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Artisti al margine
#1
Alcuni grandi artisti dei secoli passati, ma anche più recenti, sono purtroppo quasi sconosciuti al grande pubblico generalista.

Apro questa rubrica per parlare proprio di loro, del loro genio dimenticato, delle loro vite spesso al margine rispetto ai grandi centri della produzione artistica mondiale, del loro essere eccentrici e bizzarri.

Siccome il lavoro è lungo le puntate non hanno scadenza regolare.
 
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#2
Puntata numero 1: L’allucinato Bramantino (1460/65 - 1530)


Si è alle volte abituati a immaginare l’arte dei secoli passati come puro ideale di raggiungimento di armonia e bellezza: sia essa una bellezza devota o profana. Ebbene, la gradevolezza della contemplazione estetica subisce indubbiamente un arresto nella pittura del lombardo Bramantino, nei suoi volti, che vanno dallo scheletrico-esangue all’alienato mentale, nelle sue Madonne tristissime, con le occhiaie arrossate, gli occhi tondi e distanziati e senza sopracciglia. Figure quasi aliene, deformate, mostruose.


Bartolomeo Suardi nasce a Bergamo tra il 1460 e il 1465, ma già nel 1480 lo troviamo a Milano, orfano di padre e sotto la tutela di una madre che lo avvia alla bottega dell’orafo Francesco de Caseris. Ma il giovane Bartolomeo è probabile che esca presto da lì per inserirsi nella schiera di seguaci dell’urbinate Donato Bramante (Fermignano, Urbino 1444 – Roma 1514), che negli anni ottanta del Quattrocento lavorava al rifacimento della chiesa meneghina di Santa Maria presso San Satiro, ideandone il finto presbiterio: un capolavoro di illusionismo prospettico che non aveva eguali in Lombardia e che ebbe subito un’eco clamorosa.
Il rapporto tra Bartolomeo, l’allievo, e il suo nuovo maestro divenne talmente stretto che un documento ufficiale del 1489 ricorda il Suardi come “Bartholomeo Brabantino”, soprannome con cui ancora oggi lo conosciamo.


Tuttavia, i dipinti giovanili del bergamasco non hanno la compostezza di quelli di Bramante, sembrano infatti guardare più che altro ad un oscuro pittore lombardo di nome Bernardino Butinone (Treviglio, BG 1450 circa – 1510 circa), che aveva portato alle estreme conseguenze il linguaggio tragico ed espressionista conosciuto a Ferrara durante un suo soggiorno. (In immagini la principale opera del principale pittore ferrarese: Cosmé Tura).


Si prenda ad esempio l’Adorazione del Bambino (1485 circa) di provenienza sconosciuta, ma ora alla Pinacoteca Ambrosiana, in cui una schiera di santi scarnificati, non tutti ben identificabili si accalca a pregare attorno al Bambino, in una giornata di gelida foschia mattutina.


Uno stile drammatico, tragico e di successo visto che nel 1490 Bramantino è chiamato a lavorare nella sala del Tesoro del Castello Sforzesco, dove realizza un classicissimo Argo, dai cento occhi, perduti, pronto a sorvegliare sui beni dei signori di Milano. Nell’affresco Bramantino mette in campo tutta la sua sapienza prospettica mutuata dal maestro Bramante.


Nel corso degli anni Novanta lo stile del Bramantino va consolidandosi e si viaggia verso una metafisica ante litteram. Opere come l’Adorazione dei Magi (1495?), ora a Londra, con un corteo di personaggi enorme – che viene da chiedersi, dopo una prima occhiata, quali siano i Magi e quali le comparse – è in grado di trasmetterci un senso di sospensione e di mistero che ritroveremo oltre quattro secoli dopo solo nel giovane De Chirico.
Ma quella nebbiolina di fondo, quelle montagne azzurre che piano piano prendono piede nell’arte del bergamasco non possono che essere debitrici di Leonardo, che col suo primo soggiorno milanese (1482-1499) stava cambiando il corso dell’arte occidentale.


Santi coi volti imbronciati e caricati, come piacevano al Leonardo disegnatore, compaiono poi nella pala (ex trittico) di San Michele (dipinto nel 1505 per la chiesa milanese di San Michele alle Chiuse ed ora all’Ambrosiana), l’opera probabilmente più clamorosa di Bramantino, che non si fa scrupoli nel mettere in scorcio, su quel pavimento di città post-apocalittica, il corpo nudo del vescovo eretico Ario (sconfitto simbolicamente da Sant’Ambrogio) e di un magnifico rospone umanizzato simboleggiante Satana (ricacciato negli inferi da San Michele). Non si commentano neanche i volti arrossati e sgraziati della Madonna e degli angeli che le stanno a fianco: Bramantino lo si ama, lo si accetta e non lo si discute.


