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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 25 aprile - Versione stampabile

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 25 aprile - Morris - 25-04-2023

Ernesto Bono
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Nato il 25 aprile 1936 a Ome (Brescia) ed ivi deceduto il 31 maggio 2018. Passista. Alto 1,70 per 72 kg. Professionista dal 1959 al 1964 con 10 vittorie.
Corridore di grande potenza, pur essendo piuttosto piccolino e con un peso che oggi farebbe gridare allo scandalo, i preparatori medici imperatori del ciclismo, Ernesto Bono, è passato silenzioso nel pedale a cavallo degli anni sessanta. Lo voleva il suo carattere di poche parole e poco propenso alla ricerca della ribalta. Partorì una carriera dignitosa, di buon livello fra i dilettanti e con qualche acuto fra i professionisti. Adattissimo al cronometro, soprattutto su terreni piatti dove il suo motore poteva liberare tutta la potenza che possedeva. Si segnalò nell'élite, nell'anno d'esordio, il 1959, vincendo, in maglia San Pellegrino (praticamente l'unica sua squadra professionistica), ed assieme al trevigiano Tomasini, il GP Boldrini di Cicognara, una cronocoppie. Poi concretizzò quanto di bene si diceva su di lui, giungendo 3°, sempre a cronometro, al Trofeo Tendicollo Universal di Forlì, a 1'27" dal fenomenale Baldini e a soli 27" dal mitico Jacques Anquetil. Una grande prestazione davvero. Andò molto bene al Giro d'Italia che chiuse al nono posto, davanti ad un certo Gastone Nencini, grazie ad una condotta regolare. Fu inserito nella Nazionale che partecipò al Tour de France, chiuso poi al 36esimo posto. Nel 1960, vinse le prove di Pistoia e di Quarrata, valevoli per il Trofeo UVI, ma nel complesso della stagione, escludendo il secondo posto nella tappa di Pescara al Giro d'Italia, non si segnalò particolarmente. Nel 1961, dominò il Trofeo Cougnet, vincendo tre prove dello stesso (Capolona, Cobiate e Como), nonché la classifica finale. Vinse il Circuito di Maggiora, si piazzò secondo in una tappa del Tour de Suisse (chiuso al settimo posto) e terzo nella tappa di Taranto al Giro d'Italia (terminato al 43esimo posto). Nel 1962 vinse la frazione di Logrono alla Vuelta di Spagna e nella stagione successiva, conquistò quella di Lugano, al Tour de Suisse. Nella principale corsa a tappe svizzera, concluse l'edizione del 1963 al quinto posto. Un sensibile calo di rendimento nella stagione 1964 corsa in maglia IBAC, gli precluse l'accasamento nell'anno successivo, costringendolo ad abbandonare l'attività. Tornato alle cronache qualche anno fa, per una vicenda legata alla sua salute, oggi sta bene ed è ancora molto popolare nel bresciano.

Leopoldo Cattelan
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Nato a Donada (Rovigo) il 25 aprile 1943. Passista scalatore, alto m 1,80 per 66 kg. Professionista dal 1969 al 1971, senza ottenere vittorie.
Con questo rodigino trapiantato nel torinese, incontriamo uno stereotipo di dilettante votato alla causa degli allora considerati "puri". Un evidente della categoria, anche se, per caratteristiche di scalatore più che di passista e senza un discreto sprint, poco vincente: Uno che però si piazzava nelle gare più importanti ed in queste era ardimentoso protagonista, al punto di divenire azzurro, "probabile olimpico" e, poi, di subirne gli stop ad ogni sirena professionistica. Tra l'altro il comunque silenzioso Leopoldo, a men di venti anni, era entrato nel Centro Sportivo della Fiat, allora visto e sentito nell'ambiente ciclistico, come una sorta di gruppo professionistico in attività fra i dilettanti. In altre parole, il buon Cattelan, il richiamo della fame ciclistica che sfociava nella speranza-volontà di passare prof, lo sentiva meno e questa deviazione, sicuramente, pesò nella sua breve e poco soddisfacente parentesi professionistica. Sfumata la partecipazione a Mexico '68 (nel 1967, Cattelan era stato azzurro al Tour de l'Avenir, dove s'era classificato 3° nel tappone pirenaico di Lochon), anche per lui si aprì il varco di quell'autentico esodo (una settantina) di dilettanti che, nel 1969, entrarono a far parte dei professionisti. Leopoldo vi partecipò ingaggiato dalla neofita, ma già "osservatissima" Ferretti, diretta da Alfredo Martini. Nella sua prima stagione, fu 4° nella Marina di Massa-Pian della Fioba, 6° nel Gran Premio di Tarquinia, 7° nel Gran Premio Industria e Commercio di Prato, ma al Giro d'Italia si ritirò nel corso della dodicesima tappa, a causa di una caduta. A fine anno, Cattellan non fu confermato in Ferretti e fu costretto a trovarsi un nuovo accasamento che si concretizzò solo nella piccola squadra dal programma limitato della Zonca di Voghera. Il fatto di non poter partecipare al Giro lo demoralizzò, ed il suo 1970 fu grigissimo. Con la speranza di vedersi aprire un varco per un efficace accasamento, staccò la licenza anche nel '71, ma non si concretizzò nulla e fu costretto ad abbandonare il ciclismo vero.

