13-03-2024, 02:00 PM
Da un libro che scrissi nel 2010........ e dove ho cercato, decisamente troppo, di essere dolce di fronte ad una corsa lontana dai suoi fasti. O meglio, corsa che sta nelle orbite del "grande ciclismo", grazie alla sponsorizzazione degli "strilloni" su carta e video.....
….Dall’intensa città
scendendo fino ad incontrare
l’insieme dei benevoli sali
padroni invisibili dell’aria di mare.
E proseguire con le onde vicine
verso il profumato incanto
di tanti Mercurio
che t’annuncian primavera.
È lo spazio d’una fatica
che assorbe il fascino
contro ogni aspro dettame
sempre.
Morris
MILANO - SANREMO
Spruzzi di Storia e di Protagonisti di quella che fu la Classicissima
Introduzione
“Ha vinto Daems. Anzi ha stravinto, li ha proprio stroncati tutti.” Con queste parole che sono di mio fratello Lorenzo, il corridore di famiglia, la Milano-Sanremo, entrò compiutamente nell’attento bambino sottoscritto. Era il 19 marzo 1962.
Ho scritto ovunque di quanto il ciclismo sia nato in me fin da piccino e non trovo superfluo ribadirlo in ogni occasione, perché è un modo di presentare, fotogramma su fotogramma, un rapporto che alla fine sa essere qualcosa di più.
La “Classicissima di primavera”, ovvero la definizione che spesso accompagna questa corsa anche e soprattutto ai tempi della mia fanciullezza, fu la prima delle grandi classiche di un giorno a farsi conoscere al mio osservatorio, era stata preceduta solo dal Giro d’Italia e dal Tour de France, nonché dalla prova a cronometro, il Trofeo Tendicollo Universal di Forlì, che ha contraddistinto le mie zone e che fu per il sottoscritto la palestra di indelebile saldatura verso lo sport del pedale.
Questo volume non sarà solo il primo dei due che compongono la Storia della Milano Sanremo, ma rappresenterà l’apertura di una collana-viaggio sulle classiche del ciclismo, perlomeno su quelle che trovo oggettivamente più importanti, per quel condensato che tradizione e realtà hanno eletto tali e che, magari, potranno non trovare sulle medesime coordinate taluni.
Saranno storie che definisco essenziali, senza la pretesa di essere organiche, ma tutte più meno incentrate sulle evoluzioni dei percorsi, sul riferimento che recitavano relativamente ad ogni annata; su quei protagonisti corridori che sono sempre, checché ne dica qualche organizzatore, la parte più cospicua di ogni proposta, nonché quegli ordini d’arrivo che, se si vuol essere fedeli al tratto storico delle singole corse, vanno presentati nella loro interezza. Tra l’altro, su quest’ultimo aspetto, i lettori più disponibili alla ricerca, tro-veranno delle sorprese non indifferenti.
La Milano Sanremo dunque, una corsa che ha vissuto fasti altissimi, che divide con la Parigi-Roubaix e il Giro delle Fiandre, il podio più alto della popolarità, al netto delle diversità e delle specializzazioni che hanno progressivamente avvolto e minato il ciclismo. Una corsa dall’itinerario magnifico, un tempo bellissima non solo per questo, ma pure per i suoi tratti agonistici. Oggi, certamente la più cerebrale per quel gioco di attimi che sono il filo conduttore delle prove veloci. Sicuramente colei che più di ogni altra, esprime il sunto dei cambiamenti intervenuti su questo sport: senza stravolgenti modificazioni di percorso, è passata da prova di fatica eccelsa, che vedeva l’arrivo di Sanremo come un’impresa comunque, a meta possibile a tutti e dove i 300 chilometri del tracciato rappresentano l’aspetto tecnico nettamente meno influente. In altre parole, una corsa che è riuscita nell’impresa di non perdere fascino pur cambiando l’indirizzo dei propri aloni, costringendo,di conseguenza, l’osservatorio a riflettere non poco su questa anomalia.
Una prova che vive moderna uno spaccato di storia, non solo sul proprio sé, ma per le varie diramazioni che ha mosso e che sono arrivate ad incidere sulla cultura, sul costume e sullo stesso stile di chi si pone fraterno al pedale. Abbastanza per impegnare il narratore, a non fare di ciò che segue, una mera rappresentazione di dati.
Maurizio Ricci (Morris)
Una moderna Classicissima Centenaria.
