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Artisti al margine
#21
Usa postimage, dovrebbe andare meglio
 
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#22
L'arte è spesso perduta, oppure in frammenti.

Qualche giorno fa sono stato nella chiesa di San Giovanni Battista a Piacenza e ho fotografato questo frammento di decorazione a grottesca datato 1511 (in foto non si vede, ahimé). Quasi sicuramente di Cesare Cesariano (vedi puntata 2, parte 2)

[Immagine: VQgq0z.jpg]
 
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#23
Su chi volete la prossima puntata?

Su un veneziano, un murciano o un vercellese dal soprannome imbarazzante?

Nel frattempo non disperate: so che la puntata numero 2 su Cesariano ha le immagini crackate, prima o poi le sistemerò bene...
 
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#24
Stavo pensando di scrivere qualcosa sui 3 più grandi pittori caravaggeschi italiani.

Gli unici che reggono il confronto con gli spagnoli Velazquez, Zurbaran e Ribera, superandoli anche in alcuni casi.

Ovvero Tanzio da Varallo, Orazio Borgianni e Giovanni Serodine.
 
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#25
(30-12-2020, 12:22 PM)Giugurta Ha scritto: Su chi volete la prossima puntata?

Su un veneziano, un murciano o  un vercellese dal soprannome imbarazzante?

Nel frattempo non disperate: so che la puntata numero 2 su Cesariano ha le immagini crackate, prima o poi le sistemerò bene...

Vercellese Sese
 
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#26
Devo metterne in campo parecchie allora Occhiolino
Devo studiare bene.. e poi qualcosa uscirà! Garantisco
 
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#27
Riflessione sul caravaggismo

Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571-1610), nonostante fosse già il miglior artista presente in Italia tra 1593 e 1599, ebbe modo di mostrarsi agli occhi della massa, uscendo dal ristretto circolo di eruditi per cui lavorava, solo nel 1600, quando vennero scoperte le scene con la vocazione e il martirio di San Matteo nella Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (Roma): le sue prime opere pubbliche.

Da quel momento in avanti tutti gli artisti romani, di passaggio per Roma, o forestieri attivi stabilmente nell’Urbe, avrebbero guardato al lombardo come un nume tutelare, una pietra miliare di confronto, un esempio, una conditio sine qua non.

Ma in cosa consiste la rivoluzione di Caravaggio?
Consiste nel portare alle estreme conseguenze la pittura della realtà lombardo-veneta. Già da secoli i pittori nord Italiani evitavano l’idealizzazione di matrice fiorentina, per mostrare la realtà quotidiana e antiretorica dei volti umani e degli oggetti comuni.

L’irruento Merisi aveva scelto, da genio assoluto qual era, di non arrendersi al manierismo tardo cinquecentesco, seguendo invece le radici più profonde dell’arte della sua terra di origine. Con la sua drasticità veristica Caravaggio era giunto spesso ad offendere l’occhio di committenti abituati a canoni idealizzati di bellezza.
Altra caratteristica di Caravaggio fondamentale era l’aspetto tenebroso dei suoi dipinti: tutti i suoi drammi si consumano di notte, la fonte di illuminazione non è mai visibile.

Tra quelli che guardano al Caravaggio non tutti riescono a capirlo: in molti si sentono in dovere di combinare l’idealizzazione manierista con i toni tenebrosi della sua pittura, altri spingono eccessivamente sulla crudezza delle scene.
Caravaggio non è un pittore violento: gli aguzzini dei suoi dipinti sono figli della banalità del male. Sono dei carpentieri che innalzano la croce di san Pietro senza volontà di torturarlo, ma semplicemente perché sono pagati per farlo. La sua Giuditta è una ragazza che prova ribrezzo nello sgozzare un pollo o nel maneggiare delle interiora. Oloferne un uomo a cui non tagliano la gola, ma a cui un granchio ha appena morso un dito. E così i suoi Davide e Golia, la sua Medusa: non ci sono torturati e torturatori, sono tutti, a loro modo, vittime di questo mondo e si arrendono ad esso.

