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I Post della Settimana - 5° edizione 21-27 gennaio 2019 - Versione stampabile

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I Post della Settimana - 5° edizione 21-27 gennaio 2019 - Albi - 28-01-2019

I post della Settimana - 5° edizione 21-27 gennaio 2019


Ripercorriamo i migliori post della settimana degli utenti de Il Nuovo Ciclismo. In questa edizione Luciano Pagliarini non solo riprende il racconto delle gesta di Tano Belloni, ma si scaglia anche contro chi, tifoso, più che non vedere, rifiuta di farlo, Morris ricorda il recentemente scomparso Giuseppe "Pipaza" Minardi, Hiko cerca di trovare un punto di incontro nella diatriba arrivi in salita sì-arrivi in salita no, Giorgio Ricci ci aiuta a non perdere di vista alcuni corridori meno celebrati, Manuel The Volder critica a tutto tondo la Cadel Evans Great Ocean Road Race, infine OldGiBi ripercorre la storia di una delle serie, nelle sue varie incarnazioni, più conosciute e riconoscibili.


Luciano Pagliarini in una nuova puntata di Storia e gloria del grande ciclismo 

(25-01-2019, 06:00 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Riprendiamo la storia di Tano Belloni, dopo un po' di pausa, e ripartiamo dal 1926, l'anno in cui il lombardo passa alla Opel e inizia a correre in Germania. Belloni, all'epoca 34enne, è tutt'altro che un corridore finito, infatti, in quella stagione vince ben 6 corse, vale a dire: la Rund um Hainleite-Erfurt, il Gran Premio di Hannover, la Sachsen-Rundfahrt, il Grand Prix Sachs, la Hannover-Amburgo e il Gran Premio dell'Industria di Berlino. Inoltre, Tano giunge 4° alla Sanremo, a 12'45" di distacco da Girardengo, autore di un'autentica impresa in una giornata da tregenda, 6° al Giro di Lombardia vinto da giovanni Brunero e 3° alla Rund um Koln, preceduto da Heiri Sutter e Kastor Notter.

Nel 1927 resta in Opel, ove vince la Rund um Koln battendo il belga Jules Van Hevel, seigiornista come lui e già vincitore di Fiandre, Roubaix e due campionati nazionali, e il padovano Adriano Zanaga. In quella stessa stagione, oltretutto, Tano è vincitore del Giro di Monaco e del Giro della Ruhr e si classifica 4° nel primo Campionato del Mondo della storia, al Nurbugring, battuto solo dai connazionali Binda, Girardengo e Piemontesi.

Nel 1928 Belloni torna a correre tra le file della Wolsit-Pirelli e, dopo due anni di assenza, partecipa nuovamente al Giro d'Italia. La corsa viene dominata da Binda, mentre Tano non è mai protagonista e si vede anche costretto a ritirarsi. Il cremonese sembra ormai sul viale del tramonto, ma non è così e lo dimostra il 3 novembre 1928, quando, in una giornata dal meteo ballerino, conquista il suo 3° Giro di Lombardia. Quel giorno Tano è, oltretutto, particolarmente sfortunato, infatti, fora due volte, una ai piedi del Brinzio e una sulla discesa del Brinzio, ma, complice una corsa tatticamente abbastanza bloccata, riesce a rientrare sui battistrada entrambe le volte. Poi, nel velodromo Sempione, lancia una lunghissima volata, sulla pista bagnata, che non lascia scampo ad Allegro Grandi, Pietro Fossati, Ambrogio Beretta e Alfredo Binda (quest'ultimo verrà, poi, squalificato per cambio ruota irregolare).


Venerdì prossimo l'ultima parte.

La discussione continua nel thread Storia e gloria del grande ciclismo prima della seconda guerra mondiale.

Luciano Pagliarini smonta con lucidità i tifosi col paraocchi

(27-01-2019, 07:16 PM)Luciano Pagliarini Ha scritto: La fanbase italiana del povero Van Aert è qualcosa di rivoltante.

