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Gabriela Sabatini, la pantera argentina. - Versione stampabile

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Gabriela Sabatini, la pantera argentina. - Morris - 20-05-2018

Fra poco scenderanno sul campo centrale del Foro Italico per la finale degli Internazionali di Tennis di Roma, Elina Svitolina e Simona Halep. Un tempo la regina di questo grande Torneo era lei, Gabriela Sabatini, che lo vinse 4 volte.....
Mi piaceva....e non ero il solo.....
 
GABRIELA SABATINI, LA PANTERA ARGENTINA
 
Un ricordo
Il Console si muoveva distinto, un po’ per l’incarico che ricopriva, ed un po’ perché era proprio così. Ci trovammo a pranzo, finalmente liberi di parlare senza i lacci dell’ufficialità e di quei motivi di rappresentanza che ci avevano fatto incontrare. Certo, si inaugurava una struttura che ricordava uno dei padri dell’ingegneria civile argentina, italianissimo, nato ad un soffio da casa mia, ed era un dovere metterci un po’ di più, di quel che è solito in quelle occasioni. In fondo, quell’ingegnere, era stato davvero importante per quel lontano e bellissimo paese. Un orgoglio, per noi suoi concittadini, ed un’occasione per me di incontrare un argentino vero, per parlare con lui di sport, come un’oasi di respiro in mezzo a tanta solfa politica. Il Console era cordiale, giovane quanto me, attento a non disperdere ugualità nelle attenzioni, per non suscitare le fredde invidie che, da sempre, accompagnano certi comportamenti degli uomini politici. Stava nel ruolo, insomma, ma come poteva, così giovane, non avere passioni culturali e sportive? Il Sindaco, che le parole le pronunciava col contagocce, proprio mentre il pranzo s’avvicinava, invertì le posizioni della tavola d’onore e, alla sinistra dell’ospite, mise proprio me, consapevole che non mi sarebbero mancate quelle argomentazioni per lui spesso un rompicapo. Avere un altro come lui vicino al diplomatico, significava un rischio d’indigestione. Ne uscì così, quasi un pranzo a due, fra il Console e il sottoscritto, fino al punto di divertirci. Gli parlai del Racing, del mio tifo per i biancocelesti e ripercorsi tutto quello che sapevo del calcio argentino, da Stabile a Rattin, da Di Stefano a Ruben Hugo “Raton” Ayala, da Maschio a Sivori, fino a Maradona. Mi seguiva , mi rispondeva, mi raccontava particolari molto ufficiali, e non poteva essere diversamente, ma poi il suo volto s’illuminò. Pensai di aver toccato le corde del suo tifo, anche perché non avevo ben capito quale fosse la sua squadra del cuore. Invece, con un sorriso che richiamava un pensiero coinvolgente ma lontano, mi disse: “Lei sa tutto del calcio del mio paese, ma cosa mi dice di quella che è la mia grande passione?” M’aspettavo, finalmente, il nome di una squadra che ancora non avevo menzionato e pensai subito all’Huracan di Brindisi, Heredia e dell’ormai vecchio Basile, in fondo i “rossi” erano al top nel pieno dei suoi presumibili anni adolescenziali. Ero così sicuro che glielo dissi. Lui mi guardò, incentivò il sorriso, ed aggiunse: “Guardi che nella mia passione, scorre sangue italiano, esattamente marchigiano!” Capii subito che era Gabriela Sabatini e, come fossi davanti a Mike Bongiorno, usando il bicchiere del vino come pulsante, risposi secco: “La più bella tennista d’oggi, la grande Gaby!” Il volto del Console non tradì il sentimento che provava e s’illuminò, lasciandosi scappare un “wow”, ben poco sincronico al ruolo. Ne nacque una vera e propria convulsione di particolari. Non gli interessavano i ricordi del vecchio Vilas, né l’emergente Mancini, o il pur ancora forte Clerc. Lui era tutto Sabatini. A quel punto, mi sentii a mio agio, ed affondai quello che poteva urtarlo, ma che sentivo. “Console, Gaby non deve giocare a pallate con la Graf, non deve riempirsi di top spin, deve andare più a rete e migliorare il servizio. In altre parole, deve essere meno terraiola e meno ispanica. Se lo farà, vincerà nello slam. Ne sono certo”.
 