E non lo amo solo io, lo amavano particolarmente anche i francesi, dominatori di Milano dal 1500 al 1513, che nella persona del loro vassallo Gian Giacomo Trivulzio, marchese di Vigevano, gli commissionano un ciclo di arazzi raffiguranti le allegorie dei mesi. Antoine Turpin, signore feudale di Voghera, invece gli fa realizzare un ciclo di affreschi per il castello della sua città.


In un’epoca imprecisata del primo decennio del Cinquecento Bramantino esegue un altro dei suoi più clamorosi capolavori: la Crocifissione, ora a Brera, ma proveniente da una chiesa ignota. Il clima straniante, da film fantasy-cupo penso non abbia bisogno di tante descrizioni. Angeli e demoni sembrano contendersi – e ciò è assurdo – l’anima di Cristo, due lune dal volto umano fanno da giudici.


Nel 1508 Bartolomeo Suardi detto Bramantino è probabilmente il più grande artista lombardo vivente e in tal guisa viene chiamato da Papa Giulio II per decorare le Stanze Vaticane, insieme a Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 – Roma, 1520), Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 – Loreto, 1557) e Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma (Vercelli, 1477 – Siena, 1549). L’apprezzamento del papa per il più giovane dei quattro, Raffaello, porterà al rapidissimo licenziamento degli altri.


Tornato in patria è difficile ricostruire la sua attività, le tele iniziano a diradarsi ed egli si impegna anche nell’attività di architetto per realizzare il mausoleo in onore dei Trivulzio. La restaurazione sforzesca del 1513 non sembra causargli problemi, e Bramantino cambia padrone senza difficoltà.
Nel 1525 è nominato da Francesco II Sforza “architetto e pittore ufficiale e curiale”.


Muore a Milano nel 1530, circondato dagli onori, ma presto un nuovo stile classicista, uniformato sul linguaggio romano, porterà a dimenticarsi presto di un’anima così tanto bizzarra ed eccentrica.


IMMAGINI

[Immagine: PIC179O.jpg]
Donato Bramante, finto coro di Santa Maria presso San Satiro, 1482-1490 circa, Milano


[Immagine: 713px-Bernardino_Jacobi_Butinone_-_The_D...hicago.jpg]
Bernardino Butinone, Deposizione, Chicago, Art Institute, 1480 circa

[Immagine: 220px-Cosm%C3%A8_Tura_029.jpg]
Cosmé Tura, Pala Rovrerella, 1472 circa, Londra, National Gallery

[Immagine: Bramantino%2C_adorazione_del_bambino.jpg]
[Immagine: Ambrosiana-Bartolomeo-Suardi-detto-il-Br...85x215.jpg]
Bramantino, Adorazione del Bambino, 1485 circa, Milano, Pinacoteca Ambrosiana


[Immagine: Bramante_e_bramantino%2C_Argo%2C_Sala_del_Tesoro_02.JPG]
Bramantino, Argo, 1490, Milano, Castello Sforzesco


[Immagine: 1200px-Bram0.5.jpg]
Bramantino, Adorazione dei Magi, 1490-1495, Londra, National Gallery


[Immagine: Giorgio-De-Chirico-Gare-Montparnasse-The...rture-.JPG]
Giorgio de Chirico, La malinconia della partenza, 1914.


[Immagine: 800px-Bramantino%2C_madonna_delle_torri.jpg]
Bramantino, Pala (ex trittico) di San Michele, 1505, Milano, Pinacoteca Ambrosiana



[Immagine: 800px-Bramantino%2C_crocifissione.jpg]
Bramantino, Crocifissione, 1505 circa, Milano, Pinacoteca di Brera



[Immagine: cacciata-di-eliodoro-dal-tempio-e1500223340252.jpg]
Raffaello, La cacciata di Eliodoro dal Tempio, Città del Vaticano, Stanze Vaticane, 1511-1512. L'opera di Raffaello copre probabilmente un precedente lavoro iniziato da Bramantino


[Immagine: 2869MilanoSNazaro.jpg]
Bramantino, Mausoleo Trivulzio, presso san Nazaro in Brolo, Milano, dal 1512
 
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#3
E io che volevo il premio...
 
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#4
Il mio voto lo hai avuto
 
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#5
Puntata numero 2: Cesare Cesariano (1475 – 1543), l’enfant prodige assassino


(prima parte)


Leonardo da Vinci, uno dei più grandi geni della pittura e dell’umanesimo universale, ha provato a cimentarsi nella conoscenza del latino solo in età adulta, senza particolare successo. Per questo motivo, umilmente, si definiva “omo sanza lettere”.
Caso raro quello di Leonardo, visto che tutti i pittori rinascimentali erano uomini dotti, con una formazione letteraria solida, ma tra i tanti, solo Cesare Cesariano penso sia riuscito a imparare la lingua degli antichi romani a soli quattro anni di età.


