Il Nuovo Ciclismo

Versione completa: Ciao Emilio!
Al momento stai visualizzando i contenuti in una versione ridotta. Visualizza la versione completa e formattata.
Se ne è andato a pedalare sulle strade infinite del destino di tutti, Emilio Casalini.
[Immagine: 14151142292473casalini.jpg]
Un tempo, si diceva che era il gregario per eccellenza di Vittorio Adorni. In gran parte era la verità, perché entrambi parmensi e spesso compagni di allenamento, anche quando le casacche erano diverse. Casalini era stato un buon dilettante, non un super, uno che si difendeva dappertutto, senza eccellere in nessuna variabile del ciclismo. Possedeva i cromosomi del gregario, ancor prima di scegliere questa come strada maestra del suo rapporto con lo sport che amava. Era fin troppo naturale considerarlo come un riuscito per scelta, ed infatti non mancò, perché un gran bel luogotenente diventò davvero. Passò professionista nel 1965 all'interno della Bianchi-Mobylette e fece un ottimo apprendistato per l'oscuro lavoro di spalla, un'essenza non considerata a sufficienza, o, a volte, addirittura dimenticata. Stesso ruolino l'anno successivo, all'interno dell'ultimo anno della Legnano dell'Avvocat Eberardo Pavesi. Nel '67, il passaggio alla Salamini e l'incontro sotto le medesime insegne, con Adorni. Emilio era già un bel gregario, anche nella considerazione degli altri, quando l'illustre collega concittadino, se lo portò nella squadra che da subito diventò la più forte di quegli anni, la Faema. Qui, Casalini, trovò tra i tanti di nota, il più grande atleta che i miei occhi di sportivo polivalente abbiano mai visto: Eddy Merckx. Già asso pigliatutto, si diceva che il belga non lasciava niente a nessuno e che era cattivo. Niente di più falso, ed il buon Casalini, come il collega e compagno di marca Farisato tre giorni dopo, uscì nella sua giornata eroica, vincendo la tappa del Monte Grappa, al Giro '68. Emilio, non era dunque più quello che partiva e poi si lasciava andare nel suo lavoro oscuro: era diventato qualcuno anche per i digiuni di passione e competenza, capaci di guardare solo alla statistica. L'anno successivo, seguì Adorni nell'avventura Scic e tornò al successo, stavolta a Roma, in una tappa del Giro di Sardegna. Poi, tanta normalità, salvo un secondo posto dietro a Dancelli nel Trofeo Laigueglia del 1970. Quindi un nuovo capitano, Felice Gimondi, e il solito proficuo lavoro di gregario. Chiuse la sua onesta carriera alla fine del 1973.

Vidi Emilio dal vivo molto bene il 18 giugno 1972, al G.P. Terme di Castrocaro, una cronometro di 76 km (altro che le pillole lassative di oggi!) con una bella salita e con un cast di corridori di gran spessore. Sul cronometro poco amico, si eclissò in una prestazione grigia, ma comunque dignitosa. Giunse 8°, ultimo fra quelli che conclusero la prova, a 13'07" dal vincitore Roger Swerts. Rividi Casalini l’ultima volta da pensionato ciclista-orafo, il 10 novembre 2018, quando festeggiammo il grande 1958 di Ercole Baldini, alla presenza di una sessantina di ex prof. Emilio era una persona gentile e buona, uno che non diceva mai una parola fuori posto. Un signore. Se ne è andato ad 83 anni a causa di una malattia che lo aveva colpito circa un anno fa. Era nato a Cornocchio di Golese in provincia di Parma, il 5 novembre 1941. Da atleta era alto 1,76  per 72 chilogrammi e per quei cultori dell’odierna anoressia applicata al ciclismo, assurdamente troppi, era dunque un "semi-obeso".

Maurizio Ricci detto Morris