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Lo storytelling sta uccidendo il giornalismo sportivo
#1
Verità manco troppo amara.

Storyteller avete rotto i coglioni.
 
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#2
Ringraziamo Buffa e una pletora di minorati.
 
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#3
Temo che non sia neanche Buffa l'origine di tutti i mali.

Tipo 'sta gente mitizza Gianni Mura che sarà stato anche una brava persona, ma quando fu messo sul trono al Processo alla Tappa non sapeva dove sbattere la testa.
 
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#4
Ma Buffa il suo lavoro lo fa egregiamente, il problema è la pletora di emuli senza arte nè parte. Hanno capito che mettere assieme due aneddoti inventati per tratteggiare a spanne un personaggio sportivo/epoca/disciplina/gara/etc è molto facile, da qui la tragica conseguenza che il 70% del "giornalismo" sportivo va verso quella direzione. Gli storyteller vanno bene ma dovrebbero essere pochi(ssimi) e presi a piccole dosi.
 
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#5
Buffa andava bene forse quando parlava di basket.

Mo che racconta Ligabue siamo proprio all'apice del cringe.
 
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#6
Ho smesso di seguirlo da tempo non sapevo di questa svolta creativa
 
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#7
Ma siamo proprio sicuri che Buffa facesse il suo lavoro egregiamente?
Anche quando raccontava della signora che prese a calci in culo la tigre Arkan?
Anche quando ricamava sulla leggenda del Trinche Carlovich?

Qua la questione si sviluppa su almeno due piani, mi pare.
Il primo punto, che avete centrato, è quello relativo al fatto che il giornalismo sportivo ormai è sovrapposto allo storytelling, con conseguenze allarmanti (tutti parlano di fuffa e stanno alla larga dalle dinamiche tecniche degli sport, tutti quelli che si abbeverano a queste fonti manifestamente non capiscono una mazza marcia di quello che vedono, l'insieme di narratori e ascoltatori si autoconvince di saperne a pacchi e fa cascare le palle).

Il secondo punto, invece, riguarda proprio lo storytelling. Le piccole dosi di cui parla Maffucci, su cui sarei anche d'accordo, in cosa consistono?
È utile raccontare che il ciclista x andava a zappare la terra con nonno Ugo ed era così povero che un giorno ha tirato il collo al gabbiano che gli era entrato dentro casa per mangiare un po di carne, *** bestia?
È utile in un articolo?

O uno storytelling utile è lo storytelling funzionale, il racconto di una storia che sia una storia di questo sport, funzionale a costruire o ricostruire la memoria, utile per comprendere cosa eravamo, strutturato su un lavoro di ricerca che avrebbe ben altra dignità rispetto la traduzione dell'intervista fatta 4 anni prima sul media fiammingo?

Un pezzo come quello di Luca su Andy Schleck e su quel memorabile Tour de France, non è il (bel) racconto di una storia legata a una memoria che si sgretola e che va conservata, un minuscolo pamphlet sul ciclismo di più di dieci anni fa?
La vicenda sportiva deve essere oggetto di racconto e comprensione, non pretesto per il tratteggio di ritratti che paiono spesso caricature, distanti peraltro dal vero sforzo monografico.

Non è più utile raccontare il Tour di Schleck che insistere sulle sue vicende alcoliche ormai annacquate?
 
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[+] A 4 utenti piace il post di Primo della Cignala
#8
Non posso che sottoscrivere caro, aggiungendo però che, di tanto in tanto, non mi dispiace ascoltare storie di sport volutamente e consapevolmente romanzate e raccontate da chi, come Buffa, è in grado di farmi svolazzare la fantasia per una mezzora. Ora però vorrei sapere qual è la goccia che ha fatto traboccare il vaso del TirannoSaugo così posso farmi due risate.
 
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#9
Per quanto mi riguarda, ritengo il pezzo su Arroyo la mia opera migliore.

Poiché in quell'articolo non racconto una storia fine a sé stessa, ma sfrutto la storia di Arroyo per muovere una critica feroce al ciclismo contemporaneo.

Ovviamente il primo problema dello storytelling à la Bidon e derivati è che non riesce nemmeno nel tentativo di raccontare la storia di un evento sportivo. È uno storytelling senza un fulcro, basato sul mero sensazionalismo. Il fatto che Joe Formaggio, che oggi arriva 25esimo al Tour Down Under, a sedici anni fosse un tossico, mi pare interessante. Dunque calco la mano.

Ma al di fuori di quella nicchia di gente che si sega su ste cose, più rumorosi che numerosi, a nessuno frega nulla di Joe Formaggio e del suo passato da tossico.

