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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 13 febbraio
#1
Jozef Boons (Bel)
[Immagine: 16705204201325Boons,Jos3.jpg]
Più noto col diminutivo di Jos, Boons nacque il 13 febbraio 1943 a Vorst, nella provincia di Anversa e morì il 15 dicembre 2000 a Laakdal investito da un camion mentre passeggiava. Passista.  Indipendente dal 24 giugno al 10 agosto 1965, indi professionista dall’11 agosto a tutto il 1972 con 22 vittorie in quel lasso. Questo corridore che non passava inosservato anche per il suo marcato strabismo, è uno dei pochi nella storia che hanno vinto il Titolo del Belgio su strada, sia da dilettante che da professionista. Fra gli allora chiamati “puri”, dal 1962 al 1965, vinse 32 volte, conquistò il Campionato del Belgio nel 1964, anno nel quale fu uno dei quattro belgi (gli altri furono Willy Planckaert, Walter Godefroot, ed Eddy Merckx) che parteciparono alla prova su strada delle Olimpiadi di Tokyo. Nella corsa a “5 cerchi” chiuse 38°. Corridore ardimentoso, ma non veloce come si poteva pensare vista la combattività, non passò nell’élite ciclistica all’indomani dei Giochi e da dilettante vinse nel ’65 il Giro delle Fiandre riservato alla categoria. Poi durante quella stagione, accettò il contratto professionistico propostogli dalla Mann Grundig e fece il salto, conquistando presto la vittoria a Tongerloo. L’anno seguente si determinò come spalla nella forte e squadra dalle maglie gialle e continuò a ricercare gloria personale con azioni da lontano, ma andò a segno solo una volta a Lummen. Non così nel 1967, quando colse sette successi, fra i quali la Coppa Sels e, soprattutto, quella gara che ogni belga vuole vincere: il Titolo nazionale. Partecipò poi ai Mondiali di Herleen, dove Merckx vinse il primo iride, classificandosi 9°, terzo fra i belgi. Nel 1968, sempre in Mann, vinse tre volte, due delle quali nelle cronosquadre valevoli per il Titolo belga per clubs. Idem l’anno seguente, stavolta però con l’aggiunta di tre vittorie personali. Nel 1970 passò alla Goldor cercando nel nuovo team più spazi per emergere. Invece il suo rendimento calò: solo qualche piazzamento. Lo stesso andamento anche nelle due stagioni seguenti ed a fine ’72 Jos Boons appese la bicicletta al chiodo.

Marco Cimatti
[Immagine: 15886614011325Cimatti,Marco.jpg]
Nato a Bertola di Bologna il 13 febbraio 1913 e deceduto a Bologna il 21 maggio 1982. Professionista dal 1934 al 1940, con 14 vittorie.
L'approccio allo sport ai tempi di Cimatti era tutto fondato sulla passione, sulla popolarità di una disciplina, sulla possibilità o meno che una pratica sportiva potesse collegarsi all'arrivo di qualche danaro. Marco Cimatti scelse il ciclismo perché era la disciplina che a quei tempi raccoglieva su di sé tutto ciò che poteva contare per una scelta, forse anche più del calcio odierno, e lui, ragazzo ben piazzato ed atleticamente poggiante su probabili supremi percentili, arrivò a donare al pedale una poliedricità straordinaria: sulla bici, salvo le lunghe salite, era forte dappertutto. Un vero e proprio atleta: gran passista veloce, ottimo pistard, valido ciclocrossista. Ed era fin troppo ovvio che potesse primeggiare in diverse specialità. Nel 1932, assieme al "vicino modenese" Nino Borsari, al romano Alberto Ghilardi e al lombardo Paolo Pedretti, vinse l'Oro nell'inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Los Angeles. Dei quattro, Cimatti era nettamente il più giovane. L'anno seguente, rimase fra i dilettanti, si ritirò ai Mondiali su strada di Monthlery in Francia, ma nell'anno fu 2° nel Campionato Italiano di Velocità su pista ed in quello di Ciclocross. Nel 1934 passò professionista, dimostrandosi subito protagonista, al punto di vincere, fra le altre, una corsa come il Giro dell'Emilia. Di lì continuò a vivere un certo protagonismo, a togliersi qualche bella soddisfazione come quella di vincere tre tappe al Giro d'Italia '37 e a vincere la prima frazione con conseguente maglia rosa al Giro del '38 e, perché no, ad avviare da una scalcinata bottega, una fabbrica di biciclette portanti il suo nome. Una azienda che superò la Guerra, riuscendo a crescere al punto di spingere il Cimatti imprenditore, a dare vita, dal 1948 al 1950, ad una squadra di professionisti (maglia rossoverde a scacchi). Una squadra di medio valore che però seppe lanciare e godere della militanza di bei corridori come i fratelli Zanazzi, Cecchi, Casola e Barozzi. Insomma il buon Cimatti, il ciclismo lo ha vissuto davvero in tutte le facce.
Tutte le sue vittorie. 1934: Giro dell'Emilia; Milano-Sondrio-Milano; GP Ravenna. 1935: Coppa Malatesta; GP degli Italiani all'Estero; Criterium di Milano. 1937: 7a,12a e 19a Tappa del Giro d'Italia; 4° Tappa della Parigi Nizza; GP FCI a Mantova. 1938: 1° Tappa del Giro d'Italia; 10° Tappa del Giro dei Tre Mari. 1939: Milano Modena.

