16-03-2023, 08:29 AM
Carlo Chiappano
Nato a Varzi (PV) il 16.03.1941. Passista scalatore, alto m. 1,81 per kg. 73. Deceduto a Casei Gerola il 7 luglio 1982. Professionista dal 1963 al 1972 con 3 vittorie.
Una figura che il ciclismo ricorda quasi con gli aloni del mito, per i contenuti che Carlo ha trasmesso a questo sport nei vari ruoli che lo han visto protagonista e per quella tragica morte, sopraggiunta a 41 anni, causa un incidente stradale. Chiappano stava diventando un "Pezzi", forse, alla lunga, un "Guillaume Driessens", in altre parole un tecnico-nocchiero che l'osservatorio stava imparando a trattare e menzionare come un campione sui pedali.
Anch'egli era stato qualcuno sulla bicicletta, anzi un corridore assai più forte di quanto non dica il curriculum. Dopo 49 affermazioni fra le categorie minori, era passato prof con la Legnano dell'Avvocatt Pavesi e, successivamente, aveva indossato altre prestigiose maglie: quelle della Sanson, della Salvarani, ancora della Sanson, della Molteni e della Scic. Gregario di stampo antico, era un uomo squadra, forte come un capitano ed umile e disponibile come il più peculiare delle spalle e degli "acquaioli". Da prof, aveva vinto la tappa di Villars del Giro della Svizzera '66, la Tirreno-Adriatico del '69 e la tappa di Campitello Matese al Giro d'Italia sempre nel '69. Si era piazzato in gare importanti, ma era stato il modo col quale aveva servito e consigliato i suoi capitani, a renderlo un faro del gruppo. Fu importante nel successo di Dancelli nella Milano Sanremo del '70, nelle Nazionali azzurre ai Tour del '67 e '68. Indossò pure la maglia rosa nella tappa di l'Aquila del Giro d'Italia '65. Poi, da direttore sportivo, mansione che intraprese nel '73, immediatamente dopo aver riposto la bicicletta al chiodo, ebbe il merito di guidare nella Scic, Paolini e Gibì Baronchelli, prima di scoprire e lanciare Giuseppe Saronni, il suo grande pupillo. Chiappano, morì due mesi prima del trionfo iridato di Beppe a Goodwood.
Arturo Neri
Nato a Burzanella di Carugnano (BO) il 16 marzo 1935, deceduto a Prato, il 7 febbraio 2003. Passista scalatore. Professionista dal 1959 al 1961 senza ottenere vittorie.
Un dilettante che rispondeva sempre presente quando le corse erano più dure del già duro valore medio dei suoi tempi. Vinceva poco, ma lui era lì e questo dato piaceva ad Alfredo Sivocci, uomo che da valente corridore, pedalò quasi sempre in Legnano e che destinò tutto il suo "dopo ciclistico" all'Atala. Bene, per Sivocci, nocchiero grigioblu, quel peperino dall'accento toscano anche se nato in un comune del bolognese, con la faccia sempre sorridente di nome Arturo e di cognome Neri, era l'ideale per fungere da particolare spalla ai suoi uomini di punta, e, nel 1959, lo fece esordire fra i professionisti. La risposta di Arturo, da subito, fu proprio sincronica agli intendimenti di Sivocci. Nella Abetone-Arezzo, quarta tappa del Giro d'Italia 1959, con Gaul in rosa, poco prima del colle della Consuma, fuggirono in quattro: Nencini della Carpano, voglioso di rientrare in classifica, Cestari ed il "nostro" Neri dell'Atala e Pellegrini dell'Emi, compagno di squadra dell'Angelo della Montagna. I quattro andarono all'arrivo con oltre 3 minuti di vantaggio e Neri si fece un mazzo incredibile per aiutare Cestari a vincere la frazione, ma il Pellegrini già molto veloce di suo e sempre a ruota per il fatto d'essere compagno della maglia rosa, vinse facile sul corridore dell'Atala. Neri, esausto, chiuse 4°. Quasi due settimane dopo nella frazione Genova-Torino, altra fuga riuscita di quattro uomini e, di nuovo, due Atala in avanscoperta: Vito Favero (2° al Tour de France dell'anno prima) e Arturo Neri. Le altre due "lepri", Fallarini e Gismondi, pur non fermi allo sprint, poco poterono coi due corridori di Sivocci. Vinse Favero, con Neri 2°. A fine Giro d'Italia, Arturo sarà 36°. L'ormai divenuto pratese e non solo per la parlata toscana, finì poi 12° nella Coppa Sabatini e chiuse 18° sia la Milano Torino, che il Tour di Romandia. Insomma, un anno dove Sivocci fu davvero contento di lui. Nel 1960 però, complici anche dei malanni fisici, il rendimento di Neri calò, nonostante un gran bel Romandia, dove chiuse 22°, dopo aver colto il 4° posto nella tappa di Morges. Al Giro d'Italia si ritirò, ed a fine stagione fu lasciato libero dall'Atala. Neri, cercò di rimanere nel grande ciclismo, correndo il 1961 da isolato, ma non raccolse quel che sperava e chiuse con l'agonismo.
