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La triste storia di Marc Demeyer, la "Locomotiva del gruppo"
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Tarda primavera 1967, sulla strada principale di Moen, nelle Fiandre Occidentali, i migliori ciclisti juniores della zona, stanno per sfidarsi nel Gran Premio locale. Fra di loro un ragazzone già massiccio a dispetto dei 17 anni, coi capelli castani più lunghi dei più e due basettoni che parevano quelli di Gary Brooker, il leader dei Procol Harum, il gruppo del momento, con la celeberrima "A wither shade of pale". Quel simil maggiorenne era della vicina Avelgem ed era ben conosciuto, ma non per motivi di vicinato, bensì per essere già un nome nell'ambiente ciclistico più generale. L'anno prima, infatti, era giunto secondo al campionato belga degli allievi, beffato da un certo Gustaaf Wens, occhialuto e gracilino, che se ne era andato nel finale senza creare preoccupazioni su nessuno del gruppo principale. E così, quando il traguardo arrivò, l'impensabile pedalatore riuscì a mantenere quel metro che lasciò un poco d'amaro in bocca al già ragazzone, di nome Marc e di cognome Demeyer. Costui però, d'animo buono ed altruista come pochi, ci passò sopra con facilità: il ciclismo doveva diventare il suo mestiere, perché oltretutto lo faceva divertire. Quel giorno di Moen, in Marc, era dunque una delle diverse tappe per arrivare. Niente di più. Il destino però, stese la sua pesante mano: dopo pochi chilometri, quando il gruppo dei concorrenti filava ad una bella velocità e Demeyer si trovava in solitaria avanscoperta, un'auto uscì da un parcheggio, non diede la minimo importanza allo sbandieramento di un addetto all'organizzazione, ed entrò nella carreggiata di gara, centrando in pieno il povero Marc. Le condizioni del giovane, passate le fasi immediatamente successive al terribile impatto, lasciavano scorrere un timido ottimismo relativamente alla vita, visto lo stato di coscienza di Demeyer, ma la gamba destra era davvero conciata malissimo. Sette ore dopo, all'Ospedale di Roeselare, il primario disse al fratello maggiore di Marc, Jean- Pierre, che la gamba sarebbe stata salvata e che dopo otto-nove mesi avrebbe potuto tornare ad una vita normale, ma per il ciclismo sarebbe servito un miracolo.
Ma il ragazzone buono, altruista, dalla fibra fortissima e con la volontà ferrea di un "Flandrien" d'eccellenza, tornò anche a correre e a vincere, ben sapendo, come gli dissero i medici stupiti, che rappresentava un miracolo, anche se all'agonismo era rimasto solo l'80% del potenziale che sarebbe stato suo, senza l'incidente di Moen. 
Nel 1969, l'anno del ritorno, si dimostrò uno dei migliori giovani belgi. Nel '70 migliorò ancora e nel '71 fu un pesantissimo "winner". Demeyer vinse infatti due frazioni e finì 4° nella Corsa della Pace, la superclassica gara a tappe per dilettanti, o meglio, per "professionisti di stato", e, soprattutto, vinse il Ronde van Vlaanderen per "puri". 
Ma quell'anno gli riservò anche un grossa delusione. Già definito la "Locomotiva del gruppo" per le sue incredibili qualità sul passo, Marc pensò di poter essere titolare del quartetto ai Mondiali della "100 km a squadre", invece, assieme all'amico fenomenale Freddy Martens, fu collocato fra le riserve. Nemmeno la prima riserva, tra l'altro, ruolo che spettò a Pierre Bellemans, anche se costui si divideva come medesimo rincalzo sia nella cronosquadre, che nella prova in linea. Il quartetto belga dominò poi la crono iridata di Mendrisio, ai danni soprattutto della favoritissima Olanda. I quattro erano: Ludo Van der Linden, Louis Verreydt, Gustaaf Hermans, Gustaaf Van Cauter. Una generazione dalla parabola tragica, poiché se aggiungiamo ai titolari le tre riserve, gli anni ed i fatti che seguiranno quel '71, ci porteranno ad una constatazione inquietante: quattro di quei sette, morirono per arresto cardiaco giovanissimi, quando ancora correvano. Pierre Bellemans (che era passato prof nel '72 con l'italiana Scic) se ne andò a 23 anni, Louis Verreydt a 27, Ludo Van der Linden (che corse nella Molteni di Merckx) e il protagonista di questo zoom Marc Demeyer a 32. In tanti nell'osservatorio, a metà degli anni ottanta, parlarono di morti legate all'abuso di Pot Belge, una miscela di farmaci, variamente costituito da caffeina, anfetamine, eroina, cocaina e altri analgesici. Si trattava di affermazioni basate su ragionamenti ed indicazioni mediche, aventi tra l'altro la logica lettura di tante quotidianità sportive di quei tempi, ma non legabili alla concretezza dei fatti e delle conseguenti dimostrazioni. In un caso, proprio quello di Demeyer, lungamente controllato in carriera e mai positivo anche al confronto con colleghi chiacchierati e del medesimo team (il Pot Belge vicino alle gare, era rilevabile anche all'antidoping di allora), addirittura portante l'incertezza su come si consumò la sua morte, perché ancora oggi, a distanza di oltre trenta anni, c'è chi giura che si sia suicidato. D'altronde, la legislazione belga tutela la privacy da decenni e decenni, in maniera ben diversa dalla superburla italiana. Inoltre, va pure detto, che talune malformazioni cardiache sono difficilmente rilevabili ancora oggi e le visite ed i controlli di quei tempi, ovviamente, erano assai meno efficaci. 