Cesare Cesariano, figlio bastardo di Lorenzo da Ciserano – paese situato nella pianura bergamasca – uomo politico che visse alterne fortune sotto gli Sforza, nacque a Milano il 10 dicembre 1475, come possiamo leggere nelle pagine autobiografiche presenti suo Commento a Vitruvio (1521), e fu presto strappato alla madre naturale, per vivere nella famiglia del padre Lorenzo, regolarmente sposato con Elisabetta Gritti, che odiava particolarmente il frutto delle relazioni extraconiugali del consorte. L’amore paterno però era molto forte: è Lorenzo infatti a far innamorare il giovane Cesare della cultura classica.


Cesare si rivela un genio, inizia a masticare la lingua classica fin da piccolissimo, ma a neanche 7 anni (autunno 1482) resta improvvisamente orfano di padre, in balia delle angherie della matrigna e di lì a poco anche del nuovo marito di lei.


La carriera per Cesare è chiaramente individuata dai nuovi genitori adottivi: il chierico, d’altronde “sa già di latino” e la strada è bella che spianata. Ma Cesare non è della stessa idea e, forse dopo l’ennesima angheria subita, nel 1490, 15enne, scappa di casa. Nella Milano di Ludovico il Moro Cesare poteva farsi facilmente accogliere dalle famiglie più in vista, data la fama del padre. Mi piace pensare che ad accoglierlo sia stato Gaspare Visconti, uno dei più fini umanisti del tempo, che negli stessi anni stava facendo affrescare la sua dimora a Donato Bramante, con immagini che richiamano fortemente il mondo antico: filosofi quali Eraclito e Democrito e soldati comunemente detti Uomini d’arme. Gli affreschi, ora strappati, si trovano alla Pinacoteca di Brera.


Cesariano avrà sicuramente partecipato a certamen letterari, avrà discusso di finezze linguistiche, ma ciò che conta è l’essersi avvicinato proprio in questi anni alla cerchia del Bramante, imparando le tecniche pittoriche e i fondamenti dell’architettura.


Nel settembre 1493 Cesariano, che ormai si sentiva maestro autonomo, nonostante la giovanissima età, firma un contratto triennale di collaborazione con il pittore milanese, amico di Bramante, Matteo de’ Fedeli, ma qualcosa di strano (un litigio col compare? Un crimine compiuto?) sarà sicuramente accaduto se nella primavera del 1494 Cesariano si trova, privo del proprio socio, nell’Abbazia benedettina di Polirone, presso San Benedetto Po (Mantova), sotto l’ala protettrice del monaco-architetto Panuzio da Voghera.
Nell’abbazia si stavano realizzando in quegli anni ristrutturazioni ed ampliamenti. Cesariano, pur non essendone il fautore principale, è probabile che sia stato quantomeno il braccio destro di mastro Panuzio.


Tra la fine dello stesso 1494 e il 1495 un nuovo spostamento: Cesariano va alla corte estense di Ferrara. Corte molto interessata alla messa in scena di spettacoli sacri con scenografie ad imitazione di quelle del mondo romano. Per poter creare un qualcosa di somigliante il testo di riferimento consultato dai dotti ferraresi era certamente il De Architectura di Marco Vitruvio Pollione. Cesariano, viste le sue immense doti di latinista, si sarà sicuramente inserito nel dibattito, ma per pochi mesi, visto che in data 15 giugno 1496 è registrato come abitante di Reggio Emilia.


Non sappiamo se il Cesariano avesse realizzato opere pittoriche negli anni a Milano, San Benedetto Po e Ferrara. Sappiamo di per certo che a Reggio Emilia le sue doti di pittore sono tuttora visibili, seppur in condizioni conservative disastrose.
Il 21enne milanese, che aveva infatti indubbie doti nel vendere se stesso, riesce a farsi commissionare dalla ricchissima famiglia di lanaiola dei Fossa un ciclo di dodici Uomini d’arme per adornare le merlature del loro palazzo. Ora se ne conservano solo sette, e in condizioni di fruibilità compromesse, ma sufficienti per farci capire la bravura del Cesariano ad assorbire l’insegnamento prospettico e classicista di Bramante.


Oltre alla famiglia dei Fossa, anche quella degli Arlotti, a cui apparteneva il vescovo Bonfrancesco, non doveva essergli ignota. Nel 1497 il suddetto vescovo commissiona allo scarso pittore locale Francesco Caprioli un Battesimo di Cristo per il battistero annesso alla cattedrale, ma è altamente probabile che nei fatti venga realizzato quasi per intero dal giovane Cesariano, reduce da un viaggio a Roma, pagato dallo stesso vescovo, per poter ammirare i capolavori di Pinturicchio e Perugino, che qui vengono rielaborati: la scena narrativa centrale è una copia dall’affresco di Perugino della Cappella Sistina, mentre la decorazione delle finte architetture “a grottesca” è presa quasi pari pari dal Pinturicchio della chiesa di Santa Maria in Aracoeli.