Avevo detto tutto e m’aspettavo che mi contestasse qualcosa, invece no!
“Ha perfettamente ragione, Gaby ha tocco, ed il tennis è bello se si va a rete, altrimenti è noioso. Lei deve seguire la sua prima di servizio che non è un grande colpo, tuttavia le permette di scendere verso il net, con buone possibilità di fare la volèe. Spero lo capisca anche il suo allenatore!” Al sentir le sua risposta, mi scappò la solita esclamazione tanto comune : “"particolare anatomico che, se rotto, simboleggia seccatura"!”. Non la urlai, la compassai il più possibile, ma lui se ne accorse e strizzò l’occhio. Era simpatico, latino, non il classico bacchettone solo apparenza. Se ne intendeva veramente, ed era un piacere ascoltarlo mentre inquadrava il valore e il ruolo sociale dei successi di Gabriela, per le stesse donne argentine. La Sabatini, doveva essere seguita, perché nel suo paese era ancora troppo forte la discriminazione verso il pianeta femminile.
Poi, mi parlò del suo incontro con Gaby a Roma, di quel bacio, della sua mano che tremava. Ebbi la sensazione che la bella tennista, lo avesse colpito assai di più di quello che recitava sul campo. Mi disse che era una ragazza decisa, un po’ rude come tanti della sua terra, ma con una grande disponibilità verso gli altri, al punto di irradiare la sua già nobile figura. S’era davvero scatenato, ed il tempo era passato veloce. Avevamo mangiato e non ce ne eravamo accorti.
Il pomeriggio era denso di impegni per entrambi, ma si giocava la Finale degli Internazionali di Roma e Gaby affrontava Arantxa Sanchez. Sapevo bene che lui voleva essere informato sull’incontro, ma non si poteva muovere. Io avevo margini d’uscita e li sfruttai. Il Console aveva appena tagliato il nastro, quando rientrai nell’alveo delle autorità presenti all’inaugurazione. Il suo sguardo mi cercava, ed io alzai il pollice: Gaby aveva vinto in tre set, e lui trovò il modo di sorridere di più. Era l’anno 1989.
 
Gabriela Sabatini tecnicamente
Fu impostata come tutti i sudamericani sulla scuola spagnola, basata sul gioco da fondo campo. Eccelleva in un colpo, il rovescio, che sapeva giocare in tutte le variabili. Il suo braccio s’apriva con una precisione ed una compostezza che rasentavano la perfezione. Giocava il dritto molto bene, anche se esageratamente in top spin. Era bravissima a rete: le sue volèe di rovescio contemplavano bellezza stilistica, precisione ed efficacia; quelle di dritto, erano soprattutto redditizie. L’unico difetto nel gioco di volo, stava nello smash, non sempre giocato con precisione. Il grande rammarico per chi l’ha seguita, è stato proprio quello di averla vista per troppi anni inseguire “caterpillar” Staffi Graf, dal fondo, quando lei poteva essere una giocatrice quasi da serv and volley. Lo capì perfettamente il miglior coach che Gaby abbia mai avuto, Carlos Kirkmayer. Lui, brasiliano anomalo, l’aveva convinta a provare, ed infatti, giocando all’attacco, vinse nel 1990 gli USA Open, umiliando nel gioco Staffi Graf. Persino nel servizio, di gran lunga il colpo più debole di Gaby, Carlos riuscì ad incidere. La Sabatini, grazie a lui, cominciò a mettere più prime palle, non cercando più quella potenza che il suo strano modo di lanciare la pallina non sempre le dava, per migliorare in precisione. Si ritirò presto, nel 1996, per una serie di problemi fisici, dai quali non riusciva ad uscire.
 
Dati anagrafici e fisici 
Gabriela Sabatini è nata a Buenos Aires il 16 maggio 1970. Alta un metro e settantacinque centimetri per 58,5 chilogrammi di peso. La sua residenza storica è nella città di nascita, dove passa tutt’oggi otto mesi l’anno. Gli altri quattro, li vive a Boca Raton, in Florida.
 
