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Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Versione stampabile

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Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Danilo M. - 04-01-2014

Storia dell'uomo che beffò Anquetil ed unì Coppi&Bartali

Era modenese Meo Venturelli, origini contadine, ma talento sopraffino, lui che fu l'erede designato del Coppi il quale lo volle con lui in squadra alla San Pellegrino, guidati in ammiraglia da Gino Bartali, per l'anno che veniva, il 1960. Fu un anno travagliato, con la scomparsa prematura del Campionissimo, ma anche l'anno in cui esplose : in primavera s'impose in ogni maniera, a crono, in volata e per distacco, regolando su tutti Jacques Anquetil, che ritroveremo al Giro dello stesso anno.

Talento fuori dal comune per quest'atleta possente, che vivrà proprio nel Giro d'Italia il momento più alto, ma anche più basso, della propria carriera. Partenza da Roma, alla seconda frazione è già battaglia, si affronta il Monte Faito in quel di Sorrento, è una crono impegnativa; in vetta Venturelli accusa un distacco importante, quasi 40", il Sultano all'arrivo viene chiamato sul palco ad indossare la Rosa : ma Meo osa in discesa, e avrà ragione di questo, precedendo il francese al traguardo di soli 6". Anquetil ha già il simbolo del primato addosso, ma dovrà sfilarselo consegnandolo all'atleta della San Pellegrino, al quale, da quel giorno in poi, negherà il saluto. Ma la gloria per Venturelli non dura che una notte, una notte folle fatta di champagne e festeggiamenti, già l'indomani la maglia tornerà sulle spalle di Anquetil. Bartali lo sprona, ma Meo è stanco, ha intenzione di ritirarsi, tiene duro un'altra tappa, e per tirarsi su beve ancora champagne, che sarà il colpo di grazia l'indomani, quando alla soglia del Terminillo scende di bici e dice basta. Leggendarie le parole di Bruno Raschi che lo dipingeva come "un campione dotato di talento innato e grande potenza, che sarebbe stato capace di qualsiasi impresa, ma un talento non supportato dalla testa, che visse in quei pochi giorni gloria e disperazione, perchè si bruciò da solo". Da lì in poi il nulla, solo due vittorie, l'ultima al Giro del Piemonte dopo della quale scomparve.


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Luciano Pagliarini - 04-01-2014

In quegli anni comunque c'era una ricerca spasmodica del nuovo Coppi, pure Baldini e Zilioli era considerati tali. Un po' come è successo poi con Pantani negli anni 2000 con prima Cunego e poi Riccò che dovevano essere il suo erede...


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Paruzzo - 14-03-2014

Le borracce di Bartali

Parlando di Gino Bartali non può non venire in mente la storica fotografia del passaggio di una borraccia tra il toscano e il rivale di sempre Fausto Coppi al Tour de France del 1952. La fotografia venne scattata da Carlo Martini sul Col du Galibier il 4 luglio 1952. Si discute ancora oggi se sia stato Bartali a passare la borraccia a Coppi o viceversa. La spiegazione di Vito Liverani, altro grande fotografo, sulla famosa fotografia della borraccia (che in realtà è una bottiglia) è che la foto sia stata "costruita" da Martini, che chiese ai due grandi campioni di poter immortalare un momento di lealtà tra i due grandi rivali. In ogni caso questa borraccia, o bottiglia, è rimasta nell'immaginario collettivo e probabilmente non verrà mai dimenticata.

Meno conosciuta è invece una storia che risale all'anno precedente, sempre al Tour de France. Il dominatore di quel Tour era lo svizzero Hugo Koblet. Durante la 21esima tappa, da Briançon ad Aix-les-Bains, Koblet patì particolarmente il caldo e, in un momento della corsa, chiese a Gino Bartali un sorso d'acqua. "Ginettaccio" prese la sua borraccia, ne bevve un sorso e poi gettò via l'acqua rimanente lasciando letteralmente a bocca asciutta lo svizzero.
Il giorno dopo, nella lunga cronometro verso Ginevra, lo svizzero Koblet raggiunse Bartali partito diversi minuti prima, vide che era rimasto a secco di borracce, prese la sua e la infilò nel portaborracce dell'avversario, per poi superarlo senza dire una parola.