È bene ricordare tuttavia come nella decorazione delle merlatura di Palazzo Fossa il giovane geniale fosse stato affiancato da un locale maestro maturo, non facilmente identificabile: mi piace pensare a Giorgio Spadinsacchi, di cui Cesariano sposa la figlia Caterina nell’ottobre 1499. Nel 1500 nasce il figlio Ludovico Agostino e Cesare vive probabilmente i momenti più sereni della sua vita, sicuramente coinvolto in tante commissioni ora non ben identificabili (o quasi invisibili come il cornicione dipinto “a grottesca” all’esterno delle absidi della cattedrale di Reggio).


Purtroppo le cose precipitano presto: nel 1504 la moglie muore, probabilmente di parto. Nel 1505 tocca al suocero Giorgio malamente operato di calcoli alla vescica e Cesare si ritrova così solo con il figlio piccolo.


Cosa sia scattato nella testa di Cesare quel giorno del 1507 nessuno lo sa: fatto è che decide di trafiggere con la spada, durante una lite, un certo Giovanni Rossini, il quale muore dopo una breve agonia.


Cesariano scappa a Parma col figlio, sempre in un convento benedettino (quello di San Giovanni Evangelista), sempre sotto l’ala protettrice di quel frate architetto Panuzio da Voghera, per sfuggire ad una condanna a morte per impiccagione pronunciata in contumacia.


(A presto -- spero-- con la seconda e ultima parte!….)


[Immagine: bramante_eraclito_democrito.jpg]
Bramante, Eraclito e Democrito, 1490 circa, Milano, Pinacoteca di Brera

[Immagine: 8b0ee6049b6ac3f7293a920a6fc9e334_ac61e1d...abcee4.jpg]
Bramante, Uomo d'arme, 1490 circa, Milano, Brera


[Immagine: Palazzo-Fossa-affresco-Gli-Uomini-d-Arme...ano2_1.jpg]
Cesare Cesariano e Giorgio Spadinsacchi (?), Uomini d'arme, 1496, Reggio Emilia, Palazzo Fossa, merlature

[Immagine: battistero.jpg]
Cesare Cesariano e Francesco Caprioli (?), Battesimo di Cristo, 1497, Reggio Emilia, Battistero

[Immagine: Pietro_Perugino_-_Baptism_of_Christ_-_Si...cat13a.jpg]
Perugino, Battesimo di Cristo, 1482, Città del Vaticano, Cappella Sistina

[Immagine: 800px-Campitelli_-_Aracoeli_-_Pinturicch...010843.JPG]
Pinturicchio, Gloria di San Bernardino, Roma, Chiesa di Santa Maria in Aracoeli, Cappella Bufalini, 1483
 
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#6
Grandissimo Giugy! 
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Ci vorrà un botto di tempo per questi post ma è un vero piacere leggerli!
 
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#7
Oldgibi, innanzitutto grazie! ... e visto che sei di Roma, potresti fare un salto in s. Maria in Aracoeli prima di Natale!

Vedere le opere nel loro contesto è tutta un'altra storia, senza contare il fascino che ha l'entrare nei luoghi stessi in cui hanno lavorato i grandi artisti.
 
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#8
(07-12-2020, 04:16 PM)Giugurta Ha scritto: Oldgibi, innanzitutto grazie! ... e visto che sei di Roma, potresti fare un salto in s. Maria in Aracoeli prima di Natale!

Vedere le opere nel loro contesto è tutta un'altra storia, senza contare il fascino che ha l'entrare nei luoghi stessi in cui hanno lavorato i grandi artisti.


Ci andrò, ma solo dopo che al corona si sia riusciti a mettere una museruola, per ora limito i contatti a quelli assolutamente inevitabili. 
Là vicino c'è una chiesa molto meno nota, che mi trovai a visitare per caso, Santa Maria in Campitelli, restando a bocca aperta per la "ricchezza" (barocco molto appariscente). 
In generale, se cammini per il centro di Roma, ti imbatti in un numero enorme di chiese, anche cappelle molto piccole, spesso con opere incredibili. 
Come la gran parte dei romani conosco poco la mia città (hai sempre tempo per andare a visitare, quindi non lo fai mai...). In un paio di occasioni mi sono trovato a passeggiare per Roma la domenica mattina presto (a partire dalle sette, circa). Paesaggio incredibile, poi cappuccino e cornetto, quindi prosecuzione della passeggiata. In qualsiasi chiesa entri difficile restare delusi. 
Ovviamente, conoscere la storia di quella chiesa, gli aspetti architettonici e le opere d'arte esposte è tutto un altro visitare.
 
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#9
Il problema delle grandi città è che esistono notevoli luoghi d'arte trascurati dal turismo.
A Roma le bolge turistiche affollano il Vaticano, la Galleria Borghese, San Luigi dei Francesi, Santa Maria del Popolo (Caravaggio crea assembramento come pochi altri)
Già molto più vivibili, almeno quando ci sono stato io, i Musei Capitolini o Santa Maria sopra Minerva

Quasi deserte invece Santa Maria in Aracoeli e la stupenda Santa Maria in Vallicella, con i magnifici Rubens e la "Visitazione" di Federico Barocci davanti alla quale San Filippo Neri cadde catatonico, in estasi.
 