Pascal Richard (Sui)
Con Pascal Richard di Vevey, classe 1964, incontriamo una storia particolare. Nato per cercare nella tradizione svizzera del cross, il suo posto nel ciclismo, s'è trovato pian piano nelle condizioni di eleggersi campione. La conquista, nel 1988, a 24 anni, della maglia iridata nel ciclocross, dopo due stagioni passate fra i professionisti, svegliarono in lui considerazioni e convinzioni che parevano impensabili solo qualche anni prima. E così, Richard, dal fango e dal freddo del fuoristrada, provò con tutte le sue forze, ad emergere anche dove l'asfalto risultava infinito. Già nel 1999, gli riuscirono un paio d'acuti di peso: la conquista del titolo svizzero su strada, ed una tappa niente popò di meno che al Tour de France. Era divenuto un corridore sul serio e non uno "stagiaire". Nel 1990 si confermò, con la conquista della Tre Valli Varesine e, l'anno successivo, in un periodo molto vicino a quella del cross, vinse il Trofeo Laigueglia ed una tappa della Tirreno Adriatico. Successi che davano tangibilità, ma non ancora quella notorietà che sentiva sempre più possibile. L'esplosione nel 1993, dove, nella dozzina di successi conquistati, inserì quelli che non puoi mai dimenticare, come il Giro di Lombardia. Ma la sua stagione annoverò pure il Giro del Lazio, il Trofeo dello Scalatore, il Giro di Romandia, quello di Romagna, una tappa al Giro di Svizzera e diverse altre di manifestazioni contenute in una settimana. Per darsi la soddisfazione di una maglia da tenere tutto l'anno, riconquistò il titolo elvetico. Anche nel 1994 dodici successi, tra i quali il Giro di Svizzera ed una frazione dello stesso, nonché una tappa del Giro d'Italia, arricchita dalla conquista della classifica del G.P.M. Sei successi nel '95, fra i quali due tappe della "corsa rosa" e nuovamente il Giro del Lazio. Di grande qualità la sua stagione '96, che s'aprì con la conquista della sua seconda classica (erroneamente definita) monumento, la Liegi Bastone Liegi; proseguì con la conquista di una tappa al Giro, indi incontrò l'Oro alle Olimpiade di Atlanta, le prime aperte ai professionisti. Divenuto per questo successo un riferimento in patria, festeggiò il nuovo ruolo, conquistando una tappa al Tour. Il 1997, un po' per l'arrivo di problemi fisici, un po' per i segni dell'età non più verdissima, lo passò all'asciutto. Tornò al successo l'anno seguente in una tappa del Giro del Trentino, mentre nel 1999 conquistò tre vittorie, l'ultima delle quali, una tappa del Giro di Svizzera, fu anche l'ultima di carriera. Corse pure nel 2000, ma non vinse nulla ed a fine stagione, a quasi trentasette anni, appese la bicicletta al chiodo.
Gustaaf Van Belle
Nato il 16 marzo 1912 a Lovendegem, deceduto a Gent il 25 agosto 1954. Professionista nel 1937 come individuale, senza conseguire vittorie nella massima categoria.
Di umili origini, ancor prima di ogni velleità nel ciclismo, fu costretto a scegliere la terra, prima come bracciante e, poi, successivamente, divenne muratore. L'impresa nella Gand-Wevelgem 1934, pur in un corredo di gara riservato ai dilettanti, è rimasta isolata, in quanto la sua presenza fra i professionisti si consumò, parzialmente, nel solo 1937. Contrariamente a diversi di coloro che, in quel 9 settembre 1934, seppe superbamente superare.