Giacinto Santambrogio
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Nato il 25 aprile 1945 a Seregno (MI) ed ivi deceduto il 14 giugno 2012. Passista veloce. Alto 1,78 m. per kg 70. Professionista dal 1969 al 1979, con 14 vittorie.
Con Giacinto incontriamo uno dei corridori che pur non essendo un campione nella disamina storica, ha segnato gli anni settanta. O meglio, campione lo sarebbe stato a pieno regime se fosse nato 20 anni dopo. E non è la solita storia dei "se" e del "ma", poiché chi ha potuto vedere il ciclismo di quell'epoca e quelle dopo, sa con la certezza degli occhi, quanto un corridore come lui, abbia pagato la compresenza con corridori di levatura storica, ben superiori, perlomeno come tempra e per numerosità, a quelli venuti dopo. Santambrogio, non era possibile per le grandi corse a tappe, ma in tutte le altre aveva numeri per segnare gli albi d'oro: nel passo, nelle brevi salite e persino in volata vista la progressione. Purtroppo, fece la scelta, rispettabile e comunque luminosa, di destinarsi al ruolo di spalla verso i grandi capitani, Gimondi su tutti, degli squadroni di cui ha fatto parte, ma di lui, i nostri ricordi, sono pieni di belle pagine, anche quando non tagliava per primo il traguardo. Come quando, ad esempio, si metteva al servizio dei velocisti della sua squadra, facendo un lavoro, da solo, pari a quello dei treni odierni e quelle sue tirate, erano così impetuose ed armoniose, da far levare degli "ohhh" nei bar, dove, magari ci si fermava per vedere le tappe del Giro, e che restano i luoghi, tanto più oggi, per verificare la profondità della tensione simpatetica del ciclismo. Un grande, Giacinto, alla faccia di quegli albi d'oro che, nel ciclismo, valgono la metà degli altri sport. Nato, vissuto e cresciuto a Seregno, in quella Salus, le cui maglie giallo-blu ebbero tanta parte nel ciclismo degli anni '60 e '70. I suoi inizi, nel 1961, fra gli esordienti. Da allievo vinse il Tricolore nella cronometro a squadre (con Borgonovo, Brusegan e Figini). Fra i dilettanti corse 4 anni: con Salus Seregno, Coop Corsico e Iag Gazoldo, raccogliendo tanti significativi successi, 27 per la precisione, fra i quali spiccano una tappa alla Praga Varsavia Berlino, il GP Camaiore (che poi vincerà anche fra i professionisti e fu l'unico a fare quella particolare doppietta), la Milano Tortona e il Campionato Lombardo. In quel lasso indossò spesso la Maglia Azzurra: nella citata "Corsa della Pace" (Praga Varsavia Berlino), al Tour de l'Avenir, ai Giri di Scozia e Germania. Nel 1969 divenne professionista, passando attraverso la Iag Gazoldo, che era il serbatoio della Molteni, proprio nella grande squadra di Arcore. I capitani che trovò nel celebre team di patron Ambrogio Molteni, furono prima Dancelli e Basso, poi sua maestà Eddy Merckx. In quel lasso vinse la Coppa Bernocchi nell'anno d'esordio e la tappa di Lainate al Giro d'Italia '71. Nel 1972, passò alla Salvarani di Gimondi, il suo capitano storico, e trovò un velocista come Guido Reybrouck. Col nuovo sodalizio vinse la Tre Valli Varesine. Nel '73, il team fu sponsorizzato dalla Bianchi e col celebre marchio di bici color celeste, che si prolungò fino al 1978, si ritrovò oltre che con capitan Gimondi, anche coi velocisti Van Linden e Basso. Nelle poche giornate dove poté far la sua corsa, vinse, fra altre, due tappe al Tour de France, a Melun nel '75 e Lorient nel '77, una frazione del Giro d'Italia a Salsomaggiore nel '77, il GP Camaiore e il GP Argovia-Gippingen nel '74 e la Cronostaffetta (con Gimodi e Rodriguez) nel '75. Chiuse col ciclismo pedalato nel 1979, correndo nella Inoxpran al servizio di Giovanni Battaglin. Anche fra i professionisti fu un amico dell'azzurro: partecipò, infatti, a 5 Mondiali, cogliendo nel 1974, il 4° posto a Montreal, dove fu il primo degli italiani. Fu allo start di 10 Giri e 5 Tour, tutti portati a termine. Anche nel dopo carriera, non abbandonò il ciclismo, seguendo la crescita di alcuni giovani della zona e fondando l'ASD Santambrogio per cicloamatori, di cui fu presidente fino alla morte, sopraggiunta prematura dopo una lunga malattia poco prima dell'alba del 14 giugno 2012. Ha lasciato la moglie Dinora e la figlia Giulia, avvocato.