[Immagine: 270px-Caravaggio_-_Martirio_di_San_Pietro.jpg]
Caravaggio

[Immagine: 800px-Judith_Beheading_Holofernes_-_Caravaggio.jpg]
Caravaggio

Alcuni caravaggeschi questa cosa non la capiscono.
Quando oggi si parla di Caravaggismo il primo nome che salta fuori è quello di Artemisia Gentileschi (1593 – 1656), la più grande donna pittrice del secolo. Salta fuori sempre lei per la biografia complicata, salta fuori sempre per essere – oggi – icona di femminismo.
Ma Artemisia è manierata, è cruda, è violenta, è esagerata nel rifarsi al maestro lombardo. La tortura patita da Oloferne in Artemisia si fa stomachevole.
Ugualmente si fa Tarantiniana in Louis Finson.

[Immagine: 800px-Gentileschi_Artemisia_Judith_Behea...Naples.jpg]
Artemisia Gentileschi

[Immagine: 800px-Louis_finson%2C_giuditta_decapita_...607_ca.JPG]
Finson

[Immagine: Hendrick_terbrugghen-the_mocking_of_christ.Jpg]
Terbrugghen

Chi capisce Caravaggio allora? Beh sicuramente lo capisce Diego Velazquez, in Spagna, e lo capisce Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo (1575 circa – 1633) in Italia.
Il Tanzio non ha bisogno di retorica, gli basta soltanto ritrarre in veste di santi e committenti le facce da far west che incrociava per la Val Sesia.

[Immagine: 13.jpg]
Tanzio da Varallo


Questo è il prologo al discorso, che farò in futuro, non so quando (il tempo è poco) sui miei 3 caravaggisti italiani preferiti: Tanzio Da Varallo, Orazio Borgianni (Roma, 1576 – 1616), Giovanni Serodine (Ascona, 1600 – Roma, 1630).
 
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#28
Giovanni Serodine (1600-1630), uno svizzero a Roma.

Come ci dobbiamo immaginare il Canton Ticino tra 1550 e 1600? Come una terra di allevatori e di grandi lavoratori, pronti però ad abbandonare i pascoli e le mucche per cercare fortuna altrove. 
Milano è vicina e la controriforma ha dato una forte spinta alla prosecuzione dei lavori per il completamento del Duomo: tanti scalpellini e artigiani ticinesi sono attratti dall'opportunità e raggiungono la metropoli. Ma non c'è soltanto Milano: anche il rinnovamento urbanistico della lontana Roma è una grande opportunità.
 
Domenico Fontana (1543-1607) è nativo di Melide e da artigiano riesce a diventare uno dei maggiori architetti di Roma, grazie all' enorme apprezzamento nei suoi confronti da parte di papa Sisto V.
Il nipote di Fontana, Carlo Maderno (1556-1629), nato vicino a Mendrisio, avrà indubbiamente meno difficoltà a percorrere il cursus honorum, tanto da diventare l'ideatore della facciata dell'attuale Basilica Vaticana di San Pietro.

Più difficile la strada per il più geniale architetto di tutto il XVII secolo: Francesco Borromini (Bissone, 1599 - Roma, 1667), che iniziò a 9 anni come garzone del padre, scalpellino per il Duomo di Milano per poi diventare il più acerrimo rivale di Bernini nella Roma del pieno seicento. La sua depressione e il suo cruento suicidio meritano una storia a parte.

Cristoforo Serodine è invece di Ascona e la fortuna l'ha cercata direttamente nella città eterna, non facendo però l'artista, ma l'oste e il rivenditore di vini e di altri prodotti mangerecci. A Roma, nel 1615, vive in una borgata non tra le più illustri, ma ad Ascona, città in cui torna quasi ogni anno per brevi periodi, è riuscito a comprarsi un bellissimo palazzo che dà sulla piazza principale. 
E' felicemente sposato ed ha tanti figli, tutti maschi: Bartolomeo segue il padre nella professione; Andrea è avviato alla carriera ecclesiastica; Giovanni Battista è un po' uno scapestrato, ma fa lo scultore e guadagna abbastanza bene. E' lui a realizzare le decorazioni della facciata del Palazzo dei Serodine ad Ascona. Ha anche avuto probabilmente la fortuna di vedere, da ragazzino, il violento Michelangelo Merisi da Caravaggio aggirarsi in qualche osteria; Giovanni è adolescente, 15enne, e segue le orme del fratello quasi omonimo, ma la scultura non è la sua passione, lui vuole imitare quel grande pittore caravaggino scappato dalla città eterna nel 1606 e mai più ritornato.