Leggo personaggi che si attaccano al problema meccanico avuto in partenza (che ha inciso tipo 0) e c'è addirittura un tizio che ipotizza che WVA, oggi, abbia perso perché ha fatto fatica a smaltire i carichi di lavoro o per tattica. Cioè secondo questo WVA ha scelto di sua spontanea volontà, in una stagione in cui non ha combinato nulla, di perdere la Coppa del Mondo. In effetti WVA sul podio aveva la faccia di chi ha deciso di regalare la CDM ad Aerts.

Oggi Van Aert ha perso da VdP perché VdP gli è superiore in senso assoluto e da Aerts perché il campione belga, come abbiamo durante tutta la stagione, gli è superiore sui circuiti duri.

Oggi WVA andava fortissimo, più di settimana scorsa, ha dato 2 minuti al quarto, solo che ne ha trovati due che andavano più di lui. Mettetevi l'anima in pace.

La discussione continua nel thread Ciclocross 2018/2019 - 2/3-02 Campionato del Mondo.

Morris racconta Giuseppe Minardi, detto "Pipaza"

(22-01-2019, 07:14 PM)Morris Ha scritto: Non l’ho fatto ieri per assoluta mancanza di tempo. Lo faccio oggi, perché lo sento come un dovere.

Giuseppe “Pipaza” Minardi era una persona tanto cordiale quanto schietta, che amava raccontare i tempi del suo ciclismo con una dimensione antropologica, assai rara fra i tanti “vecchi” corridori che ho conosciuto. E così era coinvolgente e culturalmente ricco ascoltarlo, amarne i passi, sentirsi proiettati su un mondo denso di povertà, ma umanamente di uno spessore oggi scomparso. Raccontava di quanto fosse nato povero e di quel cavallo sì intelligente ed a lui devoto, che lo sostenne in tutti i sensi nella fase di apprendistato che allora era puro “garzonaggio”. Quel cavallo, che gli fu sottratto ed avviato al macello per le leggi assurde create dalla guerra e che gli fece conoscere come possa essere profonda la disperazione. E poi, già da corridore in vista, quella trasferta in Calabria per il Giro della Provincia di Reggio, dove fu ospitato da una famiglia, che gli dimostrò quanto il ciclismo fosse davvero uno spaccato delle nostre umane risorse. E lui, per ripagarla dell’arricchimento ricevuto, il giorno dopo, arrivò con Coppi a giocarsi la vittoria, e lo batté.  
A “Pipaza” devo una delle più limpide spiegazioni su come nell’intorno ci possano essere consistenze ed evidenze atte a concretizzarsi nell’atleta come un talento aggiuntivo, ovvero quella tesi che sviluppai circa tre lustri fa e che, prima o poi, riporterò anche qui. Ovviamente, nel caso di Minardi, l’esempio si concentrò principalmente sulla spinta ricevuta da uno stadio stracolmo (l’Olimpico di Roma che si inaugurava quel giorno), in occasione dell’arrivo della sesta tappa, Napoli-Roma, del Giro d’Italia ’53. Pipaza mi disse: “Contrariamente a quanto lessi nelle cronache giornalistiche di quella tappa, io ero stanchissimo e con me, nel gruppetto in fuga, c’erano il veloce Luciano Maggini, l’imprevedibile e formidabile passista Bevilacqua e un gran corridore come lo svizzero Schaer. Poco prima di entrare all’Olimpico, una trenata dell’elvetico spaccò il drappello, sorprendendo Bevilacqua, De Santi e il mio compagno di squadra Scudellaro. Feci una fatica tremenda per rimanere a ruota di Maggini che a sua volta presumo abbia fatto altrettanto per non perdere quella dello scatenato Schaer, mentre Giudici, quel giorno più in palla che mai, rimase dietro di me. Nei pochi secondi che ci separavano dallo stadio, pensai di essere troppo in debito di forze per poter reggere la volata. In altre parole ero assai pessimista, ma quando entrammo all’Olimpico, provai una sensazione che credevo possibile solo nel mondo dei sogni. Il boato della folla in quel catino enorme, imparagonabile con quei velodromi che al tempo frequentavamo, fu per me come l’incanto di una magia. Ritrovai tutte le forze ed una determinazione che, in tale entità, non ritrovai più in carriera. Liberai così una volata, dove l’attrito delle ruote al cospetto della sempre temibile terra rossa, non impressionò per nulla quella catena che non sentivo. Saltai Maggini che stava superando Schaer nel rettilineo opposto a quello d’arrivo e mi divorai letteralmente tanto la curva quanto i cento metri finali. Avevo vinto una corsa importante, forse storica, ma quei novantamila festanti, continuarono a non farmi sentire il peso dello sforzo per oltre mezzora. Praticamente per tutta la permanenza della carovana nello stadio. Sono vecchio, ma quando penso a quel giorno, mi faccio ancora mille domande”. 
Ciao, grande Pipaza!