Maurizio Ricci detto Morris
Nato a Varzi (PV) il 16.03.1941. Passista scalatore, alto m. 1,81 per kg. 73. Deceduto a Casei Gerola il 7 luglio 1982. Professionista dal 1963 al 1972 con 3 vittorie.
Una figura che il ciclismo ricorda quasi con gli aloni del mito, per i contenuti che Carlo ha trasmesso a questo sport nei vari ruoli che lo han visto protagonista e per quella tragica morte, sopraggiunta a 41 anni, causa un incidente stradale. Chiappano stava diventando un "Pezzi", forse, alla lunga, un "Guillaume Driessens", in altre parole un tecnico-nocchiero che l'osservatorio stava imparando a trattare e menzionare come un campione sui pedali.
Anch'egli era stato qualcuno sulla bicicletta, anzi un corridore assai più forte di quanto non dica il curriculum. Dopo 49 affermazioni fra le categorie minori, era passato prof con la Legnano dell'Avvocatt Pavesi e, successivamente, aveva indossato altre prestigiose maglie: quelle della Sanson, della Salvarani, ancora della Sanson, della Molteni e della Scic. Gregario di stampo antico, era un uomo squadra, forte come un capitano ed umile e disponibile come il più peculiare delle spalle e degli "acquaioli". Da prof, aveva vinto la tappa di Villars del Giro della Svizzera '66, la Tirreno-Adriatico del '69 e la tappa di Campitello Matese al Giro d'Italia sempre nel '69. Si era piazzato in gare importanti, ma era stato il modo col quale aveva servito e consigliato i suoi capitani, a renderlo un faro del gruppo. Fu importante nel successo di Dancelli nella Milano Sanremo del '70, nelle Nazionali azzurre ai Tour del '67 e '68. Indossò pure la maglia rosa nella tappa di l'Aquila del Giro d'Italia '65. Poi, da direttore sportivo, mansione che intraprese nel '73, immediatamente dopo aver riposto la bicicletta al chiodo, ebbe il merito di guidare nella Scic, Paolini e Gibì Baronchelli, prima di scoprire e lanciare Giuseppe Saronni, il suo grande pupillo. Chiappano, morì due mesi prima del trionfo iridato di Beppe a Goodwood.
Arturo Neri
Nato a Burzanella di Carugnano (BO) il 16 marzo 1935, deceduto a Prato, il 7 febbraio 2003. Passista scalatore. Professionista dal 1959 al 1961 senza ottenere vittorie.
Un dilettante che rispondeva sempre presente quando le corse erano più dure del già duro valore medio dei suoi tempi. Vinceva poco, ma lui era lì e questo dato piaceva ad Alfredo Sivocci, uomo che da valente corridore, pedalò quasi sempre in Legnano e che destinò tutto il suo "dopo ciclistico" all'Atala. Bene, per Sivocci, nocchiero grigioblu, quel peperino dall'accento toscano anche se nato in un comune del bolognese, con la faccia sempre sorridente di nome Arturo e di cognome Neri, era l'ideale per fungere da particolare spalla ai suoi uomini di punta, e, nel 1959, lo fece esordire fra i professionisti. La risposta di Arturo, da subito, fu proprio sincronica agli intendimenti di Sivocci. Nella Abetone-Arezzo, quarta tappa del Giro d'Italia 1959, con Gaul in rosa, poco prima del colle della Consuma, fuggirono in quattro: Nencini della Carpano, voglioso di rientrare in classifica, Cestari ed il "nostro" Neri dell'Atala e Pellegrini dell'Emi, compagno di squadra dell'Angelo della Montagna. I quattro andarono all'arrivo con oltre 3 minuti di vantaggio e Neri si fece un mazzo incredibile per aiutare Cestari a vincere la frazione, ma il Pellegrini già molto veloce di suo e sempre a ruota per il fatto d'essere compagno della maglia rosa, vinse facile sul corridore dell'Atala. Neri, esausto, chiuse 4°. Quasi due settimane dopo nella frazione Genova-Torino, altra fuga riuscita di quattro uomini e, di nuovo, due Atala in avanscoperta: Vito Favero (2° al Tour de France dell'anno prima) e Arturo Neri. Le altre due "lepri", Fallarini e Gismondi, pur non fermi allo sprint, poco poterono coi due corridori di Sivocci. Vinse Favero, con Neri 2°. A fine Giro d'Italia, Arturo sarà 36°. L'ormai divenuto pratese e non solo per la parlata toscana, finì poi 12° nella Coppa Sabatini e chiuse 18° sia la Milano Torino, che il Tour di Romandia. Insomma, un anno dove Sivocci fu davvero contento di lui. Nel 1960 però, complici anche dei malanni fisici, il rendimento di Neri calò, nonostante un gran bel Romandia, dove chiuse 22°, dopo aver colto il 4° posto nella tappa di Morges. Al Giro d'Italia si ritirò, ed a fine stagione fu lasciato libero dall'Atala. Neri, cercò di rimanere nel grande ciclismo, correndo il 1961 da isolato, ma non raccolse quel che sperava e chiuse con l'agonismo.
