Il Nuovo Ciclismo

Versione completa: Alla Lavagna! Interroghiamo.......Lupo Solitario
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La dinamica secondo me è paragonabile a quella Aerts-Van Aert-Van der Poel, per contestualizzarla seppur in piccolo.

Aerts vince di più con i due al via che senza, nonostante la logica suggerirebbe il contrario: corridori con grandi mezzi fisici ma in grado solo ad intermittenza di assumere il ruolo di faro della corsa.

Poi c'è il Montjuich...
È un paradosso che ci sta. A me viene in mente la Primavera 2011 con il Fiandre che senza Cancellara al via probabilmente avrebbe vinto Chavanel, mentre la Roubaix sicuramente non sarebbe stata vinta da Vansummeren.
(09-05-2020, 05:44 PM)Albi Ha scritto: [ -> ]Quali sono i corridori di oggi che avrebbero primeggiato anche in epoche più competitive dell'attuale?

Merckx ha detto che MvdP può vincere il Tour, ha ragione?

Sagan ha realizzato una gran parte o una minima parte del suo potenziale?

Questa la chiedo a tutti: un corridore su cui puntavi a occhi chiusi ma che ti ha deluso.

1) Gilbert e Sagan sicuramente e poi aggiungerei la crema del talento, anche se non ancora completamente sbocciato, che circonda le effusioni ciclistiche di Matthieu Van der Poel e Remco Evenepoel. Comunque limitatamente alle corse di un giorno, la competitività dell’attualità su proiezione storica,  è certa. Nelle corse a tappe, invece, perlomeno fino all’esplosione del coronavirus, siamo al buio. Nessuno entrerebbe in una eventuale classifica dei primi venti della storia. I cultori degli albi d’oro imparino a fare i conti col distinguo insistente fra atleti e costruiti, fra passisti scalatori e robot-ET.

2) Magari! Vorrebbe dire che la “mafia anoressica” che canta e parla la lingua che era la sesta quando sono diventato dirigente sportivo, ha fatto la fine (come sarebbe giusto) di Cenerentola un minuto dopo la mezzanotte. MvdP ha mezzi e talento, ed in condizioni di ciclismo e non di frullismo, ci riuscirebbe. Ma nei GT, il ciclismo sta scomparendo e “quelli là” non li batti con gli strumenti meramente sportivi.   

3) Se alla Liquigas lo avessero lasciato percorrere quell’istinto che veniva dal suo imperioso talento, avrebbe avuto un curriculum migliore. (Non fargli concludere la Roubaix 2010 è stato un “delitto”!)  Il tempo per rifarsi c’è, ma il suo fisico non è più quello di prima della devastante caduta al Tour. Una caduta come quella chiamava ritiro. Non la maglia verde a Parigi. Fosse stata la gialla, okay, ma la classifica a punti no. Spero di sbagliarmi: per lui e per noi. 

4) In maniera così netta nessuno. Alla fine, colui che più si avvicina all’estremo della domanda, è stato il riminese Maurizio Semprini, professionista all’inizio del secondo millennio. Talento spumeggiante, gran passista, ma amante della bella vita. Lo conoscevo fin da ragazzino, il migliore della nidiata romagnola nata un lustro dopo Pantani. Campione d’Italia nell’inseguimento allievi. Uno che i pedali li dipingeva. Quando capì che era arrivato il momento di smettere con le bravate alla Venturelli, s’era creato una tale fama che nessuno più credeva in lui, a parte il sottoscritto e Marco Pantani che lo voleva alla Mercatone Uno per il 2004. Marco però era alla frutta e morì, ed anche la carriera di Maurizio s’arrestò.
(09-05-2020, 05:46 PM)Manuel The Volder Ha scritto: [ -> ]E come persona ? A me han colpito molto le parole di Merckx il giorno della sua morte. Conoscendolo me l'aspettavo più freddo, invece si poteva capire la stima che aveva per l'uomo e l'avversario di mille battaglie.

Un'altra cosa. Adorni, Armani, Gualazzini e altri professionisti di quegli anni. Negli anni 60/70 la mia Parma era a livello delle scuole più prestigiose del ciclismo Italiano, ma da quei tempi abbiamo sfornato pochi campioni, Malori grandissimo rimpianto. L'hai già spiegato nell'intervista con Luca cos'è che non va, ma volevo un tuo ricordo della nostra grande nidiata di campioni, senza dimenticare Giulio Rossi, primo Italiano a vincere la Roubaix e Gianni Ghidini, campione del mondo ed olimpico tra i dilettanti ed originario del mio comune.
Ah, avevamo anche due squadre come Salvarani e Scic che hanno investito tantissimo.

