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Gerben Karstens
#1
[Immagine: GERBEN-KARSTENS-WWW.JAAPREEDIJK.COM_.jpg]

Gerben Karstens
 
Nato a Leiden il 14 gennaio 1942, professionista dal 1965 al 1980. Questo corridore mi piaceva veramente, era il mio preferito fra i velocisti. E poi, definirlo velocista forse era riduttivo. Poteva vincere molto di più e meglio se non avesse concepito il suo ruolo con quel filo di ribellione che tanto fece arrabbiare il padre, notaio, all’atto della scelta del ciclismo. Già, perché il giovane Karstens, arrivò al pedale a quasi diciannove anni, dopo esser stato un grande pattinatore di velocità su ghiaccio (era forte come Ard Schenk e chi conosce il pattinaggio, sa a che razza di campione mi riferisco), la disciplina che voleva il genitore. Gerben lasciò le piste ghiacciate urlando ed inveendo verso il papà, ed abbracciò la bicicletta, pregandolo di non continuare ad urtarlo, pena l’abbandono della scuola. Ed il giovane Karstens si diplomò, mentre con la bicicletta che teneva sempre nel giardino di casa perché il padre la guardasse ad ogni sua uscita, si involò verso i cerchi olimpici. Infatti, dopo aver fatto razzia di traguardi e dimostrato di non essere solo veloce, ma un passista pieno di talento, ottenne la maglia “orange” per le Olimpiadi di Tokyo. Qui, assieme a Zoetemelk, Dolman e Piet, conquistò la Medaglia d'Oro nella 100 chilometri a cronometro. I quattro olandesi, sono stati per me, il più forte quartetto mai visto o di cui ho sentito gli echi.
Diventato professionista l'anno successivo, si dimostrò subito un grosso corridore. Fra la miriade di successi in Belgio e Olanda, s'impose nella Parigi-Tours e giunse secondo nel Giro di Lombardia vinto da Simpson, ma battendo il fior fiore del ciclismo italiano. Dal successo della Tours il suo palmares non s’arricchì più di classiche, almeno ufficialmente (lo vedremo dopo), ma giunse ugualmente ad una cospicua tangibilità: 101 vittorie, non una cinquantina come qualcuno ha scritto. I suoi maggiori successi furono: il Campionato d'Olanda del '66, il GP. Fourmies '68, il Giro del Waes '73 e soprattutto le tappe del Tour (6), del Giro (1, nel '73, davanti a Basso e Sercu), della Vuelta (14), del Giro della Svizzera (3) e del Giro del Belgio (1).
Contestatore, guascone, sempre pronto allo scherzo come a certe scorrettezze, anche perché sulla bici era un equilibrista incredibile, in possesso di una cultura ben poco ciclistica per i tempi del suo agonismo, sapeva incidere, volendo, sull’osservatorio. Mi son sempre chiesto perché i corridori non si sono rivolti a lui per difendere i loro interessi, poi ho scoperto che sono sempre stati dei polli e tutto mi si è chiarito. Resta il fatto che Gerben, era uno che al coltello tipico del ciclista che deve soffrire solo per arrivare, teneva in bocca anche quello della lingua. Prova ne fu la sua contestazione all’antidoping, un po’ come faceva Anquetil. “Lo sanno tutti che prendiamo anfetamine, come gli altri degli altri sport, con la differenza che da noi c’è da fare una fatica sovrumana e ci si aiuta per come si può. Basta non esagerare per la nostra stessa salute. Controllano i primi, poi se si viene beccati da quel ridicolo esame, che non contempla il fatto che si lavora, la vittoria la si concede ai secondi, che sono nelle stesse condizioni dei primi, ma hanno la fortuna di non essere controllati. Conviene arrivare secondi, dunque!” – diceva. E queste sue posizioni, che lui sapeva ben poco accettate da chi si doveva giustamente o ingiustamente coprirsi la bocca con l’ipocrisia, gli crearono non pochi problemi. Gerben Karstens, vinse infatti il Giro di Lombardia ’69 e un ’altra Parigi Tours nel ’74 (era la prima Blois Chaville), ma nella prima occasione fu trovato positivo e la vittoria andò a Jean Pierre Monserè, mentre nella seconda, non si presentò al controllo e il successo finì a Francesco Moser.
E dire che Gerben conosceva bene gli effetti delle pasticche….Già! Lui fu pizzicato, macchiato e additato, mentre quel suo compagno ed amico Henk Njidam, che un giorno, al Vigorelli (dopo un Baracchi, se non ricordo male, in coppia con Karsens), sotto l’effetto delle anfetamine, continuò a pedalare anche a gara finita (e fu proprio Gerben a doverlo fermare gettandolo a terra), è sempre stato lindo e nessuno, dopo quel fatto così chiaro, si sognò di controllarlo. Come dire: anche a quei tempi di doping per i neonati, chi era chiamato a controllare, faceva ridere come oggi…. Anzi, forse Karstens ride ancora…
 
Maurizio Ricci detto Morris
 
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#2
C'è chi ha Morris e chi ha lo zoo.

