Login Registrati Connettiti via Facebook



Non sei registrato o connesso al forum.
Effettua la registrazione gratuita o il login per poter sfruttare tutte le funzionalità del forum e rimuovere ogni forma di pubblicità invasiva.

Condividi:
Mattia Gavazzi
#1
 
Rispondi
#2
Dal FB di Mattia: "Ciao a tutti, la Rai mi ha chiesto di parlare della mia storia ed ho accettato perchè il disagio non conosce differenze e se ho la possibilità di aiutare qualcuno raccontandola allora va fatto. Abbiamo registrato un'intervista, la prima messa in onda è domani alle 7.30 su Rai 3 dovrebbe poi essere nei tg e probabilmente anche Sabato a Dribbling. Il mio San Valentino è per voi! Mattia"
 
Rispondi
#3
Mattia Gavazzi: «Voglio vincere questa sfida»
Scalare l’Everest senza essere in possesso di requisiti tecnici e preparazione adeguata per riuscirci. Ma con grande determinazione, grinta, impegno, spirito di sacrificio e la voglia di colmare queste qualità per fissare la bandierina a quota 8.848 della montagna himalayana, sogno di tutti gli alpinisti posta tra Cina e Nepal.
Mattia Gavazzi, secondogenito di Pierino, dall’11 ottobre scorso sta cercando di risalire la china dopo essere precipitato nel baratro della tossicodipendenza. Ventisette anni, corridore di talento, destinato a una carriera fantastica, il velocista di Provezze sta cercando di sconfiggere la cocaina che troppe volte lo ha costretto alla resa, molto di più degli avversari: da Petacchi a Greipel e via discorrendo. Nato con le stimmate del campione, vincitore alla sua seconda corsa nella categoria giovanissimi, è stato appiedato giustamente dagli organi federali una prima volta quando correva nella categoria juniores. Quindi la squalifica nel 2004 e lo stop del 21 aprile 2010 quando già pregustava la gioia della vittoria in una tappa della Settimana Lombarda by Bergamasca. Sempre per quella maledetta polvere bianca che ti fa credere il Messia mentre invece sei piccolo, talmente piccolo, che più piccolo non si può. Da quel giorno ne è passata però di acqua sotto i ponti e Mattia Gavazzi ha dovuto superare ostacoli a prima vista insormontabili. Ed è ancora qui pronto a centuplicare le sue forze per vincere la volata più importante: quella della vita.
“E’ per questo motivo che mi sono ben ficcato in testa di finirla una volta per tutte. Dall’aprile scorso a oggi ho affrontato sette-otto gradini dei dieci che devo salire per farcela. I gradini che mancano però sono quelli più duri, più impervi, da affrontare con la rabbia e la grinta giusti”.
Mattia Gavazzi è sereno come non mai mentre si racconta e soprattutto fiducioso di vincere questa battaglia. E il ciclismo gli potrebbe dare sicuramente una mano. Ma lui l’ha già tradito tre volte. “Vero anche questo ma mai come in questo momento credo fortemente di poter guardare in faccia la gente, perché sono decisissimo a farla finita una volta per sempre. Tra un paio di settimane mi recherò a Roma dove la procura antidoping attuerà la richiesta al Tna per quel che mi riguarda. Il regolamento parla chiaro e non mi faccio illusioni, ma posso dimostrare di essere deciso a tutto per farla finita con la cocaina e quindi spero nella clemenza dei giudici. Sono ancora giovane e se saprò affrontare il resto del percorso che ho davanti con la determinazione attuale credo davvero di poter sconfiggere una volta per tutte la cocaina. Per questo spero davvero di poter avere un’altra chance sportiva, anche se è la battaglia della vita che intendo vincere”.