I fatti personali di un atleta possono avere spazio in un racconto se sono funzionali allo stesso. Non puoi raccontare José Maria Jimenez senza considerare certi aspetti della sua vita. Ma migliaia di altri atleti li dovresti raccontare senza nemmeno accennare al fatto che a sei anni mangiavano gabbiani vivi. Invece gli storytellers fanno di questi dettagli inutili la base delle loro storie. Questo perché analizzare prestazioni sportive richiede fatica. Per scrivere di Arroyo ho fatto un rewatch dell'intero Giro 2010, poiché di certo non bastava la mia pur buona memoria. E ciò vuol dire che per lavorare a quell'articolo mi sono serviti diversi giorni. Ovviamente è molto più facile riportare due dichiarazioni da vecchie interviste e qualche aneddoto di quando era bambino.

Partendo da fondamenta scadenti, dunque, si viene poi a creare il putrescente castello dello storyteller.

Lo storyteller non racconta la realtà e non ha interesse a farlo, poiché non è capace di analizzarla. Lo storyteller distorce la realtà in modo da raccontare un racconto senza contesto, in cui lui è protagonista tanto quanto l'atleta oggetto della narrazione. Perché allo storyteller non interessa nulla che non sia l'apparenza. Si masturba con le sue stesse parole mentre ti racconta che a Blanka Kata Vas piace giocare a ping pong.

Il racconto dello storyteller è fatto di aneddoti fini a sé stessi, di sensazionalismo spiccio e, quando serve, di un'evidente divisione tra buoni (Messi nel calcio, Federer nel tennis, Pogacar nel ciclismo ecc...) e cattivi (CR7 nel calcio, Djokovic nel tennis, Remco nel ciclismo ecc...).

Ovviamente lo storytelling è la morte di tutto quello che, per me, dovrebbe rappresentare il giornalismo sportivo. Lo storytelling non comprende l'analisi in tutte le sue forme, lo storytelling non contestualizza, lo storytelling non prevede critica alcuna, lo storytelling non serve a nessuno se non all'autore.

Lo storyteller, chiaramente, non può né contestualizzare né analizzare un evento sportivo o la carriera di un atleta. Non ne ha i mezzi. Lo storyteller pensa che basti riempirsi la bocca di parole come "cultura sportiva" e leggere due stronzate su google per essere competente.

Ovviamente essendo questo storytelling l'unico tipo di giornalismo che affianca la mera cronaca, andremo a fondo con tutte le scarpe.

Venendo a Buffa, alla fine della fiera, ci si ricorda maggiormente di quello che dice o di come lo dice? Buffa è Buffa perché ti racconta Rasheed Wallace o per come ti racconta Rasheed Wallace (l'unica cosa che ricordo di Buffa che racconta Wallace sono gli aneddoti sulla madre Sweat ).
 
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[+] A 6 utenti piace il post di Luciano Pagliarini
#10
Ovviamente è prerogativa del giornalismo degli storyteller volere uno sport dai ritmi frenetici ricco di ribaltamenti di fronte.

Perché lo storyteller non ha i mezzi per capire cosa sta accadendo se questo non gli viene detto in modo esplicito. E non ha nemmeno i mezzi per quantificare la portata di una prestazione atletica.

E, allora, ecco che il ciclismo di Evenepoel è noioso lol

Il Mondiale di Evenepoel è brutto. Ma non è brutto per il modo scandaloso in cui hanno corso il 98% dei favoriti della vigilia, i quali hanno poi pianto per l'assenza delle radioline (dimostrando di non possedere né acume, né intuito né estro). No, è brutto per il modo in cui si è svolto.

Lo storyteller non è capace di comprendere né la portata del gesto tecnico di Evenepoel, né il suo impatto sull'ecosistema ciclistico né è in grado di formulare critiche verso un Pogacar che cincischia a metà gruppo quando era chiaro che la corsa si stava accendendo.

Lo storyteller è quello che descrive il Tour di quest'anno come il più bello del nuovo millennio. Un Tour dinamico, frizzante, ma nel quale non è mai realmente esistito il duello tra Vingegaard e Pogacar. L'incertezza era solamente frutto dello status di "nuovo Merckx" affibbiato a Pogacar. Nella realtà dei fatti Vingegaard è sempre stato intoccabile e gli scatti di Pogacar sono risultati essere tutti quanti fini a sé stessi.

Durante il Tour 2011 ci volle più tempo per raggiungere il climax. Ma in quei cinque giorni che vanno da Gap a Grenoble, i protagonisti di quella Grande Boucle hanno espresso un ciclismo di altissimo livello e la situazione è stata vibrante e incerta (per davvero) dal primo secondo della frazione di Gap agli ultimi minuti della cronometro.

Buona parte degli storyteller manco l'hanno visto il Tour 2011 e non si sforzano nemmeno per provare a contestualizzare.
 
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[+] A 3 utenti piace il post di Luciano Pagliarini
#11
Sto articolo storyteller sul ciclocross lo spacciate o devo andare alla taverna e donare due sesterzi al cantastorie
 
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#12
Devi andare a ravanare in certe pagine FB.
 
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