Dove si formi il Giovanni Serodine pittore è un mistero. Mi piace immaginarlo quasi autodidatta a guardare ammirato, con occhi da bambino, i dipinti di Caravaggio sparsi per la città. 
E il modo in cui vuole imitare il suo nume tutelare non è certo lo stesso in cui lo imita Artemisia Genileschi, 7 anni più vecchia di Giovanni: lei punta  solo alla crudezza eccessiva, punta al manierismo, all'eccesso.
Serodine invece abolisce la retorica e non ha paura di dipingere senza la mestica.
La mestica è la preparazione della tela attraverso una mistura di gesso. La mestica rende invisibile la trama del tessuto sottostante e dona raffinatezza.
A dipingere senza mestica prima di Serodine solo Tiziano e Caravaggio. Dopo di lui Bacon e pochi altri. 

Ed ecco che nel 1622 realizza il "Cristo incontra i discepoli di Emmaus": cupa e fuligginosa scena d'osteria romana. 

[Immagine: Invito_ad_Emmaus_-_Serodine.jpeg]

Ricostruire il prosieguo della breve vita di Serodine non è facile. 
Nel 1624 affresca la zona presbiteriale della Chiesa di Santa Maria della Concezione a Spoleto, ma attualmente questi lavori sono devastati da ridipinture successive. E' anche l'anno in cui il fratello Bartolomeo muore prematuramente.
Nel 1625 il ricco collezionista romano Asdrubale Mattei gli commissiona 3 tele per la sua quadreria: in esse il colore tende a sfaldarsi. Rimane evidente l'assenza di retorica: è soltanto bruta, grezza e uggiosa realtà riportata sulla tela.
 
Il più bello dei dipinti Mattei secondo me è il "Cristo dodicenne tra i dottori", con lo sguardo laconico del Salvatore che non passa certo per secchione, ma per colui che tranquillamente espone la propria superiorità, conscio perfettamente della stessa. 

[Immagine: 1024px-G_Serodine_Cristo_entre_los_docto...Louvre.jpg]

Nel 1625 gli vengono anche commissionate due tele per la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura. Ma è anche un anno di tragici lutti e di inaspettate nascite. 
Muoiono la madre Caterina, 50enne, e il fratello Giovanni Battista. 
Nasce invece un figlio illegittimo a Giovanni. La madre del piccolo? Alcuni dicono la cognata, vedova di Bartolomeo, morto da appena un anno. 

Comunque sia, è probabile che il volto della donna amata da Giovanni sia quello della "Figura Allegorica che allatta se stessa" conservata alla Pinacoteca Ambrosiana (1626)

[Immagine: Ambrosiana-Giovanni-Serodine-Figura-femm...gorica.jpg]

Negli ultimi anni di vita, Serodine ha modo di ritrarre anche il vecchio padre, col volto devastato dall'età e dai numerosi lutti appena patiti.
Un dipinto pregno di umanità, di senilità, di affetto filiale. Un dipinto in cui il colore si sfalda ormai completamente. L'espressività della pennellata ha ormai preso il sopravvento.

[Immagine: Serodine_Ritratto_del_padre-762x1200.jpg]


Il finale di partita si gioca nella città natale sua e dei suoi avi: Ascona. Tra 1629 e 1630 Giovanni esegue la pala per l'altare maggiore della chiesa dei Santi Pietro e Paolo: una detonazione di colori caldi confusi, pasticciati. Un preannuncio di arte moderna. 

[Immagine: 167614_54ce5042-0e6d-4cb3-a422-861ff3789816_-1_570.Jpeg]

Il 21 dicembre 1630 Giovanni Serodine muore a Roma, dopo una breve e misteriosa malattia, a soli 30 anni. 
Poco si sa della sua vita. Le opere sopravvissute sono solo 21. 
Serodine non si discute, per me. Lo si ama.
 
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#29
I precursori di Caravaggio: Alessandro Bonvicino detto il Moretto da Brescia (1498 ca. - 1554)


Come già ho cercato di spiegare in un post precedente, la portata rivoluzionaria di Caravaggio, nella Roma a cavallo tra i secoli XVI e XVII non nasce dal nulla, ma ha radici profonde nella pittura lombarda e veneta, che il giovane Michelangelo Merisi aveva masticato fino ai 20 anni, osservando i quadri presenti nelle sue terre di origine e di adozione, tra il bergamasco e il milanese.