Dall’aprile scorso Mattia Gavazzi ha deciso di voltare pagina. Decisivo l’incontro con Giovanni Mazzi della Comunità Exodus, conosciuto a Orzinuovi nel luglio 2010 dove si era recato per vedere l’arrivo della tappa del Brixia Tour. Il ciclismo che giustamente l’ha respinto, gli ha fornito una ciambella di salvataggio. Infatti nell’ottobre 2010 si è recato in comunità Exodus a Cavriana dove è rimasto tre mesi. Poi è salito a Sonico altri tre mesi. “Ho dovuto superare momenti drammatici per via di astinenza e quant’altro. Sono anche scappato un paio di volte. Ma poi ho capito quale era la strada da seguire e ora sono motivatissimo e pronto a ogni sorta di sacrificio per tornare a vivere come un comune mortale, meglio se da corridore, perché correre è l’unica cosa che so fare al momento. Sono comunque pronto anche a guardarmi attorno perché intendo dare un senso alla mia vita”.
Importante l’incontro con Giovanni Mazzi, forse ancora di più quello con Anna, bella ragazza bergamasca di Casnigo, conosciuta il 31 ottobre 2009 a Milano. “Anna è insieme a Giovanni e ai familiari il mio punto di riferimento costante. Quando sento e penso di andare in tilt mi affido a loro perché so di poter avere una parola buona, il conforto che mi consente di guardare avanti con rinnovata fiducia”.
Anche Anna l’ha conosciuta nell’ambiente ciclistico e questo non è certamente un caso. Come dire che è proprio il mondo che l’ha censurato a potergli fornire la possibilità di rifarsi una vita. L’ha capito il suo ex tecnico Roberto Damiani, attuale direttore sportivo della Lampre, che l’ha convinto a recarsi al centro tumori di Milano insieme a Scarponi per consegnare la maglia rossa ai bambini malati. “Un’esperienza tremenda e nel contempo positiva perché mi sono guardato dentro e ho capito quanto sono stato stupido per aver buttato via anni importanti della mia vita. Ma ho tutto il tempo per rifarmi. Gli occhi dei bambini malati non riesco proprio a cancellarli dalla memoria. Vorrei tornare a correre e vincere per portare a loro fiori e coppe della vittoria”.
Il percorso che sta compiendo è ricco anche di momenti pubblici importanti, tipo l’incontro con 120 alunni delle scuole primarie e secondarie a Mantova. “Insieme a Giovanni sono stato più di un’ora con loro testimoniando la mia negativa esperienza. E’ stato difficile confrontarmi con i ragazzi ma alla fine ci sono riuscito e sono contento”.
Questo è il Mattia Gavazzi di oggi, deciso a tornare in sella, ma soprattutto a cancellare un pezzo della sua vita, durante il quale è stato manipolato da persone che sicuramente non gli volevano bene e che la maledetta polvere bianca l’ha costretto spesso a compiere passi sbagliati. E chissà non abbia ancora il tempo per puntare a battere il record di papà Pierino vincitore 63 volte tar i professionisti mentre lui è fermo a 23. Avrebbe ancora tutto il tempo per farcela. Ma l’attende un tappone dolomitico durissimo e per un velocista come lui sarà davvero arduo superarlo. I corridori veri, gli uomini a tutto tondo, quando però si prefiggono di cogliere un obiettivo ci riescono. In fondo anche suo padre Pierino ha vinto le ultime due tappe del Giro d’Italia nel 1978 e 1980 dopo aver superato tutte le montagne della corsa rosa. Dovrà farlo anche lui, soprattutto per se stesso, perché continuare a pedalare fuori percorso lo porterebbe davvero in un vicolo cieco.

