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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 11 marzo - Versione stampabile

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 11 marzo - Morris - 11-03-2023

Attilio Benfatto
[Immagine: 151595400918495Benfatto,Attilio.jpg]
Nato a Caselle di Santa Maria di Sala (VE) l’11 marzo 1943, deceduto a Mirano (VE) il 5 aprile 2017. Passista veloce, alto m. 1,70 per kg. 64. Professionista dal 1966 al 1976, con due vittorie su strada ed imprecisate su pista, fra le quali 4 internazionali.
Corridore veneto, nato a Caselle di Santa Maria di Sala l’11 marzo 1943 che, nel decennio 1965-'75, ha lasciato una traccia nel ciclismo, sia negli albi d'oro della strada che della pista.
Fin da ragazzino, Attilio ha alternato la strada alla pista, con buoni risultati vestendosi d'azzurro e di tricolore. I suoi primi acuti nazionali arrivarono nel 1963, quando assieme a Zandegù, Morosi e Greco si laureò campione d'Italia nell'inseguimento a squadre. Successivamente, Benfatto finì più volte nelle convocazioni e nel taccuino di Elio Rimedio, Commissario Tecnico della strada. Ma il suo desiderio principale era quello di passare professionista alla prima occasione, ed infatti, sul finire della stagione 1966, la neonata Salamini Luxor, in attesa dell'arrivo di Vittorio Adorni, fece esordire con tanto di contratto diversi ottimi dilettanti e, fra questi, anche lui.
Dopo un 1967 d'apprendistato, Attilio cominciò a dare evidenti segni di buone qualità nel '68 in maglia Kelvinator, chiudendo bene il Giro d'Italia e piazzandosi più volte. Nel 1969, Adorni lo volle in seno alla neonata Scic. Qui Benfatto trovò gli stimoli e gli equilibri giusti per far vedere quando di buono aveva evidenziato fra i dilettanti. Al Giro d'Italia fu un protagonista, piazzandosi secondo nella tappa inaugurale di Brescia, quindi finendo terzo a San Pellegrino, per arrivare al trionfo proprio nell'ultima tappa, a Milano, dove si dimostrò un eccellente finisseur. Chiuse poi la corsa rosa al 25° posto.
Nel 1970 oltre al Giro (che finì 57°), partecipò anche al Tour de France, dove cercò più volte la vittoria di tappa sfiorandola a Tolosa, dove fu battuto di un soffio da Albert Van Vlierberghe, un belga della Ferretti (guidata da Alfredo Martini), col quale aveva condiviso una bellissima e riuscita fuga a due. Chiuse poi la Grande Boucle in sessantesima posizione. Nel '71, dopo aver fatto ottimamente il gregario, iniziò a maturare l'intenzione di riprendere a cimentarsi in pista, precisamente nel mezzofondo, una specialità che l'aveva sempre affascinato. L'esordio avvenne nel '72, dopo un ottimo Giro d'Italia dove ritornò al successo, nella tappa di Reggio Calabria, ancora una volta con un'azione da finisseur, capace stavolta di mettere alle corde un illustre come Gimondi.
Nel mezzofondo ottenne subito un successo laureandosi campione italiano. Fu l'inizio di un'era, perché per quattro anni consecutivi dominò la specialità a livello nazionale, risultando pure uno dei migliori del mondo anche nelle rassegne iridate. Qui, pur pagando lo scarso peso del nostro movimento sugli allenatori, riuscì a centrare sempre la finale, ed a Montreal, nel '74, conquistò la medaglia di bronzo. Ormai solo pistard, nel 1976 pagò lo scarso interesse che i club italiani mostravano verso i velodromi e poté correre solo grazie alla disponibilità del romagnolo Cesarino Soldati. Una evidente flessione nel rendimento, ed un infortunio pesante, lo convinsero ad abbandonare l'attività a fine anno. Successivamente è diventato un tecnico a livello giovanile.