…..e per chi volesse vedere quella volata ecco il link…
http://www.culturaacolori.it/index.php/2018/05/17/accadde-oggi-17-maggio-olimpico/

Il ritratto di Minardi (già pubblicato nel thread sulle “corse dimenticate….)

Nato a Solarolo (Ravenna) il 18 marzo 1928, deceduto a Faenza il 21 gennaio 2019. Passista veloce, alto m. 1,80 per kg 72. Professionista dal 1950 al 1958 con 19 vittorie. Giuseppe Minardi può essere considerato il Van Steembergen romagnolo, sia per il suo trascorso di ruota veloce fra i dilettanti, che per quello che ha saputo fare da professionista. Nei suoi dieci anni fra i "prof", infatti, il Minardi già divenuto "Pipaza", ha messo insieme un curriculum di tutto rispetto che ne ha fatto uno dei corridori più in vista dell'Italia degli anni cinquanta. Questo figlio autentico della Romagna, terra di simpatia e laboriosità, si affacciò ancora dilettante alla grande notorietà vincendo senza licenza "prof" la Milano-Rapallo e il Trofeo Matteotti edizione 1949. Professionista in maglia Legnano, "Pipaza" cominciò nel Giro d'Italia del 1951 ad iscrivere il suo nome fra i vincitori di tappa, trionfando nella frazione di Pescara. A questo traguardo, aggiunse subito il  Trofeo Valleceppi. Sul finire di quell'anno solo un grande Luison Bobet gli impedì di iscrivere il suo nome nell'albo d'oro del Giro di Lombardia. Il Trofeo Baracchi, vinto in coppia con Fiorenzo Magni, chiuse una stagione d'oro per il romagnolo. Ma fu il 1952 l'anno super di Pipaza. Mancata di un soffio la Milano-Sanremo (2° dietro a Loretto Petrucci), vinse alla grande il Giro  di Campania, la tappa di Genova al Giro d'Italia, la Tre Valli Varesine. Un bel bottino al quale si aggiunse la sconfitta per solo mezzo punto nel campionato italiano (Maglia poi finita sulle spalle di Gino Bartali). Sul finire di stagione la "chicca" di tutta la sua carriera: il trionfo nel Giro di Lombardia. Con quella vittoria, Minardi divenne uno dei corridori italiani più conosciuti all'estero. Il 1953 di Pipaza, si aprì ancora con un secondo posto dietro Petrucci alla Milano-Sanremo, una corsa stregata, dunque, per il corridore di Solarolo. Anche il resto dell'anno fu tutto un susseguirsi di piazzamenti, ma arrivò pure una grande vittoria: la tappa di Roma al Giro. In quell'occasione trionfò davanti allo stadio Olimpico (fu inaugurato quel giorno) gremito in ogni ordine di posti (un record per un finale di  tappa). Partecipò con la Nazionale al Tour de France, ma si ritirò nel corso della 5a tappa. Tre le vittorie di Pipaza nel 1954: la tappa di Teormina al Giro d'Italia (dove fu anche per tre giorni maglia rosa), il Giro di Romagna e il Giro di Reggio Calabria, dove batté in volata Fausto Coppi, dopo che i due avevano staccato tutti. Cinque i successi nel 1955: la tappa di Cervia al Giro d'Italia, il Giro del Piemonte, il Trofeo Matteotti, il Circuito di Pescara e il GP di Imola, una cronosquadre. Un paio di successi nel 1956: la tappa di Rimini al Giro d'Italia e, per la seconda volta, il Giro di Reggio Calabria. Fu questo l'ultimo acuto della carriera di Minardi che continuò per altre due stagioni in maglia Leo-Chlorodont senza più ritrovare lo spunto di un tempo. Giuseppe Pipaza Minardi vestì con onore tre volte la Maglia Azzurra ai Mondiali: a Varese nel '51 dove finì 8°, a Lussemburgo nel '52, dove chiuse 10°, ed a Solingen '54, dove si ritirò, dopo aver fatto il suo lavoro d'appoggio.