Angiolino Massolini - tuttobiciweb.it
 
Rispondi
#4
Che dire, imboccallupo per tutto
 
Rispondi
#5
Dal 30 Settembre Mattia Gavazzi potrà tornare alle corse. Compli
 
Rispondi
#6
E' stato uno dei primi a mandarmi un messaggio subito dopo il mio incidente. In questi mesi ci siamo sentiti spesso perchè è sempre stato un bravo ragazzo. Sto parlando di Mattia Gavazzi una promessa del ciclismo, forte, fortissimo, capace di vincer volate di gruppo ma da tempo in lotta per battere la cocaina. Non uso giri di parole, voglio essere diretto come è stato Mattia. Non si è mai nascosto, ha reagito, lottato, sofferto, ma alla fine ce l'ha fatta. Nel 2010 vince una tappa alla settimana Lombarda, era il 2 aprile ma dopo un paio di settimane esce la positività per cocaina. Non era la prima volta. Non viene lasciato solo ma è lui il primo a capire che è giunta l'ora di farsi aiutare. Accetta il centro di recupero, dove si trasferisce per diverse settimane, lavora e si ripulisce, ascolta e capisce, pensa e agisce per trovare una serenità perduta. Qualche giorno fa è stato giudicato e potrà tornare alle corse già a fine settembre. Mi colpì quel giorno che tornando su una bicicletta mi mandò un messaggio che diceva: "che bello pedalare, me ne ero dimenticato, Dio mio quanto vorrei tornare a correre". I giudici gli hanno dato fiducia, il ciclismo, almeno una parte, gli è stato vicino. Questo l'ultimo messaggio che mi ha scritto. Storia di oggi.
«Dopo la bella notizia sono ancora più sereno! Sai, anche se la squalifica termina il 30 settembre mi piacerebbe correre qualche corsa ancora nel 2012 a ottobre, il gruppo mi manca, mi manca il mio mondo. in realtà ho un sogno, nel 2010 ero in Belgio ad assistere alla Binche-Tournai-Binche, Memorial Frank Vanderbrouke che vinse Viviani. Conobbi la mamma di Frank, Mamma Chantal... lei mi chiese di prometterle che mi sarei fatto aiutare, ne sarei uscito e sarei tornato là per vincere un giorno quella corsa, per lei e per Frank che io conobbi molto bene, purtroppo per aspetti che ci accomunavano. Destino vuole che se andasse tutto bene e se trovassi subito squadra, quella corsa sarebbe la prima a cui potrei partecipare. si corre il 2 ottobre, e mi piacerebbe davvero molto esserci. Sono stato ieri da Colnago e torno domani per cambiare la bici, mi piacerebbe tornare e rientrare con loro... Un abbraccio, e buona guarigione».
Quando ci sono belle storie continuiamo a dire che lo sport è meraviglioso, che insegna le regole della vita, che ti aiuta ad accettare la sconfitta per poi trovare la vittoria, e potrei andare avanti ancora a dire le stesse cose di una banalità sconcertante. Mattia ha risolto un grossissimo problema perchè è riuscito a non rimanere solo, a trovare dentro di sè una forza che forse neanche lui sapeva di avere. Non si è nascosto, è riuscito a tirar fuori il suo male. Ha una grande passione, il ciclismo. Mi piacerebbe vedere che anche in casi come questo venisse fuori l'anima straordinaria che vive nel mondo del ciclismo e mi piacerebbe anche che Mattia trovasse una squadra per andare in Belgio, correre la Binche-Tournai-Binche e coronare il suo sogno. Vorrei precisare che prima di fare questo post ho chiesto a Mattia stesso se potevo permettermi di scrivere la sua storia. Mi ha risposto che ne sarebbe ben felice. Per questo mi sono permesso di farlo.

dal facebook di Davide Cassani
 
Rispondi
#7
Mattia Gavazzi: «Non vedo l'ora di tornare in gara»
Mattia Gavazzi il 30 settembre avrà scontato la sua squalifica per la positività alla cocaina riscontratagli in un controllo antidoping alla Settimana Lombarda 2010. Il velocista bresciano dopo uno stop di due anni e sei mesi, liberatosi della schiavitù della polvere bianca, a ottobre potrebbe quindi tornare alle corse. Con quali motivazioni? Con quale maglia? Con quanta voglia? Ce lo spiega il diretto interessato.

Dal 31 marzo 2010 a oggi cos'hai fatto?
«La priorità è stata ritrovare Mattia persona, prima dell'atleta Gavazzi. Dall'11 ottobre 2010 sono entrato nella comunità fondata da Don Mazzi, per 18 mesi ho seguito il programma di Exodus poi sono tornato a pedalare, continuando a seguire il programma anche fuori dalla comunità. Ho ritrovato una certa normalità a casa e con la bici, sempre sottoponendomi ad analisi, test, controlli e incontri settimanali con i dottori. Da due mesi a questa parte mi alleno decisamente di più e Giovanni Mazzi e tutte le persone che mi sono state vicine mi continuano a seguire, ma più da lontano».

Possiamo dire che l'incubo è finito?
«La mia storia parla chiaro, purtroppo ho già commesso l'errore di dire: "sono a posto". Prima di prendere in giro gli altri, raccontavo delle storie a me stesso perché non mi rendevo conto del problema. Non si può mai dire che il pericolo sia scampato, l'ho già provato a caro prezzo sulla mia pelle, ma ora sono convinto che le cose siano cambiate davvero. Non pensavo fosse così dura abbattere certe abitudini malate, certi meccanismi psicologici da cui è davvero difficile uscire. Come tanti avevo la presunzione di pensare di poter farcela da solo, di non aver bisogno dell'aiuto di nessuno. Prima della soluzione, è stata fondamentale l'accettazione del problema. Ognuno ha la sua storia, ma stare in comunità mi è servito perché ho conosciuto ragazzi di 15-16 anni che avevano crisi di astinenza terribili che io non avevo mai vissuto e mi hanno aperto gli occhi».

Che ruolo ha avuto la bici in tutta questa storia?
«Da una parte non mi ha fatto sprofondare, dall'altra mi ha portato ad avere due personalità dissociate. Da una parte c'era il corridore intoccabile, forte, che vinceva, dall'altra l'uomo fragile che non riusciva ad affrontare i suoi problemi. Da quando sono tornato a casa mi ritrovo nel mondo in cui vivevo prima e vedo in che condizione si trovano amici che sono stati meno forti e fortunati di me, il che mi fa riflettere molto. Io ho avuto accanto a me le persone giuste e la forza di affrontare questo demone. Sono orgoglioso di quello che sono riuscito a fare».