Guarda che Eddy è un buono. Uno che ha trattato sempre molto bene i suoi gregari, anche nel dopo carriera. Certo, voleva sempre vincere, ma poco importava ai compagni, visto che alla fine di un GT, dividendosi i premi, percepivano i danari per acquistare un appartamento. Sono stato con Merckx due giorni in Spagna e lì l’ho conosciuto bene. Gimondi era l’ultimo a cedere ed era naturale che lo stesso Eddy lo ammirasse per questo. E poi, in fondo, l’idea che abbia tolto tanto a Felice, era venuta pure a lui.
Gimondi, invece, non aveva all’epoca delle corse un uguale feeling coi suoi gregari. Negli ultimi anni però, quando il tempo delle rimembranze diventa tendenzialmente una costante, s’era tanto intenerito. Tanto e vero che più di un suo ex compagno ebbe modo di dirmi che Felice non sembrava più lui: era diventato mite e disponibile. Nel film che abbiamo girato su Pambianco per il cinquantennale della sua vittoria al Giro del Centenario dell’Unità d’Italia, Gimondi ricordando “Gabanì” pianse come un bambino.

Sul ciclismo parmense ti rispondo domani....


(09-05-2020, 07:07 PM)Paruzzo Ha scritto: [ -> ]Che Gimondi senza Merckx avrebbe vinto meno non l'avevo mai sentita come versione ma è un punto di vista molto interessante.

Non hai idea di quanti siano quelli che la pensano come me. Alcuni sono famosissimi. Poi magari, per quei tanti motivi che ti puoi immaginare, non lo vanno a gridare in ogni dove.
Su Gimondi....

Quando si parla di Felice Gimondi, qualcuno non so fino a che punto con oggettività, lo antepone ad altri di peso, motivando questa scelta per la sovrapposizione del suo segmento con quello di Eddy Merckx, risultando così privato di successi che, senza il belga, avrebbe sicuramente ottenuto. Non sono assolutamente d'accordo con questa tesi per due motivi: il primo viene dalla mancanza di controprova e se la dottrina del "se" viene considerata aleatoria per gli altri, lo stesso deve valere per Gimondi; il secondo mi viene dal ricordo e dall'oggettività dei comportamenti sulla strada, nel momento in cui il bergamasco s'è trovato a correre senza Merckx. Analizzando il peso di quest'ultimo motivo, scopriamo delle curiose risultanze che tendono a ribaltare anche l'ottimistica previsione del "se". Dico subito che il miglior Gimondi o quello che mi è piaciuto di più, è il primo, fra il 1965 e il 1968, quando si doveva giocare le vittorie con un ventaglio di avversari e non col solo belga. Lì attaccava, certo dietro i suggerimenti e le spinte di gregari come non ha avuto nessuno fra gli italiani e, soprattutto, per la sicurezza che gli veniva da un Adorni a lui votato anche troppo, nonché dal suo storico nocchiero Pezzi. In altre parole, un corridore che faceva fruttare il suo potenziale spesso superiore, ma non brillava per acume tattico e per inventiva personale. Non serviva crescere, perché c'erano gli altri a pilotarlo come meglio non si poteva per le sue caratteristiche e   straordinarie qualità. Quindi un grande e fortissimo campione, ma pure fortunato ad avere un simile contorno. 

