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EPO e Emotrasfusione
#3
IL PUNTO - Autoemotrasfusione: attenzione alle follie!
Sabato 19 febbraio 2011 - Nell’intento di capire sempre di più il fenomeno doping, premessa secondo noi importante per debellarlo definitivamente, chiediamo al dottor Roberto Corsetti, Presidente dell’A.I.Me.C., se è oggi possibile praticare l’autoemotrasfusione tranquillamente a casa propria?
Teoricamente si. E’ necessario, ovviamente, conoscere bene ogni fase della pratica, dal prelievo alla reinfusione, e rispettare le regole fondamentali della conservazione del sangue. Nella realtà, è bene sottolinearlo, il percorso è pieno di insidie e di rischi molto gravi per la salute dell’individuo. E quindi assolutamente da evitare. Peraltro trattasi di un metodo proibito dalle attuali normative sportive e perseguibile, in Italia ed in altri paesi, anche sotto il profilo giuridico in quanto considerato reato (legge 376/2000).

- Quando si è iniziato a parlare di autoemotrasfusione nello sport?
Agli inizi degli anni 80. Dopo i Giochi Olimpici del 1980 a Mosca si ventilò l’ipotesi che un mezzofondista finlandese potesse aver fatto ricorso a questa metodica. Ma forse già prima, diversi anni prima, altri sportivi nordici del mezzofondo e del fondo potrebbero averla usata. Certo il 1984 è una stagione storica per l’autoemotrasfusione. Recentemente un giornalista famoso ha scritto su TuttoBICI un articolo-intervista, poi visibile anche su Tuttobiciweb.it, nel quale, riferendosi al record dell’ora di Francesco Moser del gennaio 1984, cita testualmente: “La manipolazione del sangue, con l’avvento dell’epo di varie generazioni, ha rappresentato una vera piaga non solo per l’antico sport delle due ruote ma per tutte le discipline, ma questa “deviazione” nulla toglie ai metodi innovativi introdotti dall’Equipe Enervit”. Qualche riga più sotto continua “in ogni caso quella duplice impresa resta impressa nella storia del ciclismo, anche se a distanza di anni il campione “acqua e sapone” come l’aveva definito Candido Cannavò sulla Gazzetta dello Sport del 24 gennaio ’84 ammise di aver fatto ricorso all’autoemotrasfusione. Si disse allora che i continui rinvii del record non fossero dovuti ad avverse condizioni metereologiche ma al mancato arrivo del sangue dall’Italia (giunto in Messico da Houston con una valigia diplomatica perché un funzionario dell’ambasciata italiana in Messico era andato a recuperare il prezioso carico negli Stati Uniti Stati Uniti dove era giunto senza problemi). Ed infine “Il professor Giovanni Tredici, che ha seguito giorno dopo giorno Moser nella sua straordinaria avventura ha detto: «Sotto l’aspetto psicologico l’autoemotrasfusione ha avuto un ottimo impatto sul corridore. Analizzando la curva di crescita del suo rendimento, non ho riscontrato particolari significativi dopo che l’ha praticata. Credo quindi che avrebbe migliorato i record dell’ora anche senza farvi ricorso».

Dopo le Olimpiadi di Los Angeles dell’agosto 1984 l’autoemotrasfusione fu, di fatto, vietata dal CIO. Solo a partire da quel momento tale pratica è entrata nel libro nero della leggenda del doping nello sport. Successivamente soppiantata da metodi dopanti più efficaci (EPO, NESP, CERA), questa tecnica è tornata in auge nei primi anni del 2000, dal momento che, al contrario delle varie eritropoietine, non esiste ad oggi un metodo antidoping convalidato in grado di smascherarla.

- In cosa consiste l’autoemotrasfusione?
Si tratta di una trasfusione di sangue (o di parti del sangue, ad esempio globuli rossi concentrati), ottenuta attraverso un predeposito, in cui il donatore e il ricevente sono la stessa persona. Alla base, necessariamente, deve esserci un deposito ottenuto attraverso il prelievo di sangue intero estratto da una vena e raccolto in una sacca di plastica.
L’autoemotrasfusione viene anche definita trasfusione autologa. Si definisce invece omologa la trasfusione di sangue e/o dei suoi componenti, ottenuti sempre attraverso un predeposito, in cui il donatore e il ricevente non siano la stessa persona ma chiaramente risultino emocompatibili. Quest’ultima metodica, al contrario della prima, è smascherata facilmente dai controlli antidoping e la triste storia del doping annovera, proprio negli ultimi anni, qualche caso illustre di atleta risultato positivo a causa di una trasfusione omologa ossia effettuata utilizzando sangue emocompatibile di altro individuo.