La Milano Sanremo nacque nel 1907, come vedremo, fra le titubanze del direttore della Gazzetta dello Sport Camillo Costamagna e la non certo cospicua convinzione di chi, inizialmente, lavorò alla posa in opera della prova. Ad oltre un secolo di distanza però, la creatura che vide accanto al determinante Armando Cougnet, le maggiori volontà dell’ispiratore Tullo Morgagni e, successivamente, il peculiare contributo di Augusto Carlo Rossini, a dispetto dei mutamenti enormi incorsi nello sport di riferimento, è ancora perfettamente collocata su quel top internazionale che seppe raggiungere da subito. In altre parole, è sempre una corsa che tutti i corridori vorrebbero nel proprio palmares, nonostante le modificazioni che ne hanno deviato l’apogeo di riferimento, ovvero da prova per uomini di fondo ed eccelsi su ogni terreno, a gara per ruote veloci o, come tutte ad onor del vero, adatta a chi possiede le rare stimmate del finisseur. Sicuramente gli ispiratori che concepirono ed organizzarono per la prima volta la Milano-Sanremo, non avreb-bero mai immaginato che la loro sempre più perfetta macchina organizzativa, potesse arrivare al nuovo millennio con intatto fascino.
Il ciclismo italiano all’alba del 1907.
Il movimento del pedale d’inizio secolo poggiava internazionalmente sulle attività all’interno dei tondini, come venivano chiamati i velodromi del tempo, ma nel breve volgere di un lustro, le manifestazioni su strada avevano saputo, in taluni paesi come Francia e Belgio, raggiungere e superare l’alone del ciclismo su pista sulle attenzioni popolari, fino a determinare le basi per l’elevazione di vere e proprie classiche. La Francia in particolare, era già “moderna”, con tre corse da considerarsi degli autentici fari mondiali, come Parigi-Roubaix, Parigi-Tours e Bordeaux-Parigi, attorno alle quali ruotavano molte gare minori, ma di spessore e continuità tali, da farne riferimento e, soprattutto, fungere da vero e proprio calendario. La nascita del Tour de France nel 1903, aveva proiettato il ciclismo a dominatore delle strade.
In Italia invece, lo spontaneismo pure molto forte, non aveva sempre trovato i sostegni necessari per creare, sulle “macchine spinte a motore umano” a portata di tanti, la spinta che ne creava continuità. In altre parole, s’era in ritardo in maniera tangibile rispetto alla Francia, ed anche nei confronti del Belgio, che pure aveva sopperito con la quantità l’ancor non avvenuta cementazione di gare riferimento. La fotografia del nostro movimento, dunque, viveva di punti isolati e di poche certezze.
E dire che l’avventura era iniziata molto presto, fra i primissimi in tutto a livello mondiale, nel 1870, con la Firenze Pistoia. Gli echi di quella genesi di ciclismo nella penisola - fatti di 23 concorrenti su bicicli aventi una ruota anteriore di 75 centimetri di diametro e di una posteriore di 50, della loro fatica, nonostante la media di soli 13 chilometri sui 33 del percorso e di quella polvere che sollevavano, della vittoria di uno straniero venuto dagli Stati Uniti, ma di origine olandese, tal Rynner Van Heste, s’erano nuovamente concentrati in una risposta, solo nel 1876, con la Milano Torino. Ma pure la corsa fra le due grandi città non era decollata come si sperava, ed a parte le edizioni del 1894, 1896, 1903 e 1905, all’alba del 1907 sembrava definitiva-mente tramontata. I perni sui quali gravitava il movimento dell’evoluta bicicletta su strada di quei giorni erano: la Coppa del Re, nata nel 1897 e fin lì corsa tutti gli anni ad esclusione del 1900 (chiuderà il suo ciclo nel 1909); la “Corsa Nazionale”, partita nel 1902 e corsa ininterrottamente (fino al 1908) e la “XX Settembre, poi negli anni conosciuta col nome di Roma-Napoli-Roma (che arriverà a chiudere il proprio itinerario nel 1961).
A quelle “certezze”, erano giunte a dar manforte, con significativi successi, nel 1905, il Giro di Lombardia, organizzato proprio da “La Gazzetta dello Sport”, che diventerà negli anni la superclassica che tutti conoscono e, nel 1906, il Giro del Piemonte (che si corre ancora oggi), nonché la Milano-Modena (che chiuderà nel 1955), la Milano-Mantova (che giungerà fino al 1962) e quel Campionato Nazionale che, dopo essere stato lanciato nel 1885, si era subito arenato, fino a riprendere il suo ruolo, appunto, nel 1906. Un panorama non vasto, che aveva visto diverse meteore in auge un solo anno, di cui meritano citazioni le più importanti, ovvero: Legnano-Gravellona-Legnano (1905), Milano-Domodossola-Milano (1906), Milano-Erba-Lecco-Milano (1906), Brescia-Milano-Pollanza (1906), Milano-Alessandria-Milano (1906), Milano-Giovi-Milano (1906), Novi-Milano-Novi (1906), Milano-Verona (1906) Milano-Pontedecimo (1906).