Ha vinto la sua miglior corsa di sempre in quel periodo, il Tour de France, a 23 anni, superando uno dei più sfortunati ed incredibilmente sottostimati corridori della storia come Raymond Poulidor, giocando involontariamente, agli inizi, sul fattore sorpresa e poi mostrando le sue doti di campione primario. Per Felice, in taluni momenti si fecero in quattro gli antichi splendori di coequipier, di uno che aveva dovuto imparare a convivere e pure vincere, qualche volta, con corridori di grande levatura nonché superiori a "PouPou", come Arnaldo Pambianco. E non lo dico perché gli sono amico, ma solo perché ho imparato ad apprezzare nelle vittorie di taluni, il valore peculiare recitato dai compagni del vincente. Soprattutto, quando in questi insisteva la generosità accompagnata da qualità come il bertinorese aveva dimostrato di possedere. Ed uno come Gimondi, andava assistito più di quasi tutti fra i maggiori della storia del pedale. Il bergamasco poi, ha mostrato la sua compiutezza di campione vincendo, nel 1966, in una settimana, la Roubaix, corsa che sembrava stampata sulle sue caratteristiche, nonché la gara delle capitali, la Parigi Bruxelles, giocando molto su quei fattori di fatica che, da soli, fanno la differenza. Anche qui, poté sfruttare la sempre presente opera di consigliere in corsa, di un certo Adorni. Proprio quest'ultimo, circa sei mesi dopo, gli regalò sul piatto d'oro, la “Classica delle foglie morte”, ovvero il Giro di Lombardia, frenando ai limiti o aldilà della squalifica, sulla volata decisiva nella pista di Como, il ragazzine belga con la faccia da cinesino che aveva già vinto la Sanremo, proprio Eddy Merckx. Ci sono riporti fotografici innegabili, ma allora andava bene tutto e, ripeto, gli italiani che sui campi della vita del nazionalismo portano poco, lo riscoprono fino al grottesco per non dire peggio, quando di mezzo c'è lo sport. Nazionalismo che si concretizzò, indipendentemente dai colori delle maglie di marca, nel Giro '67, quando, per favorire la vittoria del bergamasco sul vecchio Anquetil, i migliori italiani fecero tutti corsa per Felice nella tappa di Tirano. Sia chiaro, vinse il più forte, ma non parliamo di Gimondi come di un campione sfortunato, per favore. Bene, pur con le mie impopolari osservazioni (visto il tifo quasi calcistico che Gimondi ha raccolto), credo che insistano elementi di oggettività innegabili: quello è stato il Felice più convincente, semplicemente perché, consigliato o meno, osava. Poi, quando arrivò il miglior Merckx, a differenza degli altri, il bergamasco fece dell'inseguimento un teismo. Certo, era comunque significativo giungere secondi, lo è sempre stato anche quando il primo non si chiamava Merckx, ma almeno ogni tanto provare a vincere, affrontando di petto il presunto invincibile, poteva rendere più brillante una carriera. Almeno ai miei occhi. Invece, Gimondi, si tramutò in un nobile spazzino che raccoglieva quello che il comunque umano Eddy, per errore o cedimento, lasciava per strada. E dire che gli altri, dagli specialisti delle corse di un giorno, a quelli più bravi nei grandi giri, più o meno tutti provarono a battere il belga, ma uno scatto in faccia di Gimondi su Merckx, era così raro da valere l'intero patrimonio di Zio Paperone. 