- Perché l’autoemotrasfusione è stata utilizzata e, purtroppo, sembra essere ancora utilizzata nello sport?
I presupposti fisiologici e metabolici di tutte le discipline aerobiche rendono evidente che un maggiore quantitativo di globuli rossi, e quindi di emoglobina, si traduce in un notevole aumento del trasporto di ossigeno ai muscoli in attività e quindi in una performance notevolmente migliore.
Tale vantaggio è stato quantificato nel 5/8/10%, anche se, trattandosi di pratica illecita, non esistono studi clinici in grado di quantificare con certezza le differenze di prestazione derivanti dall'autoemotrasfusione. E’ chiaro che anche se si trattasse solo del 5% in atleti di elite tale percentuale definirebbe un incremento delle performances molto importante.

- I principali rischi?
Sono soprattutto quelli legati alla alta probabilità della contaminazione del sangue attraverso virus e batteri e, non meno importanti, quelli derivati dalla non perfetta conservazione del campione prelevato. La possibilità di una contaminazione del campione di sangue e/o di un cattivo stato di conservazione determina rischi, cosiddetti maggiori, per i quali è facile arrivare a rischiare la vita. Sono, poi, presenti altri rischi, anche essi non trascurabili, legati al fatto che l'introduzione di una grossa quantità di sangue nell’organismo può portare a scompensi notevoli. La pressione sanguigna può risultare notevolmente aumentata in relazione all’aumento della viscosità del sangue. L’aumentata viscosità e la conseguente maggiore aggregazione del sangue possono essere alla base dell’innesco di fenomeni assai gravi: formazione di coaguli di sangue, e quindi, possibili embolie, ictus, infarti e tra questi ultimi, in particolare quelli a carico dell’intestino. In ultimo non vanno dimenticati i possibili effetti lesivi sugli organi interni (fegato, pancreas, reni) correlati al notevole apporto di ferro che può portare a gravi malfunzionamenti.

- E’ dunque una pratica assai pericolosa e da evitare?
Voglio augurarmi che alla decisione di non ricorrere alla autoemotrasfusione contribuiscano in primis motivi di ordine morale ed etico. Si tratta infatti, come già detto, di una pratica vietata dalle attuali normative antidoping a partire dal 1984. Mi piace pensare che l’etica e la morale possano essere sufficienti ad impedire il ricorso ad una pratica proibita. Qualora così non fosse è bene aggiungere che con la pratica della autoemotrasfusione si infrange anche la legge dello Stato Italiano sul doping (376/2000) e si rischia la galera. Se anche questo non dovesse essere sufficiente vale allora la pena sottolineare che essa è una pratica delicata anche in ambiente ospedaliero specialistico e che diventa, pertanto, spaventosamente rischiosa se eseguita tra le mura domestiche. Rischiosa a tal punto da poter provocare la morte.

- Scendendo un pochino più nel dettaglio, come si effettua un’autoemotrasfusione?
Un'atleta che decide di sottoporsi ad autoemotrasfusione si vedrà prelevare (o si preleverà) una quantità di sangue solitamente non inferiore a 500 ml. Tutto ciò circa 30-40 giorni prima del momento in cui si intende raggiungere il massimo delle prestazioni agonistiche.
Durante i 20-25 giorni successivi l’organismo dell'atleta tenderà naturalmente a rimpiazzare il sangue prelevato ritornando, pertanto, in condizioni di normale efficienza. Va evidenziato come, nel periodo immediatamente successivo al prelievo di sangue, l'individuo si troverà di fronte ad un evidente calo delle prestazioni. Trascorsi 20-25 giorni dal prelievo un soggetto giovane e in piena salute ha solitamente già ricostituito la quota di sangue prelevata e, pertanto, è facile immaginare quali possano essere i vantaggi sulla performance nel momento in cui, uno o due giorni prima del grande evento agonistico, egli decida di reinocularsi il sangue precedentemente prelevato. Si registra, infatti, un immediato aumento della massa eritrocitaria e un conseguente incremento del 10% circa dell'emoglobina, con punte del 15%. L’incremento delle capacità fisiologiche e metaboliche è evidente e non si capisce davvero come qualcuno possa pensare ed affermare, come è successo, che “dopo una autoemotrasfusione nell’analisi della la curva di crescita del rendimento di un ciclista non siano stati riscontrati particolari significativi”.