Tutte corse gravitanti su Milano e la Lombardia, ma pure alcune che scendevano verso la riviera ligure. E furono proprio le “fresche” ceneri di questi “quadri unici”, uniti ad altri interessi che portavano direttamente verso il mare ed i fiori della Liguria, a spingere ulteriormente verso la nascita della Milano Sanremo, la futura “Classicissima di Primavera”.
I giornali organizzatori e sostenitori del pedale.
Nel 1906, l’impulso verso lo sport che poteva vivere su uno spirito olimpico, nato e cementatosi attraverso ben tre Olimpiadi già svolte, trovò nelle testate giornalistiche, non solo sportive, un riferimento preciso per giungere all’elevazione dei propri scopi. Di converso, la rivoluzione tecnologica che produceva altre occasioni per fare sport, donava, al mondo della comunicazione, allora quasi esclusivo patrimonio dei giornali, l’occasione per porsi nelle condizioni migliori al fine di lanciare taluni “frutti” della suddetta rivoluzione, fino ad aggiungere all’anima narratrice e alla cronaca, una sempre più fitta rete di rapporti col mondo economico.
In altre parole, si stavano creando copiosi spazi alla pubblicità diretta dei prodotti, oltre che dare temi di interesse di massa tali, da aumentare maggiormente le entità delle copie vendute. Lo sport ed i suoi eventi, dunque, rappresentavano un volano in rapida crescita, sul quale l’intervento organizzativo, in appoggio ed in simbiosi alle ancora poco diffuse e precarie società sportive, diveniva un fattore importante per la stessa sopravvivenza delle testate. Discipline come l’automobilismo, il motociclismo e il ciclismo, poi, avendo alla loro base un mezzo, stimolavano ancor più delle altre il rapporto ed il coinvolgimento col mondo imprenditoriale dei rispettivi settori, così fortemente intinti dell’esigenza di coinvolgere il più possibile le masse.
Per lo sport più in generale comunque, l’entrata in scena di questi partners, costituiva un passo peculiare, perché la crescita sportiva italiana, doveva necessariamente passare su organizzazioni adeguate e territorialmente presenti, spinte da volontà precise di propaganda, proselitismo e programmi che non si limitassero a dare qualche risposta allo spontaneismo.
Intanto, all’interno dei giornali, non tutti i redattori vivevano questo coinvolgimento con la medesima convinzione, ed in questo quadro, emergevano figure più peculiari e propulsive. Nella giovane Gazzetta dello Sport, che era na-ta nel 1896 e che, nel 1899, aveva scelto di proporsi sulla distinguibilissima carta rosa, i protagonisti della svolta verso il mondo sportivo, rispondevano ai nomi di Armando Cougnet, giornalista amministratore con un incredibile amore verso il ciclismo e Tullo Morgagni, redattore capo, nonché progenitore di una fitta tela di rapporti con l’orizzonte dello sport. Grazie a loro lo stes-so ambiente dei costruttori delle “macchine a pedali”, come venivano definite allora le biciclette, non rimase insensibile, anche perché il giornale, sul quale il direttore Eugenio Camillo Costamagna raccoglieva al meglio le idee della redazione, sapeva coprire i periodi di lontananza dagli avvenimenti agonistici, con una serie di approfondimenti sul mezzo e le specifiche peculiarità, da rendere i “fogli rosa”, una palestra per lo stesso lancio commerciale dello strumento.
All’alba del 1907, dunque, dopo gli esaltanti successi riscossi dalla Gazzetta dello Sport, con la proposta e l’organizzazione delle prime due edizioni del Giro di Lombardia, la testata, pur non essendo la più importante e diffusa nemmeno a livello sportivo, era comunque divenuta, un sicuro riferimento del mondo del pedale.
La nascita della Milano Sanremo.
Il fatto progenitore della Milano Sanremo non partì dalle macchine spinte a motore umano, ma da quelle a motore. A metà della prima decade del ‘900, si era all’alba dello sviluppo industriale automobilistico. La realtà mostrava già una discreta consistenza, in termini di proposta e ricerca, per le vetture di grossa cilindrata, molte delle quali venivano definite turistiche. C’erano poi quelle che venivano dichiarate “da corsa” e correvano realmente, visto che esisteva già un calendario di gare.
