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Gianni Bugno
#1
in arrivo
 
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#2
Da ciclista a elicotterista del Cardarelli
La storia del campione mondiale Bugno



di Gian Paolo Porreca
NAPOLI - La «specialissima» è lì, sontuosa, sul prato del Cardarelli. No, non c'è bisogno di un trespolo per sostenerla, come per la celeberrima bici «Moser» del passato di Bugno, la «A 109 E-power», l'ultimo modello prodotto dall'Agusta.


Sotto le luci alogene del parco, i colori giallo e rosso della carenatura sono ancora più fiammanti. Gianni Bugno è lì, divisa da pilota, per il suo nuovo turno di notte. «Sono tornato a Napoli, a lavorare nuovamente per l'EliLombardia, il soccorso aereo convenzionato con la vostra Regione». Ed i suoi nuovi compagni di avventura non sono più Fondriest, Argentin, Indurain, Rominger, Kelly e non tracciano scie di gloria su strada. Ma dettano traiettorie di speranza sui cieli della Campania, e si chiamano Arpaia, «tifoso del Napoli», Verani, Benvenuti, Coerezza, Peroni...

«Peroni, giusto, perché per avere in squadra un Perini, come quello che mi tirò la volata del '92, a Benidorm, non ci siamo ancora attrezzati», dice con un sorriso.

Quarantotto anni compiuti ieri, il giorno di San Valentino, Bugno ha il fisico asciutto ancora, e la discrezione ombrosa che ne ha delineato una figura atipica di ciclista.

Con due Mondiali consecutivi, '91 e '92, la Milano-Sanremo '90, il 'Fiandre' '94, i titoli nazionali nel '91 e nel '95, professionista dal '85 al 1998, con 72 vittorie in totale, Gianni Bugno resta ancora di più l'ultimo campione che ha vinto un Giro d'Italia, indossando la maglia rosa dal primo all'ultimo giorno, nel 1990. «E ci ripenso in questi giorni, certo, con il Vesuvio innevato, non l'avevo visto mai così, io che quell'anno, nella seconda tappa, sul Vesuvio appunto, non riuscii ad agguantare Chozas in fuga... Ma per fortuna, conservai il primato».

Nello spartano casotto dei piloti, un gruppo hemingwaiano di amicizie virili, le mappe geografiche sulle pareti, i toni bassi, il ciclismo sembra vagamente estraneo. Eppure, nel viso di Bugno, oggi presidente del Cpa, il Consiglio internazionale dei ciclisti professionisti, è ancora una sobria, non superflua, emozione. «Sai, non c'è uno di noi che non ricordo con piacere, da Indurain a Chiappucci, e questo più di tutti, sai, anche perchè vive a Monza, di fronte a casa mia».

«Un nemico? ma daiii, nemici non ne esistono, in questo sport che si fa con la pioggia e con la fatica. Si è talmente soli, che non puoi essere nemico». «Un successo particolare? Dico tutti eguali, la vittoria è sempre prima, anche se la “Sanremo” vinta per una manciata di secondi su Golz, ed il Giro, ma certo anche il primo Mondiale, a Stoccarda, fanno una bella volata».

Quello che è fondamentale, intanto, è questa nuova vita, però. «Ci chiamano spesso da Ischia, per urgenze, siamo una specie di Ischia Express, ed ho negli occhi ancora il bambino che abbiamo accompagnato stanotte, da Lacco Ameno, Salvatore, sei anni, chissà come sta». È un lavoro ed una passione civile. «Mi chiedi se il ciclismo avrà futuro. Il ciclismo è naturalmente futuro, la bici è il primo regalo per un bambino, è importante che non sia l'ultimo. E che la bicicletta cresca con la fantasia del ragazzino.... Fino all' uomo...».

«Voi, poi, avete qui un territorio ideale per il ciclismo. Penso al Vesuvio, ma ancora di più a piazza Plebiscito, a Napoli, te lo immagini un raduno ciclistico davanti al Palazzo Reale? Ed a via Caracciolo e Posillipo».

«Sai, io in bici non ci vado più. Preferisco correre a piedi. E la mattina, quando sto a Napoli, mi faccio jogging a via Caracciolo. E penso, in silenzio. Ma chi ce l' ha, al mondo, via Caracciolo? Io mi sento un Bugno napoletano. Te lo ricordi l'arrivo del Giro '96, con Mario Cipollini primo, che spettacolo».

E questo ciclismo a Napoli visto dall' alto, da Gianni Bugno pilota di pronto soccorso, appare una filosofia di vita due volte solare. Mentre mi accompagna fuori, due passi a piedi, il parco del Cardarelli, il freddo nelle ossa, un cielo stellato da Casablanca. «Che bella serata, Gianni». Ma lo scettico che era in lui, come diceva Alfredo Martini, tornava pronto al comando dello sguardo. «Che umidità, direi», per i cuori di inverno.

ilmattino.it
 
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#3
Giusto 21 anni fa Bugno vinceva il suo primo Campionato del Mondo Ave
 
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[+] A 1 utente piace il post di Luciano Pagliarini
#4
Compie cinquant'anni Gianni Bugno, tanti auguri a lui che ci legge da lassù (dall'elicottero intendo)
 
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#5
Sui Rai Sport 2 c'è il Dedicato a... più Bugnoso di tutti. Può anche andarsene affanculo Real Bayern... Sisi
 
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#6
A che ora? :o
 
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#7
Adesso...
 