Ma c'è un altro aspetto da evidenziare.
Quando Merckx non c'era o veniva cacciato, come nel caso del Giro '69, come vinceva il bergamasco? E poi vinceva sempre come qualcuno con memoria offuscata sostiene? Il Tour del 1967, ad esempio, non era forse alla portata di uno che aveva vinto il Giro d'Italia, eppure Felice si sciolse con un irriverente decimo posto finale, certo illuminato da giorni da gran campione come quelli di Briancon e, soprattutto, del Puy de Dome, ma con troppe sbavature e cedimenti che parevano nati dalla mancanza di un riferimento. Nel Giro '69, con Eddy Merckx squalificato ed i giochi in gran parte già fatti a suo favore, chiuse senza vincere una tappa, traballando in continuazione al cospetto di avvrsari lontani. Ricordo bene le paure dei tifosi gimondiani davanti al video, il giorno dell'attacco di un insicuro per antonomasia come Michelotto a Cavalese. Insomma, una vittoria concepita quando c'era Merckx e lui era secondo e poi colta con fare non di certo da dominatore. E che dire del Giro del 1971? Eddy assente e Felice sopraffatto in un cast di partecipanti che non eccelleva di certo. Gli mancava il riferimento da seguire. Staccare Pettersson, Van Springel, Colombo, Galdos, Vianelli e Schiavon, era troppo complicato, dunque. Infatti, vinse due tappe allo sprint. Nel '74, col "Cannibale" meno preparato e pronto di sempre, che fece il bergamasco? Lo attaccò? Manco per idea, si compose e si dipanò come sempre nel ruolo siamese d'inseguitore e siccome il belga non era quello degli anni precedenti, gli arrivò più vicino, ma terzo, dietro un ragazzino di 21 anni, Baronchelli, che provò a vincere. Però, mica fece poco, superò quel Fuente anch'egli proiettato a vincere qualcosa di più delle 5 tappe che conquistò... Anche il Giro del 1975, non vedeva Merckx alla partenza, ed infatti il Gimondi, non sapendo chi inseguire non vinse, giunse terzo, strabattuto da due superman come Bertoglio e Galdos. Insomma, per chi dice che il suo palmares è stato totalmente ridimensionato dalla presenza del Cannibale, si vada a rivedere la storia e non sarà più così sicuro di una simile tesi. Qualcuno dirà che c'è il Giro del '76 a dimostrare la grandezza di Gimondi, ma nessuno di chi la pensa come me (e sono tanti, specie fra i corridori di quel tempo), ha mai sostenuto che il bergamasco non fosse grande, semmai queste osservazioni servono per far capire che il suo tratto è stato ingigantito e che la teoria del "se" è sempre miope. La terza maglia rosa, Gimondi la vinse in un Giro dove i grandi nomi erano in declino ed i giovani per un motivo o per l'altro appannati, quanto basta per costruire un'edizione al rallentatore (basta guardare alla media, ovvero alla più bassa dell'era moderna), ma c'era Merckx, certo coi cerotti, il termometro e il collare, ma c'era, e questo era per "l'inseguitore" assai rassicurante. Non è finita, perché a Bergamo col belga De Muynck in rosa, si vide una scorrettezza che il sottoscritto non dimenticherà mai: Johan a terra sanguinante e gli altri ad attaccare. Un "giretto" insomma, che, nonostante tutto non cambia il giudizio su Gimondi. E vengo rapidamente alle corse di un giorno. Stessa falsariga: gli altri provavano a battere il Cannibale e il bergamasco l'inseguiva, non  raccogliendo nulla, perché quando Merckx lasciava per strada qualcosa, a raccogliere non era Gimondi. Poi quando ai Mondiali del '71 arrivò secondo, ma assieme al belga, l'osservatorio sempre tinto di nazionalismo ed esageratamente gimondiano del tempo, fu subito pronto a gridare che il bergamasco era il numero due. Senza vincere una classica che sia una, il "numero due", finalmente raccolse il Mondiale di Barcellona, con Merckx presente e battuto prima ancora che da Gimondi, da Maertens: Freddy l'andò a riprendere nel tentativo solitario portandosi presso "l'inseguitore" e Ocana, ed il Cannibale si vendicò raggirandolo nello sprint, così vinse Gimondi. Il Lombardia di quaranta giorni dopo sappiamo che fu vinto da Gimondi per squalifica di Merckx e la Sanremo del '74 resta l'unica grande vittoria in solitaria del bergamasco, dopo il primo biennio fra i prof. Morale: Gimondi è stato un grande campione, uno dei più grandi del nostro ciclismo, per completezza di curriculum e qualità atletiche, ma su di lui si sono concentrati giudizi che dimenticano troppi aspetti e sovrastimano il vinto. Come insegnano altri sport, non sempre chi arriva secondo dietro un vincitore considerato imbattibile, è più forte del terzo, o del quarto o del quinto. Nel caso di Gimondi, si sono dipinte vittorie a prescindere, perlomeno in numero maggiore a quelle realmente vinte, solo perché c'era un super che si considerava fuori ruolo. La storia e gli anni che passano, spesso, sono onesti ed insegnano. Per me, "l'inseguitore" del Cannibale, non è stato migliore di Fiorenzo Magni.
Mi permetto di aggiungere sul Giro del '67 questa schifezza: https://www.globalist.it/sport/2016/05/0...68135.html

Fantastico, peraltro, un sito che si chiama "globalist" che scrive che Gimondi ricevette quell'aiuto giustamente Asd

D'altronde, questi giovanotti che si proclamano de sinistra, sovente sono i primi fasci quando si parla di sport.

La cosa allucinante è che quella porcheria risultò un furto ai danni del povero Balmamion che sul Ghisallo staccò pesantemente Gimondi e Anquetil e superò quest'ultimo, il cattivo invasore straniero, in classifica generale.

Ovviamente, senza i 4'09" persi a Tirano, Balmamion, che concluse il Giro a 3'36" da Gimondi, avrebbe vinto la Corsa Rosa.

Al Tour de France, dove gli aiutini esterni non arrivavano, si vide bene qual era il vero rapporto tra i valori dei due in quella stagione.
Risposta seconda parte alle richieste di Manuel.....           

Diciamo subito che Parma ha vissuto sul ciclismo il suo Regio e la fiorente cultura che ne caratterizza gli stigmi, attorno ad una figura che ancora oggi ne è icona: Vittorio Adorni. L’involucro del suo tratto aldilà dei valori atletici indubbi, era fatto di una straordinaria popolarità, che si era creata per il suo modo unico di presentare i ciclisti, non come dei “ciao mama son contento di essere arrivato uno”, ma come dei possibili acculturati, dialetticamente eccellenti e signorili. Era un’eccezione, ma lui, il Vittorio, sapeva nasconderla bene fino a dominare quel  Processo alla tappa così ben condotto da Sergio Zavoli, intellettuale prestato ad un giornalismo sportivo ricco di penne di valore, ed alla fine era naturale che l’Adorni arrivasse in altra veste, nettamente unico fra gli sportivi d’ogni disciplina, sullo schermo televisivo con una propria trasmissione. Vittorio era entrato nelle famiglie, anche nella parte di queste che non seguiva il ciclismo, ed in più, ad arricchire i significati di sfida alla considerazione comune, quel titolo azzeccato “Ciao mama”. L’incenso giunse poi con la conquista straordinaria del Titolo Mondiale, proprio nel bel mezzo delle puntate di “Ciao Mama”. 