Ferdinando Della Giustina
[Immagine: 1297231877DELLAGIUSTINAFerdinando.jpg]
Nato a Vittorio Veneto l'11 marzo 1921, deceduto a Revine Lago (TV) il 6 agosto 2010. Passista. Professionista dal 1949 al 1951 senza ottenere vittorie.
Un corridore che aveva il potenziale per vivere una carriera professionistica degna, ma fu costretto nonostante una scorza fisica e mentale di gran nota a cedere alla sfortuna. Prima di arrivare al ciclismo era stato un partigiano e quei valori che l’avevano spinto ad abbracciare quella giusta causa non l’abbandonarono mai. Da dilettante Ferdinando Della Giustina corse con la Trevigiani, la Sanfiorese e la Saici Torviscosa, vincendo una decina di gare tra cui il Giro del Piave, la San Fior-Cortina-San Fior, la coppa Paglianti a Roncade, la coppa Chlorodont a Trieste, la coppa Resi Marinotti a Tor Viscosa e la Trieste-San Daniele-Trieste. Durante quest’ultima, gli osservatori della leggendaria Stucchi lo notarono e lo vollero con loro fra i professionisti per il 1949.  Da subito però, con un accordo da indipendente, poté correre su quella famosa bicicletta, il Giro delle Dolomiti 1948. Qui, colse un 7° ed un 8° di tappa e chiuse la breve corsa a tappe al 4° posto. Nel 1949 in seno alla squadra ufficiale Stucchi partecipò al Giro d’Italia, al servizio del capitano lo Fritz Schaer, Della Giustina dopo tanto lavoro concluse la “Corsa Rosa” al 54° posto. Una settimana dopo fu 6° nel Giro del Lazio. Nel 1950 partì come indipendente con la maglia della Saici Torviscosa, ma dopo il Trofeo Bottecchia, che chiuse 14°, in una gara minore fu investito da una automobile e gli effetti dell’incidente lo tennero lontano dalle corse per mesi. Saltò il Giro d’Italia e rientrò in gara al Giro delle Dolomiti, dove colse un 2° ed un 4° di tappa e chiuse il “Dolomiti” al 20° posto. Ma gli sforzi per quella manifestazione, acuirono gli strascichi dell’incidente citato e Ferdinando non riuscì più a recuperare il tono muscolare per un’attività agonistica come quella ciclistica. Tentò ugualmente di “riavviarsi” nel 1951, grazie ad un contratto per il Giro d’Olanda, con la squadra olandese della Algemeen Dagblad, ma nella terra dei tulipani, fu evidente che la carriera di Ferdinando della Giustina era finita.

Raymond Delisle (Fra)
[Immagine: 15380752851325Delisle,Raymond.jpg]
Nato l'11 marzo 1943 ad Ancteville e deceduto a Hebecrevon l'11 agosto 2013. Passista scalatore. Professionista dal 1965 al 1977 con 48 vittorie.
Ha iniziato a correre nel 1961, direttamente fra i dilettanti e nel 1965 era già professionista. Un corridore solido che ha saputo essere una grande spalla per i tanti capitani e che, all'occorrenza, sapeva divenire vincente.
Diciamo un corridore in perfetta linea medio-alta. Nei 13 anni di carriera ha corso dodici edizioni del Tour de France, vincendo due tappe: una nel 1969 e una nel 1976. Ha indossato due giorni la Maglia Gialla nel 1976. E' stato Campione di Francia nel 1969 e per dieci anni un riferimento del ciclismo francese. Innumerevoli i suoi piazzamenti di pregio. Ha vissuto fino alla fine dei suoi giorni ad Hebecrevon, nella Manica, dove gestiva un hotel di sua proprietà.
Tutte le sue vittorie.
1965: Circuit di Hénanbihen. 1966: Lescouet-Jugon; Tappa del Mont Faron del GP Petit Varois; GP Hyeres; Circuit di Brionne. 1967: Circuit di Mun-neville. 1968: Flers de l'Orne; Circuit di Sizun, Saint-Brice en Coglès e Biot. 1969: Campionato Nazionale su strada; 16a Tappa del Tour de France; Tour de l'Herault; GP Polymultipliée; Circuit di Saint-Brieuc, Antibes, Le Mesnilbus e Patay. 1970: Classifica Generale Trophée d'Europe de la Montagne; 2a Tappa Trophée d'Europe de la Montagne; Mael-Pestivien; Prologo Criterium du Dauphine Liberé; Circuit des genets verts; GP del Puy-de-Dome; Circuit di Commentry. 1971: Circuit di Camors. 1972: 2a tappa Tour de Romandie; Circuit di Camors. 1973: GP Nizza; Circuit de Ju-rançon. 1974: 10a Tappa (a) della Vuelta di Spagna. 1975: Genova- Nizza; 6a e 7a Tappa della Parigi Nizza; Draguignan-Seillans; Circuit di Henon e di Mont Chauve. 1976: 12a Tappa del Tour de France; Circuit di Saint-Pol sur Ternoise, Circuit di Plessala. 1977: GP Polymultipliée.