 
Il palmares di Gabriela
20 - 10 - 1985 Japan Open Linda Gates 6-3 / 6-4 Cemento
08 - 12 - 1986 Argentine Rep. Open Arantxa Sanchez 6-1 / 6-1 Terra
20 - 09 - 1987 Tokyo Pan Pacific Manuela Maleeva 6-4 / 7-6 Indoor
25 - 10 - 1987 Brighton Pam Shriver 7-5 / 6-4 Indoor
06 - 12 - 1987 Argentine Rep. Open Isabel Cueto 6-0 / 6-1 Terra
13 - 03 - 1988 Boca Raton Steffi Graf 2-6 / 6-3 / 6-1 Cemento
08 - 05 - 1988 Italian Open Helen Kelesi 6-1 / 6-7 / 6-1 Terra
21 - 08 - 1988 Montreal Natasha Zvereva 6-1 / 6-2 Cemento
20 - 11 - 1988 Master, Virginia Slims Championships Pam Shriver 7-5 / 6-2 / 6-2 Indoor
02 - 04 - 1989 Lipton, Key Biscayne Chris Evert 6-1 / 4-6 / 6-2 Cemento
16 - 04 - 1989 Amelia Island Steffi Graf 3-6 / 6-3 / 7-5 Terra
14 - 05 - 1989 Italian Open Arantxa Sanchez 6-2 / 7-5 / 6-4 Terra
15 - 10 - 1989 Filderstadt Mary Joe Fernandez 7-6 / 6-4 Indoor
11 - 03 - 1990 Boca Raton Jennifer Capriati 6-4 / 7-5 Cemento
08 - 09 - 1990 US OPEN Steffi Graf 6-2 / 7-6 Cemento
03 - 02 - 1991 Tokyo Pan Pacific Martina Navratilova 2-6 / 6-2 / 6-4 Indoor
10 - 03 - 1991 Boca Raton Steffi Graf 6-4 / 7-5 Cemento
07 - 04 - 1991 Hilton Head Leila Meskhi 6-2 / 7-6 Terra
14 - 04 - 1991 Amelia Island Steffi Graf 2-6 / 6-2 / 6-4 Terra
12 - 05 - 1991 Italian Open Monica Seles 6-4 / 7-6 Terra
12 - 01 - 1992 Sydney Arantxa Sanchez 6-1 / 6-1 Cemento
02 - 02 - 1992 Tokyo Pan Pacific Martina Navratilova 6-2 / 4-6 / 6-2 Indoor
05 - 04 - 1992 Hilton Head Conchita Martinez 6-1 / 6-4 Terra
12 - 04 - 1992 Amelia Island Steffi Graf 6-2 / 1-6 / 6-3 Terra
10 - 05 - 1992 Italian Open Monica Seles 7-5 / 6-4 Terra
20 - 11 - 1994 Master, Virginia Slims Championships Lindsey Davenport 6-3 / 6-2 / 6-4 Indoor
15 - 01 - 1995 Sydney Lindsey Davenport 6-3 / 6-4 Cemento
 
Gabriela donna.
Quando disse che aveva il timore di farsi la doccia con le tante colleghe lesbiche, divenne, involontariamente, una beniamina dei tabloid inglesi, sempre prodighi a ricercare lo scandalo. Ad onor del vero, Gaby, non aveva tutti i torti, visto lo stuolo di omosessuali che gravitavano sul tennis nella sua epopea. Oggi, queste, han lasciato posto ad atlete biochimiche. Lei era caliente, anche se l’invadente ed opprimente figura del padre Osvaldo, l’ha “trattenuta” sul tennis per lungo tempo. Si parlò, relativamente all’Italia, di un suo flirt con un giocatore solo discreto, il “pariolino” Eugenio Rossi, un tipo che in classifica mondiale, non credo sia mai riuscito a scendere sotto il 400esimo posto.
Una bella ragazza, con due splendide gambe, un po’ mascolina nel portamento e, soprattutto, nel modo di camminare. Perfetta per fair play in campo, non sempre signorile fuori. Sensibile ai problemi della sua Argentina, non ha mai nascosto le sue simpatie verso il paese d’origine dei suoi genitori: l’Italia, in particolare Roma e le Marche.
 
La Sabatini oggi
Più che le fugaci apparizioni e collaborazioni giornalistiche, oggi Gaby è soprattutto un’imprenditrice. Possiede un’azienda di profumi ben affermata a livello mondiale. Ama andare a cavallo, il silenzio e la maestosità della sua fazienda argentina. E’ ancora single.
 
