L'incontro. Sciandri: «Maledetti inglesi»
Maximilian Sciandri varca per l’ennesima volta in vita sua l’oceano e, dopo la burrascosa parentesi inglese, è tornato a collaborare con un quotato team professionistico made in USA, la BMC di Cadel Evans, Alessandro Ballan e del giovane talento Taylor Phinney. Per il “Gitano” di Quarrata gli States sono ormai una seconda casa, poiché i suoi familiari da anni svolgono un’attività nel settore della ristorazione in California e hanno quali clienti affezionati, tra gli altri, Robert De Niro e Mike Tyson. Una chiacchierata con il cosmopolita Max è sempre piacevole, anche perché non mancano gli argomenti da trattare, dopo il recente divorzio dalle squadre nazionali dell’Inghilterra avvenuto in modo totalmente inaspettato. Cosa c’è alla base di questa tua nuova avventura? «Soprattutto la stima che nutro verso il patron della BMC, Jim Ochowitz. Ci conosciamo dai tempi della Motorola e dopo un primo contatto avvenuto lo scorso agosto abbiamo trovato in breve tempo l’accordo».
Anche perché gli inglesi non ti hanno lasciato scelta: ti hanno dato il benservito. Come hai reagito a questa decisione?
«Sono molto amareggiato, soprattutto perché non mi è stato spiegato il motivo dell’interruzione del nostro rapporto di collaborazione. Non certo a causa della mancanza di risultati poiché il ciclismo inglese non è mai stato così competitivo ad ogni livello - tra i tanti professionisti esplosi in questi anni ricordo Mark Cavendish, Bradley Wiggins, Ben Swift, Ian Stannard e il giovane Luke Roe che presto dovrebbe debuttare con i pro del Team Sky - e nemmeno per colpa dei costi, poiché con il quartier generale a Quarrata riuscivamo a risparmiare sulle spese. Insomma, la reputo una decisione incomprensibile e che potrebbe compromettere il lavoro svolto in vista delle Olimpiadi di Londra che rappresentano il grande obiettivo per tutto il ciclismo inglese».
Un boccone davvero amaro, difficile da digerire…
«È proprio così, ho chiesto inutilmente una spiegazione ai dirigenti della Federazione Ciclistica Inglese e la vicenda ha influenzato negativamente il mio umore anche durante i primi ritiri stagionali con la BMC, non riuscivo proprio a togliermela dalla mente e anche il mio lavoro rischiava di risentirne, ma ora sono più sereno e ho ritrovato le giuste motivazioni per continuare la mia avventura nel ciclismo».
Così trasferirai la tua attenzione e la tua esperienza da Cavendish a Phinney.
«“Cav” continuerà ad abitare a Quarrata, dove si trova benissimo e il nostro rapporto di amicizia non si interrompe affatto… Altrimenti chi farebbe da guardia alla sua già ricca collezione di Vespa? Taylor è un fenomeno, un atleta con enormi potenzialità che rappresenta il futuro del ciclismo internazionale. Non esagero se lo paragono a Lance Armstrong, per me può diventare forte come il texano ma ha bisogno di tempo, ha solo 20 anni».
Quest’anno Cavendish sembra essere partito più lentamente rispetto al passato. Come si spiega?
«È una situazione voluta. Mark ha trascorso alcune settimane in California durante l’inverno e i suoi veri obiettivi arriveranno più avanti: ha il Tour de France e il mondiale di Copenaghen nel mirino».
Intanto la BMC non è soltanto Phinney
«Assolutamente no. Abbiamo la fortuna di avere un leader carismatico come Evans, con il quale sono entrato in piena sintonia dopo il trionfo alla Tirreno-Adriatico e altri atleti esperti e competitivi come Ballan e Hincapie. Ci sono anche parecchi giovani e oltre a Phinney vorrei segnalare l’australiano Tim Roe, un talento in crescita che si è messo in grande evidenza recentemente sulle strade spagnole».
Ti senti più realizzato come diesse o lo eri maggiormente da corridore?
«Sono due situazioni diverse, ma devo dire che seguire dei giovani e accompagnarli verso la consacrazione ai massimi livelli mi procura delle sensazioni uniche, forse paragonabili soltanto a quando vinsi la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Atlanta».
Ti senti italiano, inglese o americano?
«Hai detto bene, mi sento un cittadino del mondo e non rinnego la mia doppia nazionalità italo-inglese anche se queste due nazioni, a turno, mi hanno procurato delusioni brucianti: l’Italia non facendomi mai indossare la maglia azzurra e l’Inghilterra con questo voltafaccia incomprensibile».
da tuttoBICI di maggio - www.tuttobiciweb.it