La figura di Vittorio è stata  dunque un perfetto testimonial del ciclismo, ed un fattore raro di spinta verso gli abbinamenti fra l’industria che voleva lanciarsi, ed il pedale che doveva mantenersi principalmente grazie agli sponsor (anche se allora le entrate, grazie alle corse e le conseguenti presenze, erano anche altre). 
Il primo Adorni con la sola qualità che possedeva e già tangibili risultanze agonistiche, aveva creato attorno a sé, un alone che si tramutava in uscite d’allenamento capaci di raccogliere gruppi di dilettanti non solo parmensi ma anche reggiani e, via via quei professionisti che il suo indotto stava  creando. Uscite che divennero popolari come autentiche perle d’osservazione. Tra l’altro, il Vittorio, era pure un tecnico raffinato per il ciclismo molto empirico di  quei tempi e la crescita della sua fama creò le condizioni di quella che poi diverrà una sorta di scuola ciclistica per l’intera regione. 

Ciclisti ed Aziende sull’alone del pianeta Adorni. 
Le aziende in ordine di nascita. 
La Salvarani non entrò nel ciclismo direttamente per Vittorio che, per  la chiusura della Philco, s’accasò nel 1963 alla Cynar. L’azienda rilevò il gruppo della Ghigi di Luciano Pezzi, a patto che il primo capitano fosse Arnaldo Pambianco (col quale i rapporti sono andati ben oltre la fine della carriera di “Gabanì”). E fu proprio l’amico Arnaldo, a regalare il primo successo alla mitica storia della Salvarani nel ciclismo: il Giro di Sardegna 1963. Nel ’64, Adorni e Baldini, grandi amici, impossibilitati a raggiungere la nuova squadra l’anno prima s’accasarono alla Salvarani che cambiò il colore di fondo della maglia, dal bianco al celeste, ovvero il colore che tutti ricordano perché legato alla leggenda del team. La popolarità di Adorni, grazie al “Processo alla tappa” si moltiplicò e la Salvarani, entrando così bene nei media, pensò di sponsorizzare la celebre esibizione dei Beatles a Milano, in  quello che era il monumento per eccellenza del ciclismo, il Velodromo Vigorelli. Tutto avvenne il 24 giugno 1965, guarda caso diciotto giorni dopo l’autentico trionfo di Adorni al Giro d’Italia. Divenuta azienda leader nel suo settore merceologico, la Salvarani sportiva cominciò a stare stretta a Vittorio che, in silenzio, grazie alla sua regalità, aiutò tantissimo il nuovo co-capitano Felice Gimondi, senza trovarsi uguali e tangibili ritorni. E così, un’altra azienda parmense, nel settembre del 1966, in attesa di poter abbracciare Adorni fece passare al  professionismo un gruppo di dilettanti che diverranno poi gregari del grande Vittorio. L’Azienda era la Salamini Luxor che, per il 1967, aggiunse un’altra squadra legata all’attività su pista, ovvero la Salamini Comet. La stagione non aggiunse moltissimo al curriculum del grande parmense, ma cementò il suo alone ed i suoi gregari, alcuni dei quali divennero ottimi professionisti. La Salamini però, come azienda iniziò a scricchiolare e nel 1968 lasciò (poi, nel ’69 fallirà), ma Adorni salvò il suo gruppo imponendolo alla Faema, suo nuovo team. Il grandioso ’68 con la conquista dell’iride ed il massimo della popolarità grazie anche alla trasmissione in TV, spinsero Adorni ad abbracciare le proposte provenienti da un’altra azienda parmense, la SCIC. Nel 1969 s’ebbe dunque l’esordio di un sodalizio che segnerà la storia del pedale negli anni settanta e che continuò a crescere anche dopo il ritiro agonistico di Vittorio. Naturalmente restò a lungo anche con diversi capitani, il riferimento ciclistico dei corridori emiliano-romagnoli, allungando non poco quella che era, appunto, una sorta di scuola ciclistica parmense. 

I ciclisti. 
Eccoli qua gli angeli custodi, gli amici, i collaboratori (quotidiani o quasi) sulla bicicletta di Adorni.
Succintamente.

