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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 29 aprile - Versione stampabile

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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 29 aprile - Morris - 29-04-2023

Sylvester Aarts (Hol)
[Immagine: 14384493443538aarts78.jpg]
Nato a Steenbergen (Ned) il 29 aprile 1942, professionista dal 1978 al 1986, senza ottenere vittorie.
Un onesto pedalatore, che ha sempre militato in piccole squadre belghe ed olandesi. Un gregario per le kermesse, privato di gioie personali per uno spunto veloce che, su strada, era ....inesistente. Per porvi rimedio provò la via della pista, dove, grazie ai pochi partecipanti, riuscì persino a giungere secondo ai Campionati olandesi della velocità nel 1980. Il suo miglior risultato sull'asfalto da professionista, lo colse nel 1984, quando conquistò la piazza d'onore a Langedijk. Ritornò poi dilettante (e pure a vincere), nel 1987.

Richard Depoorter (Bel)
[Immagine: 1303029887DEPOORTERRichard-2.jpg]
Nato a Ichtegem il 29 aprile 1915, deceduto a Wassen (Svizzera) il 16 giugno 1948. Completo. Professionista dal 1938 al 1948 con 17 vittorie.
Arrivò al ciclismo più tardi rispetto a tanti coetanei e non bruciò le tappe, ma fu autore di una crescita costante e tangibile, nonostante l’interruzione a causa del Conflitto Mondiale.
Dopo essersi imposto due volte nella Liegi-Bastogne-Liegi ('43 e '47) e nel Gran Premio Franco-Belga (’47), sembrava in grado di affermarsi anche come corridore da gare a tappe. Ma un tragico destino l'attendeva all'interno del tunnel di Susten, durante una tappa del Giro di Svizzera. Nella scalata del Col de Susten, fra Thun e Altdorf, si era difeso bene, e nella discesa si era lanciato all'inseguimento di Ockers, Kubler e Robic. Ma nella galleria poco illuminata urtò la parete rocciosa, fu sbalzato nel mezzo di strada, dove venne investito da un'auto del seguito guidata da Louis Hanssens, che due anni più tardi venne condannato dalla ventesima Camera del Tribunale di Bruxelles. Era il 16 giugno del 1948.

Franco Magnani
[Immagine: Magnani,%20Franco.jpg]
Nato a Cesena il 29 aprile 1938. Passista veloce, alto m. 1,76 per kg. 72. Professionista dal 1961 al 1964 con una vittoria.
Un corridore che poteva lasciare una traccia ben maggiore nel ciclismo professionistico, perché sebbene non fosse un campione di prima grandezza, era di sicuro un gran bel corridore. Il suo problema però, era quello di non riuscire ad adattarsi, con la convinzione necessaria, al ruolo di spalla, o di gregario, con qualche giornata di libertà. Nella sua epoca però, nonostante fosse stato un forte dilettante che poteva correre sempre libero, si trovò fra i professionisti a doversi rapportare con capitani che erano davvero di peso e le corse erano troppo poche per consentire ampie possibilità personali. Oggi, un corridore come Franco, avrebbe all'attivo un palmares di nota, ma coi "se" e coi "ma" non si fa storia, ed anche se ci sono mille ragioni per essere convinti del contrario, è bene limitarsi a giudicare il tracciato pure per lui. Magnani, ha percorso nel ciclismo tutte le categorie in essere nella sua epoca. Esordì fra i "liberi", nel 1953, indi fra gli esordienti divenne campione romagnolo e cominciò con una certa frequenza a tagliare il traguardo per primo. Quasi sempre per distacco, tra l'altro. Notevole il suo successo, da allievo, nella Coppa Succi a Forlì. Ma fu da dilettante che la sua crescita si fece tangibile. In quel lasso, la sua autorevolezza di atleta dalle giornate ruggenti, raggiunse la pienezza del palcoscenico nazionale con oltre 20 vittorie, fra le quali la "preolimpica" di Montanina di Firenze, la cronometro a Loro Ciuffenna in Toscana e, soprattutto, il Trofeo Faina a Roma nel 1960. In quest'ultima corsa, si impose in volata dopo 210 km, convincendo il CT Rimedio ad inserirlo nella squadra azzurra per i Mondiali di Sachsering nell'allora Germania dell'Est. Sul difficile circuito iridato, Magnani chiamato a svolgere protagonismo nelle fasi iniziali, fece il suo lavoro ed a quattro/quinti di gara si ritirò.
Nel settembre del 1961, in occasione della Tre Giorni del Sud a tappe (gran bella corsa purtroppo non più ripetuta), passò professionista con la Ghigi. In quella manifestazione fu subito protagonista, colse piazzamenti in tutte le tappe, ed uscì da quella corsa come "l'emergente". Nella sua prima stagione piena fra i prof, non partecipò al Giro, ma al Tour de France, che chiuse all'83° posto, con una 3a piazza nella 9a tappa, che si concludeva a Bordeaux, dove fu battuto allo sprint da Bailetti e Graczyk. Nell'anno, fu 3° anche nella Sassari Cagliari. Nel 1963, come gran parte dei corridori della Ghigi che chiudeva i battenti, passò alla Salvarani, con la quale esordì al Giro d'Italia. Qui, vinse a tempo di record la tappa di Treviso, chiusa in solitudine alla media di 44,212 Km/h! Finì poi la corsa rosa al 35° posto. Nel 1964 finì 80° il Giro, ma a fine stagione pur avendo la possibilità di continuare, chiuse col ciclismo ufficiale, aprendo decenni di grande tangibilità agonistica fra gli amatori italiani ed europei.