Ma torniamo alla vita e alla carriera di Marc Demeyer....
La delusione per non aver corso le prove iridate di Mendrisio, trovarono ulteriore spago nella ferma olimpica per Monaco '72, poi dischiusasi in un "nulla di fatto". Marc, voleva comunque passare prof, niente valeva quell'obiettivo, nemmeno la partecipazione all'Olimpiade; tra l'altro la Flandria, aveva già bussato alla sua porta, a fine '71. Nella primavera '72 poté così correre qualche gara professionistica come "aggregato" al citato team, ma non poteva stringere contratti fino a quando non fossero state ultimate le iscrizioni ai Giochi. Finalmente, nel primo mattino del 26 agosto '72, Briek Schotte, il mitico nocchiero delle maglie biancorosse, poté fargli firmare il suo primo contratto professionistico e sei ore dopo l'aver posto il "sì", nella Dwars door Vlaanderen, la semi-classica che segnava il suo esordio ufficiale nell'elite, Marc Demeyer andò a vincere! Se vogliamo, un vero e proprio record. Il giorno seguente, in Vallonia, a Fay le Franc, trionfò nel GP Samyn e dieci giorni dopo in Francia superò in volata Eric Leman e fece suo il GP Isbergues. La "Locomotiva del gruppo" era arrivata.

La scheda di Demeyer
Nato ad Avelgem il 19 aprile 1950, deceduto a Merelbeke il 20 gennaio 1982. Passista veloce, alto 1,88 per 86 kg. Professionista dal 1972 al 1982 con 72 vittorie. 
Marc portò in dote alla già mitica Flandria di Schotte un fisico imponente, una potenza e un'abilità di pedalata che esaltavano uno stile tra i più belli e redditizi del gruppo e ad impreziosire queste qualità, un carattere tanto forte quanto poggiato su bontà ed un altruismo che, in una equipe come quella biancorossa, era come la brezza in un giorno di solleone. Tra l'altro, fin dalle prime pedalate s'era capito che Demeyer era in grado di vincere su ogni tipo di volata o con l'affondo dei finisseur, così come poteva rappresentare il fulcro o la cinghia ideale delle pedine di squadra. Il suo arrivo in Flandria, coincise con una fase di grandi cambiamenti in un sodalizio che s'era caratterizzato negli anni sessanta come il vivaio di vertice di un ciclismo belga che stava confermando il suo ruolo di primaria potenza mondiale, non solo per la presenza di Eddy Merckx, ovvero il ciclista più forte di tutti i tempi. Cambiamenti favoriti e concretizzati pure da fatti tragici avvenuti nel '71, come la morte in corsa dell'iridato Jean Pierre Monseré, o il grave incidente stradale che aveva coinvolto l'intera famiglia di Eric Leman (moglie morta, figlia e sorella ferite seriamente e lui con una con commozione cerebrale), Eric e Roger De Vlaeminck. Dei menzionati solo il maggiore dei De Vlaeminck, ormai tutto dedicato al ciclocross, era rimasto in biancorosso nel '72 e, agli inizi del '73, c'era un certo scetticismo attorno al club. Anche perché avevano lasciato la Flandria, anche i tulipani Jan Janssen (comunque in chiaro declino) e Joop Zoetemelk, mentre fra i considerati big era tornato il solo figliol prodigo Walter Godefroot. Il cilindro di Briek Schotte però, aveva delle armi giovani e forti, si potrebbe dire "come sempre", vista la carriera da tecnico dell'astuto ex iridato su strada. E Marc Demeyer, fu uno dei tre che segnarono l'ultimo lustro stellare dello storico sodalizio biancorosso. Gli altri due furono il fenomenale fuoriclasse Freddy Maertens (grande amico di Marc) ed il già semicalvo dalla pedalata sgangherata (nel ciclismo di oggi ce ne sono di peggio....) ma redditizia, Michel Pollentier. 