 Luciano Armani
Nato a Felegara di Medesano (PR) il 12 ottobre1940. Passista veloce. Alto m. 1,73 per kg. 66. Prof. dal 1965 al ‘72, con 16 vittorie. Le principali: Tappa Marsiglia Tour ’71; Tappe Maratea e Bolzano Giro ’65 e ’70; Giro di Sardegna ’67; Coppa Sabatini ’65; Tappa Parigi–Nizza ‘66 e Tour de Suisse ‘69, indi GP Monaco,  Coppa Placci, Trofeo Cougnet,  Lisbona-Oporto Genova Nizza, Milano-Torino. Azzurro a  Zolder ’69. Un corridore che ha segnato la sua epoca ed il più forte del gruppo parmense dopo Adorni. Memorabili due sue vittorie. La tappa di Marsiglia, quando superò allo sprint Merckx, dopo una cavalcata di 251 chilometri (praticamente tutti in fuga) alla media di 46,272 kmh. La tappa di Bolzano ‘70 al Giro, quando staccò tutti sul Pordoi (allora Cima Coppi) e giunse al traguardo con quasi 3' di margine.


Emilio Casalini
Nato a Parma il 5 novembre 1941. Completo, alto m. 1,76 per kg. 72. Professionista dal 1965 al 1973, con due vittorie. Possedeva i cromosomi del gregario, ancor prima di scegliere questa come strada maestra nel rapporto col ciclismo. Era dunque naturale considerarla come riuscita scelta, ed infatti divenne una brava spalla. Le sue vittorie: la tappa del Monte Grappa al Giro d'Italia ’68 e la tappa di Roma al Giro di Sardegna ’69. Adorni, Merckx e Gimondi, i suoi capitani.

Wainer Franzoni
Nato a Cavriago (Reggio Emilia) il 2 luglio 1945. Passista scalatore, alto m. 1,78 per kg. 69. Professionista dal 1969 al 1970 con Scic e Zonca,  senza ottenere vittorie. Gran bel dilettante che, come sovente è successo nella storia ciclistica, spese il meglio delle sue risorse fra i “puri”. Da prof chiuse 10° il GP Campagnolo nel 1969 e, nella medesima stagione, fu buona spalla di Adorni al Tour de Suisse, che chiuse 72°.

Lauro Grazioli
Nato a Scandiano (Reggio Emilia) il 25 novembre 1943. Passista scalatore, alto m. 1,85 per kg. 76. Professionista dal 1966 al 1968, con una vittoria. Dopo una bella carriera fra i dilettanti (fu azzurro al Tour de l’Avenir e vinse, fra le altre, il GP De Gasperi), divenne fra i prof gregario evidente di Vittorio Adorni. Nel ‘68 in maglia Faema, vinse con Dancelli la “tipo pista” di Scandiano. Nel ’69 abbandonò l’attività ciclistica, preferendo dedicarsi al suo negozio di articoli sportivi.

Ercole Gualazzini
Nato a San Secondo Parmense (PR) il 22 giugno 1944. Passista veloce, alto m. 1,81 per kg. 83,5. Professionista dal 1966 al 1978, con 12 vittorie. Ha saputo essere tangibile ai massimi livelli nonostante un fisico che varrebbe l’aborro del pessimo odierno. Tra le sue vittorie, 4 tappe al Giro d’Italia (Benevento ’71, Valenza ’74, Verona ’76, Trieste ’77), 2 al Tour de France ( Saint Jean de Monts ’72 e Roscoff ’74), una alla Vuelta di Spagna (Bilbao ’69), il Giro Inde et Loire ’70 e la Sassari Cagliari ’77. “Gualassa”, come lo chiamavano tutti, è stato uno dei più popolari del gruppo negli anni settanta. 

Ernesto Jotti
Nato a Parma il 5 marzo 1944. Completo, alto 1,75 per 69 kg. Professionista dal 1969 al 1971. Non ha ottenuto vittorie. Scic nel ’69-’70 e Zonca nel ’71, le sue squadre. Ci si aspettava di più, ma da prof è stato solo un piazzato che non ha mai partorito l’acuto. Nel ’69 fu 2° al Toscana, 6° al Romagna e 9° al Giro delle Marche. Nel ’70 ancora 2° al Toscana. Nel ’71, 9° nella Sassari-Cagliari e 10° nel GP Camucia. Non bene nei GT: si ritirò al Giro ’69 e fu solo 44° nel Tour de Suisse ’70.

Pietro Partesotti
Nato a Reggio Emilia il 10 aprile 1941. Passista scalatore, alto m. 1,80 per kg. 72. Professionista dal 1963 al 1969, con una vittoria. Un personaggio tanto verace quanto umile nel vivere la sua carriera da gregario. Un compagno affidabile per quegli illustri capitani che lo hanno avuto come spalla, a volte così fedele al ruolo, da sfiorare le pagine del libro Cuore. L’unico successo nel ’68: il GP Ceprano del Trofeo Cougnet. Ha chiuso 4 Giri d’Italia e un Tour de France.