Jean Igel (Lux)
[Immagine: 1606075915170IgelJean.jpg]
Nato il 13 febbraio 1919 ad Hostert (nel dipartimento di Diekirch), deceduto il 10 febbraio 1998 a
Rameldange (Luxembourg). Stradista e pistard. Professionista dal 1941 al 1943 e dal 1946 al 1951 con cinque vittorie.
Un corridore di appena discreto spessore, che seppe recitare un ruolo importante nel Granducato di Lussemburgo, nel periodo che stava fra il secondo conflitto mondiale e l’epoca d’oro del ciclismo del piccolo stato, con l’arrivo di Charly Gaul su tutti, indi Jempy Schmitz, Marcel Ezner e Lucien “Lull” Gillen. Igel era un buon pedalatore, volonteroso e con la qualità di dare sempre il massimo. I suoi risultati. 1942: 2° nel Gp di Dommeldange, 3° nel Gp di Huncherange. 1943: 2° nella 3a tappa del Tour de Luxembourg. 1945: 1° nel Campionato Nazionale su Strada, 2° nel Madison di Breslava, 3° nella Metz – Luxembourg. 1946: 1° nel Gp Bettembourg, 3° Gp Petange. 1947: 1° nel Campionato Nazionale su Strada, 1a nel Campionato Nazionale Velocità su Pista, 1a nel Campionato Nazionale Inseguimento su Pista. 1949: 2° nel Campionato Nazionale Ciclocross. 1950: 3° nel Campionato Nazionale Ciclocross, 17° nel Campionato Mondiale di Ciclocross. 1951: 2° nel Gp di Nouvel-An.