Marc divenne l'anima biancorossa nelle fasi di pianura, fino ad introdurre, con la sua potenza dirompente (oggi quello che faceva lui da solo lo fanno in quattro!), le regali volate dell'amico e capitano Maertens. Ma era pure lui un capitano, come dimostrarono i successi nel GP Denain ('73), nel GP Cerami ('74), GP della Schelda ('74 e '77), e nella classica Parigi-Bruxelles ('74) quando, con un'azione da finisseur insuperabile, in una giornata massacrante per la pioggia, castigò Roger De Vlaeminck e tutti i migliori corridori del mondo (escluso Merckx che non fu al via). Soprattutto dimostrò i suoi grandi mezzi nel 1976, quando fece sua la Parigi Roubaix annichilendo Moser, nuovamente De Vlaeminck, Kuiper, Godefroot, Merckx e Raas. Anche nelle grandi corse a tappe lasciò il segno: vinse due frazioni al Giro d'Italia '77 (l'unico a cui partecipò), mentre nei sei Tour de France che lo videro allo start, vinse due tappe (nel '78 e '79), conquistando due volte nel '73 e '75, la classifica dei Punti Caldi. Tanti anche i successi in frazioni di giri minori, così come diversi furono i suoi piazzamenti nelle corse più importanti. Fu due volte 3° nel Ronde van Vlaanderen, nel '75 e '76, e finì 2° nel '79, un minuto dietro al vincitore Jan Raas; chiuse 3° la "Roubaix" '74 e fu 2° nelle Parigi Bruxelles del '77 e dell'80.
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 La chiusura della Flandria a fine '79, segnò una flessione nelle prestazioni di Demeyer: le tre stagioni passate rispettivamente con Ijsboerke, Capri Sonne e Splendor, non furono infatti degne delle precedenti e delle attese. In più, s'aprì nell'orizzonte di Marc, una serie di problemi personali e per la "Locomotiva del gruppo" scese il grigio. Si indebitò a causa di investimenti sballati (medesima situazione la provò anche l'amico Maertens) e si trovò a camminare in un mare di chiacchiericcio. Secondo i più, poco prima del maledetto 20 gennaio 1982, la sua situazione negativa era stata superata, ed aveva allungato il contratto con la Splendor, tanto da ritrovare il sorriso. Secondo altri, invece, i guai erano rimasti tali, al punto di decidere di lasciare questo mondo. Quale verità? Per la poca importanza che può avere, il sottoscritto pensa che in quel 20 gennaio, Marc Demeyer sia proprio morto nel suo letto a causa di un arresto cardiaco, lasciando nel dolore più atroce, la moglie e i due figli. Così come tristi e addolorati rimasero quei tanti appassionati di ciclismo che non potevano che amare quel gigante buono "Locomotiva del gruppo".

Maurizio Ricci detto Morris
 
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La triste storia di Marc Demeyer, la "Locomotiva del gruppo" - da Morris - 17-10-2020, 12:56 AM

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