Maurizio Ricci detto Morris


RE: Gabriela Sabatini, la pantera argentina. - Manuel The Volder - 20-05-2018

Sarei molto curioso di sapere aneddoti su McEnroe, Agassi e Federer.
Lei ne ha ?


RE: Gabriela Sabatini, la pantera argentina. - Morris - 22-05-2018

(20-05-2018, 09:13 PM)Manuel The Volder Ha scritto: Sarei molto curioso di sapere aneddoti su McEnroe, Agassi e Federer.
Lei ne ha ?


Il "lei" proprio no! :D  Son già vecchio di mio e per giunta proletario di quel tanto da far urlare "sei comunista" alle due facce uguali della stessa medaglia: Berlusconi e Renzi.... :D

Caro Manuel (il vero "Devolder" :) se non avesse perso tempo ad incrinarsi  nel covo del più grosso Impostore della storia dello sport e del suo Portascopino, avrebbe vinto di più di 2 Fiandre, perché di qualità ne aveva assai), devo fare un lavoretto prima, ma più tardi posterò tre spizzichi sui tre.....


RE: Gabriela Sabatini, la pantera argentina. - Morris - 23-05-2018

Spizzichi…..
 
McEnroe…… capriccioso, maleducato, virtuoso e spettacolare.
Quando era al culmine della carriera, oltre ai tocchi che l’han fatto uno dei giocatori più belli della storia del tennis, era temuto per le sue intemperanze con gli arbitri di sedia ed i giudici di linea. Se vogliamo, un Bill Tilden ancora più vistoso nelle proteste. Ai tempi di Supermac, ancora non c’era la possibilità di far intervenire “occhio di falco” (“occhione”, come da definizione del mitico Gianni Clerici), quindi la “sentenza” del giudice di linea, in mancanza di overrule del giudice di sedia, era decisiva. In una partita contro Jimmy Connors, a Cincinnati (o Dallas non ricordo bene), nel 1983, in pieno tie break del primo set, un giudice di linea calvo e somigliante all’attore Bruce Willis, giudicò fuori una volee di McEnroe. John, dopo aver fatto una faccia che potremmo definire quella dell’isterico stupito, s’avvicinò deciso a quel giudice, ed urlò: “Se quella palla era fuori, tu sei un capellone”!
 
Agassi, soprattutto nei primi tempi, quando giocava sembrava un misto fra il cartone Speedy Gonzales e una tarantola, ma c’era un perché…
Aveva un padre, Mike, ex pugile armeno d’Iran, che prima di emigrare in USA, aveva partecipato senza vittorie a due Olimpiadi e con la nuova cittadinanza, si mise in testa di recuperare l’incontro col successo, attraverso i 4 figli. Lo strumento scelto, prima di generare ossessione e schiavismo, fu il tennis. Andrè, che era il più giovane, imparò in tenera età cosa significava rispondere alla macchina spara-palline, il resto lo fece poi, anni dopo, il per me macellaio più tale della storia del tennis, sicuramente il maggior fabbricatore di replicanti, ovvero l’orrendo Nick Bollettieri. Nel mezzo però, c’è una storiella che la dice lunga sull’entità della schizofrenia da tennis di cui Agassi era stato cosparso. Protagonista involontario uno dei più grandi giocatori mai scesi su un campo da tennis: Ricardo Alonso Gonzales, per tutti il leggendario, Pancho Gonzales. Costui nel grande romanzo della sua vita, aldilà delle magie con la racchetta, si distinse per aver steso sotto i propri piedi un tappeto da Bad Boy, fatto di collezioni di mogli (sei sicuramente, forse sette perché non lo ricordo), di quintali di sigarette, di alcol, di bibite gassate (anche durante le partite) e di un grande bisogno di dormire nell’intensità simile a quella di un felino. Un personaggio, morto nel 1995 a 67 anni, che se fosse stato italiano, avrebbe probabilmente trovato un regista talentuoso, pronto a costruire su di lui un film alla “Amici miei”. Il mitico Pancho, che chiuse la carriera nel 1974 (a 46 anni!), l’anno dopo, entrò nelle sfere della famiglia Agassi, per seguire la quindicenne Rita, un grande talento (ancora oggi il “tiranno” Mike, giudica la figlia maggiore, come la più dotata fra i rampolli di casa) e lì ebbe occasione di palleggiare con Andrè, che aveva solo cinque anni, ma stava sul campo a sacrificarsi come un campione affermato. La cosa non piaceva per nulla a Gonzales, che la trovava una follia: per il bambino, non solo per il fastidio che recava alla sua flemma. Per Rita però, la ragazzina talentuosa che poi diventò la sua sesta moglie (“Se l’è portata a letto presto e me l’ha rubata quel delinquente!” - dirà poi il “tiranno” Mike), era comunque disposto una volta ogni tanto, a fare qualche palleggio col “pestifero”. Qualche? Macchè! Nel ’78, dopo aver usato tutta la sua cerchia di amicizie e pure occasionalmente grandi campioni a collaborare con lui, affinché attenuassero un poco l’insistenza con la quale il moccioso gli chiedeva tennis, arrivò a quella che gli sembrava una dimostrazione-punizione per il piccolo. In un giorno di particolare voglia di dormire, Pancho allungò una bella banconota ad un allenatore del club di Las Vegas, affinché distruggesse con una seduta d’allenamento fiume, lunga almeno quattro ore, il piccolo Andrè. Lui intanto, dopo essersi giustificato col bambino attraverso una sonora bugia, se ne andò a dormire. Circa cinque ore dopo, tornò al campo e trovò l’allenatore su uno sdraio, letteralmente distrutto, mentre il piccolo Andrè palleggiava contro un muro. Appena vide Pancho, il “pestifero”,   fu subito pronto a dirgli: “Maestro Gonzales, palleggiamo?”.   
 