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#10
Puntata numero 2: Cesare Cesariano (1475 – 1543), lo sfortunato commentatore di Vitruvio


(Seconda parte) 


Cesariano a Parma, esule e condannato a morte in contumacia, esegue entro il settembre 1508 il suo principale capolavoro pittorico, tuttora ben conservato: la decorazione allegorico-erudita della volta della sacrestia della chiesa benedettina di San Giovanni Evangelista, complesso ecclesiastico appena retrostante il Duomo. Il ciclo di Cesariano può ben dirsi l’ultimo bagliore di pittura severa classicheggiante e riecheggiante l’antico situata a Parma. Circa dieci-dodici anni dopo infatti Antonio Allegri da Correggio (Correggio 1489 – 1534) con le sue calde e sensuali morbidezze avrebbe trasfigurato la cultura figurativa della città. 


Cosa accadde tra 1509 e 1511 non ci è dato saperlo. Alcuni ipotizzano lavori del Cesariano a Carpi, presso la chiesa di San Nicolò, dove nel tamburo della cupola stanno delle magnifiche decorazioni “a grottesca”, ovverosia ispirate alle “grotte” della Domus Aurea di Nerone, riscoperta da pochi anni e probabilmente visitata da Cesariano nel 1497. Per ritenere possibile tale commissione in territorio estense è però necessario supporre che Cesare avesse già ottenuto la grazia per il crimine commesso.


Nel 1512 Cesariano è a Piacenza e il periodo è cruciale per la storia della città. Realizza una piccola pala d’altare in Sant’Eufemia, opera intrisa di cultura prospettica lombarda nel bellissimo scorcio del porticato. In una chiesa a cento metri di distanza, quella di San Sisto, arriva intanto, nello stesso periodo, la Madonna in gloria tra San Sisto e Santa Barbara di Raffaello (Urbino, 1483 – Roma, 1520), ora alla Gemaldegalerie di Dresda, mentre nel 1514 vengono commissionate le tarsie lignee per il coro della medesima chiesa a due artisti/artigiani del parmense: Giovanni Pietro Pambianchi da Colorno e Bartolomeo Spinelli da Bussetto. 


Proprio nelle paraste del coro di San Sisto troviamo forti legami con la cultura antiquaria di Cesariano, ma non solo! Due tarsie infatti replicano pedissequamente due incisioni di Cesariano pubblicate soltanto nel 1521 nel Commento a Vitruvio, indice di come il Cesariano stesse lavorando a quel testo di critica architettonico-filologica già negli anni piacentini e di come avesse diffuso le immagini delle xilografie già prodotte presso una ristretta cerchia di colleghi. 


Nel 1513 Cesare è di nuovo nella sua città natale: Milano. È indicato in un documento come “cittadino di Reggio Emilia”, indice che la condanna a morte era stata annullata. Quando? Perché? Non lo sappiamo. 
Inizia ora un momento tranquillo nella sua vita: gli è commissionata la ristrutturazione della chiesa di Santa Maria presso san Celso, per la quale progetta probabilmente il porticato. Realizza poi opere ingegneristiche e agrimensorie in quel di Asti e soprattutto si dedica anima e corpo al completamento del suo Commento a Vitruvio, terminato alla volta del 1520, ma senza finanziatori per la sua pubblicazione.


Miracolosamente il Cesariano trova finanziatori a Como: i nobili Aloisio Pirovano e Agostino Gallo, che fanno stampare l’opera nelle tipografie di Gottardo da Ponte. Tuttavia, una volta prese le matrici in legno delle incisioni e i diritti sul testo, i due finanziatori fedifraghi decidono di interpolarlo, di fare aggiunte e rimozioni violando in più capitoli i “diritti d’autore” di Cesariano, il quale ricorre alle vie legali. Vedendosi tuttavia negato il diritto di rivedere le bozze, Cesariano decide di rubarle, insieme alle matrici in legno per le xilografie.


Le conseguenze sono drammatiche: Cesare viene sbattuto in carcere per furto. Una volta uscito abbandonerà per sempre Como, tornando, colmo di delusione, nella sua Milano, nella quale imperterrito porta avanti il lavoro di emendazione linguistica al testo di Vitruvio, ma ormai senza più velleità di pubblicazione. 


Gli ultimi 20 anni di vita di Cesariano sono uno stanco trascinarsi tra varie commissioni architettonico-ingegneristiche; tra esse spicca sicuramente il suo coinvolgimento nella costruzione del Duomo di Milano. Alla morte del capocantiere Bernardo Zenale (Treviglio, 1458 ca. - Milano, 1526), Cesariano spera di poter prendere il suo posto: altra ambizione fallita.