Freddy Maertens (Bel)
[Immagine: 1310913811scannen0004.jpg]
Piuttosto piccolino, anzi per le misure che oggi si vorrebbero per i velocisti o i cronoman, decisamente piccolo (1,72 x 66-67 kg). Proporzionato nel fisico e con una compattezza muscolare che nei tempi attuali distruggerebbero con lavori sul fondo in grado di mortificare le fibre bianche che possedeva a iosa, Freddy, col suo corpo da scalatore, era un winner velocistico di dimensioni stellari. Scelta di tempo, fiuto, esplosività, punte di velocità degne di un pistard, lo facevano sprinter di razza come pochi. Provò a costruire con la Flandria, fra lo scherzo e il faceto, o come semplice esperimento, quella preparazione della volata di squadra che poi è stata definita "treno", ma fu un carotaggio isolato, perché il Maertens, le volate le faceva da solo, mortificando spesso coloro che potevano avere opportunità di vittoria sull'unica variabile dello sprint. Un Saronni, per molti aspetti, con maggiori doti sul passo, al punto di vincere il GP delle Nazioni, quando questa gara valeva tranquillamente l'odierno mondiale a cronometro.
Solo i campioni con la maiuscola, nella stagione del debutto, a soli 21 anni, vincono quindici corse, fra le quali la Quattro Giorni di Dunkerque, i Gran Premi della Schelda, Jef Scherens,  la Fleche de Leeuw St Pierre, si piazzano secondi nel Giro delle Fiandre, quinti nella Parigi-Roubaix e....perdono la maglia iridata per venti centimetri. Già, quel mondiale di Barcellona '73, meriterebbe un racconto di pagine e pagine. Resta però la constatazione, senza essere quei nazionalisti che gli italiani sanno essere solo nello sport, che Maertens fece perdere l'iride a Merckx, andandolo a prendere in salita con Gimondi e Ocana staccati, mentre Eddy si prese un'immediata rivincita, giocandolo nello sprint decisivo a vantaggio di chi gli stava meglio in maglia arcobaleno: Felice Gimondi. L'evidenza lapalissiana di quel giorno però, ci dice che il più forte nella corsa mondiale, era il baby Freddy Maertens. Ed è anche vero che il campionato del mondo di Barcellona, recitò sul debole carattere di Freddy un ruolo importante, facendolo sentire più insicuro e alla completa mercé di quelle tante mezze figure che, alla lunga, contribuiranno non poco alla contrazione della sua carriera.
Ciononostante, per qualche anno, Maertens fu devastante. Nel '74 vinse 34 corse, 33 nel '75, 52 nel '76, 53 nel '77: in sostanza solo Merckx, in quel lustro, gli era stato superiore. In quella mitraglia di successi, anche il titolo mondiale, conquistato ad Ostuni nel 1976, davanti a Francesco Moser.
In salita più che la sua inadattabilità, assolutamente inesistente, fu una forma di disinteresse a fermarlo nei primi anni di carriera, ma dopo la Vuelta vinta, capì che poteva stare tranquillamente al passo dei migliori dell'epoca, anche lì. Purtroppo, la caduta al Mugello, ruppe completamente i suoi piani: era il 1977 e, dopo aver vinto alla grande la Vuelta di Spagna, prese il via al Giro d'Italia e sbalordì tutti con sette vittorie di tappa, ma arrivò la frazione del Mugello, proprio il giorno dopo la sua vittoria a Forlì. Sul celebre circuito motoristico, disputò una volata a colpi proibiti con Van Linden, la vinse, ma cadde fratturandosi il polso. Fu il colpo di grazia, la lesione non guarì più totalmente e molti attribuirono la causa di ciò, all'uso di sostanze proibite derivate dal cortisone. Il suo fragile equilibrio si incrinò. Tuttavia, nel 1978 riuscì ancora a vincere 18 corse, fra le quali l'Het Volk, la semiclassica di Harelbeke e la Coppa Agostoni, ma la sua squadra, la Flandria, venne sciolta e Freddy cominciò a correre dove e per chi gli capitava. In quel momento iniziò il suo declino agonistico, reso più grave e tangibile dalle crescenti difficoltà finanziarie e dalle pressanti richieste di arretrati da parte del fisco belga. In sostanza, si era fidato di gente con pochi scrupoli e ne pagava le spese. Nel 1979 e '80, si distinse....per i suoi ritiri, ma nel 1981, dopo esser stato ingaggiato dalla Boule d'Or, ritrovò il grande tecnico Guillaume Driessens che lo recuperò e lo portò al Tour.
Il bilancio di Freddy in quella Grande Boucle fu ottimo: cinque vittorie di tappa, la maglia verde della classifica a punti e la garanzia di poter correre i Mondiali di Praga. Qui recitò il suo canto del cigno, riconquistando la Maglia Iridata. Si trascinò ancora qualche anno per fare soldi conquistando, proprio nel suo ultimo anno, un successo in un criterium.