Maurizio Ricci detto Morris

La discussione continua nel thread Ciao "Pipaza"!

Il punto di vista di Hiko sugli arrivi in salita nei grandi giri

(23-01-2019, 08:17 PM)Hiko Ha scritto: Non sono troppo d'accordo. Secondo me oggi come oggi almeno due arrivi in salita seri ci vogliono in un GT a prescindere. Poi che in questi anni degli arrivi in salita se n'è abusato e sono stati inseriti in tappe insulse non ci piove...
Io infatti non sono troppo entusiasta del Giro 2019 proprio perchè mancano arrivi in salita come si deve, pur avendo un tracciato che complessivamente non è male.

Alcune tappe mosse sono anche più belle e movimentate degli arrivi in salita, che risultano spesso la sagra dell'attendismo, però secondo me l'arrivo in salita ti da' altre cose, a cominciare da una selezione naturale (nelle tappe mosse ci può essere sparpaglio, ma ci può essere anche zero movimento...)
Poi secondo me sta agli organizzatori proporre arrivi in salita degni: non si può prescindere dai vari Ventoux, Alpe d'Huez, 3 Cime, Pampeago, Zoncolan, Angliru, ecc

Se un GT deve premiare il corridore più completo è giusto che ci siano anche gli arrivi in salita, così come ci devono essere tutte le tipologie di tappe.

La discussione continua nel thread Una corsa a tappe di tre settimane senza i grandi arrivi in salita. Un esperimento da (ri)fare?

I campioni dimenticati di Giorgio Ricci

(23-01-2019, 09:55 PM)Giorgio Ricci Ha scritto: Van impe non è dimenticato. Se ne parla pochino, ma non era un fenomeno. 
Nell'immaginario possiamo paragonarlo a un Sastre, più continuo, più vincente, ma con un unico grande exploit Ugrumov paga un po' il fatto di essere del primo blocco sovietico, c'era un po' di confusione, diffidenza, nomi simili ecc. 
Fra i non molto ricordati metterei Van Hooijdonk, nome difficile da ricordare, come per Leman ha legato il nome  ad un unica corsa, un po' un limite . A volte per essere ricordati basta farne una grossa, guardate Knetemann, niente di che, ma ha battuto Moser al Nurburgring.
In Italia si parla sempre poco di Dancelli e Bitossi, ricordarti entrambi per un unico episodio, ma campioni a tutto tondo.

La discussione continua nel thread Campioni dimenticati.

Manuel The Volder individua in poche parole le storture della Cadel Evans Race

(27-01-2019, 01:21 PM)Manuel The Volder Ha scritto: Che aborto di corsa, 160 km col solito inutile tratto in linea e 4 strappi di 40 metri. Comunque Viviani molto bene, anche se mi ha impressionato di più nella prima tappa del TDU.