Un esempio chiaro di anticipazioni caravaggesche lo dà Alessandro Bonvicino, detto il Moretto da Brescia. Un pittore dalla vita schiva ed appartata, ma portatore di una poetica che ha pochi eguali in tutto il secolo.
Una pittura che non ha assolutamente nulla di retorico, nulla di magniloquente. Non è insomma l'arte cerebrale e filosofica dei pittori del centro Italia (Michelangelo in primis), ma è una pittura popolare, ricca di pathos e di semplice realtà quotidiana.
L'umiltà, la povertà, il proletariato si fanno poesia a colori. 

La biografia del Moretto ha ben poco da raccontarci …
Nasce a Brescia attorno al 1498 da una famiglia di mercanti di lana originaria della Val Seriana. Da ragazzino ha la sfortuna di vivere le drammatiche vicende belliche della città: tra 1509 e 1512 Brescia è contesa tra Veneziani e Francesi e nel 1512 subisce un gravissimo saccheggio.
Nel 1516, neanche ventenne, il Bonvicino esordisce: sono commissionate a lui, e al suo probabile maestro Floriano Ferramola, le ante d'organo per il duomo di Brescia, ora trasferite a Lovere. 
Tra 1521 e 1524 si affianca ad un grande maestro concittadino per le decorazioni della cappella del Santissimo Sacramento della chiesa bresciana di San Giovanni Evangelista: Gerolamo Romani, detto il Romanino.

Il Romanino propone una cruda espressività popolaresca, Moretto invece punta alla pacatezza. Due mani perfettamente riconoscibili, due mondi separati. 

I viaggi del Moretto sono pochi: nel 1529 è a Bergamo per consulenze riguardo la complicata fabbricazione del coro ligneo nella Chiesa di S. Maria Maggiore; nel 1535 a Solarolo, in Romagna, per la decorazione di apparati effimeri in vista di parate che aveva in mente di celebrare la colta duchessa di Mantova Isabella d'Este.

Ma i grandi palcoscenici non lo attraggono, Moretto preferisce stare in provincia, lontano dalle tensioni e dalle rivalità tra artisti. 
Poco altro sappiamo della sua vita. Si sposa in tarda età, nel 1550 e muore solo quattro anni più tardi.

Questo post di oggi vuole essere più che altro una postilla, conseguentemente non metterò tanti dipinti. 

Non certamente trascurabile è la Madonna di Paitone, un ex voto del 1534 che racconta un episodio di fede contadina di solo un anno prima: ad un pastorello sordomuto era apparsa la Madonna.
La tela di Moretto, ancora conservata nel piccolo paese di Paitone, ben esemplifica le caratteristiche di poetica popolana evidenziate.

[Immagine: Apparizione_della_Madonna_al_sordomuto_F...Viotti.jpg]

Il suo capolavoro massimo, realizzato nel 1541 per la chiesa milanese di Santa Maria dei Miracoli presso san Celso è invece la Conversione di San Paolo sulla via di Damasco. Protagonista non è il Santo ma lo splendido cavallo imbizzarrito.
Questo quadro fu certamente visto dal giovane Michelangelo Merisi, durante i suoi anni milanesi, che ne rimase folgorato.
Se Moretto è il primo a rendere protagonista di una pala di altare un animale, il secondo sarà, in maniera ancor più sfacciata, proprio il Caravaggio nella chiesa di Santa Maria del Popolo a Roma, sessant'anni dopo. 

[Immagine: Conversione-Moretto-Brescia.jpg]
Moretto, 1541


[Immagine: 800px-Conversion_on_the_Way_to_Damascus-...0-1%29.jpg]
Caravaggio, 1601.

Ogni rivoluzione è frutto della conoscenza del proprio passato.
 
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#30
A giugno verrà pubblicato il mio primo articolo su rivista specialistica.