Ora come stai?
«Sto bene, mi sto allenando e sono sereno. Non so ancora con che squadra potrò tornare alle corse ma sono fiducioso. Ho già avuto qualche contatto e credo che nella settimana dei campionati italiani si potrà concretizzare qualcosa. Sapete meglio di me che per chi ritorna dopo una squalifica è un problema trovare qualcuno che ti dia ancora fiducia, ma nel mio caso non si trattava di doping e più di una persona l'ha riconosciuto. Considerato il termine della mia squalifica, nella migliore delle ipotesi quest'anno potrei prendere parte a 5-6 giorni di corsa, so che è poco ma per me sarebbe importante ritornare ad assaggiare il mio mondo prima della prossima stagione».

Quanta voglia hai di attaccare il numero alla schiena?
«Tantissima. Solo ora guardandomi indietro mi rendo conto di quanto è stato difficile uscire da questa maledetta dipendenza e pensare di nuovo al ciclismo mi riempie di gioia. Dopo essermi staccato dal mondo delle due ruote mi ha fatto effetto andare a Milano all'ultima tappa del Giro, ritrovare vecchi compagni e rituffarmi nel mondo che ho sempre amato. Quella domenica ho salutato parecchi amici, passando dal bus della Lampre ho chiesto al massaggiatore di Scarponi di salutarmi Michele perché non volevo distrarlo e disturbarlo prima della cronometro. Alla sera ho ricevuto una sua telefonata che mi ha fatto enormemente piacere. Michele mi ha detto davvero delle belle parole, facendomi capire che, anche se sono stato lontano parecchio, in gruppo qualcuno si ricorda di me, mi vuole bene e mi aspetta. Sì, al di là di come andrà ora ho proprio voglia di ripartire. Se vincerò o perderò le gare poco importa perché il traguardo più importante della mia vita l'ho già raggiunto».

Giulia De Maio per tuttobiciweb.it
 
Rispondi
#8
Mattia Gavazzi tornerà a correre con l'Androni dal 1° gennaio 2013
Con la maglia della Androni Giocattoli, Mattia Gavazzi aveva corso e vinto in Argentina, Malesia, Venezuela e Italia. Con la stessa maglia ritornerà a gareggiare dal 1 gennaio 2013. Il velocista bresciano ha infatti firmato un contratto biennale (2013-14) con il Team Manager Gianni Savio che così si è espresso: «Con entusiasmo intendiamo rilanciare un atleta che si è trovato in una difficile situazione personale ed è riuscito a superarla con grande determinazione, ponendosi come obiettivo proprio il ritorno alle corse, al ciclismo che è sempre stato la sua grande passione».

(comunicato stampa)
 
Rispondi
#9
A San Luis il ritorno alle corse di Mattia Gavazzi
«Ringrazio Savio per quanto mi è stato vicino»

Subito prima di partire per il Tour de San Luis, i microfoni di Radio Manà Manà Sport hanno intercettato Mattia Gavazzi, che guiderà la Androni Giocattoli-Venezuela durante la corsa argentina: "Ho un po' di timore, ma è normale visto che torno a correre dopo uno stop di due anni. Io ho lavorato al meglio e ho la voglia di far bene, sono tranquillo. Mi sento un po' come se fossi all'esordio, ma ripeto, sono tranquillo: Gianni Savio non mi ha messo addosso la pressione del risultato, mi è stato molto vicino in questi ultimi giorni, mi chiamava spesso perché sapeva che c'è un aspetto psicologico da non sottovalutare. Però spero di raggiungere qualche obiettivo".

tuttobiciweb.it
 
Rispondi
#10
Mattia Gavazzi: "Sogno la vittoria nella mia Brescia al Giro"
Il bresciano è rinato dopo il trionfo in Argentina