Le auto di piccola cilindrata per lo più costruite da ditte minori, destinate alle fasce meno abbienti, ma comunque già con un certo tenore economico, andavano lanciate. Erano le cosiddette “utilitarie” sulle quali ogni passo di propaganda era ben accetto, anzi lo si favoriva. E fu proprio in questa direzione che “La Gazzetta dello Sport”, si fece convincere dall’Unione Sportiva Sanremese, guidata dall’Ingegner Francesco Sghirla, nell’organizzazione di una corsa automobilistica, riservata a queste vetture, che da Milano avrebbe rag-giunto Acqui e, da qui, la graziosa Sanremo, già allora meta turistica della migliore borghesia milanese.
La corsa fu un fiasco in tutti i sensi: solo due delle trenta vetture partenti, raggiunsero Sanremo un paio di giorni dopo e l’interesse generale scemò, di fronte alla poca consistenza dimostrata da quelle macchine, ancora ben lontane dal minimo accettabile. Era l’agosto del 1906.
La manifestazione però, aveva stuzzicato non poco la fantasia ed il pragmatismo di Tullo Morgagni (nella foto sotto),
il capo redattore della Gazzetta dello Sport, il quale, di fronte alla comunque forte volontà degli sportivi sanremesi e all’esigenza del giornale di cancellare quell’insuccesso con un’altrettanto forte risposta sportiva, pensò di mantenere valido l’itinerario che da Milano conduceva a Sanremo, ma con una corsa da riservare alle biciclette. Era convinto che il motore umano, si sarebbe comportato meglio rispetto a quello delle auto, come già il ciclismo dimostrava, attraverso diverse competizioni internazionali e lo stesso Giro di Lombardia, che il suo giornale organizzava. Ne parlò con Armando Cougnet, il quale, oltre ad essere l’Amministratore della testata, era pure il valente giornalista che trattava in primis lo sport del pedale. La sua risposta fu positiva.
Ben più freddo e perplesso, invece, fu il direttore Camillo Costamagna, che accettò di partire per la nuova avventura, più per la mera necessità di coprire il buco finanziario e d’immagine dell’esperienza automobilistica, che per effettiva convinzione. Non a caso il suo “sì” definitivo s’ebbe solo quando vennero portate a Milano le 700 lire che costituivano la dotazione della corsa, la maggior parte delle quali erano state raccolte in un grosso salvadanaio con il quale il giovane aiuto-segretario della Unione Sportiva Sanremese, Piero Perotti, aveva realizzato una pubblica questua attraverso l'intera città della riviera ligure.
Ad onor del vero in tutti persisteva un timore, come lo stesso Cougnet (foto sotto) dichiarò cinquanta anni dopo.
“L'idea – disse - fugato qualche dubbio, fu accolta. Si aprì semplicemente la carta del Touring Club al 200.000 e si tracciò il percorso che in meno di trecento chilometri congiungeva Milano a Sanremo attraverso Ovada e Voltri col Passo del Turchino, e nella primavera del 1907 lanciammo il bando internazionale della prima Corsa al Sole. A quella epoca non c'era assolutamente in noi la speranza e tanto meno la convinzione, che la competizione dovesse incontrare quella fortuna che poi la fece proclamare la prima corsa al mondo. Ma la Milano Sanremo conteneva in sé un grande potenziale di sviluppo che la fece progredire di anno in anno. Fu essa a crearsi il successo dal suo debutto, caratterizzato dalla partecipazione dei migliori corridori francesi e belgi in rappresentanza delle due maggiori Case: la Peugeot e l'Alcyon, che allora dominavano il mercato e l'arengo agonistico”.
Il 14 aprile 1907, iniziò così il corso ultracentenario della Milano-Sanremo: una nuova manifestazione per il pionieristico movimento del pedale, ma destinata a far colpo su tutta l’Europa, sia per l'impareggiabile scenario scelto, che per il suo autentico significato sul piano tecnico, nonché per la spinta ricevuta dalla prodigiosa riuscita che caratterizzò l'edizione inaugurale. Già alla vigilia della corsa si ebbe la dimostrazione di quanto l’attesa fosse cor-risposta, ed infatti, i manifestini propagandistici che la Gazzetta dello Sport aveva stampato per reclamizzare l'avvenimento, non mancarono di raggiungere lo scopo che i promotori s'erano prefissati, riuscendo ad accentrare l'interesse delle folle. Era tutto pronto e nel ritrovo dell’Osteria della Conca Fallata di MIlano, lungo il Naviglio Pavese, stava per partire quella che poi divenne la prima favolosa cavalcata di un drappello di uomini che si mostrarono superiori alle automobili, nel riuscire a raggiungere, pur partendo in una giornata di pioggia e di freddo, il bel sole della riviera ligure.