A tempo debito lo girerò anche su questo forum, gratuitamente (o forse no?  Mmm)

Comunque oggi ho avuto lo spunto per fare questo video sul canale. Ero a corto di contenuti, ma ho trovato l'illuminazione



 
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[+] A 7 utenti piace il post di Giugurta
#31
Ti pagherò in mandorle almeno puoi farci tutta la pasta che vuoi
 
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[+] A 1 utente piace il post di melo21
#32
Grazie Melo, sei un grande amico  Cool
 
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#33
Me ne intendo nulla, Giugy, di siti e guadagni attraverso internet. Solo una giungla che so che esiste. Certo, conosco siti talmente colmi di pubblicità da diventare illeggibili. Mettere su un sito decente credo anche che costi. 
Tuttavia, i contenuti di questi tuoi post non sono qualcosa che si trova facilmente, non con questo approfondimento, con questo livello descrittivo e interpretativo. Su internet c'è molto ma la qualità dei contenuti non è frequente, anzi. 
Potrebbero già essere i post di un sito... "Passeggiate nell'arte"? "La bellezza dietro l'angolo"? 
Oltre a presentare opere e artisti si potrebbero anche tracciare itinerari alternativi, indicare luoghi. 
Se scoprissi un sito del genere lo seguirei.

P.S.: il quadro del padre di Serodine è superbo.
 
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[+] A 1 utente piace il post di OldGibi
#34
Ti ringrazio per lo sprono. Forse dovrei provare a inventare una pagina Instagram o Facebook. Al momento ho intrapreso le strade tradizionali delle pubblicazione per riviste specialistiche. Cose che fanno curriculum, ma che hanno ben poca visibilità.
 
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#35
Un'altra rivista specialistica pubblicherà un mio contributo per la fine dell'anno Ma vieni!

E siamo a 2 (in corso di pubblicazione)
 
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[+] A 4 utenti piace il post di Giugurta
#36
Domani vi posto un articolone frutto della convalescenza.
È già pronto, lo devo solo sistemare

(È articolone solo per dimensioni)
 
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[+] A 2 utenti piace il post di Giugurta
#37
LORENZO LOTTO (Venezia, 1480 - Loreto, 1556/57)

Talvolta il destino si diverte cinicamente a far raggiungere un’età avanzata ad un uomo che non ha altro desiderio che di porre termine alla vita terrena, di esiliarsi da un mondo che ha saputo infliggergli soprattutto amarezze e delusioni. È il caso dell’emarginato per eccellenza del rinascimento, un pittore che ha avuto la sola fortuna postuma di essere riabilitato dalla storiografia artistica, dal XIX secolo in avanti. 

Lorenzo Lotto è il prototipo dell’artista malinconico, girovago, con la vita costellata di delusioni professionali che lo costrinsero, in età ormai avanzata, a ritirarsi in un convento. 

1.Gli inizi tra Venezia e Treviso

Nato da un’oscura famiglia veneziana nel 1480, Lotto compare nei documenti per la prima volta nel 1503, a Treviso, come pittore personale del giovane vescovo Bernardo de Rossi (Parma, 1468 – 1527), grande umanista. La formazione artistica di Lorenzo, sicuramente avvenuta in laguna, è parecchio gravida di stimoli: egli si interessa alla pittura tonale di Giovanni Bellini (Venezia, 1430 – 1516), suo ipotetico maestro, ma anche alla severa monumentalità arcaica e paratattica di Alvise Vivarini (Venezia, attivo nella seconda metà del XV secolo). Rimane poi sconvolto dall’espressionismo e dall’ermetismo d’oltralpe di Albrecht Durer (Norimberga, 1471 – 1528), che era stato a Venezia tra 1494 e 1495, e poi ancora tra 1506 e 1507, diffondendo in tutta Italia le stampe tratte dalle sue incisioni. 

Le suggestioni si riversano tutte nei quadri trevisani, tra i quali cito almeno il ritratto del suo mecenate (1505): la figura si staglia severa, rigida su una tenda di fondo verde. L’uomo appare con tutti porri del volto in bella mostra: non esiste idealizzazione. Il suo sguardo è duro, ma al contempo segnato dalle preoccupazioni: era infatti scampato da poco a un attentato, insieme al suo cancelliere personale Broccardo Malchiostro, anche lui probabilmente effigiato dal Lotto in un ritratto coevo (il primo ritratto lottesco con un rebus: a rivelare il nome del soggetto il tessuto a lui retrostante, broccato bianco, ergo Broccardo.

