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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 15 maggio
#1
Pio Caimmi
[Immagine: 1263284331CAIMMIPio.jpg]
Nato il 15 maggio 1905 a Cesenatico ed ivi deceduto il 2 aprile 1968. Passista veloce. Professionista indipendente nel 1927 e professionista dal 1929 al 1934 con 7 vittorie.
Chi conosce bene la storia del ciclismo e dei suoi interpreti, definirebbe Pio Caimmi un ciclista tipo Romeo Venturelli, Raffaele Di Paco (nonostante costui abbia vinto tanto) e, per taluni aspetti, i belgi Willy Vannitsen e Fons De Wolf. Certo, con mezzi inferiori ai citati, ma comunque simile negli approcci alla disciplina e nella traduzione finale, lautamente inferiore al possibile. Una famosa affermazione del cesenaticense, lo riassume perfettamente: “Una vittoria non vale la fatica spesa per conquistarla”. Fatto sta che il “mattacchione” della riviera romagnola, scansate le fatiche mentali del dovere, era capace di battere i campioni dell’epoca con un quinto degli allenamenti e della professionalità a monte. E non certo perché era frenato dalla fame della miseria che lo costringeva ad altro. In altre parole, viveva sull’onda di quel minimo indispensabile che metteva al primo posto il divertimento e che diveniva estro perentorio, al contatto coi segni della convinzione nello sport della bicicletta, nonché calamita luminosa, soprattutto d’estate, per le belle turiste che gravitavano sulle sue spiagge. E, di lì, ore piccole, alcol, fumo, e sonno consumato dove si poteva, con tutta la parzialità del caso. Era insomma quel viveur romagnolo che tante zolle di considerazione e verità ha lasciato, ed ancora lascia, nella cultura italiana, nonostante lo spessore fattivo, lavorativo ed umano che trasuda nelle realtà dei più veri distinguo della nostra terra. Ed il ciclista Caimmi che ha fatto?
Cresciuto fra gli allievi della Renato Serra di Cesena, imparò subito a gestire la miglior convenienza del suo essere: i pochi sacrifici o allenamenti, consigliavano inconsciamente di stare coperto per quel massimo che i tempi e le strade del tempo consentivano, per poi esplodere quel “ben di dio” che la natura gli aveva dato o allo sprint o ad affondi poi definiti da finisseur. Le corse insomma lo avevano eletto subito protagonista. Nel 1924, divenuto dilettante passò alla Forti e Liberi di Forlì, non ancora forzatamente divenuta Associazione Sportiva Forlì, e l’atteggiamento di Pio Caimmi non cambiò, come del resto le risultanze nelle corse. Nel 1925 fu 2° sui 212 chilometri del Campionato Italiano che si concludeva a Milano, anticipato dal torinese Giovanni Balla, che s’avvalse al meglio della sua esperienza (aveva già 25 anni) e furbizia. Quella corsa comunque, é passata alla storia, per la morte a causa di una caduta nell’attraversamento del Parco di Monza, del giovane (19enne) Andrea De Rigo. Caimmi continuò il suo trend anche nel ’26 e l’anno seguente passò fra gli indipendenti, correndo in parte con la già famosa “Gloria” ed in parte con l’Aliprandi. Vinse quattro corse: la Coppa Turati, il Gran Criterium Sannita, la Coppa Farinacci e il Giro delle Caramiche, fu 2° nel Campionato Italiano Indipendenti a punti, 2° nella Coppa Del Grande e 3° nella Coppa Bernocchi. Ottimo quindi il suo ruolino nelle corse di un giorno, pessimo quello delle corse a tappe. Già, perché il Caimmi, partì per il Giro d’Italia, ma si ritirò molto presto, praticamente alle prime asperità. D’altronde una simile corsa, cozzava più di ogni altra, col suo essere “spirito libero”. Nel 1928 segnò per lui un passo indietro, perché la commissione tecnica dell’UVI, decise di riqualificarlo dilettante per portarlo al Mondiale di Budapest. E qui Pio s’impegnò, ma la dea bendata forse per fargli pagare tutte le sue evasioni, si mise in mezzo: il cesenaticense forò, insegui solitario e riuscì a rientrare sui primi, forò un’altra volta e nel veemente inseguimento, forse per un animale non mai definito, cadde rovinosamente, al punto d’esser costretto al ritiro. Nel 1929 passò professionista in seno all’Olympia. Fu subito 3° alla Milano Sanremo, anticipato dai singoli arrivi solitari di Binda che vinse e di Frascarelli. Poi il mattacchione cesenaticense si eclissò. Nel 1930, invece, tornato alla Gloria, fece la sua migliore stagione. Fu 2° alla Sanremo anticipato dal solo Michele Mara, ma davanti a tutti gli assi. Vinse il Giro di Toscana da autentico campione, vinse la Roma Ascoli anche qui da gran corridore e finì 4° nel Campionato Italiano. Solita nota stonata, il Giro d’Italia, con ennesimo anticipatissimo ritiro. Si mantenne nelle migliori posizioni del ciclismo italiano l’anno seguente. Vinse la Coppa delle Terre d’Alfonsine, fu 2° nel Giro della Provincia di Reggio Calabria, 5° nel GP di Torino, 6° nella Sanremo e 7° nel Campionato Italiano. Ovvio ritiro al Giro. Il 1932, invece, col passaggio in Maino, segnò l’inizio della sua ormai compiuta “cottura”, con un pieno anonimato agonistico, a cui fecero seguito quello del ’33 (l’unica notizia lo scontato ritiro al Giro) e quello definitivo del 1934. Si chiuse dunque mestamente la carriera di questo profeta del …“è meglio divertirsi”.