Federer, prima di diventare quel campione straordinario e corretto che la maggioranza dell’osservatorio giudica oggi come il più grande tennista di tutti i tempi, era un “peperino” dalla arrabbiatura facilissima, tra le cui variabili ci poteva anche stare la spaccatura della racchetta. L’aspetto mi colpì per un episodio e per il giudizio che un mio collaboratore di quei tempi, esternò in quell’occasione. Era fine ottobre 2000 e mi trovavo in Spagna. Il grande tennis di quella settimana, aveva teatro a Basilea. Approfittando dell’orario particolare dei nostri impegni in quell’ultimo sabato del mese, potei vedere in televisione la seconda semifinale del torneo elvetico, che vedeva opposti i diciannovenni Lleyton Hewitt e, appunto, Roger Federer. Sapevo che il bilancio fra i due negli scontri diretti vedeva l’australiano, allora numero 7 del mondo, in vantaggio per tre a zero. Fra gli altri, a vedere quel match, anche un dirigente dell’azienda che sponsorizzava il mio team ciclistico e che partecipava a quella trasferta come interprete. Era uno che a differenza del sottoscritto, aveva giocato a tennis con continuità e che definì Roger (che aveva già visto tre volte), ancor prima della partita, con l’appellativo di “Trinchetto”, perché secondo lui, quel giovane svizzero era sosia di uno dal bicchiere facile, suo vicino di casa. Io invece conoscevo Hewitt, ma di Federer avevo visto pochissimo, abbastanza però per rimanere stregato dal suo rovescio. L’incontro evidenziò le differenze marcate dei due potenziali, nettamente a vantaggio dello svizzero, anche se l’andamento del match, i precedenti e la classifica mondiale, parlavano il linguaggio dell’australiano. Soprattutto, era inspiegabile il nervosismo di Federer, che aveva vinto il primo set e che stava vincendo pure il secondo, prima di farsi sopraffare da un eccesso di rabbia che lo spinse a spaccare la racchetta. “Trinchetto ha talento da vendere, ma sta confermando quello che pensavo: non diventerà mai nessuno, perché è troppo nervoso” – disse il mio occasionale interprete alla fine del secondo set vinto da Hewitt. Ed io, pur riconoscendo a quel collaboratore tante ragioni, ero comunque convinto del contrario: Roger Federer era perlomeno un giocatore epocale, dai margini di miglioramento pazzeschi. Dopo il decisivo tie break del terzo set, che vide vincente Roger, dissi al mio interlocutore che ero disposto a scommettere sul radioso futuro di quel ragazzo dal meraviglioso rovescio ad una mano. Sarà, ma quella partita fu una specie di spartiacque per l’ascesa imperiosa di Federer che, pian piano, s’intinse della correttezza e dell’autocontrollo del leggendario Rod Laver, ed i risultati li abbiamo visti tutti: 20 slam vinti e non è ancora finita.   


Ciao Manuel!