Nel 1528 una vittoria di Pirro sul fronte legale: le autorità competenti riconoscono al Cesariano 1/3 dei ricavi ottenuti dalla vendita dei suoi libri “comaschi” su Vitruvio.


Cesariano muore, pressoché dimenticato, nell’Ospedale Maggiore di Milano il 30 marzo 1543.


Cosa resta di Cesariano? Un commento a Vitruvio in parte interpolato da altri, tante incisioni a corredo e frammenti pittorici tra Reggio Emilia, Parma e Piacenza.
Tanto genio e tanto talento sprecati, colpa sicuramente non solo delle circostanze sfortunate, ma anche del carattere umorale, e abbastanza folle, di questo artista. 


[Immagine: lqEs4G_ZgaKq7-sG8bn3EMu6-mbmsEPkP55lwOrM...OEHY5xVaoA]
Sacrestia della chiesa di San Giovanni Evangelista a Parma, con decorazioni nella volta di Cesare Cesariano, 1508. Seguono dettagli. 

[Immagine: 0PQfJvdlaczwDyeKfpH1P0fvBVykDjF1Y1ZG5J8M...OI_C4Ju0NM] [Immagine: 6uJj3yILZhQmm8-g5jXY-tfFWNK8eQkISV7AUlSg...CKpfouQN9Y] [Immagine: vbpZQa98TpgzM30PrQ2RoS_gjqpbN-OsUJupcTJB...Yd1kaeJJow]

[Immagine: 06-04.jpg]
Cesare Cesariano, Madonna in Trono e Santi, 1512, Piacenza, Chiesa di Sant'Eufemia

[Immagine: 800px-RAFAEL_-_Madonna_Sixtina_%28Gem%C3..._cm%29.jpg]
Raffaello, Madonna in gloria tra San Sisto e Santa Barbara alias "Madonna Sistina", 1512-14 circa, Dresda, Gemaldegalerie (già sull'altare maggiore della chiesa di San Sisto, Piacenza)

[Immagine: weGy2e.jpg]
Giovanni Pietro Pambianchi da Colorno e Bartolomeo Spinelli da Busseto, schienale del coro di San Sisto, Piacenza, 1514-1515 circa. Immagine di edificio porticato in prospettiva centrale tratto da Cesare Cesariano.

[Immagine: Cesariano_De_Architectura_VI_cavaedi.jpg]
Cesare Cesariano, Edifici porticati in prospettiva, dal "Commento a Vitruvio" edito nel 1521.

[Immagine: 7170MilanoSMariaMiracoliSCelso.JPG]
Milano, complesso ecclesiastico di Santa Maria dei Miracoli presso san Celso. 

[Immagine: vIQCsxz5iDQSlX-8mxch_GB20COrangfZXqZ07hX...xzO_Kl6APA]
Cesare Cesariano, Uomo Vitruviano, dal "Commento a Vitruvio" edito nel 1521

[Immagine: cesariano_cesare_sezione_del_dumo_di_mil...1490616473]
Cesare Cesariano, progetti per la facciata gotica del Duomo di Milano, nel "Commento a Vitruvio" edito nel 1521
 
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#11
Topic davvero interessante, una sola domanda: hai per caso fatto arte all’universitá? Ho un paio di amici che hanno fatto l’artistico
 
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#12
Grazie Gerro, sono laureato in lettere con tesi in storia dell'arte.
Scrivo attualmente nelle riviste locali (di Piacenza) che trattano di arte.
Cosa ho scritto? Ancora nulla.. usciranno delle mie cose nel bollettino storico di giugno 2021 e nella strenna piacentina di dicembre 2021.
 
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#13
Una mia amica è laureata in arte moderna e contemporanea, per qualche tempo ha lavorato anche all’hangar bicocca a Milano
 
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#14
Ah interessante  Cool
 
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#15
Puntata numero 3. Francesco Mochi (1580 - 1654): un trascurato pioniere del Barocco


Per chi vive a Piacenza Francesco Mochi è un mito dell’arte locale, per i forestieri è pressoché uno sconosciuto. Tuttavia Mochi, tra Piacenza, Orvieto e Roma, è riuscito silenziosamente ad inaugurare, senza proclami, la stagione barocca in scultura. Al pari (quasi) di Caravaggio e Rubens in pittura.


Francesco Mochi nasce a Montevarchi, vicino ad Arezzo, il 29 luglio 1580, quando ormai la Toscana non è più il centro artistico del mondo, ed Arezzo men che meno. Compie i primi studi nella capitale del Granducato nella bottega del pittore Santi di Tito (Firenze, 1536 – 1603): autore delle ultime stanche vampate manieristiche presso la corte Medicea.


Allo scoccare del nuovo secolo si sposta a Roma ed inizia a studiare scultura sotto la guida di Camillo Mariani (Vicenza, 1567 – Roma, 1611), amico dei potenti Farnese.