[Immagine: 640px-Lorenzo_Lotto_042.jpg?1621148909684]
Ritratto di Bernardo de' Rossi

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_052b.jpg]
Ritratto di giovane con lucerna (probabilmente Broccardo Malchiostro)

2. La delusione Romana

La fama in rapida crescita e l’appoggio vescovile portano Lotto nel territorio papale: a Recanati, dove dà un saggio di verismo epidermico, di ascendenza nordica, nel suo maestoso polittico  dipinto, entro 1508, per la chiesa di San Domenico.

[Immagine: 378px-Lorenzo_lotto%2C_polittico_di_san_...2_vito.jpg]
Dettagli di precisione "ottica" nel San Giorgio del Polittico di Recanati

1508: a 28 anni, sulla cresta dell’onda, Lorenzo è chiamato a Roma ad affrescare le stanze private di papa Giulio II, insieme a Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma (Vercelli, 1477 – Siena, 1549) e al Bramantino (protagonista della puntata 1). Ma ecco la prima doccia fredda: le geniali e magniloquenti prove di Raffaello, subentrato in un secondo momento ai lavori, portano il papa a licenziare tutti gli altri artisti coinvolti nel progetto. 
Lorenzo, senza un impegno stabile, resta a Roma fino al 1510, per poi andarsene insoddisfatto, deluso dall’incombente passione classicista, alla quale tuttavia si deve adattare per ragioni commerciali.
A testimonianza di ciò si veda la differenza tra il San Gerolamo dipinto prima del soggiorno romano, nel quale il soggetto è dominato dalla natura delle foreste “germaniche” a lui soprastanti, e quello realizzato durante: un antropocentrico dio fluviale, una statua classica di un anziano muscoloso disteso.

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_026.jpg]
La natura domina l'uomo prima del soggiorno romano

[Immagine: 11-lotto-san-gerolamo-penitente.jpg]
... dopo la conoscenza di Raffaello, il corpo da divinità classica diventa protagonista.  

Di ritorno nelle Marche, Lotto vuole conformarsi allo stile raffaellesco, ma in provincia non si apprezzano molto le novità: si preferisce la sicurezza di uno stile più arcaico ed anticlassico.

Lotto deve deve districare il nodo del dilemma, deve conciliare ciò che per natura non si può conciliare: il risultato è la Trasfigurazione di Recanati (1512), una composizione con figure raffaellesche inserite in un contesto da icona bizantina. Non esiste il paesaggio, ma solo una semplicità narrativa icastica, da “santino da messa” diremmo oggi.

[Immagine: old_0103aac16ef819514b50fd88ffe35d64.jpg]
La Trasfigurazione del 1512

3. La gloria bergamasca 

L’ambiente marchigiano si era ormai fatto sterile ed opprimente, da qui la volontà di partecipare ad un concorso per l’esecuzione della pala dell’altare maggiore della chiesa dei Santi Stefano e Domenico di Bergamo. 
Lotto vince, siamo nel 1513, ed è l’inizio di un soggiorno di 12 anni nella città orobica. Di nuovo una realtà provinciale, ma che darà al veneziano la libertà di esprimere senza significativi limiti il suo estro.
La pala iniziata nel ‘13 viene terminata nel 1516 ed è un clamoroso esempio di rinascimento di ascendenza Bramantesca: lo sfondamento della parete della chiesa attraverso la pittura di finte navate che la fanno proseguire in lungo tragitto che si perde nel buio, è una delle invenzioni creative più emozionanti mai fatte. 
Purtroppo la distruzione della chiesa che la conteneva, fa perdere l’effetto illusionistico pensato originariamente.
Il successo ottenuto nel 1516 con la “Pala Martinengo” ha un immediato riverbero: chierici e privati cittadini vogliono opere da un Lorenzo ormai travolto da un’ondata di commissioni.
Del 1518 il ritratto, con rebus, di Lucina Brembati: il nome dell’effigiata scritto nella Luna con incise le lettere “CI”. LU-CI-NA. 
Nel 1521 la Sacra Conversazione della chiesa di San Bernardino in Pignolo: la volontà di “congelare” un momento, un istante di discussioni e di scambi reciproci di sguardi tra i santi “umani troppo umani”; gli angeli non hanno nemmeno avuto il tempo di disporre per bene la tenda verde: è tutta storta sotto il trono di Maria. 
Soluzioni stilisticamente più avanzate si combinano con momenti di ritorno all’arcaismo: nel 1524 a Trescore Balneario, realtà campagnola, provincia della provincia, Lotto non si fa remore nel raffigurare lo sviluppo narrativo delle violente Storie di Santa Barbara entro il contesto schematico e anticlassico del Cristo-Vite, ovvero del Gesù presentato metaforicamente come “vigna del Signore”, dalle cui dita si dipartono i tralci. 