Corsa peggiore da intitolare al grande Cadel non c'era.
La discussione continua nel thread Cadel Evans Great Ocean Road Race 2019.



SPAZIO OFF TOPIC



OldGiBi ci accompagna in un viaggio intergenerazionale a bordo dell'Enterprise

(26-01-2019, 01:53 AM)OldGiBi Ha scritto: Surprise... 

Star Trek attraversa le generazioni, con un alone da quasi mito che spesso supera gli effettivi ascolti delle serie. La serie classica fu quasi cancellata dopo la seconda stagione, solo le proteste dei già numerosi fan ne indussero una terza. Tutto poteva finire lì ma la serie venne acquisita e riproposta dalla Paramount, si affermò a livello internazionale, divenne pian piano un fenomeno a sé stante. 
The Next Generation completò il salto, facendosi amare da vecchi e nuovi fan, con ascolti notevoli, consolidando questo mito moderno. 

Le serie successive (Deep Space Nine, Voyager, Enterprise) hanno avuto discreti successi ma senza eccellere. Per gli autori il problema della ricerca di quell'equilibrio tra le radici di Star Trek e una buona innovazione, difficile da trovare. 
Voyager rischiò la cancellazione dopo la terza stagione ma l'introduzione di Sette di Nove restituì vigore (ed ascolti) alla serie. 

Passarono diversi anni prima del tentativo di Enterprise e dato che andavano di moda i prequel... La serie decolla a fatica e gli autori si sperticano per rinvigorirla, senza fare un buon lavoro. Chiusura con la quarta stagione (ma io sono affezionato anche ad Enterprise). 
 
A tenere in vita la saga solo i film, incassi più garantiti. Si torna al Capitano Kirk e a Spock, tra vecchi e nuovi aficionados si va a colpo sicuro, ma l'universo di Star Trek via via si avvicina al tramonto, scivola verso il passato. 

Dopo oltre dieci anni di vuoto la CBS, in collaborazione con Netflix, decide di produrre una nuova serie, con l'idea di cambiare personaggi ed ambientazione ad ogni stagione, come a non correre rischi, brevi frammenti dal mondo di Star Trek di volta in volta. 
La prima stagione inizia discretamente e pur non sembrando pienamente centrata (almeno a me) ottiene un buon successo. Parziale cambio di rotta, conservando per la seconda stagione la Discovery e i personaggi meglio riusciti della prima: una grande scoperta, gli appassionati voglio affezionarsi ai personaggi. Tuttavia il cambio di impostazione è significativo, si cercano legami con le radici di Star Trek, si rispolvera il Capitano Pike (protagonista dell'episodio pilota del 1966 e poi apparso nei film recenti, come precedente capitano dell'Enterprise, mentore di Kirk), si adombra la figura di Spock (Michael Burnham, la protagonista di Discovery, è la sorellastra di Spock, adottata e cresciuta dai suoi genitori). 
Primo episodio che crea un po' di curiosità, oggi in onda (o meglio, online) il secondo episodio, che mi ha sorpreso, dandomi una sensazione da Star Trek dei bei tempi andati. Si avverte questa voglia di cogliere la mitica di Star Trek, di riportarlo al senso dell'esplorazione, confezionando un prodotto che piaccia agli appassionati. Almeno io ho avuto questa sensazione, l'episodio mi è piaciuto e mi ha sorpreso. 
Sarà che mi sto facendo vecchietto e mi piacciono le cose che richiamano "i bei tempi andati". Si sognava il futuro, oggi il clima è diverso (ma guai a perdere i sogni). 

Certo che fa sempre un certo effetto sentire "...Fino ad arrivare là dove nessun uomo è mai giunto prima."

La discussione continua nel thread Serie Tv.......parliamone qui!.