Marino Fontana
[Immagine: 1308773325FONTANAMarino.jpg]
Nato l'11 marzo.1936 a Caldogno (VI), ed ivi deceduto l'11 giugno 2013. Passista scalatore, alto m. 1,71per kg 67. Professionista dal 1960 al 1966, con una vittoria.
Un corridore certamente più forte di quanto non lasci intravvedere il curriculum, riassumibile su quel "di tutto un po'", che l'ha comunque contraddistinto in un'epoca dove il ciclismo recitava nitidezza nei ruoli, era onesto nei valori e dove insistevano personalità forti, vere, ma tutte più o meno lontane da quell'interesse che, col tempo, è giunto a sopprimere le passioni. Una figura ben immersa sugli sfondi di quegli anni '60 che, in ogni campo della vita, sono stati gli ultimi a possedere un certo equilibrio, fra progresso scientifico-tecnologico e progresso prettamente umano. L'ultimo avamposto, ove era ancora possibile sognare un mondo migliore, con un minimo di credibilità oggettiva, prima del progressivo buio che ha spento ogni candelabro isolatissimo di nicchie vergognosamente definite "fuori dal tempo" della vite e dell'inevitabile, in quanto logiche. Anni in cui lo sport della bici ruggiva quell'insieme che, negli scontri, ti lasciava ugualmente quel minimo comun denominatore, capace di spingere i bambini ad una laica, caleidoscopica, ed acculturante religione ciclistica. Poteva così capitare che i ragazzi amassero col fare dell'ammirazione un Fontana, che non vinceva quasi mai, ma era lì, sempre lì, quasi gregario e quasi capitano, acquaiolo e scalatore, velocista da gruppetto e disperato discesista che otteneva dai compagni ruote e borracce, così come le portava lui. Pieno di buon senso, con quell'indole al dovere che rasenta il naturale masochismo, spesso in binomio col rispetto verso chi ti da il pane. E di lì, quel "di tutto in po'", che lo distingueva come atleta che da dilettante faceva sognare vincendo il "Trofeo De Gasperi" e che, da professionista, lo elesse protagonista, per senza la brillantina della vittoria frequente, a parte la cornice radiosa del Giro di Toscana '61 e di quella sfiorata, o meglio ottenuta, che valeva la Maglia Tricolore nel '63, e che, poi, lo legherà indissolubilmente ad una pagina triste della storia del ciclismo italiano. Già, un ruolo-effige che portò un'azienda come la San Pellegrino, a chiudere per sempre le proprie porte al ciclismo e che, di fatto, modificò i destini di un gruppo di corridori di buon livello, ed il percorso nel dopo carriera, di un grande come Gino Bartali. Sì, proprio quel "Ginettaccio", tanto brontolone quanto buono, che voleva bene a Marino e che se l'è sempre tenuto stretto sulle mitiche maglie arancio con fascia bianca della San Pellegrino. Il dopo quei tristi eventi della primavera '63, vide Fontana ricevere l'ulteriore frustrazione di dover vendere, per farsi un plausibile stipendio, gli elettrodomestici della claudicante Firte, l'azienda ligure subentrata alla leader delle aranciate, dopo il di questi abbandono, ed accasarsi alla Lygie del "naif" Taccone nel 1964. Scorci agonisticamente buoni, come sempre, nel romanzo di Fontana, prima di iniziare ad insegnare ciclismo: sulla bicicletta alla Maino nel '65 e nella neofita Mainetti nel '66. L'anno seguente, salì sull'ammiraglia di quest'ultimo sodalizio e lanciò al meglio quel velocista, vicentino come lui, che, volendo, teneva anche sull'aspro: Marino Basso. Anche da nocchiero era proprio bravo il buon Fontana di Caldogno. Albani lo volle con sé alla Molteni, dove dopo Basso e Dancelli, si trovò, nel '71, a guidare un certo Eddy Merckx. Poi, nel '73, un salto in proprio con la Jollj Ceramica, dove unì i suoi consigli ad un ragazzino che, da subito, impegnò proprio il Cannibale: Giovanni Battaglin. Ma il ciclismo stava velocemente cambiando....in peggio, ed alla fine della stagione '77, il dignitoso e d'un pezzo Marino, lasciò l'ammiraglia per dedicarsi al suo negozio di articoli sportivi, destinandosi al calcio e alla sua cittadina, divenendone pure Assessore. Col ciclismo sempre più lontano, ha passato gli ultimi suoi anni, prima d'essere sconfitto da una malattia. Anni vissuti col piglio-dovere degli sportivi veri, quelli che vogliono questa particolare forma espressiva, come un monumento nella fase educativa e psicofisica dei giovani. Non quelli che vivon di ricordi e che, magari, nello sport si destinano, anima e corpo, per chi giovane non è più e che, magari, si riempie di fiele, per vincere l'epitaffio della Coppa del nonno, o essere moderna icona....del poco.
Ciao Marino, eri popolare in me bambino, ed oggi, da vecchio, ti sento come allora.

Maurizio Ricci detto Morris