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_012.jpg]
La "pala Martinengo" per la chiesa dei SS. Stefano e Domenico (Bergamo)

[Immagine: 287px-Lotto%2C_ritratto_di_lucina_brembati.jpg]
Ritratto di Lucina Brembati

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_060.jpg]
Pala di S. Bernardino in Pignolo

[Immagine: lotto-cristo-vite_1.jpg]
Il "Cristo-Vite" di Trescore Balneario

4. Il dramma delle tarsie 

Nel 1523 la svolta: l’amministrazione laica della cattedrale è pronta a finanziare un nuovo coro per i religiosi, uno per i laici e una nuova pala d’altare, con statue in bronzo.
Il concorso per realizzare i disegni dei prototipi delle tarsie lignee dei cori, lo vince nel 1523 un pittore semisconosciuto di insegne e di bandiere: Nicolino Cabrini, che muore dopo poco. L’amministrazione entra dunque in contatto con il secondo classificato: Lorenzo Lotto, attivo nel frattempo a Trescore Balneario. 

Per l’esecuzione delle tarsie, Lotto decidere di scommettere su un giovane carpentiere 27enne: Giovanni Francesco Capoferri, abbandonando l’idea originaria di coinvolgere il più anziano frate domenicano intarsiatore Damiano Zambelli, già collaboratore di Lotto ai tempi della Pala Martinengo. 
Il risentimento del frate inizia presto a riversarsi sul pittore veneziano: accusato di essere un arrivista e religiosamente compromesso con le spinte “riformiste” tedesche. 
Il clima si fa teso: dissidi con Simone de’ Germanis, lo scultore incaricato di realizzare la pala d’altare, portano ad un tentativo di avvelenamento ai danni del veneziano.
Inoltre la richiesta di un aumento del compenso, da parte di Lotto, si conclude con un rifiuto. 
A fine 1525 ormai le idee sono chiare: abbandonare per sempre Bergamo, tornare a Venezia e continuare da là a fornire i cartoni per le tarsie al Capoferri. 

[Immagine: Lotto-capoferri-doppio-ritratto-1050x700.jpg]
Autoritratti di Lotto e Capoferri (a sinistra) nella tarsia simbolica con "Giuseppe venduto ai Fratelli"

5. Un artista pellegrino

Di ritorno nella Serenissima, Lotto trova ospitalità presso i Domenicani di San Giovanni e Paolo, dorme nel loro convento, ritrae un ignoto confratello, ma viene dopo poco allontanato per amicizie con alcuni uomini accusati di appoggiare il fronte riformista luterano. 
Lotto vive ora quasi alla giornata e si rende conto che a Venezia non può nulla per contrastare il monopolio preso da Tiziano: continua infatti a lavorare per Bergamo (tarsie comprese) e per le Marche.
Invia quasi tutte le opere che dipinge, non riesce a farne quasi nessuna per la città in cui vive. Soltanto una pala in tutto per una chiesa lagunare: il San Nicola in Gloria (1527).

Amareggiato dalla sua condizione, Lotto, ormai 54 enne, prende la strada delle Marche, dove peregrina per più città per ben 5 anni.
A Recanati dà saggi della sua bravura nel rendere gli ambienti caldi e domestici, nella celeberrima Annunciazione, a Cingoli incastona i misteri gaudiosi, dolorosi e gloriosi nella staccionata di un roseto.

