Il Nuovo Ciclismo

Versione completa: Darren Clark
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Darren Clark è stato uno dei più grandi quattrocentisti bianchi della storia. Il suo fisico era possente, ma naturale, la sua interpretazione della gara, era semplicemente perfetta e la frequenza del suo passo, stava ampiamente nella migliore tradizione della velocità prolungata. 
Un granatiere più magro dei più, con la capacità di sconfiggere l’interminabile paura che solca gli animi dei bianchi, quando si corre la gara forse più adatta ai neri. 
Darren, non si è mai risparmiato quei confronti con l’elite della specialità, spesso vezzo degli australiani, non già per motivi oscuri, bensì per le difficoltà dettate dal vivere in un continente che è alla “rovescia” della grande stagione dell’atletica. Essere in forma a gennaio, perché in Australia è estate, significa debito di energie a luglio, quando in Europa e negli Usa si consumano i pezzi forti della stagione. 
Bene, Clark, è stato capace per due lustri di scaricare su tutte le piste del mondo, quelle facoltà che l’han fatto un evidente dello sprint prolungato nel periodo che va dal 1984 al 1993, dove spesso ha messo alle corde i sempre tanti e forti specialisti statunitensi e si è permesso di andare per ben undici volte sotto la barriera dei 45”: un segno di qualità straordinario per uno dalla pelle bianca. 
Darren Clark, assieme a Roger Black (con cui ha spesso battagliato) e il colossale e monumentale Glenn Davis (olimpionico a Melbourne e Roma sui 400hs, ma fenomenale anche sui piani e per me più forte di Carl Lewis, poi un giorno spiegherò il perché), forma il “podio” non di colore della storia dei 400. 
Nato il sei settembre del 1965 a Sydney, Clark si dimostrò subito un talento precocissimo. Qualsiasi sport praticasse, lo si notava per la sua inclinazione verso l’eccellenza. Fu un suo professore liceale a portarlo definitivamente alla velocità prolungata. 
A diciassette anni, nel 1982, era già in grado di competere coi migliori specialisti “aussie” e l’anno dopo era già capace di correre sotto i 45”, al punto di trovarsi in tasca, il platonico titolo di miglior junior mondiale. A quei tempi, infatti, non si tenevano i mondiali della categoria, la cui prima edizione fu svolta nel 1986. 
Il giovane Darren, vera forza della natura, si confezionò nel 1984, uno di quei “piatti” destinati a fare storia, un po’ come la connazionale Raelene Boyle che, a sedici anni, riuscì a salire sul podio olimpico di Città del Messico. Bene, Clark, a diciotto anni e undici mesi, fu così bravo da superare gran parte del gotha mondiale della specialità, giungendo quarto alle Olimpiadi di Los Angeles, nel gran tempo di 44”75. Semplicemente fenomenale. La prestazione cronometrica era, a quei tempi, la terza “all time” fra gli junior, dietro il 44”69 di Darrel Robinson e il 44”73 di James Rolle, due statunitensi di colore poco più anziani di Darren, ma letteralmente scomparsi, dopo le loro performance stabilite non senza qualche sospetto in gare nazionali americane. 
La progressione di Clark continuò inarrestabile fino a superare, con riscontri cronometrici sempre degni dei grandi, in prestigiosi meeting, diversi americani, fra i quali pure il campione olimpico Alonzo Babers e Antonio Mc Kay che, a Los Angeles, era giunto al bronzo. 
Ai Giochi del Commonwealth del 1986, vi fu il primo grande scontro con Roger Black, l’inglese di un anno più giovane, che gli è stato superiore in carriera, anche se di pochissimo ed in virtù dei soli piazzamenti. I due arrivarono appaiati e con lo stesso tempo, poi, il fotofinish, trovò la “punta” della spalla destra dell’inglese leggermente avanti e la vittoria fu assegnata a Roger. 
Ma Darren non stava certo abdicando, ed infatti, con una prestazione mostre, riconquistò la quarta piazza alle Olimpiadi di Seoul nel 1988, correndo in 44”55 in finale, ma nella semifinale riuscì a correre addirittura in 44”38, che equivale, per me, alla miglior prestazione cronometrica di un bianco sui 400 metri. Ho detto, per me, in quanto il tedesco dell’Est Thomas Schoenlebe corse in 44”33 nel 1987, ma il suo nome fu fatto troppo spesso durante l’apertura degli archivi e delle indagini sul doping di stato della DDR, all’indomani della “caduta del Muro”. 
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Per Darren Clark, anche Seoul portò dunque una medaglia di legno, ma pure la soddisfazione di esser stato per la seconda Olimpiade consecutiva l’unico bianco in finale. Da notare, che in entrambe le rassegne olimpiche citate, Darren portò al medesimo piazzamento ai piedi del podio, anche la staffetta australiana 4 x 400. 
Nel 1990, l’atleta di Sydney, si prese un’altra rivincita su Black e vinse i Giochi del Commonwealth, correndo in un sempre eccellentissimo 44”60. Poche settimane dopo mentre si trovava a Londra per un meeting, scoprì di aver contratto una febbre virale e fu costretto a chiudere la stagione. I dubbi che aveva sollevato nello staff medico della sua nazionale, circa il suo pieno recupero a livelli di atleta di vertice, lo spinsero ad accettare l’offerta che gli venne dal mondo del rugby australiano e nel 1991 giocò nella massima divisione di questo sport con i Tigers, come ala, anche di un certo valore tra l’altro. Ben presto però, l’amore verso l’atletica e la speranza di poter aggiungere una terza partecipazione olimpica lo spinsero a tornare sulle piste, ma gli acciacchi gli impedirono lo start a Barcellona ’92. Il canto del cigno della grande carriera di questo autentico fenomeno della velocità prolungata, avvenne nel 1993, ai mondiali indoor, quando giunse terzo, dietro al nigeriano Sunday Bada e al vincitore statunitense Butch Reynolds. Al bel risultato, non fece seguito l’andamento che sperava, a causa di una lunga serie di infortuni, che lo costrinsero ad una attività ridotta e molto spezzettata.  L’abbandono anticipato delle piste, nel 1996, a trentun anni, fu inevitabile. 
Oggi, Clark è un valente giornalista, a cui accosta la mansione di allenatore presso l’AIS (Australian Istitute of Sports), l’equivalente australiano del nostro CONI. 

Maurizio Ricci detto Morris