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Paruzzo - 25-03-2014

Il Diavolo Rosso, Giovanni Gerbi

La leggenda vuole che ad attribuire a Giovanni Gerbi il suo storico soprannome sia stato un parroco, dopo che il corridore era passato con la sua bicicletta e il suo caratteristico maglione rosso in mezzo ad una processione. In ogni caso è passato alla storia come uno dei pionieri del ciclismo italiano ed è stato il primo vincitore del Giro di Lombardia. In quell'occasione, nel 1905, Gerbi studiò attentamente l'intero percorso e capì il punto chiave, a Lodi in un punto dove i binari del tram si incrociano sulla strada. Il giorno della corsa Gerbi si mantenne in testa al gruppo, tenne un andatura piuttosto elevata fino a subito prima dei binari ma poi si portò improvvisamente al di fuori dei solchi delle rotaie, rallentando. In gruppo ci fu invece una serie di cadute e Gerbi, approfittando della confusione creatasi, proseguì da solo fino al traguardo e alla fine vinse con 40 minuti di vantaggio.
Il mito del Diavolo Rosso comunque non nacque quel 12 novembre 1905 perchè aveva già alle spalle una serie di vittorie. La più clamorosa di tutte era stata quella della Milano-Torino 1903, in cui arrivò al traguardo con largo anticipo rispetto alla tabella di marcia e infatti lo striscione del traguardo non era ancora stato montato. Si narra che Gerbi percorse avanti indietro il viale d'arrivo, con la folla che lo esortava a togliersi perchè poi sarebbero arrivati i corridori.

Il suo nome però, oltre che a grandi vittorie, è legato anche a clamorose scorrettezze. Nel 1907 si corse la prima edizione della Milano-Sanremo e, a pochi chilometri dall'arrivo, sono in fuga Gerbi, il suo compagno Petit-Breton e Garrigou. Sapendo che sarebbe stato battuto in volata, Gerbi afferrò Garrigou per la maglia e in tal modo consentì al suo compagno di vincere in scioltezza, in cambio di metà del premio in denaro.
Al Giro di Lombardia dello stesso anno, i favoriti sono proprio Gerbi e Garrigou, desideroso di vendetta. Per essere sicuro della vittoria Gerbi elaborò un astuto piano: in fuga solitaria, dopo aver superato un passaggio a livello, lo fece chiudere dal casellante, suo sostenitore, poi si fece aiutare dai tifosi sfruttando spinte e scie ed infine fece spargere chiodi sulla strada per rallentare gli inseguitori. La squadra di Garrigou, furiosa, presentò reclamo ufficiale e, per mantenere la credibilità del ciclismo italiano, la giuria si vide costretta a squalificare Gerbi.


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Luciano Pagliarini - 08-05-2016

Aneddoto fresco fresco: Fausto Bertoglio non era in grado di alimentarsi in corsa e ciò di fatto lo ha limitato durante tutta la carriera.

Fonte: Bruno Vicino.


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Hiko - 08-05-2016

Invece ai tempi di Bitossi c'era ancora l'usanza di andare a "depredare" i bar per alimentarsi/idratarsi e i suoi gregari, nel caso avessero trovato solo acqua gassata, erano costretti a sgasarla prima perchè Bitossi non poteva berla per i suoi noti problemi al cuore.


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Hiko - 28-01-2017

Quella volta che Coppi perse per colpa della Dama Bianca…

21 Ottobre 1956, in provincia di Milano si sta disputando il Giro di Lombardia del cinquantenario e la coppia Diego Ronchini - Fausto Coppi è al comando. I due viaggiano spediti verso il velodromo Vigorelli, il Ghisallo è già stato affrontato e il loro vantaggio è rassicurante su un gruppo quasi rassegnato.

Insomma per l’Italia ciclistica si profila una giornata straordinaria: o ci sarà l’ultimo ruggito del 37enne Campionissimo, che tutta la critica dava già per finito da tempo, o la prima affermazione importante del giovane Ronchini, che in molti vedono come l’erede dello stesso Coppi, anche perché veste i colori biancocelesti della Bianchi, indossati negli anni precedenti dal fuoriclasse di Castellania per pedalare nella leggenda.

Ma dietro accade l’impensabile. La Dama Bianca, al secolo Giulia Occhini, la moglie di Coppi, sta seguendo la corsa sull’ammiraglia della Carpano (la nuova squadra dell’Airone) e quando la vettura affianca il gruppo principale, la Occhini esalta l’impresa del suo amato, rivolgendo a Magni gesti che mal si convengono a una Dama.

Magni non ci sta, è all’ultima gara della sua lunghissima e gloriosa carriera. Prima bofonchia qualcosa alla Dama Bianca, che potremmo edulcorare dal toscano in “glielo faccio vedere io al tuo Fausto”, poi abbassa la testa e si mette a tirare il gruppo, che quasi per magia ritrova la collaborazione. A 12 km dalla fine 16 corridori raggiungono i due fuggitivi e il 50° Giro di Lombardia si deciderà in volata.

Sulla pista del Vigorelli Magni lancia la volata, Coppi lo affianca in curva e lo supera, ma negli ultimi metri la saetta francese Dédé Darrigade sfreccia davanti a tutti e vince la grande classica.

Coppi piange a dirotto per la vittoria sfumata mentre tutto il pubblico del Vigorelli incita il suo campione e lo invita al giro d’onore.


RE: Amarcord. Uno sguardo al passato tra imprese e tragedie - Hiko - 12-03-2018

"Io mi allenavo duramente con un mattone legato alla bici per avere vantaggi in corsa quando il mattone lo lasciavo a casa. Il ciclismo è uno sport che richiede sacrifici, sacrifici, ancora sacrifici. Non si diventa Girardengo per caso" Costante Girardengo

mattone is the old marginail gains :D