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_066.jpg]
L'annunciazione di Recanati

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_057.jpg]
La Pala di Cingoli

Dopo aver raccolto modesti successi nelle marche, Lotto torna in una Venezia che era ormai permeabile alla violenta tensione manierista michelangiolesca, distante anni luce dalla sua poetica di umana tenerezza. 
Tra 1540 e 1542 Lotto si riconcilia coi domenicani: stabilisce, per volere testamentario, di farsi seppellire nella Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, vestito col saio. Per pagarsi la sepoltura dona un dipinto: L’elemosina di Sant’Antonino. 
La difficoltà di trovare in Laguna dei committenti conduce Lotto sulla via della miseria: è costretto a farsi mantenere prima da un nipote e poi da un caro amico Trevisano, Bartolomeo Carpan, che lo aiuta nel 1546 a superare una brutta ed ignota malattia, insieme alla figlia, che si legherà a Lotto con un paterno affetto.

Alla città di Treviso, in questi anni, lascia un’opera (ora a Brera) cupa, tragica, senza alcuna luce di speranza in una resurrezione: La Pietà con San Giovanni Evangelista.

[Immagine: 800px-Lotto%2C_piet%C3%A0.jpg]
Pietà con S. Giovanni, già a Treviso, ora a Brera

6. Finale di partita

Di ritorno a Venezia, tra 1547 e 1549 vive il tracollo definitivo: quasi 70enne e senza clienti, deve per forza adattarsi ad una vita misera.
La commissione di una pala d’altare per la chiesa di San Francesco ad Ancona è l’occasione per abbandonare per sempre la Serenissima: Lotto lascia tutte le sue opere invendute all’amico scultore Jacopo Sansovino, affinché si occupi della loro vendita, o meglio svendita.
Dopo un anno, Sansovino, senza speranza per non aver ancora venduto nulla, spedisce il materiale ad Ancona. 
Lì Lotto tenta il tutto per tutto con un banchetto d’asta: si libera di qualsiasi cosa, persino dei cartoni delle tarsie del duomo di Bergamo, le opere a cui – dalle testimonianze – teneva maggiormente.
I soldi racimolati sono scarsissimi e per di più alcuni assistenti di bottega gli rubano strumenti del mestiere.

Loreto dista 30 chilometri da Ancona: è l’ultimo approdo. Il pittore inizia a frequentare la Santa Casa nel 1552, nel 1554 si fa frate oblato: dona se stesso alla chiesa in cambio di vitto e alloggio. Esegue anche alcuni lavori di pittura: si occupa di scrivere i numeri dei letti dei dormitori dei malati e dipinge alcune tele per l’abside della cattedrale. 
La presentazione al Tempio è il suo testamento artistico: un’opera cupa, grezza, drammatica, sfigurata, con le figure che si perdono nel fondo scabro.

[Immagine: 800px-Lorenzo_Lotto_055.jpg]
Una “pittura nera” di Goya ante litteram.

[Immagine: 1920px-La_romer%C3%ADa_de_San_Isidro.jpg]
Goya, "Il pellegrinaggio a Sant'Isidro"... una "pittura nera" del 1820 circa

Non si sa nemmeno quando muoia Lorenzo Lotto: nell’estate 1556 risulta ancora vivo, ma nel luglio 1557 viene venduto il materasso su cui dormiva, indice che era già passato sul lato nascosto della Luna. 
Dopo una vita di delusioni e sofferenze, si consegnava all’immortalità dei posteri.

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#38
Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi Applausi

Bravo

Splendidi i primi due ritratti, grande padronanza e si avverte fiducia. La Pala Martinengo capolavoro. Notevole come momenti ed epoche della vita trovino spazio nelle sue opere. 
Grazie! 
 
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#39
Smile 
Ti ringrazio! Sono stato felice di tornare a scrivere qualcosa in questo ambito. Effetti positivi (?) della convalescenza Asd
 
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#40
Raccontare l’Arte e gli Artisti meno conosciuti, obbliga chi lo fa ad usare un pennello che sappia rendere luminoso lo sfumato e profondo ciò che solitamente si sottace. È un esercizio che mette il narratore a vivere il pensiero artistico come fosse lui a dare un senso ai colori, ai tratti e all’incenso del protagonista raccontato, senza fermarsi alle superfici di annate e quotidianità dell’artista, ma abbracciandone l’ermeneutica.
Un compito che stai esaudendo benissimo e le tue lezioni sono una spinta eccellente ad imparare e conoscere, in particolare per gli ignoranti come me. Chapeau!
 [Immagine: bravo.gif]
 
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