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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 9 febbraio
#1
Pascal Chanteur
[Immagine: Pascal_CHANTEUR.jpg]
Nato a Saint-Denis il 9 febbraio 1968. Passista. Alto 1,70 m. per 60 kg. Professionista dal 1991 al 2001 con 9 vittorie. Corridore discreto che ha saputo mettersi al servizio dei suoi capitani sfruttando al massimo le giornate di libertà e le facoltà non eccelse che la natura gli aveva dato. Uno di quelli che poteva passare inosservato ai più, ma non al mondo interno del pedale, tanto è vero che non ha mai avuto problemi ad accasarsi, salvo agli inizi, ed ha poi ereditato, a fine carriera, la considerazione che la buona cultura e la favella di nota avevano tracciato. Nelle categorie giovanili e fra i dilettanti migliorò ogni anno e nella stagione 1990 mise assieme un bel palmares annuale su cui spiccavano i successi nelle corse a tappe come il Tour della Somme, Tour du Hainaut in Belgio arricchito da un successo di frazione e il 3° posto nel Tour de la Manche, dove vinse una tappa. Abbastanza per stuzzicare l'interesse della professionistica Toshiba che lo fece passare nell'élite nel 1991. Qui però, un po' per la sua non ancora certa maturazione, ed un po' per la chiusura a fine anno del team, si trovò nel 1992 senza contratto. Ritornato dilettante vinse la Parigi Roubaix della categoria, la Parigi Connerré e fu 2° nella Parigi-Fecamp ed a fine anno trovò l'ingaggio per tornare fra i prof con la Chazal-Vetta, capitanata da Eric Caritoux. Stavolta il rendimento di Pascal fu buono, vinse la 6a tappa del Tour du Poitou-Charentes et de laVienne e partecipò al suo primo Tour de France, chiuso poi al 75° posto. Continuò la sua permanenza nel team ed il suo ruolo di gregario anche quando nella Chazal, arrivarono per sostituire Caritoux, che abbandonava, i vari Bernard, Delion, Manin, Mengin, il veloce Kirsipuu ecc. Per vedere Chanteur tornare al successo, bisognerà aspettare il 1996, quando la Chazal fu rilevata dalla Casinò: vinse la Bol d'Air Creusois, fu 2° nella Paris-Bourges, 2° nel Giro di Vallonia, 3° nella Bordeaux-Cauderan e nel Tour de Limousin. Nel '97, sempre in Casinò, migliorò ancora vincendo una tappa della Parigi Nizza che chiuse 5° i la Bordeaux-Cauderan. Diversi furono i suoi piazzamenti. Il 1998, fu il suo anno d'oro. Vinse subito il Trofeo Laigueglia, indi dieci giorni dopo la Vuelta Valenciana e in estate il Grand Prix di Rennes. Fu 2° nel Tour de Haut-Var e in una tappa del Delfinato. Nel 1999 vinse il Prix dela Cote Picardie, mentre nel 2000 la Casinò lasciò posto alla AG2r Prévoyance e Chanteur continuò il suo lavoro di gregario, senza trovare successi ma solo piazzamenti. Nel 2001, il loquace Pascal approdò alla Festina ed il 13 agosto con la vittoria nel GP di Vergt, chiuse il suo incontro coi successi. A fine anno abbandonò l'agonismo. Dopo un anno sabbatico, acquistò un negozio di biciclette a Bergerac che gestisce tuttora. Da marzo del 2008 è Assessore allo Sport della località e da giugno del medesimo anno ricopre l'incarico di Presidente dell'Associazione Nazionale Corridori Professionisti.