Gustaaf Desmet (Bel)
[Immagine: 16705346351325Desmet,Gustaaf.jpg]
Nato a Mariakerke il 14 maggio 1935. Passista veloce. Professionista dal 1957 al 1969 con 75 vittorie.
Doveva essere un crack, ma non mantenne le promesse, anche se vinse tantissimo. Un corridore elegante e di classe, che tra i dilettanti fu autore di un crescendo impressionante, capace di portarlo, nel 1956, a vincere dapprima la Gand Wevelgen e poi il Giro delle Fiandre riservati alla categoria. A fine anno, fu la punta di diamante della squadra belga su strada e del quartetto di inseguimento su pista, ma in entrambe le prove deluse. Sul tracciato di Melbourne, l'attacco dell'italiano Pambianco, che preparò quello vincente del connazionale Baldini, disintegrò la squadra belga e nella prova su pista, Desmet andò incontro ad una prestazione altrettanto incolore. Ridimensionato, passò professionista, ma le sue difficoltà di concentrazione e la scarsa determinazione lo frenarono a lungo. Solo dal 1960, già venticinquenne, iniziò a crescere nelle risultanze, guadagnandosi comunque un posto di evidenza nell'ambito del ricco ciclismo belga. Vinse parecchio, ma non conquistò mai delle classiche di primaria grandezza e nemmeno un posto nella nazionale ai mondiali.
Nel suo palmares, comunque, finirono quelle belle corse che, nel ciclismo decadente di oggi, trasformerebbero la carriera del buon Gustaaf Desmet, in quella di un campione al limite del fuoriclasse. Fra i suoi 74 successi, notevoli furono: la Coppa Sels nel '60; il Giro del Belgio Centrale nel '61; il Giro delle Ardenne Fiamminghe e il GP Denain nel '63, il Giro delle Regioni Fiamminghe e il Campionato delle Fiandre nel '64; la Quattro Giorni di Dunkerque e 4 tappe della stessa, il GP della Banca di Roeselare e il GP Rousies nel '65; la Kuurne-Bruxelles-Kuurne nel '66; il Giro delle Ardenne Fiamminghe, il GP Flandria, il GP Burst e il Campionato delle Fiandre Orientali nel '67; la Bruxelles-Bievene nel '68. Chiusa la carriera, fece fruttare gli studi e divenne insegnante di Educazione Fisica.

Gianfranco Gallon
[Immagine: 1307137926GianfrancoGallon.jpg]
Nato a Monfalcone (Trieste) il 15 maggio 1942. Alto m. 1,77 per kg. 75. Professionista dal 1967 al 1968. Non ha ottenuto vittorie.
Atleta dal fisico compatto, uno che oggi, secondo i dettami dei "teorici dell'anoressia", sarebbe da "definire obeso" per il ciclismo su strada. Ma i suoi erano tempi più umani, naturali e decisamente meno "inquinati" e lui poté farsi gran dilettante. Già, perché il difetto o la sfortuna di Gallon, fu quella di passare fra i professionisti dopo i venticinque anni, quando aveva già profuso quelle tante fatiche che oggi non esistono nel pedale degli Under e...degli stessi professionisti. Uno dei tantissimi, insomma, che ha lasciato il meglio di sé quando non si faceva leggenda. Da "puro", vinse fra le altre corse, traguardi come il Giro del Casentino nel '61, il GP Comune di Cerreto Guidi nel '63, il Giro del Belvedere nel 1964 e l'anno seguente il GP Pretola e, soprattutto il Giro di Sachsen, nell'allora DDR, dove andò a sfidare e battere i "professionisti di stato" dell'Europa dell'est. Ingaggiato dalla già prestigiosa Filotex diretta da Valdemaro Bartolozzi, passò prof nel '67, ma non si mise in evidenza ed a fine stagione fu lasciato libero. Accasatosi alla Kelvinator corse un '68 all'insegna dell'anonimato ed a fine anno decise di smettere.