Pascal Richard (Sui)
Con Pascal Richard di Vevey, classe 1964, incontriamo una storia particolare. Nato per cercare nella tradizione svizzera del cross, il suo posto nel ciclismo, s'è trovato pian piano nelle condizioni di eleggersi campione. La conquista, nel 1988, a 24 anni, della maglia iridata nel ciclocross, dopo due stagioni passate fra i professionisti, svegliarono in lui considerazioni e convinzioni che parevano impensabili solo qualche anni prima. E così, Richard, dal fango e dal freddo del fuoristrada, provò con tutte le sue forze, ad emergere anche dove l'asfalto risultava infinito. Già nel 1999, gli riuscirono un paio d'acuti di peso: la conquista del titolo svizzero su strada, ed una tappa niente popò di meno che al Tour de France. Era divenuto un corridore sul serio e non uno "stagiaire". Nel 1990 si confermò, con la conquista della Tre Valli Varesine e, l'anno successivo, in un periodo molto vicino a quella del cross, vinse il Trofeo Laigueglia ed una tappa della Tirreno Adriatico. Successi che davano tangibilità, ma non ancora quella notorietà che sentiva sempre più possibile. L'esplosione nel 1993, dove, nella dozzina di successi conquistati, inserì quelli che non puoi mai dimenticare, come il Giro di Lombardia. Ma la sua stagione annoverò pure il Giro del Lazio, il Trofeo dello Scalatore, il Giro di Romandia, quello di Romagna, una tappa al Giro di Svizzera e diverse altre di manifestazioni contenute in una settimana. Per darsi la soddisfazione di una maglia da tenere tutto l'anno, riconquistò il titolo elvetico. Anche nel 1994 dodici successi, tra i quali il Giro di Svizzera ed una frazione dello stesso, nonché una tappa del Giro d'Italia, arricchita dalla conquista della classifica del G.P.M. Sei successi nel '95, fra i quali due tappe della "corsa rosa" e nuovamente il Giro del Lazio. Di grande qualità la sua stagione '96, che s'aprì con la conquista della sua seconda classica (erroneamente definita) monumento, la Liegi Bastone Liegi; proseguì con la conquista di una tappa al Giro, indi incontrò l'Oro alle Olimpiade di Atlanta, le prime aperte ai professionisti. Divenuto per questo successo un riferimento in patria, festeggiò il nuovo ruolo, conquistando una tappa al Tour. Il 1997, un po' per l'arrivo di problemi fisici, un po' per i segni dell'età non più verdissima, lo passò all'asciutto. Tornò al successo l'anno seguente in una tappa del Giro del Trentino, mentre nel 1999 conquistò tre vittorie, l'ultima delle quali, una tappa del Giro di Svizzera, fu anche l'ultima di carriera. Corse pure nel 2000, ma non vinse nulla ed a fine stagione, a quasi trentasette anni, appese la bicicletta al chiodo.
Gustaaf Van Belle
Nato il 16 marzo 1912 a Lovendegem, deceduto a Gent il 25 agosto 1954. Professionista nel 1937 come individuale, senza conseguire vittorie nella massima categoria.
Di umili origini, ancor prima di ogni velleità nel ciclismo, fu costretto a scegliere la terra, prima come bracciante e, poi, successivamente, divenne muratore. L'impresa nella Gand-Wevelgem 1934, pur in un corredo di gara riservato ai dilettanti, è rimasta isolata, in quanto la sua presenza fra i professionisti si consumò, parzialmente, nel solo 1937. Contrariamente a diversi di coloro che, in quel 9 settembre 1934, seppe superbamente superare.
Maurizio Ricci detto Morris