- Ma l’autoemotrasfusione è una pratica medica utilizzata solamente allo scopo di aumentare le performances degli atleti impegnati in discipline aerobiche di resistenza?
No, nella maniera più assoluta. Tale tecnica è di normale utilizzo negli ospedali per pazienti che devono essere sottoposti ad interventi chirurgici di una certa importanza per i quali, quindi, si possa prevedere una perdita considerevole di sangue e di globuli rossi. In tali casi, se il paziente prima dell’intervento sta bene, si preferisce fargli fare una donazione di circa 450 ml di sangue una sola volta, o anche due volte, nei 30-40 giorni che precedono l’intervento. Il vantaggio è quello di reiniettare in caso di necessità durante l’intervento lo stesso sangue del soggetto sottoposto alla operazione chirurgica piuttosto che quello di un donatore emocompatibile. Si riducono così sensibilmente i rischi degli effetti collaterali avversi di una trasfusione omologa e non autologa.

- Torniamo al nostro possibile tentativo di autoemotrasfusione fai da te. Il prelievo e la reinfusione di sangue possono teoricamente essere effettuati nella propria abitazione?
Certo è possibile. Comunque accettando gli incommensurabili rischi del fai da te relativi ad una metodica che anche in Ospedale richiede la massima attenzione e l’osservanza di procedure standardizzate e scrupolose. Chiaramente sono necessari dei presidi. In particolare non si può fare a meno della sacca in PVC nella quale il sangue va conservato. Non dimentichiamo che il sangue può essere conservato solo in sacche dedicate e che tale presidio è un prodotto ad uso esclusivamente ospedaliero. Se presente in una normale abitazione qualcosa di illecito, di molto grave e pericoloso necessariamente deve essere già successo. In particolare, o la sacca deve essere stata rubata in un ospedale provvisto di centro trasfusionale o acquistata in modo illegale tramite internet. Il rischio delle due vie descritte, le uniche che potrebbero consentire ad un cittadino italiano di poter disporre in casa propria di una sacca per conservare il sangue, è dunque elevatissimo. Si tratta in entrambi i casi di reati perseguibili penalmente con pene assai dure. Per fortuna, in tal senso, in Italia sono attive diverse procure della repubblica mediante intercettazioni ambientali e telefoniche. Pertanto non è facile capire come possa finire una sacca per la conservazione del sangue in una abitazione privata. Peraltro una sacca rubata in un ospedale o acquistata tramite internet potrebbe non trovarsi in condizioni ideali di conservazione in quanto il contenuto (un particolare liquido anticoagulante) potrebbe essersi deteriorato (è in tal senso sufficiente che la sacca resti per più di un ora a temperature superiori ai 30-35 gradi) o potrebbero essere state compromesse le condizioni di sterilità.

- Altri rischi legati al prelievo?
La contaminazione virale o batterica del sangue e/o della sacca. Nei centri trasfusionali il tubicino che fuoriesce della sacca, una volta finita la fase di prelievo, viene termosaldato in modo sterile con un apposito strumento mentre nel fai da te, probabilmente, potrà essere solo annodato su se stesso. Il che aumenta spaventosamente i rischi della contaminazione. Inoltre negli ospedali le trasfusioni di sangue vengono sempre effettuate in ambienti protetti. Il personale infermieristico è dotato di guanti monouso e di mascherina e la regione della pelle nella quale viene introdotto l’ago subisce un trattamento preventivo particolare. Il solo contatto con l’aria è pericolosissimo per il sangue che deve essere poi conservato. Lo stesso dicasi per la fase della reinfusione. Chi ha fatto donazioni o ha subito, dopo un intervento chirurgico, una trasfusione di sangue sa bene quanto siano delicate le rispettive procedure in ambiente ospedaliero.

- Una volta effettuata il prelievo di sangue dove e come deve essere conservato il sangue?
Il sangue intero e/o i concentrati di globuli rossi vanno conservati in appositi frigoriferi a una temperatura fra i + 2°C e i + 6°C, per un massimo di 35/40 giorni a seconda della soluzione additiva anticoagulante presente nella sacca. I modelli di frigoriferi usati nei centri trasfusionali possono conservare da 30 a 1.400 sacche e garantiscono, grazie al sistema elettronico proprietario installato, il mantenimento della temperature interna a + 4°C, come richiesto dalle vigenti normative internazionali. Se si pensa alla tecnica fai da te ugualmente il sangue prelevato dovrà essere conservato costantemente a temperature comprese tra + 2° e + 6°: Il rischio, spaventosamente alto, è che, usando il frigorifero di casa, nessuno può garantire che la temperatura sia rimasta costante sebbene ipoteticamente si potrebbe ricorrere a termostati di controllo con una memoria delle temperature di esercizio rilevate (termoregistratori) o frigoriferi provvisti di generatore. Anche questi, però, sono strumenti che difficilmente possono far parte della dotazione di una comune abitazione privata.