Freddy Maertens non è stato solo un grandissimo velocista, come qualcuno ancora sostiene, ma era fortissimo a cronometro, ed in salita, se voleva, poteva stare vicino ai migliori: quanto basta per farne un corridore in grado di vincere anche una grande corsa a tappe. Non a caso vinse una Vuelta. D'altronde, se Moser e Saronni, erano considerati completi, Maertens, aveva qualche ragione in più, almeno a livello potenziale, per esibire le stesse credenziali.
[Immagine: freddy-maertens.jpg]
Ciò che non andava in Freddy, non stava nel fisico eccellente, raro e superiore a tanti campioni che poi impreziosirono il loro palmares con raffiche di vittorie anche nelle corse a tappe, ma il suo carattere fragile, l'intontimento che lo accompagnava con la fama crescente, ed un'incapacità pressoché totale di riconoscere le persone verso le quali era giusto fidarsi. Un ragazzo, che non fu mai capace di crescere e di capire l'ambiente che lo circondava, ignaro delle distinzioni da farsi, inconsapevole dell'esigenza di dosare le parole al contatto con media che, nel Belgio del suo tempo, erano simili al calcio nostrano dell'odierno e del recente passato. Era incapace di vivere le tante rivalità insistenti nel ciclismo del suo paese, spesso incentivate dal campanilismo e dalle culture delle varie zone, con quel distacco necessario per non trovarsi schiacciato o deviato anche nei fatti di corsa. Inoltre pagava la sua esultanza tipicamente giovanile, con quel pizzico di sbruffoneria che non guasterebbe mai in linea teorica, ma pericolosa in certi contesti, quando a lato ci sono, nel suo caso, glorie storiche come Merckx e campioni in grado di aprire le porte alla leggenda come Roger De Vlaminck, o ad imprimere gli albi d'oro, potenzialmente o direttamente, come Godefroot, Van Springel, Leman, Verbeeck, Dierickx, Pintens, Walter Planckaert ecc. Aveva pochi, troppo pochi amici in gruppo, cominciando dai suoi connazionali.
La stessa brutta e significativa giornata dell'esordio mondiale, a Barcellona, sul circuito del Monjuich, nel 1973, evidenziò fino a scolpirne i prosiegui, le difficoltà d'adattabilità di Maertens. Quando Merckx attaccò in salita, scaricando Gimondi e Ocana, Freddy, per dimostrare di esserci, di avere forza, di essere un campione, andò a prendere Eddy. Non lo fece con spirito cattivo, si lasciò semplicemente andare alla sua voglia di far vedere chi era, non rendendosi conto che in quel modo rimetteva in gioco l'italiano e lo spagnolo. Poteva starsene a ruota degli altri, era il più veloce e se costoro fossero riusciti a riprendere Merckx, sarebbero comunque stati in tre a scannarsi di lavoro e fatica, favorendo il suo già letale sprint. Non si rese immediatamente conto che la sua azione, oltre a renderlo inviso al numero uno del ciclismo mondiale, lo metteva nella non facile veste di corridore inaffidabile, anche fra gli altri grandi belgi (che non aspettavano altro...). La prova di tutto questo si ebbe dopo, quando, a dimostrazione della sua considerazione verso Eddy, si rese disponibile a tirargli la volata (in fondo "il cannibale" dopo di lui era il più veloce), ma costui gliela fece pagare con gli interessi, giocandogli lo scherzetto che tutti videro. Da quel giorno, oltre a Merckx, Freddy si trovò tutti i belgi contro e se poi seppe vincere tantissimo, con ritmi da "Cannibale", fu solo perché la natura gli aveva dato qualità seconde solo a quelle di Eddy. Anche quando tornò dopo la caduta del Mugello, col polso trasformato e dolorante che gli impediva di essere quello di prima, la voglia di batterlo, magari di umiliarlo, continuò a persistere fra i fiamminghi. Anche nell’ultimo scorcio di carriera, quando era una comparsa, nonché nel primo dopo carriera, pagò una certa ostilità dell’ambiente. E solo quando toccò il fondo economicamente, qualcuno cominciò ad aiutarlo. Per lui si aprirono le porte di un impiego primario al Museo della Bicicletta nella natia Rosealere (cittadina di grande peso nella storia ciclistica belga, luogo di nascita oltre che di Freddy, giusto per citarne un paio, anche di Odile Defraye, primo vincitore fiammingo del Tour de France e di Valère Ollivier, un razziatore di traguardi anche di un certo pregio nel primo dopoguerra). Ben presto, la presenza divulgativa di Freddy, azzeccata nelle capacità sul ruolo, quanto il peso del suo curriculum, han fatto divenire per tutti la struttura museale di Rosealere, come il Museo Freddy Maertens. Gli stessi rapporti dell’ex campione, coi suoi ex avversari connazionali si sono normalizzati fino ad abbracciare, in taluni casi, vedi con Eddy Merckx, l’amicizia.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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#2
Sono sempre stato affascinato dalla storia di Freddy Maertens. Morris, dove lo posizioneresti nella storia parlando solo di talento ?