Jorgen Marcussen (Den)
[Immagine: 16813075463538Marcussen76.jpg]
Nato a Hillerod, in Danimarca, il 15 maggio 1950, Jorgen è stato uno dei corridori più strani, per non dire incredibili, fra quelli che ho potuto vedere. Longevo come pochi nella storia del ciclismo, mai fortissimo, ma dotato di ottimo talento. Arrivato più che maturo al ciclismo che conta, Marcussen rappresentava uno stereotipo del corridore nordico: biondissimo, perticone sulla bici, fortissimo sul passo. La sua variabile particolare: una predisposizione verso la salita, tanto rarissima quanto eccellente. Fu proprio in una di queste sue giornate d'ispirazione verso le pendenze, a staccare il biglietto delle convinzioni necessarie per arrivare al professionismo.
Nel 1976, a 26 anni, vinse infatti da "puro" la Bologna-Raticosa, una classica della categoria dal percorso breve, ma quasi totalmente in salita. Jorgen era arrivato tardi alla convinzione che il ciclismo potesse divenire per lui un mestiere e, per provarci, aveva scelto proprio l'Italia come trampolino. Sulle ali di quel successo, passò immediatamente fra i prof con la Furzi Vibor, giusto in tempo per correre il Giro d'Italia. Qui, fu subito autore di una grande prestazione giungendo 2° nella crono di Arcore, a soli 19" da Bruyere, ma davanti a Moser e Merckx!
Il '77, corso sempre con la Vibor, fu però contraddittorio: al G.P. di Castrocaro, contro le di solito amiche lancette finì 4°, ma da lui ci si aspettava di più; concluse poi il Giro all'88° posto senza mettersi mai in luce, salvo un 4° posto nella crono di Binago, ma nel caldo orrido del G.P. Nazioni, conquistò un prestigioso podio (3°), ed impegnò allo spasimo Hinault e Zoetemelk.
A fine anno lasciò l'Italia per correre con la belga "Avia Groene Leeuw". Anche il '78 fu però contraddittorio: solo discreto nella primavera, una parte centrale da dimenticare e poi il grande acuto ai Mondiali di Adenau, sul Nurburgring, dove giunse terzo, a 20" da Knetemann e Moser.
Il piazzamento raggiunto nella gara iridata, lo riportò in Italia l'anno successivo, nelle file della Magniflex, ma la stagione di Marcussen fu grigia, salvo uno strepitoso G.P. di Castrocaro, dove fu autore di un duello sul filo dei secondi con l'olandese Roy Schuiten. Fu sconfitto per dodici secondi, un'inezia se si considera la lunghezza di quella prova.
Convintosi di non poter ambire troppo a ruoli personali, il danese accettò così di fungere da spalla a Battaglin in seno alla Inoxpran. E il 1980, finalmente, diede un segno compiuto delle sue qualità. Vinse la cronotappa di Pisa al Giro d'Italia, lasciando a bocca asciutta i superspecialisti Hinault e Knudsen. Finì poi la corsa rosa al 33° posto e per tutto l'anno fu un valido luogotenente di Battaglin.
L'anno seguente, fu un grande protagonista alla Vuelta di Spagna, vinta dal suo capitano. A lungo secondo in classifica, a soli 2" dalla maglia amarillo, grazie ad una delle sue giornate di tenuta in salita, finì poi al quarto posto la corsa. Fu poi bravissimo al Giro, quando, impegnandosi come mai aveva dimostrato di saper fare, fu decisivo nella ulteriore grande vittoria di Battaglin e, nonostante il grande lavoro, chiuse la corsa rosa al 17° posto.
Nel 1982, dopo aver dimostrato di saper fare il gregario di lusso, decise di rigiocarsi le proprie carte, accettando l'offerta della Termolan, una formazione italiana di minori ambizioni, ma fu ancora una delusione. Ormai trentatreenne, tornò in patria, diradando l'attività e correndo come isolato con piccoli sponsor personali. Si dedicò (anche qui senza successi) alle Sei Giorni, e su strada ebbe modo di distinguersi nel 1983, quando giunse 2° nel Giro di Danimarca.
Si riaffacciò al ciclismo più importante nel 1985, correndo qualche gara con la francese Peugeot. L'anno seguente, già trentaseienne, tornò incredibilmente a correre a tempo pieno in Italia, ingaggiato dalla Murella-Fanini e, fra lo stupore generale, ritrovò il miglior colpo di pedale, arrivando a vincere in solitudine il Trofeo Matteotti. Era stato capace di resistere all'altimetria e al caldo, fino ad emergere su un cast di gran rispetto. Nel 1987, in maglia Pepsi Cola, trionfò nel G.P. Sanson a Conegliano, ancora una volta giungendo solo. Finì poi secondo nel campionato danese.
Continuò a correre, sempre con la Pepsi Cola Fanini, anche nell'88 e nell'89, cogliendo ancora degli importanti piazzamenti. Notevole il 2° posto sempre al Trofeo Matteotti nel 1988. Agli albori degli anni '90, chiuse finalmente il suo lungo rapporto col ciclismo pedalato, divenendo direttore sportivo e Manager.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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