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#8
Bugno nel segno di Hinault Rockeggio
 
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#9
Bugno il più grande di sempre
 
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[+] A 1 utente piace il post di Giugurta
#10
Sono d'accordo con quanto detto da Stanga e Bulbarelli ieri in trasmissione, cioè che Bugno avrebbe potuto fare e bene la Roubaix. Sono l'ultimo che dovrebbe parlare non avendo visto il ciclismo di quegli anni, però questo mi sembra piuttosto evidente guardando il Fiandre 1994 e il suo stile in bici.
Comunque era un'altra epoca e Gianni correva per una squadra italiana e quindi con la "responsabilità" di fare un calenderio diverso, a partire da Giro e Tour.

Mi ha dato fastidio che per tutta la puntata gli abbiano rinfacciato il fatto che avrebbe potuto vincere di più, cosa che ormai sarà ben stufo di sentirsi dire. Ognuno fa la sua carriera e anche i rimpianti fanno la storia di un campione.
 
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[+] A 1 utente piace il post di Hiko
#11
Infatti Gianni sembrava un po' irritato
 
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#12
Ciao, vi segnalo un'interessante intervista a Gianni Bugno, che racconta delle difficoltà connesse al termine della carriera e approfondisce il tema dell'aspetto mentale connesso alla pratica del ciclismo

Ecco il link:
http://psichesport.blogspot.it/2016/01/d...bugno.html
 
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#13
Gianni piuttosto in forma a Radiocorsa di giovedì scorso  Asd sarebbe bello averlo al processo, almeno non dice cose scontate







 
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[+] A 1 utente piace il post di Lambohbk
#14
"Io sono uno che non sa stare in bicicletta, ho paura ad andare in bicicletta"

che fenomeno e che personaggio
 
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[+] A 1 utente piace il post di Crow
#15
Gianni, Gianni, ti voglio bene, ma oggi fra Associazione Ciclisti e Rai rischi di passare per non sei......

E qui mi viene in mente una foto, che pare riassumere nell'umano ogni dì, il tuo tratto agonistico comunque splendido....

Da un mio libro di tanti anni fa........

...... Ci eravamo sentiti telefonicamente a gennaio ’94 e lui m’aveva detto: “Ci diamo del tu perché sei verace come me: tu romagnolo ed io brianzolo. Il tuo progetto mi piace e se mi dici che sarà ultra-vincente io ti credo. Però per quest’anno ho già impegni coi professionisti, ma a settembre vieni qua da me, che ci mettiamo d’accordo per il 1995”. Ed ai primi di quel mese raggiunsi Sergio in Brianza, presso il suo stabilimento, sicuro di poter dare alle mie atlete le biciclette del “Campionissimo”. Poteva e voleva essere un gran giorno (e lo sarà per i tre anni magnifici venuti dopo), ma un brivido mi percorse la schiena poco prima di entrare nell’ufficio di Sergio: nella sala d’attesa giganteggiava la foto della millimetrica vittoria di Gianni Bugno su bicicletta Coppi, ai danni di Johan Museeuw su Bianchi sul traguardo del Giro delle Fiandre ‘94. Era la prima volta che rivedevo quella istantanea su un successo che poteva essere ancor più grande, perlomeno in estensione, di mezzo metro, mica tanto, insomma quel margine sufficiente per non farci scazzottare le coronarie. Ma lui, il Gianni, era fatto così….. 
[Immagine: Museeuw_Flandres_1994.jpg]

Il Gianni, magnifico atleta, campione di ciclismo e d’implosione. 

