Bertolini: i miei quarant'anni
Compirà 40 anni il prossimo 27 luglio, ma ha ancora la determinazione e la grinta di un esordiente. Alessandro Bertolini è uno dei punti di forza dell’Androni - Cipi e nonostante sia tra i corridori più esperti del gruppo ha ancora tanta voglia di pedalare e di mettersi al servizio della squadra. Non ha partecipato al recente Giro d’Italia, ma si candida per un ruolo da protagonista nelle più importanti classiche estive. Bertolini ha raggiunto l’apice della sua carriera vincendo la tappa di Cesena al Giro d’Italia 2008 e ha saputo conquistare affermazioni rilevanti pur dedicandosi anima e corpo ai vari capitani. Il ciclista dell’Androni Giocattoli ripercorre i suoi primi 40 anni ed illustra le sue ambizioni in prospettiva futura.
Iniziamo dal presente. Come stai e quali sono i tuoi obiettivi per la seconda parte del 2011?
«Sono davvero motivato e spero di potermi togliere ancora delle soddisfazioni. Le corse del calendario italiano si adattano alle mie caratteristiche e darò il massimo per esser sempre competitivo. Ho tanta voglia di aiutare la squadra nelle gare di Coppa Italia e mi auguro che i problemi alla cervicale non mi penalizzino troppo. Dalla brutta caduta del 2008 devo convivere con questo problema».
C’è una corsa da qui a fine stagione che ti piace più delle altre?
«Non posso permettermi di scegliere e cercherò di sfruttare al meglio ogni chance che si presenterà. Gli anni passano ed essendo alla soglia dei 40 anni non posso perdere tempo».
Cosa pensi invece della prima parte della tua stagione?
«Sono abbastanza contento anche se purtroppo ho dovuto saltare la corsa rosa. Al Giro del Trentino ho sofferto molto e in comune accordo con lo staff tecnico ho deciso di non partecipare. Non ero in grado di aiutare la squadra nelle tre settimane ed è stato meglio così. Spero di rifarmi d’ora in poi».
L’Androni Giocattoli ha comunque ottenuto grandi risultati. Qual è il segreto del team?
«La passione, la competenza e l’umanità che contraddistinguono tutte le persone che compongono la squadra. Dai tecnici Savio, Bellini ed Ellena, ai vari corridori passando naturalmente per i componenti dello staff. Siamo una famiglia e il gruppo è davvero molto affiatato. In queste condizioni è più semplice esprimersi al meglio sia per i giovani che per noi più esperti».
Gianni Savio è uno dei grandi personaggi del nostro ciclismo. Com’è il tuo rapporto con lui?
«Eccellente. Nel 1994 dovevo passare professionista con la sua squadra, ma alla fine anche grazie al consiglio di Egidio Fior sono andato alla Carrera. Con Savio ci siamo ritrovati nel 2006 e tra noi c’è stato subito feeling. È un grande intenditore di ciclismo e soprattutto capisce le esigenze degli atleti anche sotto il profilo umano. La saggezza è la sua qualità più importante ed uno dei segreti del team è il suo rapporto con Bellini. Si completano a vicenda e formano una straordinaria coppia».
Come vedi i giovani italiani dell’Androni in prospettiva futuro?
«De Marchi e Bertazzo hanno già dimostrato di avere doti rilevanti, Santoro va molto forte in salita e in futuro potrà diventare un corridore di alto livello».
Qual è il tuo rapporto con loro?
«Faccio da chioccia e loro sanno ascoltare i miei consigli. Li sprono a dare il massimo e dico loro di sfruttare bene le occasioni perché stanno vivendo gli anni più belli della loro carriera».
Cosa puoi dirci invece di Francesco Ginanni?
«Mi sembra di rivedere me quando ero giovane e faticavo a far vita da atleta. Ha grandi numeri, ma deve trovare la sua dimensione, altrimenti rischia di sprecare il suo talento. Sono legato a Francesco, assieme a Savio e Bellini sto cercando di aiutarlo: è una scommessa che vogliamo vincere».
Quali sono state le tue difficoltà in passato e come hai fatto a superarle?
«Sono passato professionista dopo una bella carriera da dilettante e intorno a me sentivo pressione e attese. Essere approdato in una squadra forte come la Carrera non mi ha aiutato e ho fatto molta più fatica del previsto. La molla è scattata quando ho capito cos’era il professionismo. Ho trovato la mia dimensione e tutto è cambiato. Il salto è enorme e ai giovani consiglio di passare in una squadra più piccola, ma che possa seguirli anche sotto l’aspetto umano».
Come valuti la tua carriera fino ad oggi?
«In modo molto positivo. Ho sempre dato il massimo, mi sono tolto soddisfazioni enormi e non ho nessun tipo di rammarico. Ho vinto quello che potevo vincere e ho dato il mio contributo in tutte le squadre nelle quali ho militato».
