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Disoccupazione alle stelle: il ciclismo professionistico sta morendo - SarriTheBest - 12-01-2011

Disoccupazione alle stelle: il ciclismo professionistico sta morendo
C’è chi dice che il ciclismo è uno sport in salute, c’è chi dice che tutto nel ciclismo va bene, c’è addirittura chi sostiene che il ciclismo sia uno sport dal futuro roseo.

Il bellissimo articolo comparso questa mattina su “La Gazzetta dello Sport” a firma del bravo Ciro Scognamiglio, non lascia però troppo spazio all’ottimismo.

Da un’inchiesta è infatti emerso che un professionista su cinque non ha una squadra, leggasi anche posto di lavoro, per il 2011. Come giustamente scrive Scognamiglio, il 21 % di disoccupazione del ciclismo italiano è quasi tre volte più alto rispetto all’8,7% dell’Italia che rappresenta comunque un record storico a causa della crisi.

Questi dati non lasciano spazio ad interpretazioni, ma purtroppo, tranne “La Gazzetta dello Sport” che ha lanciato la riflessione, noi che l’abbiamo ripresa e pochi altri che vorranno trattarla, i vertici del ciclismo italiano e mondiale non si cureranno affatto di questi dati che è riduttivo definire allarmanti.

Proviamo ad analizzare i motivi di questa situazione:

NEOPROFESSIONISTI SENZA RISULTATI: Negli ultimi anni sono stati moltissimi i corridori che sono passati professionisti senza aver ottenuto nelle categorie dilettantistiche risultati degni di nota. Il regolamento della Federazione Italiana per il passaggio al professionismo è tanto giusto quanto inutile poiché le ammissioni alla massima categoria dovrebbero essere stabilite a livello internazionale e non con le norme attuali che rendono l’aggiramento delle regole assolutamente banale.

SQUADRE POCO SOLIDE: Troppe squadre Continental (purtroppo anche delle Professional) basano la loro attività sui corridori che corrono gratuitamente o che portano uno sponsor. L’atteggiamento di alcuni team “manager” che accettano di mettere in piedi squadre con budget estremamente ridotti (che servono a stipendiare proprio il Team Manager) porta inevitabilmente al tracollo del sistema. Queste squadre, quasi sempre con sede all’estero, non basano la loro attività alla ricerca di risultati (è già tanto se finiscono le corse), non hanno l’obiettivo di fare crescere i giovani (spesso sembrano un “cimitero di elefanti”) e non hanno l’obiettivo di fare del marketing perché non lanciano affatto l’immagine dello sponsor.

CORRIDORI CON LO SPONSOR: Nell’inchiesta di Ciro Scognamiglio emerge come molti corridori passati professionisti, dopo 2 anni non trovino più una squadra disposta a farli correre. Questo fenomeno potrebbe trovare riscontro nel fatto che molti corridori, soprattutto negli ultimi anni, sono passati professionisti solo grazie alla loro disponibilità a correre gratis o portando alla squadra uno sponsor. Fino all’anno scorso le squadre si accontentavano di 40.000 € per fare correre un corridore, al quale venivano restituiti 27.000 € lordi sotto forma di stipendio, i restanti servivano per imposte ENPALS, fondi pensionistici ed esami medici. Dopo due anni è del tutto prevedibile che un corridore che ci ha rimesso circa 20.000 euro all’anno e non ha ottenuto risultati decida di abbandonare l’attività. In questa ottica si spiegherebbe il dato citato nell’articolo di Scognamiglio. Indiscrezioni ci dicono che quest’anno, per correre le cifre richieste da alcune squadre siano superiori.

Questi sono solo tre dei numerosi problemi del ciclismo professionistico che da troppo tempo attendono una soluzione, nell’attesa che vengano risolti, ci troviamo il 21 % dei corridori professionisti in cerca di lavoro.

Come dicevamo, servirebbe una normativa UCI per l’ammissione al professionismo, basata sul merito, magari sulla base dei punteggi ottenuti nelle gare internazionali Under 23. In questo modo si andrebbe ad ammettere alla massima categoria solamente quei corridori meritevoli, in modo da non andare a creare l’anno successivo nuovi disoccupati. Il principio potrebbe essere quello che vale per molte professioni.

Sempre l’UCI potrebbe obbligare tutte le società di gestione delle squadre professionistiche ad avere sede in Svizzera, in questo modo tutti dovrebbero sottostare alle stesse regole fiscali e non le società italiane non sarebbero più penalizzate.