Attilio Rota
[Immagine: 1213731281Rota,%20Attilio.jpg]
Nato a Clusone (BG) il 29.04.1945. Passista scalatore, alto m. 1,76 per kg. 68. Professionista dal 1969 al 1980 con una vittoria.
Da giovane, Attilio, fece crescere al sottoscritto ragazzino, la curiosità verso la graziosa Clusone. Già, perché chi scrive, per essendo alla fine delle medie, ancora giocava a "quarcì" (tappetti) e, grazie a quel passatempo, il suo campionario di conoscenza di corridori, toccava le ottocento unità. Ed a quel tempo, Rota, era un dilettante di gran pregio, uno che non si poteva non conoscere. Lo strano nome del suo paesino, entrò così in me.... che abitavo a 400 chilometri....
Il giovane bergamasco, era un ciclista che non giunse subito all'evidenza delle risultanze, ma seppe crescere ogni anno con dovizia, fino ad esplodere compiutamente a 23 anni, nel 1968, anno in cui vinse la classicissima G.P. Liberazione e fu azzurro nella massacrante Corsa della Pace (Praga-Varsavia-Berlino). Molto stimato dal CT Elio Rimedio, non fece parte della selezione azzurra alle Olimpiadi di Città del Messico e ai Mondiali di Montevideo, solo a causa di un beffardo infortunio. Passato professionista nel 1969 (la stagione che vide il maggior numero di passaggi alla massima categoria dell'intera storia ciclistica italiana), all'interno della Sanson guidata da Gianni Motta, si fece subito valere, vincendo, con un colpo da autentico finisseur, lui che era passista scalatore, la velocissima Milano Vignola (un festival degli sprinter), dove anticipò di una manciata di secondi Franco Bitossi, che regolò i "galletti" sempre in guerra fra loro, Dino Zandegù e Marino Basso. Attilio poi, giunse terzo al Giro di Toscana, al termine di una volata a tre, con Giorgio Favaro (vincitore) ed Ernesto Jotti. Al Giro d'Italia finì 41°, tra i migliori "neopro", ma era un ciclismo di autentiche star, niente a che vedere con quello di oggi. A fine anno, a testimonianza della buona qualità del corridore, il San Silvestro d'Oro, una specie di tricolore a punti, collocò Rota al nono posto, primo dei debuttanti. Rota però, aveva ben capito che in quel pedale fatto di autentici campioni, era molto meglio mettersi al loro servizio, piuttosto che provare a giocarsi le proprie carte, col rischio di finire fra i disoccupati (ed allora era molto facile). Con la stagione '70, al cui esordio solo il grande Rudi Altig, riuscì a piegarlo nella classica "Sassari-Cagliari", iniziò il lungo status di spalla, o gregario, o luogotenente, di Attilio.
Potremmo dire un gran bel corridore che seppe divenire "angelo custode", fra i tanti coi quali ha corso, ed in successione temporale, di ciclisti come il già citato Motta, Patrick Sercu, Pierfranco Vianelli (l'olimpionico del Messico, che non seppe mai diventare qualcuno nel vero ciclismo), Ole Ritter, Roger De Vlaeminck, Johan De Muynck, Gian Battista Baronchelli, l'ultimo Franco Bitossi, Enrico Paolini, di quel regale spagnolo che era Miguel Maria Lasa, Wladimiro Panizza, Francesco Moser, Gregor Braun....
E' poi stato compagno di Giancarlo Bellini, l'uomo che passò al ciclismo direttamente dal calcio, fino a vincere il Giro d'Italia per dilettanti del '70 e la maglia a pois al Tour de France '76. E' inoltre da citare anche quel Walter Riccomi, per il quale Attilio lavorò tantissimo al Tour de France del 1976, concluso dal toscano al quinto posto finale. Nella seconda presenza alla Sanson, oltre a Moser e De Vlaeminck, Attilio ebbe come compagno, il "treno del Piave", Simone Fraccaro.
Fino al 1980, dunque, Rota fu uno di quegli uomini che si sentono anche se non hanno la ribalta e che solo il genio comunicativo di Sergio Zavoli, ha saputo degnamente raccontare nei già divenuti importanti media non su carta. Attilio era nel suo genere un grande, uno che se fosse corridore oggi, epopea di capitani sfumati e di tante possibilità di corse, sarebbe senza dubbio un possibile vincente, anche se privo di spunto veloce.
In tutti questi anni, partecipò e finì il Giro d'Italia, senza mai piazzarsi oltre la sessantesima posizione. Unica eccezione, il 1977, dove non fu presente allo start. In quell'anno però, giunse 3° al GP di Larciano, superato allo sprint da Giancarlo Tartoni e Gabriele Mugnaini (fratello minore del più celebre Marcello). Due, le partecipazioni al Tour: nel 1974, dove si ritirò nella 14esima tappa e nel già citato ''76, dove finì 36°.
Appese la bici al chiodo alla fine del 1980, a 35 anni, anche se, va detto, erano ancora diverse le squadre che l'avrebbero volentieri ingaggiato. Oggi gestisce un negozio di vernici e continua ad amare la montagna, ovvero la passione che l'ha coinvolto pienamente, dopo la fine della sua epopea ciclistica. Un personaggio, ancora molto popolare nella sua zona.

Maurizio Ricci detto Morris