Maurizio Ricci detto Morris
-continua-
….Dall’intensa città
scendendo fino ad incontrare
l’insieme dei benevoli sali
padroni invisibili dell’aria di mare.
E proseguire con le onde vicine
verso il profumato incanto
di tanti Mercurio
che t’annuncian primavera.
È lo spazio d’una fatica
che assorbe il fascino
contro ogni aspro dettame
sempre.
Morris
MILANO - SANREMO
Spruzzi di Storia e di Protagonisti di quella che fu la Classicissima
Introduzione
“Ha vinto Daems. Anzi ha stravinto, li ha proprio stroncati tutti.” Con queste parole che sono di mio fratello Lorenzo, il corridore di famiglia, la Milano-Sanremo, entrò compiutamente nell’attento bambino sottoscritto. Era il 19 marzo 1962.
Ho scritto ovunque di quanto il ciclismo sia nato in me fin da piccino e non trovo superfluo ribadirlo in ogni occasione, perché è un modo di presentare, fotogramma su fotogramma, un rapporto che alla fine sa essere qualcosa di più.
La “Classicissima di primavera”, ovvero la definizione che spesso accompagna questa corsa anche e soprattutto ai tempi della mia fanciullezza, fu la prima delle grandi classiche di un giorno a farsi conoscere al mio osservatorio, era stata preceduta solo dal Giro d’Italia e dal Tour de France, nonché dalla prova a cronometro, il Trofeo Tendicollo Universal di Forlì, che ha contraddistinto le mie zone e che fu per il sottoscritto la palestra di indelebile saldatura verso lo sport del pedale.
Questo volume non sarà solo il primo dei due che compongono la Storia della Milano Sanremo, ma rappresenterà l’apertura di una collana-viaggio sulle classiche del ciclismo, perlomeno su quelle che trovo oggettivamente più importanti, per quel condensato che tradizione e realtà hanno eletto tali e che, magari, potranno non trovare sulle medesime coordinate taluni.
Saranno storie che definisco essenziali, senza la pretesa di essere organiche, ma tutte più meno incentrate sulle evoluzioni dei percorsi, sul riferimento che recitavano relativamente ad ogni annata; su quei protagonisti corridori che sono sempre, checché ne dica qualche organizzatore, la parte più cospicua di ogni proposta, nonché quegli ordini d’arrivo che, se si vuol essere fedeli al tratto storico delle singole corse, vanno presentati nella loro interezza. Tra l’altro, su quest’ultimo aspetto, i lettori più disponibili alla ricerca, tro-veranno delle sorprese non indifferenti.
La Milano Sanremo dunque, una corsa che ha vissuto fasti altissimi, che divide con la Parigi-Roubaix e il Giro delle Fiandre, il podio più alto della popolarità, al netto delle diversità e delle specializzazioni che hanno progressivamente avvolto e minato il ciclismo. Una corsa dall’itinerario magnifico, un tempo bellissima non solo per questo, ma pure per i suoi tratti agonistici. Oggi, certamente la più cerebrale per quel gioco di attimi che sono il filo conduttore delle prove veloci. Sicuramente colei che più di ogni altra, esprime il sunto dei cambiamenti intervenuti su questo sport: senza stravolgenti modificazioni di percorso, è passata da prova di fatica eccelsa, che vedeva l’arrivo di Sanremo come un’impresa comunque, a meta possibile a tutti e dove i 300 chilometri del tracciato rappresentano l’aspetto tecnico nettamente meno influente. In altre parole, una corsa che è riuscita nell’impresa di non perdere fascino pur cambiando l’indirizzo dei propri aloni, costringendo,di conseguenza, l’osservatorio a riflettere non poco su questa anomalia.
Una prova che vive moderna uno spaccato di storia, non solo sul proprio sé, ma per le varie diramazioni che ha mosso e che sono arrivate ad incidere sulla cultura, sul costume e sullo stesso stile di chi si pone fraterno al pedale. Abbastanza per impegnare il narratore, a non fare di ciò che segue, una mera rappresentazione di dati.
Maurizio Ricci (Morris)
Una moderna Classicissima Centenaria.