La fucilata con la quale ha superato Sagan e Ventoso in Argentina nell’ultima tappa del Tour de San Luis, ha regalato al bresciano Mattia Gavazzi una delle più grandi soddisfazioni della sua carriera. Da sempre in altalena, con picchi altissimi e discese fino al baratro, il velocista dell’Androni Giocattoli Venezuela, rientrato quest’anno dalla squalifica di 3 anni per cocaina, ha iniziato alla grande la stagione del ritorno. L’ultima vittoria per il velocista di Provaglio d’Iseo risaliva al 2 aprile 2012 nella tappa Dalmine-Dalmine della Settimana Lombarda. “Non mi aspettavo subito una vittoria. Però sognare non costa nulla e in cuor mio ci credevo e sognavo di rientrare in questo modo. Sapevo che in Argentina trovavo avversari come Cavendish, Sagan, Petacchi e tanti altri e io vengo da tre anni senza gareggiare; mi sono preparato bene e i test me lo avevano confermato. Si trattava di riprendere confidenza col gruppo e con la strada: tanto è vero che prime due volate non sono andate come mi aspettavo, però non mi sono abbattuto e l’ultimo giorno è arrivata la bella vittoria al termine di una tappa impegnativa”. Ti sei sentito una sorta di “pesce fuor d’acqua” quando sei tornato in gruppo, quando hai fatto la prima volata? “La sera della prima tappa ne ho parlato proprio con Gianni Savio e gli ho detto che fondamentalmente non era cambiato niente: qualche cambiamento nei corridori indubbiamente c’è stato in tre anni, ma il gruppo, le persone sono sempre quelle. Tanta gente mi è venuta a salutare, a darmi il bentornato in gruppo, da Petacchi a Nibali, a grandi campioni, e questo mi ha fatto molto piacere e mi ha fatto sentire subito a casa. L’unica cosa che ho sofferto e ho un po’ faticato è stato ritrovare il colpo d’occhio in volata, tenere le posizioni nel finale: ed è stato questo che mi ha fregato nelle prime due volate, anche perché le gambe c’erano altrimenti nell’ultimo giorno non avrei potuto fare la volata che ho fatto. Se torno indietro con la memoria credo che sia stato davvero uno delle mie volate migliori, ho fatto più di 400 metri di volate e circa 250 al vento, credo che sia fisicamente un gesto non da poco”. Rotto il ghiaccio hai cerchiato in rosso qualche prossimo appuntamento? “Potrei dire la Milano-Sanremo che si correrà tra meno di un mese, ma secondo me per il lavoro che ho fatto questo inverno e per le conseguenze del tanto tempo senza corse, non è un traguardo proponibile per me quest’anno. Diciamo che mi servirà per prendere le misure per gli anni futuri. Così su due piedi invece posso dire che ci tengo in maniera particolare all’ultima tappa del Giro d’Italia, si arriva a Brescia la mia città e se tutto va bene sarà la mia prima apparizione nella corsa rosa. Per farlo bisognerà per forza arrivare a fine Giro, superare tutte le grandi salite, ma è chiaro che lavorerò in quella direzione perché sarebbe davvero un bel colpaccio per me”. Adesso in gruppo si può dire che c’è un altro Mattia Gavazzi? “Un altro non direi. Diciamo che è sempre lo stesso ma più consapevole di tante cose, il percorso che ho fatto mi ha portato a fare molte esperienze e ho avuto la fortuna di trovare comunque persone importanti e professionali, che mi hanno seguito e aiutato. La somma di queste esperienze mi ha portato ad essere un po’ migliore”. Da quello che ci hai fatto intuire la Sanremo è sempre nei tuoi sogni. Mettiamola così: papà Pierino una l’ha vinta, a Mattia non sta bene l’1-0 e vuole fare l’1-1 il più presto possibile? “Sanremo per un corridore delle mie qualità e caratteristiche è sempre il sogno, il massimo in carriera, una vittoria che ti cambia la vita. Poi è chiaro che il fatto che papà l’abbia vinta rende la cosa ancora più stuzzicante. Con lui in questi giorni ho fatto in bicicletta la Cipressa e il Poggio, l’ho portato sulle strade della Classicissima e per lui sarà tornare indietro di quasi 35 anni. Un’emozione per lui e ancora di più per me”.

Valerio Zeccato per tuttobiciweb.it
 
Rispondi
#11
Mattia Gavazzi: la cocaina, la bicicletta, la mia storia
Il bresciano parla ai ragazzi di San Patrignano

Un lungo pomeriggio cominciato alle 15:00 e conclusosi poco dopo le 21:00 con una cordiale cena nel grande salone della comunità. Mattia Gavazzi, 30 anni, ciclista professionista e velocista di punta del team Androni Giocattoli-Venezuela diretto da Gianni Savio ha incontrato ieri 120 ragazzi e ragazze ospiti della comunità di San Patrignano presso la struttura di San Vito di Pergine Valsugana (Tn). L'evento promosso da Aroldo Linari, operatore della comunità, con la preziosa collaborazione di Gianni Savio e Giovanni Ellena si è trasformato fin dai primi minuti in un dialogo schietto e sincero all'insegna dell'amicizia.

