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«Aldo ed io», Giorgio Squinzi ricorda Aldo Sassi
L’Aldo ed io: siamo stati una bella coppia. Una coppia di visionari innamorati dei nostri ideali e dei nostri sogni. Una coppia di fatto, che si è conosciuta per gradi e si è piaciuta subito.
L’Aldo ed io ci siamo conosciuti ai tempi del record dell’ora di Francesco Moser, in Messico, alle fine del 1993: 10 anni dopo quello storico dei 51,151. Noi della Mapei eravamo stati chiamati per realizzare una speciale vernice epossidica per migliorare la striscia di scorrimento. Aldo lavorava come responsabile marketing della Enervit, ma si occupava soprattutto degli aspetti scientifici della spedizione.
L’Aldo ed io ci siamo subito trovati in sintonia. In materia di ciclismo eravamo un’unica cosa: con la stessa forza e la stessa fede. Il ciclismo come passione, come amore, come missione e soprattutto come gioia, perché il ciclismo resta per noi lo sport più bello e vero di tutti. Il più umano.
L’Aldo ed io ci siamo avvicinati nel ’94, quando la Enervit è diventata partner tecnico del Team Mapei, ma non ci è voluto molto per capire che parlavamo la stessa lingua. Ricordo anche i primi test funzionali che andai a fare a Gallarate: con me c’era anche Marco, mio figlio. Aldo mi spiegava con passione e dolcezza il significato di tutti quei grafici, quelle curve, quegli elementi che erano motivo di valutazione.
L’Aldo ed io abbiamo cominciato a collaborare nel ’96, quando decise di lasciare la Enervit e approdare finalmente nella nostra famiglia per gettare le basi del Mapei Sport: via Michele Ferrari, via Tony Rominger, via Olano e Bortolami: ad Aldo affidai la preparazione degli atleti e la direzione del Centro studi e ricerche (dal 1° gennaio ’99 fu nelle sue mani anche l’amministrazione del team). Tutti e due convinti che fosse possibile non solo un ciclismo pulito, ma anche vincente. Una vera e propria missione, contro tutto e contro tutti, anche contro l’Unione ciclistica internazionale, per quei sospetti che noi avevamo sulle pratiche ematiche che provenivano dalla Spagna. Un grido inascoltato, che ci indusse ad abbandonare uno sport che amavamo profondamente, non prima però d’aver vissuto la misteriosa positività del nostro Stefano Garzelli, al Giro 2002.
L’Aldo ed io siamo però andati avanti, con il Centro Mapei Sport di Castellanza, che è cresciuto e si è aperto addirittura ad altre discipline. Dalla maratona agli sport invernali, dal golf al calcio, prima con una collaborazione con il Chelsea, infine con la gestione del “nostro” Sassuolo calcio e non solo. Siamo andati avanti, insieme, forti delle nostre idee, sorretti dai nostri ideali, e la nostra lotta per un ciclismo migliore si sta dimostrando l’unica via di salvezza e rinascita di uno sport incantevole. Quanti campioni sotto il nostro tetto. Due su tutti: Cadel Evans, scoperto proprio da Aldo nella mountain bike e passato alla strada, e Ivan Basso, che da noi è venuto davvero come un figliuol prodigo.
L’Aldo ed io come coppia perfetta. L’ho apprezzato come scienziato, amministratore e amico. E se penso che ha trovato anche il tempo per dedicarsi alle mie “avventure sportive”, quasi mi vergogno un po’. A lui e con lui sono legati i miei ricordi più belli: sullo Stelvio e sul Mont Ventoux. A lui è legato quel video girato sul Passo San Marco (Le grandi salite) per la De Agostini. Mi pare di sentirlo ancora, con la sua voce forte e chiara, leggermente arrotata da una erre dolcissima. Mi controllava le pulsazioni, mi segnava i tempi, mi dava la velocità ascensionale... E a lui mi unisce anche il ricordo più “eroico”, forse l’ultimo in bicicletta: è questo che voglio ricordare. Mapei Day 2008, sotto la tormenta di neve. Bugno che dopo un paio di chilometri prende la via delle docce; Tafi che incontra Mariotti e fa altrettanto. Restiamo l’Aldo ed io, ad affrontare gelo e pioggia, grandine e neve. Mi dicevo: ma chi me l’ha fatto fare? Mi ripetevo: Giorgio fermati! Ma Aldo era lì, a incoraggiarmi, come se fossi il suo atleta di riferimento. E a me piace pensare che fosse davvero così.
L’Albero ed io è una delle canzoni preferite da Aldo. È una vecchia canzone di Francesco Guccini (1970), che lui adorava suonare con la sua chitarra: «Quando il mio ultimo giorno verrà dopo il mio ultimo sguardo sul mondo, non voglio pietra su questo mio corpo, perchè pesante mi sembrerà. Cercate un albero giovane e forte, quello sarà il posto mio. Voglio tornare anche dopo la morte sotto quel cielo che chiaman di Dio».
«L’Albero» di Aldo è il Centro Studi e Ricerche di Castellanza, il mio, il nostro punto di orgoglio e di eccellenza. Aldo fino all’ultimo ha pensato a questa scuola di eccellenze. A questa missione che andrà avanti, per lui e con lui. Voglio pensare e penso che Aldo stia vivendo con noi, pronto a innalzare “…le dita di rami verso quel cielo misterioso…” e io, con sua moglie Marina, i figli Chiara, Valentina e Marco, restiamo fiduciosi del suo “risveglio in un qualche mattino”.
Che brutto anno il 2010 per la grande famiglia del ciclismo, per la mia famiglia. Per Adriana, che con Aldo ha condiviso mattini e pomeriggi, fatti di riunioni e idee. Che brutto anno è stato per i nostri Marco e Veronica: in un battito d’ali hanno perso due amici fraterni: Franco e Aldo. Che brutto inverno ci è toccato passare, anche in estate. Ma sia Franco che Aldo li voglio ricordare con la gioia che hanno trasmesso nella loro breve parentesi terrena. Ci hanno lasciato molto, questi due fantastici ragazzi. Ci hanno lasciato la loro voglia di fare e noi da oggi siamo chiamati a fare molto di più, anche per loro. Sempre e comunque, tutti i santi giorni: “in estate e in inverno, contro quel cielo che dicon di Dio”.
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