La Milano Sanremo nacque nel 1907, come vedremo, fra le titubanze del direttore della Gazzetta dello Sport Camillo Costamagna e la non certo cospicua convinzione di chi, inizialmente, lavorò alla posa in opera della prova. Ad oltre un secolo di distanza però, la creatura che vide accanto al determinante Armando Cougnet, le maggiori volontà dell’ispiratore Tullo Morgagni e, successivamente, il peculiare contributo di Augusto Carlo Rossini, a dispetto dei mutamenti enormi incorsi nello sport di riferimento, è ancora perfettamente collocata su quel top internazionale che seppe raggiungere da subito. In altre parole, è sempre una corsa che tutti i corridori vorrebbero nel proprio palmares, nonostante le modificazioni che ne hanno deviato l’apogeo di riferimento, ovvero da prova per uomini di fondo ed eccelsi su ogni terreno, a gara per ruote veloci o, come tutte ad onor del vero, adatta a chi possiede le rare stimmate del finisseur. Sicuramente gli ispiratori che concepirono ed organizzarono per la prima volta la Milano-Sanremo, non avreb-bero mai immaginato che la loro sempre più perfetta macchina organizzativa, potesse arrivare al nuovo millennio con intatto fascino.
Il ciclismo italiano all’alba del 1907.
Il movimento del pedale d’inizio secolo poggiava internazionalmente sulle attività all’interno dei tondini, come venivano chiamati i velodromi del tempo, ma nel breve volgere di un lustro, le manifestazioni su strada avevano saputo, in taluni paesi come Francia e Belgio, raggiungere e superare l’alone del ciclismo su pista sulle attenzioni popolari, fino a determinare le basi per l’elevazione di vere e proprie classiche. La Francia in particolare, era già “moderna”, con tre corse da considerarsi degli autentici fari mondiali, come Parigi-Roubaix, Parigi-Tours e Bordeaux-Parigi, attorno alle quali ruotavano molte gare minori, ma di spessore e continuità tali, da farne riferimento e, soprattutto, fungere da vero e proprio calendario. La nascita del Tour de France nel 1903, aveva proiettato il ciclismo a dominatore delle strade.
In Italia invece, lo spontaneismo pure molto forte, non aveva sempre trovato i sostegni necessari per creare, sulle “macchine spinte a motore umano” a portata di tanti, la spinta che ne creava continuità. In altre parole, s’era in ritardo in maniera tangibile rispetto alla Francia, ed anche nei confronti del Belgio, che pure aveva sopperito con la quantità l’ancor non avvenuta cementazione di gare riferimento. La fotografia del nostro movimento, dunque, viveva di punti isolati e di poche certezze.
E dire che l’avventura era iniziata molto presto, fra i primissimi in tutto a livello mondiale, nel 1870, con la Firenze Pistoia. Gli echi di quella genesi di ciclismo nella penisola - fatti di 23 concorrenti su bicicli aventi una ruota anteriore di 75 centimetri di diametro e di una posteriore di 50, della loro fatica, nonostante la media di soli 13 chilometri sui 33 del percorso e di quella polvere che sollevavano, della vittoria di uno straniero venuto dagli Stati Uniti, ma di origine olandese, tal Rynner Van Heste, s’erano nuovamente concentrati in una risposta, solo nel 1876, con la Milano Torino. Ma pure la corsa fra le due grandi città non era decollata come si sperava, ed a parte le edizioni del 1894, 1896, 1903 e 1905, all’alba del 1907 sembrava definitiva-mente tramontata. I perni sui quali gravitava il movimento dell’evoluta bicicletta su strada di quei giorni erano: la Coppa del Re, nata nel 1897 e fin lì corsa tutti gli anni ad esclusione del 1900 (chiuderà il suo ciclo nel 1909); la “Corsa Nazionale”, partita nel 1902 e corsa ininterrottamente (fino al 1908) e la “XX Settembre, poi negli anni conosciuta col nome di Roma-Napoli-Roma (che arriverà a chiudere il proprio itinerario nel 1961).
A quelle “certezze”, erano giunte a dar manforte, con significativi successi, nel 1905, il Giro di Lombardia, organizzato proprio da “La Gazzetta dello Sport”, che diventerà negli anni la superclassica che tutti conoscono e, nel 1906, il Giro del Piemonte (che si corre ancora oggi), nonché la Milano-Modena (che chiuderà nel 1955), la Milano-Mantova (che giungerà fino al 1962) e quel Campionato Nazionale che, dopo essere stato lanciato nel 1885, si era subito arenato, fino a riprendere il suo ruolo, appunto, nel 1906. Un panorama non vasto, che aveva visto diverse meteore in auge un solo anno, di cui meritano citazioni le più importanti, ovvero: Legnano-Gravellona-Legnano (1905), Milano-Domodossola-Milano (1906), Milano-Erba-Lecco-Milano (1906), Brescia-Milano-Pollanza (1906), Milano-Alessandria-Milano (1906), Milano-Giovi-Milano (1906), Novi-Milano-Novi (1906), Milano-Verona (1906) Milano-Pontedecimo (1906).