- Altri possibili rischi?
Sempre relativamente alla conservazione della sacca anche una temperatura troppo bassa può creare problemi. Un congelamento eccessivo rompe infatti la membrana del globulo rosso ed il contenuto dei globuli rossi, liberato nel sangue, diventa tossico. Facile, in tal caso, il rischio di blocco renale e di insufficienza renale acuta. Spesso, in questi casi, si tratta di soggetti che non recuperano mai perfettamente la funzionalità renale e che nei primi giorni successivi al blocco renale devono essere sottoposti ad emodialisi. Il rischio di compromissioni associate della funzionalità cardiovascolare è elevato e anche il rischio di perdere la vita in acuto è altissimo. Lo stesso terribile rischio contemplato in situazioni in cui venga reinfuso sangue di altro individuo non compatibile o sangue contaminato da virus o batteri.

Terrificante. Ma una cosa ancora ci sfugge? In Spagna negli ambiti della tristemente famosa Operacion Puerto si è sentito parlare di una moltitudine di sacche conservate a temperature molto basse intorno ai - 60°. Non capiamo.
Si tratta di un ambito completamente diverso legato alle possibilità di conservazione del sangue e dei suoi derivati. Quello di cui abbiamo parlato sinora è riferito ad una conservazione di sangue intero o di concentrati di globuli rossi valida solo ed esclusivamente per un lasso di tempo di 35-40 giorni. Qualora si renda necessario una conservazione più duratura (diversi mesi – qualche anno) è necessario congelare il sangue. In tal caso però bisogna usare alcuni accorgimenti. Abbiamo infatti detto prima che il congelamento (temperature sotto lo zero) rompe la membrana dei globuli rossi e provoca la fuoriuscita del contenuto che è tossico e letale. Per ovviare al problema della rottura della membrana il concentrato di globuli rossi viene trattato, prima di essere congelato, con una soluzione di glicerolo. Il glicerolo protegge la membrana del globulo rosso e consente il congelamento dei concentrati che solitamente avviene in particolari congelatori molto costosi (centinaia di migliaia di Euro) che creano temperature costanti intorno ai – 60 °/ - 80°. Una volta scongelato, il concentrato di globuli rossi non può essere reiniettato in quanto il glicerolo è tossico. Si rende necessario, dunque, un lavaggio che richiede l’impiego di altri presidi dedicati assai costosi. Stupisce chiaramente che quella organizzazione spagnola, del tutto privata, fosse in possesso di simili strumenti che, spesso, non fanno parte neanche della dotazione della maggior parte dei centri trasfusionali. Stupisce certo, ma rende ragione degli enormi interessi economici legati a quella organizzazione. Cosa che ancora una volta porta a chiedersi: è possibile che fosse stata messa in piedi una simile e assai dispendiosa organizzazione se poi erano coinvolti solo pochi ciclisti? Diverso il caso di una clinica austriaca di cui si è sentito parlare negli ultimi anni. Trattandosi di una clinica l’organizzazione e la disponibilità di strumenti costosi e all’avanguardia è, sia pur di poco, meno eclatante.

- Quale è il vantaggio di poter conservare il sangue per tanto tempo?
Sicuramente quello che gli atleti potevano fare il/i prelievo/i nella stagione invernale nella quale non erano presenti impegni agonistici e reiniettarlo nella stagione delle corse. Va ricordato, però, che il concentrato di globuli rossi una volta scongelato e lavato dal glicerolo deve necessariamente essere utilizzato entro le 24-36 ore. Immaginate quindi gli enormi rischi legati al trasporto ad esempio da Madrid a Parigi o da Madrid a Venezia. Chi garantisce che la conservazione in quel lasso di tempo possa essere ottimale? Chi garantisce che la sacca che arriva a destinazione sia in buone condizioni? E chi garantisce che contenga sicuramente il sangue di colui che deve riceverla?

- Ora torniamo alla autoemotrasfusione fai da te, “casareccia”. Come giudica chi dovesse decidere di sottoporsi ad una simile pratica?
Un folle. Un folle con tre sole possibilità. La disintossicazione mentale in una comunità, il ricovero in un ambiente psichiatrico, la galera.

Massimo Bolognini - ciclonews.it
 
  


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EPO e Emotrasfusione - da SarriTheBest - 18-10-2010, 01:26 PM
RE: EPO e Emotrasfusione - da SarriTheBest - 10-02-2011, 06:42 AM
RE: EPO e Emotrasfusione - da SarriTheBest - 20-02-2011, 05:16 AM

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