Gianni Bugno, introverso o semplicemente modesto fino a negare l’evidenza del suo sangue blu raro, del suo talento da eletto? 
“Non mi si perdona di non essere un personaggio” – diceva.
Era sempre così, oppure lui ci metteva del suo? 
Da ragazzino gli piaceva la matematica e sognava di fare da grande l’ingegnere aeronautico, eppure la sua carriera sulla bicicletta, è stata spesso tinta degli episodi tipici dell’atleta incapace di calcolare anche le distanze più brevi, come gli capitò ai Mondiali del 1991 e al Giro delle Fiandre del 1994, quando mise in discussione due vittorie certe, fino alle differenze minime: nel secondo caso, addirittura di un tubolare. Ma non sempre gli andò bene, perché in mezzo a quei due episodi, ve ne fu uno che fa ancora rabbia solo a pensarci, quando nell’Amstel Gold Race ’93, si fece anticipare di un niente da un avversario, lo svizzero Rolf Jaermann, che avrebbe battuto novantanove volte su cento in una volata a due. Oppure, quando  provò, l’unica volta in vita sua, ad uscire dal suo classico “Vedremo” ed a dire, deciso, dopo la debacle al Tour ’94: “Aspettatemi al Mondiale, non sono finito e scommettete su di me!” Ed invece fu fermato per caffeina (ennesima stupidaggine grave solo per l’antidoping), altrimenti, forse, sarebbe stato un ematoma da caduta, a stopparlo prima ancora di correre. 
E che dire sui suoi “calcoli” di giudizio?
Di Chiappucci, il suo avversario per eccellenza, per pressappoco medesima età e quella geografia di zona che conta eccome nello sport, diceva: “E’ il mio opposto, lui ama la gente e sentirsi personaggio. A volte esagera e così si fa male”. Poi, invece, si scoprì che l’esuberanza e la ricerca del personaggio in Chiappucci, era un modo efficace per ovviare alla mancanza di supremo talento, ed arrivare là dove non era pronosticabile, mentre con la sua cautela, i suoi dubbi, la sua tenera bontà di ragazzo piovuto sulla bicicletta, fu proprio Bugno a farsi del male, sfregiando non poco quel curriculum da grandissimo della storia, al quale, la logica, prima di ogni altra ragione, s’era permessa di scommettere. 
Ancora calcoli inesatti e implosivi.
Le sue fughe d’amore. Niente di più naturale alla lettura non ipocrita del corso umano, ma come tutti gli aspetti che cozzano sovente con l’involucro d’ipocrisia di cui l’uomo imperfetto e perciò bellissimo si cosparge, vanno difesi, protetti, affinché le reazioni degli altri, non siano in grado di sfregiare. Capitò così per Bugno? No! Assolutamente no! 
Non bastava dire: “Una donna non distrae, è una componente fondamentale nella vita di un uomo. Mi piacciono le belle donne, è una colpa?”. Era necessario capire, avere possesso chiaro del fatto che il ciclismo, ieri come oggi, rappresenta l’ultimo stupido baluardo del puritanesimo, perché aldilà del tanto resto vigente, una storia d’amore di un corridore con una ragazza, definisce automaticamente costei come “la dama bianca”, con tutto quello che ne consegue. L’amore è proibito, galeotto, illegale. Il ciclismo deve essere solo sofferenza, monogamia, sacrifici da monaco, si devono dimenticare i sensi per giungere agli status di forzati della strada. Uno schifo! Ed allo schifo non si risponde con la bontà, la gentilezza, la cautela, ma con la repulsione, la difesa cattiva della civiltà, in altre parole con l’agonismo che serve per battere i colleghi. Altrimenti l’intorno finisce per entrare nell’interno del coinvolto e ad implodere, proprio quello che capitò a Bugno. Era dunque necessario andare oltre a quella esternazione ulteriore, che suonava come resa o liberazione dal fulcro realistico che vedeva l’antipersonaggio Gianni - capace comunque di fare proseliti, creare club, portare al tifo e alle lacrime centinaia di migliaia di persone - riassumere il tutto, privacy ed epica ciclistica comprese, con: “Sono solo un lavoratore del ciclismo io, che vince o perde, niente altro”. 
Sì, buon senso, come sempre tanta bontà, pure quella intelligenza che non è mai mancata negli orizzonti di uno dei pochi corridori liceali (soprattutto ai suoi tempi), poi capaci di svolgere a fine carriera il lavoro che non ci si aspetterebbe mai. Ma il buon senso e la bontà, nello sport immerso nel pesante rapporto con quei media che pesano sovente più delle salite, sono poco più di niente. Il compianto dottor Cavalli, diceva ai rampolli della più forte generazione di ciclisti italiani, che Merckx era a loro superiore solo nella testa, in quel coacervo di stimoli nervosi che si traducono nella determinazione che si chiama cattiveria agonistica. Gianni Bugno era un signore, una gran brava persona fin da ragazzo, con una classe superiore a tanti grandi della storia. Uno dei primissimi, per intenderci, mai salito su una bicicletta, ma un incompiuto rispetto al talento. Ha vinto tanto, nonostante tutto, ha emozionato come pochi; ha scritto pagine capaci di far piangere per tanto ben di Dio in un corpo solo, come nella Milano Sanremo del 1990 (mai visto uno vincere così), ma ci ha lasciato le più incredibili delle consapevolezze: lo sport non è solo grandiosità atletica, il ciclismo non sta solo su quei muscoli dorsali che consentivano ad uno come lui, di spingere rapporti che nessuno si poteva permettere, al punto di far apparire la sua pedalata come simbolo di perfezione. Lui, Gianni Bugno, si è accontentato, è diventato campione con la “c” maiuscola, chiedendo permesso, come se la sua fosse una esibizione di kata ed è stato capace di lasciarci stupiti quando, dopo aver trionfato nel secondo mondiale consecutivo, a Benidorm, in Spagna, quasi chiese subito scusa: “Mi dispiace di aver vinto in casa di Indurain”. 
Come si faceva a non amare una simile figura?! E come si poteva non prestare incanto verso colui, che più di ogni altro, da nobile, ci ha fatto conoscere cosa sarebbe il socialismo nello sport dell’utopica società opulenta di John Kenneth Galbraith?! 
Sì, tanto amore, ma senza che ce ne voglia, a noi che missionari non siamo, anche tanta rabbia.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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