Tutte corse gravitanti su Milano e la Lombardia, ma pure alcune che scendevano verso la riviera ligure. E furono proprio le “fresche” ceneri di questi “quadri unici”, uniti ad altri interessi che portavano direttamente verso il mare ed i fiori della Liguria, a spingere ulteriormente verso la nascita della Milano Sanremo, la futura “Classicissima di Primavera”.
I giornali organizzatori e sostenitori del pedale.
Nel 1906, l’impulso verso lo sport che poteva vivere su uno spirito olimpico, nato e cementatosi attraverso ben tre Olimpiadi già svolte, trovò nelle testate giornalistiche, non solo sportive, un riferimento preciso per giungere all’elevazione dei propri scopi. Di converso, la rivoluzione tecnologica che produceva altre occasioni per fare sport, donava, al mondo della comunicazione, allora quasi esclusivo patrimonio dei giornali, l’occasione per porsi nelle condizioni migliori al fine di lanciare taluni “frutti” della suddetta rivoluzione, fino ad aggiungere all’anima narratrice e alla cronaca, una sempre più fitta rete di rapporti col mondo economico.
In altre parole, si stavano creando copiosi spazi alla pubblicità diretta dei prodotti, oltre che dare temi di interesse di massa tali, da aumentare maggiormente le entità delle copie vendute. Lo sport ed i suoi eventi, dunque, rappresentavano un volano in rapida crescita, sul quale l’intervento organizzativo, in appoggio ed in simbiosi alle ancora poco diffuse e precarie società sportive, diveniva un fattore importante per la stessa sopravvivenza delle testate. Discipline come l’automobilismo, il motociclismo e il ciclismo, poi, avendo alla loro base un mezzo, stimolavano ancor più delle altre il rapporto ed il coinvolgimento col mondo imprenditoriale dei rispettivi settori, così fortemente intinti dell’esigenza di coinvolgere il più possibile le masse.
Per lo sport più in generale comunque, l’entrata in scena di questi partners, costituiva un passo peculiare, perché la crescita sportiva italiana, doveva necessariamente passare su organizzazioni adeguate e territorialmente presenti, spinte da volontà precise di propaganda, proselitismo e programmi che non si limitassero a dare qualche risposta allo spontaneismo.
Intanto, all’interno dei giornali, non tutti i redattori vivevano questo coinvolgimento con la medesima convinzione, ed in questo quadro, emergevano figure più peculiari e propulsive. Nella giovane Gazzetta dello Sport, che era na-ta nel 1896 e che, nel 1899, aveva scelto di proporsi sulla distinguibilissima carta rosa, i protagonisti della svolta verso il mondo sportivo, rispondevano ai nomi di Armando Cougnet, giornalista amministratore con un incredibile amore verso il ciclismo e Tullo Morgagni, redattore capo, nonché progenitore di una fitta tela di rapporti con l’orizzonte dello sport. Grazie a loro lo stes-so ambiente dei costruttori delle “macchine a pedali”, come venivano definite allora le biciclette, non rimase insensibile, anche perché il giornale, sul quale il direttore Eugenio Camillo Costamagna raccoglieva al meglio le idee della redazione, sapeva coprire i periodi di lontananza dagli avvenimenti agonistici, con una serie di approfondimenti sul mezzo e le specifiche peculiarità, da rendere i “fogli rosa”, una palestra per lo stesso lancio commerciale dello strumento.
All’alba del 1907, dunque, dopo gli esaltanti successi riscossi dalla Gazzetta dello Sport, con la proposta e l’organizzazione delle prime due edizioni del Giro di Lombardia, la testata, pur non essendo la più importante e diffusa nemmeno a livello sportivo, era comunque divenuta, un sicuro riferimento del mondo del pedale.
La nascita della Milano Sanremo.
Il fatto progenitore della Milano Sanremo non partì dalle macchine spinte a motore umano, ma da quelle a motore. A metà della prima decade del ‘900, si era all’alba dello sviluppo industriale automobilistico. La realtà mostrava già una discreta consistenza, in termini di proposta e ricerca, per le vetture di grossa cilindrata, molte delle quali venivano definite turistiche. C’erano poi quelle che venivano dichiarate “da corsa” e correvano realmente, visto che esisteva già un calendario di gare.