Paolo Zini
Nato a Parma il 25 maggio 1948. Passista scalatore, alto m. 1,76 per kg. 63. Professionista dal 1970 al 1971, senza ottenere vittorie. Il più giovane del gruppo che s’adeguò da subito al ruolo di gregario. Purtroppo per lui, difettava in tenuta (aspetto che oggi sarebbe assai meno influente) oltre i 200 chilometri. Partecipò ai Tour de France del ’70 (fuori tempo massimo alla 4a tappa) e del ’71 (fuori tempo massimo alla 4a tappa).  


I più forti del passato parmense precedente Adorni.

Giulio “Jules” Rossi
Nato ad Acquanera di Santa Giustina di Boccolo dei Tassi di Bardi (Parma) il 3 novembre 1914.  Deceduto a Champigny sur Marne (Francia) il 30 giugno 1968. Passista veloce, alto 1,74 per 74 kg.. Professionista dal 1935 al 1951 con 17 vittorie. Ha svolto l'attività professionistica in Francia.
Dopo essere stato buon dilettante in Italia, si trasferì oltralpe con la famiglia per cercare lavoro e tranquillità. In terra francese mise a segno due grosse imprese: nel '37 s'aggiudicò la Parigi-Roubaix davanti ai belgi Hendrickx e Declerc e nel '38 la Parigi-Tours che gli procurò il nastro giallo grazie alla media di km 42,097 sui 251 km del percorso. Fra gli altri successi, di nota la Parigi-St. Etienne a tappe nel '36, la Parigi-Reims '41 e '43, il Gran Premio delle Nazioni (zona occupata) nel '41 (fu 3° nel '42, 2° nel '43 e '44). A completare il suo palmares vittorioso il GP Troyes. Il GP Chantilly e il Circuit dell’Allier nel ’35; la tappa del Tour de France ‘38 la Bordeaux-Bayonne dove superò Giordano Cottur; i GP di Boise-de-la-Deule e quello di Lille nel ’41; il GP Distretto della Mosella nel ’42; la Fleche Francaise nel ’43; il Prix Nantua nel ’45; il Prix Page Rousullon, ultimo suo successo nel ’49. Ha poi ottenuto piazzamenti di gran rilievo: fu 2° nella Roubaix  '44, 3° nella Parigi-Tours '42; 2° nel '36 e 3° nel '38 nella Bordeaux-Parigi. Ha fatto parte della nazionale italiana al Tour de France al fianco di Bartali nel '37 e nel '38 (vinse la Bordeaux-Bayonne davanti a Cottur) ritirandosi in entrambe le occasioni come, del resto, fece pure nel Giro d'Italia sia nel '35 che nel '36. Uomo di poche parole ma di molta sostanza, ebbe vita difficile nelle grandi corse a tappe, per le difficoltà a rimanere concentrato per giorni e giorni. Tra l’altro, fu pure sfortunato nelle sue partecipazioni per i classici guai che intervenivano nelle particolarmente disastrate strade del suo tempo. Morì improvvisamente, a soli 54 anni, pochi giorni prima del previsto viaggio in Italia su quell’Appennino parmense dove, si dice, volesse ritornarvi definitivamente. Un personaggio che è stato per anni considerato, e lo è ancora per tanti, il primo italiano a vincere la Roubaix, in quanto ancora non si conoscevano le date della naturalizzazione francese di Maurice Garin. Un particolare da poco, comunque. 

