Login Registrati Connettiti via Facebook



Non sei registrato o connesso al forum.
Effettua la registrazione gratuita o il login per poter sfruttare tutte le funzionalità del forum e rimuovere ogni forma di pubblicità invasiva.

Condividi:
Qualche zoom sui ciclisti nati oggi 2 aprile
#1
Paul Duboc (Fra)
[Immagine: 16729487141325Duboc,Paul.jpg]
Nato a Rouen il 2 aprile 1884, deceduto a Parigi il 19 agosto 1941. Professionista dal 1907 al 1914 e dal '19 al 1927 con 8 vittorie.
Un corridore tenace, che nei giorni di massima forza, era superbo dappertutto e poteva battere chiunque, poi, un fatto che rappresenta ancora oggi un mistero e, probabilmente lo resterà per sempre, diede un colpo feroce alla sua carriera interminabile. Si segnalò imperioso nel 1907, con la bella vittoria nella Parigi-Rungis, all'epoca corsa primaria, poi, dopo un anno senza successi e piazzamenti pari alle attese, si ripresentò fortissimo nel 1909. Vinse dapprima il Giro del Belgio ed una frazione dello stesso, indi la tappa di Caeb al Tour de France. Ancora una stagione che definire grigia è poco, ed una nuova esplosione nel 1911, l'anno per lui cardine. Concentrò tutte le sue forze verso la Grande Boucle e dopo un inizio lento, d'improvviso si mostrò irresistibile. Nel Tour, la cui classifica sui determinava a punti e che vide l'esordio del mitico Galibier (dove passò primo Georget), vinse in solitudine le tappe di Perpignan e Luchon, ed in quella successiva, il tappone che si concludeva a Bayonne, forte del 2° posto in classifica ed in gran rimonta su Garrigou, passò primo sul Peyresourde, l'Aspin e il Tourmalet, con un vantaggio enorme sugli inseguitori, ma poco prima dell'Aubisque, bevve da una bottiglia che, poi, si scoprì avente il tappo avvelenato. Duboc cadde in un fosso in preda a dolori lancinanti, rimanendovi per ore e buon per lui che riuscì a vomitare a lungo evitando il peggio. Con grande determinazione chiuse la tappa, ma giunse al traguardo 21°, quasi quattro ore dopo il vincitore (Brocco, poi squalificato), accumulando troppi punti di svantaggio da Garrigou. I suoi sostenitori accusarono del fatto il team del leader e si vissero giorni di tensione. Sta di fatto che Duboc, in quel Tour, si riprese quel poco da vincere ancora le tappe di La Rochelle e Le Havre e di finire la Grande Boucle al 2° posto, ma in seguito non fu più lui, anche nella vita di ogni giorno. Continuò a correre, come se inseguisse un traguardo immaginario, ma non vinse più, anche se continuò a piazzarsi fino all'età di 43 anni! In tutto quel lungo lasso ritornò a far parlare più tangibilmente di sé, solo al Tour del 1919, quando pareva tornato abbastanza vicino a quello di un tempo, ma non per una impresa, bensì per una squalifica dovuta all'uso di un’auto per andare a sistemare la sua bicicletta.