Grazie alla raccomandazione di Mario Farnese, il 23enne Mochi ottiene un’importante commissione per il Duomo di Orvieto: un’ Annunciazione in marmo da realizzare per l’altare maggiore.
L’opera, completata nel 1609, è un’apparizione epifanica nella scultura occidentale: Mochi è un genio e lo rivela fin da giovanissimo.
Egli si inserisce a pieno titolo nel filone naturalistico caravaggesco e riesce a farlo, caso unico, in scultura. Mochi rende infatti con estrema naturalezza lo stupore della Madonna che si alza di scatto dalla massiccia sedia, sbilanciandola, e dell’angelo che atterra, obliquo, con il camicione che gli cade sconvenientemente dalla spalla.
L’apprezzamento da parte dei fabbricieri del Duomo per il Mochi è riscontrabile nella commissione al montevarchino di altre due statue, appartenenti ad un ciclo raffigurante i dodici apostoli: il San Filippo (1610) e il San Taddeo (realizzato solo molti anni dopo).


Nel primo decennio del XVII secolo il giovane scultore continua a fare sponda tra Roma e Orvieto: nella città dei papi lavora alla cappella Paolina in Santa Maria Maggiore e nel 1610 inizia a scolpire la Santa Marta di Sant’Andrea della Valle, completata molti anni dopo, ma ricca di suggestioni caravaggesche nel suo emergere dal buio della nicchia e nella naturalità del gesto e dell’espressione del volto.


Nel 1612 la svolta: Mario Farnese gli procura un’onerosa commissione per un luogo estremamente periferico che richiede un trasferimento dello scultore: Piacenza. Suo compito realizzare due monumenti equestri. Il primo al signore di Parma e Piacenza all’epoca governante: Ranuccio I Farnese (Parma, 1569 – 1622), il secondo al di lui padre Alessandro (Roma, 1545 – Arras, 1593), le cui doti militari erano ormai entrate nel mito.


La realizzazione della prima statua è lunga e sofferta. Punto di ispirazione il Marco Aurelio romano, in cui cavallo e cavaliere hanno la stessa dignità, e sono entrambi degni di un “ritratto”. A differenza del Gattamelata di Donatello o del Colleoni di Verrocchio, nei quali l’animale non è niente di più di un basamento.
Anatomie superbe, occhi vivi, nervi ed arterie pulsanti a fior di pelle caratterizzano il cavallone di Ranuccio, che da esattamente 400 anni (dicembre 1620) svetta sulla piazza principale della città.
Nel basamento marmoreo bellissimi rilievi in stiacciato (rilievo bassissimo) donatelliano omaggiano la pittura classicheggiante, idealizzata e rassicurante, del Raffaello di un secolo prima. Ma la visione retrospettiva sembra spingersi ancora più indietro: a Donatello appunto (Firenze, 1386 – 1466), l’inventore dello stiacciato, nei cui virtuosismi il Mochi sembra voler competere.


Nel 1621 Mochi ottiene licenza per poter tornare a Roma. Rubens, tra Genova, Mantova e Roma ha da poco “inventato” il barocco trionfalistico e pomposo, Caravaggio è invece morto da 11 anni e il giovanissimo Bernini sta iniziando a stupire la corte papale coi suoi virtuosismi scultorei. Francesco si accorge un po’ in ritardo delle novità e di questo nuovo gusto che è deciso a trasportare in terra padana: nel 1622 torna a Piacenza ed entro il 1625 termina la seconda statua equestre.
L’impeto con cui il guerriero Alessandro cavalca è etereo. Trasfigura nel mito. Un semidio. Rubens si fa scultura. E non solo nella tirannica figura del cavaliere, ma anche nei putti del basamento: i fanciulli grassi rubensiani, che nel fiammingo sono puro espediente lezioso, diventano dramma in Mochi, sono infatti come dei piccoli schiavi costretti a reggere pesanti stemmi, troppo pesanti da sollevare per la loro età. I rilievi del basamento non riecheggiano più Raffaello o Donatello, ma la paesaggistica del periodo: vogliono sfidare la pittura di Rubens e Domenichino.


Il completamento del basamento si protrae fino al 1628. In quell’anno Mochi torna nella Roma monopolizzata da uno scultore iracondo, ambizioso, violento e crudele: Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 – Roma, 1680). Impossibile emergere contro di lui. Solo Francesco Borromini (Bissone, 1599 – Roma, 1667) aveva la fibra per tenergli testa, ma avrebbe poi pagato lo stress con il tracollo mentale e il violento suicidio.


Mochi di ritorno a Roma completa la Santa Marta e riceva da papa Urbano VIII la commissione della Veronica, per una delle nicchie sottostanti alla cupola di San Pietro.
Mochi, deluso dall’essere messo al margine, è molto lento nei lavori, completa la Veronica solo nel 1640: opera senza magniloquenza, è solo una donna massiccia che si è appena gettata ad asciugare il volto del Signore, il quale è rimasto impresso nel drappo.
Scolpisce poi il San Taddeo (1644) per Orvieto e uno scarnificato gruppo scultoreo col Battesimo di Cristo (1634-44), poi rifiutato, per la Cappella Falconieri in San Giovanni dei Fiorentini.