Charles Terront (Fra)
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Nato il 25 aprile a Saint Quen (Francia) e morto a Sainte Margherite (Francia) il 31 ottobre 1932. Il pioniere per eccellenza del ciclismo francese. Furbo, scaltro sulla bici e signorile nel portamento fuori dal ciclismo, imperversò letteralmente nel lustro che va dal 1888 al ’93. Baffi in perfetto stile d’epoca, a manubrio, calzoni alla zuava, mulinava i pedali di quelle bici rudimentali, con una velocità ed una resistenza che lo portarono ben presto alla notorietà e alla fantasia popolare. 
Correva dappertutto, secondo lo schema di quei tempi, ma erano le gare di estrema durata le predilette. La Parigi Brest Parigi, rappresenta la “chicca” del suo eccellente palmares. Fu una vittoria colta con l’aggiunta di una componente determinante: la sua incredibile capacità di fermare il tempo, dimenticando la fatica e la stanchezza, fino al raggiungimento dell’obiettivo. Infatti, a 300 km dal traguardo, il connazionale Jiel Laval, poi secondo classificato, lo precede-va di un paio d’ore, ma si fermò a riposare, convinto che, prima o poi, anche Terront lo facesse. Invece, il formidabile Charles, soprannominato “L’uomo corridore”, non si fermò e alla fine lo anticipò di ben 9 ore. All’attivo del baffuto di Saint Quen, anche 2 Campionati di Francia dei 100 km, nel 1888 e nel 1889. Nel 1892 poi, il connazionale Jean Marie Corre, che alla Parigi Brest Parigi dell’anno prima, era giunto quarto ad un giorno di distacco, lo sfidò, in un memorabile confronto sui 1000 km, dietro allena-tori umani (40 per ciascuno), al Velodromo d'Hiver di Parigi. Fu una battaglia incredibile. I due dovevano correre almeno 24 ore senza soste di riposo, come da meta classica dell’epoca, ma mentre Corre, ogni tanto, si fermava per fare i suoi bisognini, Terront continuò imperterrito a pedalare, facendo pipì all’interno di una camera d’aria, chiusa da una parte, ed ovviamente tagliata, che si faceva passare al volo e che poi restituiva al giro successivo. Vinse la sfida naturalmente. Nel palmares di Charles, anche quattro Sei Giorni, ed una serie di record sia su strada che su pista. Da notare che su strada, in 24 ore, percorse 546 km e 327 metri nel 1889, mentre nel 1892, fra il 6 e l'8 settembre, coprì i 1000 km da Parigi a Brest ad Alencon, ad una media assai superiore, rispetto a quella della sua vittoria nella classica Parigi-Brest-Parigi, dell’anno precedente. In Francia, l’agnomen Terront, significa ciclismo.

Maurizio Ricci detto Morris