Dal 1994 ad oggi hai conquistato 23 successi. Qual è stato il più bello?
«Indubbiamente quello raccolto a Cesena nel Giro d’Italia del 2008. Sono entrato nella fuga giusta e nel finale ho avuto anche un po’ di fortuna quando Baliani è caduto a 500 metri dall’arrivo. Quando ho tagliato la linea del traguardo ho provato una gioia immensa e mi sono sentito davvero realizzato perché meritavo una vittoria del genere. In quel Giro ho aiutato Simoni e sono andato molto forte».
Altri momenti emozionanti?
«Il successo al Giro del Trentino 2010 con mio figlio che mi aspettava sul traguardo, il Campionato Italiano sulla pista di casa nel derny (pilotato da Fabio Perego, ndr) e la maglia della nazionale vestita al Mondiali di Stoccarda nel giorno del trionfo di Paolo Bettini».
Raccontaci un po’ le sensazioni che hai provato in quel Mondiale del 2007.
«Intanto è stata la prima ed unica maglia azzurra della mia carriera ed era già di per sé un sogno che si realizzava. Sono arrivato al giorno della corsa in gran condizione e volevo ripagare la fiducia che aveva riposto in me Ballerini. Rappresentare l’Italia è il massimo e ho dato tutto per Bettini. La sua vittoria è stata il premio più bello che potevo immaginare».
Qual è stato invece il momento più difficile della tua avventura tra i professionisti?
«Certamente la caduta al Gran Premio di Camaiore del 2008. Da quel giorno non sono più riuscito a tornare sui miei livelli, ma mi considero fortunato perché poteva andare molto peggio. Ho battuto la testa sulle transenne e ho riportato gravi problemi alle vertebre e alla cervicale. Devo convivere tutti i giorni con il dolore, ma non mollo di un centimetro perché ho ancora voglia di mettermi in gioco».
Chi sono stati i corridori più forti di questi anni?
«Miguel Indurain per umiltà, generosità ed eleganza. Gianni Bugno per la sua grande classe immensa. E Marco Pantani per la spettacolarità e la capacità di fare la differenza in salita».
Tra le squadre in cui hai militato, a quali ti senti più legato?
«Alla Alessio ho trascorso cinque anni stupendi, ma da quando sono con Gianni Savio ho veramente trovato l’ambiente ideale nel quale esprimermi».
Quali sono state le persone più importanti nella tua crescita sportiva?
«I miei familiari. Prima i miei genitori Francesco e Elisabetta poi mio fratello Fabrizio e mia moglie Debora. Ci siamo conosciuti nel 1994 e sposati nel 2003. Grazie a lei ho superato i periodi difficili e alla soglia dei 40 anni posso ancora praticare lo sport che più amo».
Come valuti il momento attuale del ciclismo?
«È lo sport più bello ed è sempre amato come una volta. Purtroppo a causa di interessi economici ci sono delle difficoltà, ma sono convinto che riusciremo a superarle. Noi ciclisti stiamo facendo tutto quello che è nelle nostre possibilità per dare credibilità a questo sport e siamo disponibili a ogni tipo di sacrificio anche in merito alla questione doping».
Cosa rappresenta il ciclismo per te?
«È una passione infinita e anche una scuola di vita. Per rimanere ad alti livelli servono sacrifici, ma se lo fai con il giusto spirito non sono un peso. Io voglio gustarmi ogni momento e sono contento di tutto quello che ho fatto nella mia carriera. L’affetto che mi viene dimostrato ad ogni corsa vale ben più di tante vittorie perché significa che ho fatto cose buone».
Cosa vuol dire essere ancora in sella all’età di 40 anni?
«È un’emozione forte e un motivo d’orgoglio. Dopo il ritiro di Noè sono diventato il veterano del gruppo, ma mi consolo perché Voigt, Horner e Cuesta, giusto per citarne alcuni, sono miei coetanei. Se sono ancora in sella è perché ho motivazioni e grinta. Non è facile competere con i giovani, ma il mio dna è quello di un lottatore e dalla mia ho una famiglia che mi supporta sempre al meglio».
Hai già deciso quando smettere?
«Sono consapevole che quel giorno si sta avvicinando, ma onestamente non ho ancora deciso la data del mio ritiro. Al momento penso soltanto a finire bene la stagione e solo fra qualche mese deciderò se andare avanti anche nel 2012».
Dopo cosa farai?
«Ho preso la licenza da direttore sportivo e spero vivamente di restare nel mondo del ciclismo. Mi piacerebbe molto lavorare con i giovani o aiutare il settore pista del Trentino. La mia vita è sempre stata legata a questo sport e spero che sia così anche in futuro. Prima di tutto però voglio chiudere in bellezza la carriera da corridore e raccogliere ancora qualche bel risultato. D’altra parte ho ancora tanti sogni da realizzare, e un grande futuro davanti a me».
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di Daniele Gigli, da tuttoBICI di Luglio