Nel 1644 si ritira dalle scene, 64enne, deluso; una pensione forzata. La sua fama era morta in concomitanza con l’abbandono di Piacenza nel 1628, città nella quale sicuramente avrebbe potuto continuare a dire la sua, seppur ai margini dall’agguerrita competitività dei grandi centri artistici.


Muore dimenticato a Roma il 6 febbraio 1654.


[Immagine: bd376f0a-5a30-4a92-a1a2-ced5a0a998aa.jpg]
F. Mochi, Angelo annunciante, 1603-05, Orvieto, Duomo

[Immagine: mochi2.jpg]
F. Mochi, Vergine annunciata, 1605-09, Orvieto, Duomo

[Immagine: mochi_francesco_503_st_martha.jpg]
F. Mochi, Santa Marta, 1610-12 (completata poi tra 1628 e 1630), Roma, Sant'Andrea della Valle

[Immagine: 1200px-Madonna_di_Loreto-Caravaggio_%28c.1604-6%29.jpg]
Caravaggio, Madonna dei Pellegrini, 1604-06, Roma, Sant'Agostino (non citata esplicitamente nel testo, serve come confronto con la Santa Marta).

[Immagine: 1323173604.jpg]
F. Mochi, Monumento equestre a Ranuccio Farnese, 1612-1620, Piacenza, Piazza dei Cavalli 

[Immagine: Gattamelata.jpg]
Donatello, Monumento a Gattamelata, 1445-1453, Padova, Piazza del Santo

[Immagine: Monumento%20equestre%20ad%20alessandro%2...pagani.JPG]
F. Mochi, Monumento equestre ad Alessandro Farnese, 1622-1625, Piacenza, Piazza dei Cavalli

[Immagine: 670f3c68c0e56f9eea642fd5000032b6.jpg]
F. Mochi, Putto reggistemma, dal basamento del Monumento equestre ad Alessandro Farnese, 1625-1628, Piacenza, Piazza dei Cavalli

[Immagine: Rubens%2C_madonna_della_vallicella.jpg]
Pieter Paul Rubens, Madonna della Vallicella, 1606-08, Roma, Santa Maria in Vallicella (opera non citata esplictamente nel testo. Utile per confrontare i putti. Leziosi in Rubens, contorti e drammatici in Mochi)

[Immagine: TFFSoJgZOfFkasOCZHnpkGNuc8_kYNlGcjb1wZHQ...9q5lQX0L5z]
F. Mochi, Costruzione di un ponte sul fiume Schelde, dal basamento del Monumento equestre ad Alessandro Farnese, 1625-1628, Piacenza, Piazza dei Cavalli

[Immagine: palazzo-doria-pamphilj-domenichino-paesa...do-big.jpg]
Domenichino (Domenico Zampieri), Paesaggio con guado, 1607 circa, Roma, Galleria Doria Pamphilj

[Immagine: 9791af1f528c3b2125bac078ddb7a678.jpg]
F. Mochi, Santa Veronica, 1629-40, Città del Vaticano, Basilica di San Pietro

[Immagine: _GRB3181.jpg]
F. Mochi, Battesimo di Cristo, 1634-44, Roma, San Giovanni dei Fiorentini
 
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[+] A 5 utenti piace il post di Giugurta
#16
Quando si potrà di nuovo andare in giro senza problemi organizzerò un tour basandomi su questi post.

Tutto interessantissimo.
 
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[+] A 1 utente piace il post di Paruzzo
#17
In tutta onestà, un artista che non avevo mai sentito nominare. Peraltro, non sono mai stato a Piacenza e di passaggio a Orvieto non ho visitato il Duomo. Oceani di ignoranza... 
Ho letto e riletto, con grande interesse, per opere che mi hanno colpito, una potenza espressiva notevolissima. La coppia dell'annunciazione mi sembra splendida, come le statue equestri, con la magnificenza del cavallo e dell'intera statua di Alessandro Farnese. 
La stessa Santa Veronica, più statica e "stanca" delle realizzazioni precedenti, mi sembra comunque opera notevole. 
Un "margine" immeritato, per la mia modesta percezione. 
(e il fugace passaggio di Caravaggio... Quadro che non avevo mai visto, ma la forza della pittura è quella, immensa.)
Grazie.
 
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[+] A 2 utenti piace il post di OldGibi
#18
Noto con piacere di aver colpito nel segno col topic

Grazie
 
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#19
Di mochi sapevo solo della statua equestre che c’e a Piacenza, è un peccato che a scuola si studiano solo gli artisti più famosi
 
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[+] A 1 utente piace il post di Gerro
#20
Neanche una pagina completata e già iniziano a saltare le immagini,
Peccato
 
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