PS: ci sono andato al Museo di Roselaere e qualche mese dopo, nella folla del prologo del Giro 2019, parlai proprio con un nativo del paese fiammingo che avrà avuto una cinquantina d'anni, e fui sorpreso dal suo orgoglio di essere concittadino di Maertens e Sercù, non che connazionale di una divinità, come definì Eddy Merckx.
Si dice che in Belgio il ciclismo è religione, ma se non ti fai almeno una volta nella vita la campagna del Nord in loco non capisci appieno cosa voglia dire.

Maertens, tra l'altro, storicamente denigrato per non aver mai vinto nessuna delle cinque classiche.
 
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#3
(13-02-2023, 11:01 AM)Manuel The Volder Ha scritto: Sono sempre stato affascinato dalla storia di Freddy Maertens. Morris, dove lo posizioneresti nella storia parlando solo di talento ?

PS: ci sono andato al Museo di Roselaere e qualche mese dopo, nella folla del prologo del Giro 2019, parlai proprio con un nativo del paese fiammingo che avrà avuto una cinquantina d'anni, e fui sorpreso dal suo orgoglio di essere concittadino di Maertens e Sercù, non che connazionale di una divinità, come definì Eddy Merckx.
Si dice che in Belgio il ciclismo è religione, ma se non ti fai almeno una volta nella vita la campagna del Nord in loco non capisci appieno cosa voglia dire.

Maertens, tra l'altro, storicamente denigrato per non aver mai vinto nessuna delle cinque classiche.

Hai ragione Manuel!
Parto dalla fine. Chi definisce Monumento le cinque classiche solite e le altre le mette dietro (e non di poco), dimostra di conoscere poco la storia. Anzi dimostra di ararla, come del resto ha fatto, e fa, l’UCI col ciclismo. L’ho spiegato più volte, ma solo qui ho visto osservatori (giovani tra l’altro) che han ben capito la stupidaggine di quella definizione. Vorrei che una sensibilità del genere fosse patrimonio di famosi giornalisti su carta ed in video!
Maertens non ha vinto le Monumento? Ma le altre cosa erano? E i due Mondiali? E poi, volendo fotografare con obiettività il periodo storico nel quale ha corso Maertens e lo si analizza per bene, si scopre (acqua calda….) che è stato quello più denso di campioni da corse di un giorno (e non solo), dei 132 anni di ciclismo. Piazzarsi sul podio in quel lasso era già una vittoria.
La domanda iniziale.
Per me come talento sta nei primi 20. Poi volendo estendere il discorso a tutta la carriera, i contenuti di quanto scrissi in un thread su Cicloweb (ed i relativo calcoli), possono essere usati per sviluppare altri confronti e farsi un’idea che esce dal soggettivo per acquisire toni di oggettività su Maertens, al cospetto di altri famosi e fortissimi atleti. Il link è questo:
https://forum.cicloweb.it/viewtopic.php?t=7399
…….E poi non ci si stupisca se Maertens è stato più tangibile di un Cancellara…..Leggendo quel thread si capirà…
 
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