In apertura Mattia, accompagnato da alcuni ragazzi del laboratorio costruzione telai, ha visitato tutte le realtà educativo-lavorative presenti all'interno della comunità. Con lui anche Franco Demozzi, assessore con delega allo sport del Comune di Pergine Valsugana. Prima la falegnameria con 20 ragazzi impiegati nella realizzazione di mobili e oggettistica d'arredo per la casa d'alta qualità secondo le linee guida del progetto Barrique "la terza vita del legno", un originale programma di recupero della materia prima dalle grandi botti di vino dismesse poi una dimostrazione cinofila grazie ai ragazzi del gruppo "Cani da vita", realtà che da anni collabora con numerose università italiane ed enti socio sanitari per fornire servizi terapeutici dedicati in particolare ai ragazzi disabili.

A seguire la serra, l'officina dei fabbri e a conclusione della visita guidata il laboratorio di costruzione telai che dal 1992 é uno dei punti di riferimento in Italia per la realizzazione artigianale di telai strada e mtb che vengono distribuiti su tutto il territorio nazionale ed estero. Grazie alla disponibilità dei ragazzi Mattia ha così potuto approfondire tutte le fasi di costruzione e realizzazione di un telaio in carbonio d'alta gamma cogliendo nuovi ed interessanti spunti a livello tecnico per la stagione 2014.

Alle 18 nel teatro della comunità si è aperto il dibattito dove Mattia ha raccontato la sua storia di uomo, prima ancora che di ciclista, in compagnia di tutti i ragazzi e le ragazze della comunità impiegati nel percorso di recupero.
«Io non sono nessuno e di sicuro non sono qui per dirvi qual è la strada giusta per superare il problema della dipendenza dalla droga che ha condizionato più volte la mia vita e la mia carriera d'atleta - ha dichiarato Mattia - Oggi continuo il mio percorso anche se non più all'interno di una comunità. Ho cominciato con la cocaina, a 17 anni anni, era luglio e tutti i ragazzi del mio paese erano in vacanza. Io non potevo permettermelo perché correvo. Una sera un amico più grande di me ha tirato fuori un sacchetto mettendo la polvere sullo specchietto dello scooter chiedendomi se volevo provare e lì è cominciato tutto. Per me, allora, era un gioco perché tanti altri ragazzi lo facevano, ma poi c'è poco da scherzare: diventa un'abitudine, ci finisci dentro, ma poi presto o tardi devi fare i conti con te stesso».

«La bicicletta é stata la mia fortuna, ma allo stesso tempo una sfortuna. Andavo alle corse ed ero il Mattia Gavazzi che vinceva. Poi tornavo a casa, avevo dei soldi in tasca e finivo sempre dentro il solito problema che dimenticavo in fretta perché l'occasione di ripartire per un'altra gara mi faceva mettere da parte tutto quando invece niente era risolto. Dopo otto anni vissuti al limite, dopo tre positività all'antidoping e una pesante richiesta di squalifica che non mi avrebbe più permesso di tornare in sella mi è stata data l'opportunità di conoscere Giovanni Mazzi, uno dei coordinatori della comunità Exodus e così sono entrato in comunità, ma non è stato facile. Ho lottato con me stesso e un giorno sono addirittura scappato in bicicletta».

«Nella comunità di Cavriana durante la festa per il Capodanno, mi è capitato di rincorrere un ragazzo che voleva scappare. Lì ho cercato di farlo ragionare e per la prima volta nella mia vita ho capito il valore dell'aiutare gli altri, ma allo stesso tempo mi sono reso conto che finivo per aiutare me stesso. La comunità mette l'individuo di fronte a delle prove notevoli ed è questo il luogo giusto per ritrovare la pace ed iniziare a lavorare su sé stessi. Io ero abituato ad avere tutto e subito: telefono, computer, internet. Quando mi dicevano di aspettare per fare una telefonata al sabato per mettermi alla prova le prime volte era difficilissimo poi ho imparato a rapportami con me stesso, i limiti ed il carattere: é un allenamento, un passo dopo l'altro per uscire dal tunnel».

«Oggi sono più di due anni che ne sono uscito. Gianni Savio, manager dell'Androni Giocattoli-Venezuela mi ha regalato una nuova opportunità e sono tornato a vincere. Certo il pericolo è sempre dietro l'angolo, ma fare un certo percorso aiuta le persone a ragionare e a capire cosa vale la pena fare. Apprezzo ogni singola persona che decide di entrare e di rimanere in comunità perché vuol dire combattere per riprendere in mano la vita. La motivazione é l'elemento fondamentale per conquistare qualsiasi cosa».

tuttobiciweb.it
 
Rispondi
#12
Androni e Gavazzi si separano
Scelta consensuale per motivi tecnici e personali

