alto 1,83 per 78 kg. Professionista dal 1989 al 1992 con 5 vittorie.  È stato uno dei grandi passisti della scuola sovietica, per tanti osservatori il pedalatore con più stile di quella generazione eccelsa che non ha potuto, come si sa, dare il meglio nella categoria che fa storia, ovvero quella dei professionisti. Di sicuro Oleg è stato uno degli atleti più in vista della FIAC (ente totalmente sconosciuto a tanti-troppi giornalisti commentatori odierni) ed uno che era un piacere guardarlo pedalare, nonchè da prendere come esempio per la divulgazione. Faceva parte della squadra sovietica che vinse la cronometro alle Olimpiadi di Mosca nel 1980. Ha anche vinto una medaglia d'argento e una di bronzo nella cronometro a squadre ai Campionati del mondo su strada del 1981 e 1982. Tantissime le vittorie di questo bielorusso sempre fra i dilettanti più evidenti dell’Unione Sovietica e dell’Europa Orientale, con ripetuto protagonismo alla Praga Varsavia Berlino (forse più conosciuta come Corsa della Pace) e vittorie significative anche per la presenza talvolta di dilettanti hors categorie francesi e semi-professionisti del Benelux e della Gran Bretagna. Non a caso nel 1980 vinse due tappe e la Classifica Finale all'Olympia 's Tour. Due anni dopo è arrivato secondo nella Milk Race (Tour of Britain), vincendo due tappe. Si ritirò nel 1986 per intraprendere una carriera nel diritto penale, ma riconsiderò presto la cosa e nel 1987 riprese ad allenarsi e l’anno successivo finì 3° nei Campionati nazionali, ma ciò non bastò per la selezione per la squadra olimpica per Seul ’88. Continuò a gareggiare e, l’anno seguente, entrò a far parte dell’Alfa Lum di San Marino, ovvero di fatto la prima ed unica squadra professionistica sovietica. Una squadra potenzialmente fortissima, ma con atleti più o meno sfruttati per vittorie di stato e con inculcate condotte di vita ben diverse da quelle che il ciclismo professionistico contemplava. Eppure, alcuni di loro dimostrarono di essere forti abbastanza per emergere imperiosamente a livelli assoluti, a cominciare da Tchmil, che, di quel gruppo, era considerato uno dei più scarsi. Anche lo stiloso Logvin, pur logoro, si fece notare. Nell’89 trascinò i compagni alle due vittorie, in una prova e nella Classifica Finale della Cronostaffetta. Chi lo vide pedalare in quella occasione, poté capire perché fosse così considerato nell’ambiente che amava le prove contro il tempo. Logvin però, non amava il palinsesto del ciclismo professionistico, ed a fine anno tornò a Minsk. Nel 1990 la caduta del Muro di Berlino aveva portato nuovo fermento anche in una URSS. sempre più in crisi, ed Oleg a metà stagione riprese a correre con la semiprofessionistica russa Lada-Ghzel. Quel piccolo team fu invitato in Belgio dove Logvin si piazzo 3° nella Wingene Koerse nelle Fiandre occidentali e, poco dopo, finì 2° nel GP Stad Kortrijk. Sempre in Belgio stavolta nelle Fiandre orientali finì 2° nel GP Paul Borremans, indi di nuovo ad occidente, colse un altro posto d’onore nel Criterium Textielprijs. Corse poi in Francia il Tour de Limousin, che chiuse al 10° posto. I risultati di quello scorcio di stagione ed il clima più caldo lo spinsero ad accettare le offerte del team portoghese Ruquita-Philips per il ’91-‘92. Ed in Portogallo si trovò bene: poté correre e vincere senza dannarsi, guadagnando cifre superiori al meglio possibile del nuovo stato che l’attendeva, ovvero la CSI (Comunità degli Stati Indipendenti) che aveva sostituito l’URSS e che aveva sede proprio nella sua Minsk. In quel lasso vinse il Circuito de Alenquer nel ’91, mentre nel ’92 il GP Internacional Costa Azul e la Porto – Lisbona. A fine ’92 però decise che era arrivato il momento di tornare a casa e fare altro.

Jean-Claude Theilliere (Fra)
[Immagine: 15315070661325Theilliere,Jean-Claude.jpg]

Nato a Blanzat il 23 maggio 1944. Passista scalatore. Professionista dal 1966 al 1972 con 12 vittorie. Una storia incredibile quella di Jean Claude Theilliere, nato vicinissimo al mitico Puy de Dome nella regione dell'Auvergne e altrettanto vicino ad un "guru" del ciclismo come Raphael Geminiani. Due aspetti che hanno allontanato l'esercizio della passione verso il mestiere di tipografo, ed avvicinato la parentesi del ciclismo. In altre parole, Jean Claude, visti i richiami, tentò la strada del pedale, cavandosela bene, tanto è che il "guru" Geminiani, viste le buone prestazioni tra i dilettanti, decise di farlo correre come dilettante hors categorie, all'interno della Ford France-Gitane, equipe capitanata da Jacques Anquetil, in occasione del GP Midi Libre 1966, corsa a tappe principe "pre Tour" di quei tempi.
La risposta di Theilliere fu fantastica, al punto che la prestigiosa manifestazione finì per premiarlo vincitore. Ed allora Geminiani due giorni prima del Campionato Francese lo inserì a tutti gli effetti come professionista nella Ford France, ed ancora una volta la risposta di Jean Claude fu incredibile: vinse. Con la Maglia di Campione di Francia s'impose poi nel GP di Soing en Sologne e partecipò ai Mondiali del Nurburgring, classificandosi 17°. Dopo un simile anno, ci si aspettava da lui un'esplosione verso tangibilità ancor più prestigiose, ma non fu così. Nel '67 vinse solamente il Campionato d'Auvergne di Ciclocross, titolo che conquisterà 5 volte ('67-'68-'69-'70-'72) e si adeguò al gregariato. Nel '68 vinse il Circuito di Aigueperse; nel '69 la terza tappa del Giro delle Sei Province e il Criterium di Auzances e, nel '70, il GP Grand Bourg. Chiuse la carriera nel '72., a soli 27 anni, per aprire, finalmente, una tipografia che gestisce ancora oggi.

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