Cino Cinelli
[Immagine: 15885745201325Cinelli,Cino.jpg]
Nato a Montespertoli il 9 febbraio 1916. deceduto a Montespertoli il 20 aprile 2001. Professionista dal 1937 al 1944, con 17 vittorie.
Cino Cinelli, è da considerarsi, oggettivamente, uno dei migliori corridori italiani degli anni di guerra, per le vittorie conquistate e per il ruolo di riferimento recitato. Veloce e più completo di quanto non possa far intendere il termine "passista veloce", ha vinto la Milano-Sanremo del '43 e il Giro di Lombardia del '38, sfruttando il suo irresistibile rush, che gli ha permesso di primeggiare più volte al cospetto di temibili avversari, quali Leoni, Bini, Bizzi, Bartali, Servadei ecc. La scelta di tempo rappresentava la sua forza, ed allora, come non è mai superfluo ricordare, le volate erano interamente o quasi a carico dei pretendenti: non c'erano treni e, spesso, mancava anche il compagno disponibile a fare da "apripista" o "lanciatore".
Nelle corse a tappe, teneva bene, perché in salita non era così scarso e sapeva dosare quelle forze che gli servivano per le volate e per tenere decorose condotte complessive. Chiaramente non era un pretendente ai vertici, ma la sua intelligenza gli ha consentito di vincere corse adatte a scalatori o a corridori dotati di fibre rosse superiori alle sue. Passò professionista nel 1937, all'indomani del successo nel duro Giro dell'Appennino, una corsa aperta a dilettanti scelti, indipendenti e prof. Nel 1938, Cinelli era già un big. A dimostrarlo, le vittorie nelle tappe del Giro d'Italia che si concludevano a Roma e Ravenna (chiuse la "corsa rosa" in 12esima posizione), nella Coppa Bernocchi e, soprattutto, nel Giro di Lombardia. L'anno successivo, vinse il Giro di Campania, la Coppa Carbone a Savona, il Giro della Provincia di Torno, la Spezia-Sanremo e al Giro d'Italia, che chiuse in nona posizione, vinse la tappa di Pisa. Tre successi nel 1940: il Trofeo Balbo, la Tre Valli Varesine e il Giro del Piemonte. L'anno successivo, col conflitto in essere e l'attività ovviamente risicata, vinse il Trofeo Rieti, finì 2°, sia nel Giro di Lombardia che in quello del Veneto e giunse 3° ai Campionati italiani, sia su strada che nell'inseguimento. Ancora una serie di piazzamenti nel '42 (i più importanti furono il 3° posto nel Giro dell'Emilia, ed il 2° nel Tricolori dell'inseguimento), ed un successo nel Criterium di Napoli. Nel 1943 tornò a ruggire con la vittoria nella Milano Sanremo a cui aggiunse il 3° posto nel Campionato italiano dell'inseguimento e il 6° nel Giro d'Italia di Guerra (a punti e mai omologato). La vittoria nella Milano-Campo dei Fiori a pari punti con Antonio Covolo, fu il suo "canto del cigno", perché pur non essendo ancora 30enne, prima della ripresa della piena attività dopo il conflitto, si ritirò dall'agonismo, ma non dall'amore che riservava verso la bicicletta. Cessata l'attività, infatti, si trasferì a Milano, dove seppe rigenerarsi come industriale del mezzo che gli aveva dato notorietà, distinguendosi per l'attenzione e l'innovazione. Contribuì poi, con evidenza e stima, alla nascita ed allo sviluppo dell'Associazione Corridori, di cui è stato pure Presidente.

Paolo Mannucci
[Immagine: 1520014714184951966Mannucci,Paolo.jpg]
Nato a Capraia Fiorentina (FI) il 9 febbraio 1942. Passista scalatore. Professionista dal 1965 al 1967, senza ottenere vittorie.
Buon dilettante, essenzialmente un piazzato più che un vincente. Uno che veniva a galla nelle corse dure, dove magari si giocava la vittoria ed era quasi sempre protagonista. Uno, per intenderci adattissimo al ruolo di gregario fra i professionisti se riusciva a tenere la distanza . Oggi fra i prof, con le corse molto più corte per la sonora stupidaggine (perché altri non è!) di contenere in questo modo il doping, chissà quanti corridori del passato avrebbero potuto continuare l'attività e marcare una carriera di buon pregio! Tornando a Mannucci, le caratteristiche di un corridore almeno buon gregario nell'elite di quel tempo c'erano tutte, ma andavano ovviamente verificate. Waldemaro Bartolozzi il nocchiero della Springoil poi gloriosa ed epocale Filotex, nonché uno dei migliori uomini d'ammiraglia della storia, nel 1965 volle con sé il corridore fiorentino all'interno delle file del sodalizio bianco blu. E fu un successo, perlomeno per i confini che il Bartolozzi aveva steso su Mannucci. Nel 1965, infatti iniziò un triennio in cui questo corridore si determinò grande spalla per Bitossi (forse l'italiano più dotato in termini di puro talento della grande generazione azzurra forgiata negli anni sessanta) e, all'occorrenza pure un discreto piazzato. Accadde ad esempio nell'ultima tappa del Giro d'Italia dell'anno d'esordio, la Brescia-Firenze che, concludendosi nella terra di casa, stuzzicò Mannucci al pari di altri corridori toscani, a sentire l'evento doppiamente, ed approfittando della libertà concessa dalla squadra, fu coautore della fuga decisiva a sette. Chiuse 5° quell'ultima frazione e 44° il Giro. Nell'anno fu poi 7° al Giro d'Emilia, anche qui al termine di una fuga ad otto, ma ad aiutare il suo capitano Bitossi (3°) a lottare allo sprint con autentici fari pure veloci, come Dancelli (poi vincitore), Durante, Mealli, Vigna, Zandegù. Paolo Mannucci anticipò il solo Silvano Schiavon, uno destinato a fare il capitano della Legnano, ma fermo in volata. Nel 1966, l'affidabilità di Mannucci fu messa ad ulteriore prova con la partecipazione a Giro e Tour de France. Al Giro chiuse 61°, mentre in Francia terminò 82°, ultimo, sul traguardo di Parigi, ma la sua fu una bella impresa. Infatti, dei 10 partenti Filotex, lui fu uno dei 4 che arrivarono al Parco dei Principi, l'unico fra i gregari cosiddetti umili: gli altri furono Bitossi 17°, l'outsider Marcello Mugnaini che finì 5°, ed il forte Ugo Colombo 44°. Proprio il piazzamento di quest'ultimo stava a dimostrare lo sforzo a cui furono chiamati sia Colombo che, soprattutto Mannucci. Ed infatti, l'anno seguente il corridore fiorentino subì una flessione marcata che lo spinse a chiudere col ciclismo pedalato a fine anno. Ciclismo che è rimasto nella sua vita, prima seguendo il figlio Francesco che è stato un buon dilettante nell'ultimo lustro del millennio e poi come accompagnatore di squadre dilettantistiche.