Le auto di piccola cilindrata per lo più costruite da ditte minori, destinate alle fasce meno abbienti, ma comunque già con un certo tenore economico, andavano lanciate. Erano le cosiddette “utilitarie” sulle quali ogni passo di propaganda era ben accetto, anzi lo si favoriva. E fu proprio in questa direzione che “La Gazzetta dello Sport”, si fece convincere dall’Unione Sportiva Sanremese, guidata dall’Ingegner Francesco Sghirla, nell’organizzazione di una corsa automobilistica, riservata a queste vetture, che da Milano avrebbe rag-giunto Acqui e, da qui, la graziosa Sanremo, già allora meta turistica della migliore borghesia milanese.
La corsa fu un fiasco in tutti i sensi: solo due delle trenta vetture partenti, raggiunsero Sanremo un paio di giorni dopo e l’interesse generale scemò, di fronte alla poca consistenza dimostrata da quelle macchine, ancora ben lontane dal minimo accettabile. Era l’agosto del 1906.
La manifestazione però, aveva stuzzicato non poco la fantasia ed il pragmatismo di Tullo Morgagni (nella foto sotto),
il capo redattore della Gazzetta dello Sport, il quale, di fronte alla comunque forte volontà degli sportivi sanremesi e all’esigenza del giornale di cancellare quell’insuccesso con un’altrettanto forte risposta sportiva, pensò di mantenere valido l’itinerario che da Milano conduceva a Sanremo, ma con una corsa da riservare alle biciclette. Era convinto che il motore umano, si sarebbe comportato meglio rispetto a quello delle auto, come già il ciclismo dimostrava, attraverso diverse competizioni internazionali e lo stesso Giro di Lombardia, che il suo giornale organizzava. Ne parlò con Armando Cougnet, il quale, oltre ad essere l’Amministratore della testata, era pure il valente giornalista che trattava in primis lo sport del pedale. La sua risposta fu positiva.
Ben più freddo e perplesso, invece, fu il direttore Camillo Costamagna, che accettò di partire per la nuova avventura, più per la mera necessità di coprire il buco finanziario e d’immagine dell’esperienza automobilistica, che per effettiva convinzione. Non a caso il suo “sì” definitivo s’ebbe solo quando vennero portate a Milano le 700 lire che costituivano la dotazione della corsa, la maggior parte delle quali erano state raccolte in un grosso salvadanaio con il quale il giovane aiuto-segretario della Unione Sportiva Sanremese, Piero Perotti, aveva realizzato una pubblica questua attraverso l'intera città della riviera ligure.
Ad onor del vero in tutti persisteva un timore, come lo stesso Cougnet (foto sotto) dichiarò cinquanta anni dopo.
“L'idea – disse - fugato qualche dubbio, fu accolta. Si aprì semplicemente la carta del Touring Club al 200.000 e si tracciò il percorso che in meno di trecento chilometri congiungeva Milano a Sanremo attraverso Ovada e Voltri col Passo del Turchino, e nella primavera del 1907 lanciammo il bando internazionale della prima Corsa al Sole. A quella epoca non c'era assolutamente in noi la speranza e tanto meno la convinzione, che la competizione dovesse incontrare quella fortuna che poi la fece proclamare la prima corsa al mondo. Ma la Milano Sanremo conteneva in sé un grande potenziale di sviluppo che la fece progredire di anno in anno. Fu essa a crearsi il successo dal suo debutto, caratterizzato dalla partecipazione dei migliori corridori francesi e belgi in rappresentanza delle due maggiori Case: la Peugeot e l'Alcyon, che allora dominavano il mercato e l'arengo agonistico”.
Il 14 aprile 1907, iniziò così il corso ultracentenario della Milano-Sanremo: una nuova manifestazione per il pionieristico movimento del pedale, ma destinata a far colpo su tutta l’Europa, sia per l'impareggiabile scenario scelto, che per il suo autentico significato sul piano tecnico, nonché per la spinta ricevuta dalla prodigiosa riuscita che caratterizzò l'edizione inaugurale. Già alla vigilia della corsa si ebbe la dimostrazione di quanto l’attesa fosse cor-risposta, ed infatti, i manifestini propagandistici che la Gazzetta dello Sport aveva stampato per reclamizzare l'avvenimento, non mancarono di raggiungere lo scopo che i promotori s'erano prefissati, riuscendo ad accentrare l'interesse delle folle. Era tutto pronto e nel ritrovo dell’Osteria della Conca Fallata di MIlano, lungo il Naviglio Pavese, stava per partire quella che poi divenne la prima favolosa cavalcata di un drappello di uomini che si mostrarono superiori alle automobili, nel riuscire a raggiungere, pur partendo in una giornata di pioggia e di freddo, il bel sole della riviera ligure.
Maurizio Ricci detto Morris
-continua-