La notizia era nell'aria da qualche settimana, ma ora è diventata ufficiale. Il Team Androni Venezuela e Mattia Gavazzi hanno deciso in maniera consensuale di separare le proprie strade. Alla base della decisione, fanno sapere il team manager Gianni Savio ed il corridore bresciano, ci sono motivi tecnici e personali.

tuttobiciweb.it
 
Rispondi
#13
Gavazzi: «Potrei finire la carriera in Cina»

[...] Poi una riflessione sulla Cina: «Io qui mio trovo alla grande, è importante vedere come questa realtà stia crescendo. Ci sono percorsi adatti ai velocisti e noi italiani quest'anno abbiamo fatto la differenza. Ieri sera parlavo con i dirigenti di una squadra cinese che mi chiedevano del mio futuro: io correò ancora con Amore&Vita Smp ma non mi dispiacerebbe finire la carriera in Cina aiutando i giovani corridori che hanno bisogna di esperienza. Le squadre sono ben organizzate, le gare sono importanti, hanno davvero bisogno di far compiere un salto di qualità ai loro corridori che di doti, comunque, ne hanno».

http://www.tuttobiciweb.it/index.php?pag...&cod=84973
 
Rispondi
#14
Mattia Gavazzi: «Chiedo scusa a tutti. Io drogato di bici»
Il velocista bresciano apre il proprio cuore senza esitazioni

L’11 settembre 2000 è anche la data dell’inizio della fine per Mattia Gavazzi, uno dei velocisti più talentuosi del ciclismo italiano, figlio di quel Pierino che in carriera seppe vincere una Sanremo e ben tre titoli italiani. Uno puledro di razza, che è sempre andato veloce, troppo veloce. «Forse mi serviva più calma e pazienza», dice oggi Mattia, che per la quarta volta è stato trovato positivo alla cocaina.

L’11 settembre di Mattia ha la stessa forza del crollo delle Torri Gemelle. «Quel giorno vengo scoperto, buttato in pasto all’opinione pubblica, i miei genitori, la mia famiglia, i miei amici vengono a sapere della mia dipendenza – racconta Mattia -. La prima volta che sniffo è per scherzo, perché così fan tutti e tutti pensano che come si comincia si può smettere. Ho sedici anni e sono con gli amici sbagliati a Provezze d’Iseo, il mio paese. Vuoi fare il figo, hai voglia di far vedere che non temi niente e nessuno, ti senti forte e invulnerabile e invece sei solo un povero pirla che non capisce che si sta ficcando in un vicolo cieco, dal quale è difficilissimo tirarsi fuori».

Mattia Gavazzi mi chiama dopo la sua quarta positività alla cocaina. Ha voglia di parlare, sfogarsi, piangere «per la mia stupidità», dice. Il primo test positivo è del 2000, da juniores. Poi ci sono quelli del 2004, 2010 e l’ultima positività resa nota il 12 aprile scorso dall’Uci. Una positività che risale allo scorso mese di luglio, esattamente il giorno 10, quando il bresciano della Amore&Vita risulta positivo ad un controllo effettuato nel coso del Qinghai Lake Tour, corsa cinese di categoria 2.HC nella quale Mattia vince quattro tappe.

Mattia, cosa è successo?
«È successo quello che speravo non dovesse più succedere e invece ci sono ricascato perché sono debole e quando mi trovo con il sedere per terra invece di reagire da uomo reagisco da mammoletta, sempre quello. Sempre sbagliato».

Cosa ti ha portato a dover fare i conti con quella porcheria?
«La fine di un amore, di una storia che per me era importante, con una donna sposata che mi faceva impazzire, e così poco prima di partire per una corsa in Cina nel mese di luglio, mi sono rinchiuso da solo in un albergo di Legnano e ho ripreso a fare quello che da 3 anni e 8 mesi non facevo più, perché ne ero realmente uscito. Mi sono procurato la roba - cosa per altro facilissima - e mi sono fatto del male, come sono solito fare quando voglio autodistruggermi. Cosa posso dire? Sono avvilito. Sono incazzato con me stesso. Non ho scusanti e nemmeno attenuanti, e quello che più mi addolora è l'aver provocato ancora una volta dolore ai miei genitori, a mio fratello, a quanti mi vogliono bene».

Tu eri stato anche in comunità.
«Si, all’Inexodus di Sonico, in Val Camonica. Aveva ragione Fortunato Pogna, il responsabile del centro, che mi ha sempre detto e ripetuto che io avrei dovuto prima pensare a me stesso, al mio recupero e poi al ciclismo. Ma per me – se me lo concedete – il ciclismo era ed è una droga. È l’unica cosa che so fare e mi rende felice. Ora l’idea di non poter mai più mettermi un numero sulla schiena mi crea angoscia e dolore. Al solo pensiero mi viene da piangere e sento solo un senso profondo di fine. Sarà dura metabolizzare questa ennessima mazzata. Anche se oggi ho Lucia e con lei sarà tutto più semplice».