Giuseppe Marcoccia
Nato a Ceprano (FR) il 09.02.1929. Deceduto nel 1970 in Canada. Professionista nel 1955. 1 vittoria
Un buon corridore, che ebbe sportivamente la sfortuna di vivere il suo segmento agonistico in un'epoca dove i capitani erano tali, le corse erano poche, la miseria attorno allo sport era ancora imperante e imponeva di guadagnare almeno il pane quotidiano. E se nell'intorno dell'atleta, non c'era una famiglia in qualche modo attrezzata, per consentirgli di vivere pienamente la disciplina scelta, erano davvero dolori.
Giuseppe Marcoccia mosse le prime pedalate nell'Unione Ciclistica Frosinone passando poi dilettante, nel 1949, alla Polisportiva Indomita. La sua tangibilità agonistica segnò presto marcati livelli e il 16 luglio del 1950, seppe vincere fra indipendenti e qualche professionista, a soli 20 anni, il Circuito Valle del Liri, corsa già giunta al ruolo di classica per quella fascia di corridori che ambivano a recitare un ruolo nel ciclismo. Divenne così uno dei corridori più in vista fra i "puri" agli inizi egli anni Cinquanta. Nel 1953 passò Società Sportiva Lazio, cogliendo importanti successi come il G.P Anagni, G.P. Ferentino, G.P. di Tarquinia. Furono otto le corse conquistate nel 1953. Sempre alla ricerca del pane, anche se ancor dilettante, cercò, passando nel '54 all'Associazione Sportiva Roma, una maggiore possibilità di correre fra indipendenti e professionisti, e colse nel segno perché agli inizi di settembre la professionistica Arbos gli consentì il passaggio nel ciclismo più importante e Giuseppe li ripagò vincendo una tappa e la Classifica Finale del Giro dell'Umbria, fu protagonista al Giro di Puglia e Lucania, dove chiuse 12° e finì 31°, a pari merito, il Lombardia. Nel 1955, sempre con l'Arbos, non partì molto bene, ma quando sembrava in crescita gli giunse la mazzata della non selezione per il Giro d'Italia. Capì che se voleva vivere col ciclismo doveva investire tempo e pensare poco al futuro. Con l'Arbos, a giugno, partecipò alla Vuelta delle Asturie, in Spagna, e lì vinse la tappa di Oviedo, in solitudine, dopo aver staccato Bahamontes (che poi vincerà la Vuelta). Fu proprio la trasferta in Spagna, a fargli pensare definitivamente al mestiere e al futuro. Staccò la licenza anche nel '56, da isolato, ma non corse mai. Emigrò poi in Canada, dove morì a soli 40 anni.

Maurizio Ricci detto Morris
 
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Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 9 febbraio - da Morris - 09-02-2023, 09:15 AM

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