Io mi tengo Morris.
 
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#3
Bellissimo ritratto.

La figura di Karstens e la menzione di Henk Nijdam mi hanno portato alla mente un loro connazionale, come Nijdam inseguitore campione del mondo tra i puri e tra i professionisti, vale a dire Tiemen Groen.

Un ciclone a livello giovanile ma che poco più che ventenne ha lasciato le corse. Personaggio, anche per gli interessi extra ciclismo, che mi ha sempre incuriosito tantissimo.
 
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#4
Ritratto eccezionale, i complimenti non bastano mai
 
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#5
(06-10-2018, 11:01 PM)Albi Ha scritto: Bellissimo ritratto.

La figura di Karstens e la menzione di Henk Nijdam mi hanno portato alla mente un loro connazionale, come Nijdam inseguitore campione del mondo tra i puri e tra i professionisti, vale a dire Tiemen Groen.

Un ciclone a livello giovanile ma che poco più che ventenne ha lasciato le corse. Personaggio, anche per gli interessi extra ciclismo, che mi ha sempre incuriosito tantissimo.

Tiemen Groen era semplicemente stellare, un prolungamento della  bicicletta, un motore umano elevatosi quasi mezzo secolo prima dell’avvento del motorino elettrico nascosto all’interno dei profili delle ruote, per la più colossale e truffante delle pedalate assistite….. Uno dei più straordinari talenti partoriti dalla storia del pedale, decisamente troppo grande per non far impazzire di miopia i santoni-zambottini che, nell’oggi, stanno devastando il ciclismo a colpi di chetoni e d’anoressia. Troppo originale per non amare la libertà, nel senso più vero di quel dono che qualcuno ci ha dato con la vita. Ed era naturale che uno come lui si volgesse quanto prima al passato, intingendosi di viaggi per portare sui dipinti quotidiani, quei penati densi di riporti antropologici e culturali. Diventare antiquario, nonché viandante intercontinentale d’osservazione ed apogei, era per lui davvero il modo migliore per inebriarsi d’esistenza.
Sì, quell’atleta introverso, che amava la solitudine nel pedalare e che per questo staccava tutti per non dover dividere con loro curve e rettilinei, lasciò inspiegabilmente a soli 22 anni quell’alone iridato che avvolgeva il suo tratto in bicicletta. Una sola nebula grigia e per taluni inspiegabile, alle Olimpiadi di Tokyo. Il resto del suo cammino atletico, è immacolato, grandioso, incredibile. Come quella volta, su strada, non su pista nell’amato inseguimento individuale…. Ci si avviava all’autunno del 1967 e s’era a Katrendrecht, un quartiere allora fitto di case di tolleranza e locali osé, ma ugualmente pieno di appassionati in attesa di vedere quei grandi ciclisti impegnati nella locale kermesse. L’organizzazione, spartana, aveva costretto anche i campioni presenti, a cambiarsi in un bar e per rendere quella giornata indimenticabile, tanta pioggia e vento. Ma il colpo che rese quella giornata immortale lo diede Tiemen, che fece fra i professionisti, ciò che gli era quasi naturale nelle categorie minori e fra i dilettanti, ovvero andarsene solitario praticamente alla partenza, per poi arrivare al traguardo in solitudine. E lì, fra quei borghi resi infiniti dalle gesta di un atleta sontuoso, si consumò, senza soddisfazione, l’inseguimento veemente per evitare offesa, delle nobili gambe di gente come Peter Post, Evert Dolman, Jo De Roo, Bart Zoet, Huub Zilverberg, Henk Nydam e, soprattutto, del leggendario Rik Van Looy. A fine gara, fu proprio il “Sire di Herentals” ad avvicinare Tiemen Groen, per chiedergli se era davvero un terrestre! 
Un anno dopo, il grande pedalatore di Follega, seppellì i suoi 4 titoli mondiali nell’inseguimento, per abbracciare il baule di una libertà veramente nuova che dischiudeva orizzonti.

Ciao!
 
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#6
Un uomo libero.

L'aneddoto è semplicemente fantastico: certe parole da parte di Rik II valgono forse più di qualsiasi vittoria.

Grazie infinite. Ciao!
 
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