La Federazione potrebbe rivedere le norme del dilettantismo, incentivando le società che puntano sugli Under 23, ma consentendo agli ex professionisti di correre le gare dilettantistiche, così come ad un ex calciatore (o pallavolista o cestista) è consentito scendere di categoria giocando in serie B o addirittura in serie minori.

Non sappiamo se con queste azioni il problema si risolverebbe, però ci piacerebbe che da parte delle istituzioni ciclistiche arrivasse una sterzata a questo sistema che sta dando risultati veramente drammatici.

Chissà se Gianni Bugno e Amedeo Colombo si ricordano che il loro compito è di tutelare i corridori professionisti?

Chissà se Di Rocco si ricorda di essere il Presidente della Federazione Italiana e il Vice Presidente dell’UCI?

ciclismo-online.it


RE: Disoccupazione alle stelle: il ciclismo professionistico sta morendo - ImAllinBaby10 - 12-01-2011

Purtroppo questa è una dura realtà del ciclismo odierno che tutti noi viviamo ora con la crisi. La colpa direi che è dell'economia dei giorni d'oggi ed anche (come riportato nel post di sopra) delle squadre che si vengono a formare con un budget insufficiente o la maggior parte delle volte estremamente limitato!! Per la questione dei corridori passanti al professionismo ritengo invece che le regole imposte dalla F.C.I per il passaggio alla maggiore categoria abbiano dei pro e dei contro come tutto al mondo d'altronde, ovviamente andrebbero riviste e sopratutto come suggerito nel post riportato da Sarri The Best, si dovrebbero decidere a livello internazionale ed è una vergogna che non sia già così! Spero vivamente che il ciclismo si rialzi da questa brutta crisi....


RE: Disoccupazione alle stelle: il ciclismo professionistico sta morendo - SarriTheBest - 13-01-2011

Beh, la crisi c'entra relativamente, visto che son anni che diversi soggetti si comportano sempre in una certa maniera. Una soluzione intanto sarebbe semplice: allontanarli dal ciclismo. I nomi si sanno, basterebbe non concedergli la licenza. Una sorta di "Wanted" mondiale. Invece qualche sperduta federazione non si pone alcun problema e via che ricomincia il giochino...

Mi piace l'idea della sede comune in Svizzera. Sisi


RE: Disoccupazione alle stelle: il ciclismo professionistico sta morendo - Rozzu - 13-01-2011

Ora, mi ripeto a rischio di diventare noioso... nel ciclismo la piovra di Aigle ha un ruolo puramente negativo. Ad ogni comunicato stampa, se ne escono con stronzate offensive (guarda il caso Riccò), e affrontano ogni problema creandone altri, prendendosi meriti che non gli competono (ogni antidoping nazionale è anni luce avanti per quanto riguarda le controffensive al doping, con qualche scimmietta che non vede, non sente, non parla che rappresenta l'eccezione). Non ho un motivo particolare per celebrare il lavoro dei grandi editori che organizzano i GT o le classiche, penso più alle piccole organizzazioni che si sbattono per riuscire MATERIALMENTE a organizzare un'edizione di una corsa magari centenaria, che è stata declassata dall'UCI perchè non appetibile mediaticamente, in favore di altre che magari non hanno concretamente le BASI per riuscire ad organizzare una corsa decente. Il ciclismo non ha bisogno di un organo superiore di questo stampo, l'UCI dovrebbe essere semplicemente una costituzione (un insieme di regole create PRIMA per poi essere applicate), invece ogni caso è diverso è richiede degli anni per essere decrittato. Ogni anno una novità inutile, l'UCI sta diventando come la FIA, sta ammazzando non uno sport, bensì una CULTURA che è quella della bicicletta, proprio come la FIA sta distruggendo la cultura della velocità...

ps. Visto che si sa poco sulla suddetta organizzazione a delinquere, ogni volta aggiungerò un aneddoto sui componenti.

Pat McQuaid è stato squalificato a vita dalle competizioni olimpiche per aver partecipato (sotto falso nome) a delle gare in Sudafrica, allora sotto Apartheid e interdetta ad ogni avvenimento sportivo oltre confine, insieme a lui altri come il fratello e un Sean Kelly agli inizi, furono squalificati a vita. Ora, questo signore adesso comanda il ciclismo, fate le vostre considerazioni...