Chi è Lucia?
«La mia nuova fidanzata, una ragazza eccezionale che ho conosciuto un mese fa. È tosta, intelligente, scrupolosa e attenta: tra poco si laureerà in medicina, ma ora ha a che fare con un bel paziente…».

Dai non dire così…
«Fammi almeno fare un po’ lo spiritoso, anche se questa storia non fa ridere nessuno».

Torniamo a Pogna.
«Lui mi ha sempre capito, sapeva del mio amore per il ciclismo, ma alla fine ha avuto ragione lui: per guarire da certe dipendenze bisogna fare le cose seriamente. Penso a Marco (Pantani, ndr): anche lui pensava che tornando in bici avrebbe risolto tutti i suoi problemi, ma non è così. Tutti volevano solo e soltanto rimetterlo in bici. È stato un errore. Con certe cose non si scherza. Io ero come lui: malato di bicicletta. E non mi rendevo conto di essere più semplicemente malato».

Cosa ti tormenta di più?
«Non poter più correre in bici. E poi l’aver tradito persone per bene come Ivano e Cristian Fanini dell’Amore & Vita, che mi hanno dato tutta la loro disponibilità, il loro affetto e il loro calore. Ho tradito anche la famiglia Schiavon, titolari di una fabbrica come le selle Smp, che mi sono stati parecchio vicino. Ho nuovamente deluso mamma Marilena, papà Pierino e mio fratello Nicola. Devo solo chiedere loro scusa, sperando che possano nuovamente capirmi e perdonarmi».

Mattia, ma ora con la cocaina come siamo messi?
«Da novembre sono tornato ad essere bravo, non ne faccio più uso, ma ormai la frittata l’ho fatta: basta ciclismo, basta numeri sulla schiena, basta volate».

E che volate…
«Me la sono sempre cavata. Da professionista ho vinto 44 corse».

Quella che ricordi con maggior piacere.
«Mi ricordo anche la data, come se fosse quella di un nuovo inizio: 28 gennaio 2013. Sono in Argentina, ultima tappa del Tour San Luis, vinco allo sprint battendo nientemeno che Sagan e Ventoso. Alle mie spalle anche Petacchi e Cavendish. Tornavo alle corse dopo l’ennesima squalifica, pensavo di essere tornato e definitivamente uscito dalla melma, invece eccomi qui».

Cosa pensi del mondo del ciclismo?
«Io non posso permettermi di pensare niente, perché ne ho combinate troppe. Non posso accusare nessuno, non posso assolutamente lamentarmi per il fatto di essere guardato come un oggetto estraneo, perché lo sono per davvero. Mi sento però di ringraziare un mio vecchio team manager, che si è dimostrato non solo una persona per bene ma un vero amico: Gianni Savio. Con lui ho corso, ci ho litigato e ci ho fatto pace, ma anche l’altro giorno è stato tra i pochi ad inviarmi un messaggio bellissimo, da amico vero. Leggendolo sono scoppiato a piangere: mi sono sentito ancora di più inadeguato e incapace di vivere una vita normale. Ho capito di quanta gente c’è che mi vuole ancora bene e di quanto poco bene voglio io a me stesso».

Tolti i tuoi compagni di squadra, chi si è fatto sentire?
«Solo Daniele Colli, un ragazzo dalla sensibilità unica. Un grande uomo».

E ora?
«Ora sarà dura, c’è da pedalare ma non so nemmeno dove ho messo la bicicletta, nel senso che non so cosa fare e dove andare. Mi sento letteralmente perso e naufrago di me stesso. Ora dovrò davvero capire cosa fare da grande. Forse per diventare grande devo cominciare a pensare in piccolo. Devo ridimensionare i miei sogni e le mie ambizoni. Anzi, forse devo smettere di sognare. Devo imparare ad affrontare la realtà. Devo guardare di più mio fratello e quelli come lui: è geometra e gestisce dei cantieri edili. Lì c’è gente che si fa un mazzo così tutti i giorni, che fatica e alla sera ha solo la forza di mangiare e andare a letto per alzarsi presto la mattina seguente. Devo avere la forza di scendere di bicicletta, e cominciare a camminare più lentamente, magari guardandomi dentro al cuore».

di Pier Augusto Stagi per tuttobiciweb.it
 
Rispondi
  


Vai al forum:


Utente(i) che stanno guardando questa discussione: 1 Ospite(i)