Gianni Ghidini
Nato a Golese (Pr) il 21 maggio 1930, deceduto a Baganzola (Pr) il 20 giugno 1995. Passista veloce. Alto m. 1,71 per kg. 70. Professionista dal 1953 al 1954 con tre vittorie. 
Per chi, magari ancor oggi, crede alla maledizione della maglia iridata dei dilettanti, sicuramente troverà in Gianni Ghidini un bel esempio. Già, perché questo corridore parmense, forte sul passo e molto veloce, fu un personaggio in gran vista fra i dilettanti della sua epoca e, se vogliamo, anche in una più vasta area di confronto. E grazie ad un crescendo di risultati e di protagonismo evidenti, Proietti, lo storico Comissario Tecnico della Nazionale dei dilettanti degli anni cinquanta, lo schierò con compiti possibili di primato ai Campionati del Mondo di Varese, nel 1951. La risposta? Vinse di un'inezia (non c'era il fotofinish) sul toscano Rino Benedetti, che era convinto (come tanti spettatori del resto) di aver tagliato prima del compagno il traguardo. Fatto sta che Rino passò nel '52 fra i professionisti e lì determinò una bella carriera, mentre Gianni, rimase dilettante a godersi quell'arcobaleno e a pedalare verso le Olimpiadi di Helsinki '52, dove finì 7° nella prova in linea e conquistò l'Argento a squadre. Ma quando, nel '53, passò prof, nel breve volgere di un paio d'anni divenne un ex corridore. 
A dargli l'accasamento fu l'Atala, che correva alternata alla Lygie, la propria filiale e che credeva e sperava, di aver fatto un bel colpo portandosi Ghidini in squadra. Invece, le cose andarono diversamente. L'esordio di Gianni fu abbastanza buono, perlomeno per un corridore normale, ma il parmense non era visto come uno dei tanti,bensì come l'iridato dei dilettanti,ed il sodalizio dello storico diesse grigio-azzurro Alfredo Sivocci, non rimase contento, tanto è che a fine anno si concretizzò il divorzio. La vittoria di Ghidini nella tappa di Tienen al Giro del Belgio per indipendenti, il 2° posto nel Circuito della Valle del Liri, il 3° nel Giro dell'Appennino, il 4° nel GP d'Autunno, il 5° nella Coppa Sabatini, il 6° nella Milano-Modena, il 7° nel Trofeo Matteotti, l'8° nel Giro della Provincia di Reggio Calabria, il 9° nella Coppa Bernocchi, il 10° nel Trofeo Fassi, ed un buon "Lombardia" chiuso 19°, erano poco, troppo poco per l'Atala. Tra l'altro Ghidini si era ritirato al Giro, senza mai dare segni di vitalità nelle tappe concluse. A fine anno, come detto, ci fu la separazione ed il parmense finì alla Girardengo. Il 1954 di Ghidini, in risultanze fu questo: vinse la  cronotappa di Gela al Giro di Sicilia, ed una frazione del Giro di Croazia e Slovenia, corsa che poi chiuse 3° nella Generale Finale. Nell'anno, fu inoltre 9° alla Milano Torino e 11° nella Tre Valli Varesine. In ogni caso, Girardengo confermò Ghidini anche per il '55. Ma il parmense, afflitto da vari malanni, non corse quasi mai, ed appese la bicicletta al chiodo.
Qual'era l'ultima salita della tappa di Lerici al Giro 1984 ? Montemarcello ?
Top, salita che affronto ogni estate e che nel Lunigiana 2018 vide Remco portar via il gruppetto che poi staccò in pianura nella tappa di Fiumaretta.
L ho affrontata anch io anni fa un paio di volte
mi ricordo anche che c era un dentello da fare a tutta

Campo Cecina l hai fatta?
No, mi manca, prima o poi la voglio fare.

Lunigiana che negli ultimi anni ha anche scoperto lo strappo di Casette di Massa. Poi dalla parte Sarzanese offre tante belle salite che hanno reso grande questa corsa juniores. Ultimamente se la passava male per i problemi economici dell'UC Casano di Luni e mancava giusto la pandemia, però è una corsa bellissima.
Quest'anno avrei goduto vedermi Uitdebroekxs vs Brenner (che già dopo l'ultima tappa dello scorso anno promise che nel 2020 sarebbe tornato per vincere).
Due anni fa ero sul percorso in tutti e 4 i giorni della corsa, prima e ad ora unica volta in cui ho visto Remci dal vivo, e nella cronoscalata di Castelnuovo Magra mi piazzai a metà salita subito dopo un tornante. Quando vidi arrivarlo urlai "VAI REMCO !" e lui, quasi sorpreso, mi fissò per un attimo. Perse quea cronoscalta da Vacek per un centesimo se non vado errato Mmm Mmm Mmm

Poi l'ultimo giorno mi piazzai in un tornante sulla salita di Ortonovo dove se ha la visuale di tutta la valle di Luni e, passato Remco, guardai sotto e vidi il gruppo con 3/4 minuti di ritardo che doveva ancora comimciare la salita, mentre il fuoriclasse Belga era ormai in cima.
Ma stavo pensando, se in questo periodo dove ci sono poche corse (solo durante il weekend) e poche cose da commentare mandassimo alla lavagna i vari nuovi utenti che si sono iscritti negli ultimi 2 anni? Lo hanno fatto praticamente tutti.
Hai carta bianca, per quel che mi riguarda.


Bello questo topic, se volete farmi delle domande,fatemele pure
Perfetto, si potrebbe iniziare con te Gerro. Chiunque abbia domande su qualsiasi argomento può farle a te che poi devi rispndere.
Domanda per Gerro. Secondo te alle prossime olimpiadi invernali quante medaglie vincerà Vittozzi ?
Per Gerro: cosa manca al Milan per poter impensierire l'Inter? Un Giroud sano?
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