Pasquale Fabbri
[Immagine: 163232920813251965Fabbri,Pasquale.jpg]
Nato a Galeata il 2 aprile 1942, deceduto ad Ospedaletti di Imperia il 2 novembre 2013. Passista veloce, alto 1,83 per 78 kg. Professionista dall’ottobre 1963 al 1967 con una vittoria.
Per definire in maniera stringata uno come Pasquale Fabbri, verrebbe da dire: un gran bel corridore. Longilineo, forte sul passo, più che discreto allo sprint, formidabile discesista e pure capace di tenere sulle salite non lunghe e non troppo aspre. Pasqualone, seppe incidere sulla sua ellisse ciclistica, gran belle fette d'azzurro ed un lustro davvero di nota. Molti l'han dimenticato, forse perché da Forlì, a fine carriera, le coordinate di vita lo spostarono in Liguria, ma spero con questo libro, di aggiungere a chi si ricorda di lui, nuove memorie. Ottimo esordiente e allievo in seno alla Forti e Liberi, dove restò anche nel primo anno da dilettante, esplose nel 1962, difendendo i colori dell'Alax di Meldola. Il suo essere formidabile passista gli consentì di raggiungere vittorie di prestigio e portamenti che lo collocarono fra i migliori "puri" dell'Emilia Romagna. Nel 1963, il suo crescendo continuò al punto di incontrare l'azzurro e, soprattutto, di vincere assieme ai compagni Lello Mariani e Ottorino Benedetti la Coppa Italia (campionato italiano a squadre). L'Alax divenne così la prima società romagnola ad aggiudicarsi quel prestigioso titolo. Con la Nazionale partecipò al Tour de l'Avenir chiudendo al 35° posto, dopo aver svolto un gran lavoro in pianura, per la punta azzurra Mugnaini ed aver superato stoicamente un problema fisico. Pasquale, divenne poi un punto fermo, per il CT Elio Rimedio, della "100 chilometri a squadre". Coi compagni Danilo Grassi, Dino Zandegù e Mario Maino, Fabbri conquistò la medaglia d'argento ai mondiali di Renaix in Belgio, mancando il titolo davvero per poco, a vantaggio dei francesi. In settembre, gli azzurri, nella medesima formazione, si presero la rivincita, vincendo l'Oro ai Giochi del Mediterraneo. Per Pasquale le due medaglie rappresentarono il lancio ideale per il passaggio fra i professionisti. Infatti, ad ottobre del 1963, senza indugi o ripensamenti basati sulla speranza di una partecipazione alle Olimpiadi di Tokyo, decise di fare il salto di categoria, vestendo le maglie gialle dell'Ignis. Fra i prof, l'ambientamento di Fabbri non fu facile soprattutto per la concomitanza col militare che gli impedì di partecipare al Giro '64 e per le differenze nella preparazione che il team imponeva. Nel 1965 però, andò un po' meglio: fu allo start della "corsa rosa", che chiuse al 59° posto e cominciò a far vedere le sue qualità. A fine stagione l'Ignis lasciò liberi tutti gli stradisti, continuando l'attività solo coi pistard e per Pasquale non arrivò immediatamente un nuovo ingaggio. Ritornò all'antico, preparandosi come faceva da dilettante seguendo le sue sensazioni, proprio come piaceva al suo vecchio CT Rimedio e si accinse ad affrontare da isolato iniziale la stagione '66. Inserito in una formazione che raccoglieva chi era nella sua medesima situazione partecipò al Giro di Sardegna e proprio quando nell'ultima tappa poteva giocarsi la vittoria finale si trovò per ben tre volte appiedato da forature. Nonostante la sfortuna, sentiva la gamba calda e partì per la classica Sassari Cagliari, convinto di far bene. La strada gli diede ragione. Dopo aver visto svanire un primo tentativo di fuga a sei chilometri dal traguardo, per il ritorno di un drappello di inseguitori, trovò la forza di sprintare ugualmente per il successo. Il forte vento contrario presente sul rettilineo finale, favorì la sua potenza e la classica sarda fu sua. Mentre le squadre cominciarono ad interessarsi per un suo ingaggio, con la medesima formazione che gli era stata compagna in Sardegna, denominata "Queen Anne", partì per la Vuelta di Spagna. Qui, la sua condotta ebbe dell'incredibile, ed alla luce di come andò a finire, fu perfino beffarda. Su ventidue tappe, in tredici, Pasquale Fabbri giunse nei primi dieci, raccogliendo due secondi posti, quattro terzi, due quarti, un quinto, un settimo, un ottavo, un nono e un decimo. Finì terzo nella classifica a punti, insomma un ruolino che meritava tanto di più, ma almeno face capire che il bel dilettante azzurro, era tornato. Terminato il Giro di Spagna, la Filotex lo assunse con lo scopo di farne il protettore in pianura di Franco Bitossi. Per Fabbri iniziò una nuova carriera, con poche occasioni personali, ma almeno con lo stipendio garantito. Con Bitossi rimase fino alla fine del 1967, lavorando duro e senza l'onore della ribalta, ma con la stima dell'ambiente. La dimostrazione arrivò dalla nascente formazione della Pepsi Cola che gli offrì un contratto per la stagione '68 con un ruolo non da gregario. Come dire che i dirigenti del neonato sodalizio credevano in lui. Pasquale però, preferì pensare alla vita extra sport e alla sua nascente attività commerciale che, da Forlì, la città nella quale si era trasferito a sei anni dalla bidentina Galeata, lo avrebbe portato nel sanremese, in Liguria. Lì, in quella terra che al profumo dei fiori, aggiunge il fervore sognante degli epici passaggi del romanzo ciclistico, ha trascorso il resto dei suoi giorni. Lo ha fatto, senza rimpianti per aver terminato anzitempo il suo segmento sportivo, ma un pensierino a quello che poteva recitare, ogni tanto, fsaceva capolino. Erano le carezze dei ricordi, sempre e comunque un patrimonio che ci portiamo come penati immanenti nel nostro cammino.

Robert Hagmann (Sui)
[Immagine: 15312542111325Hagmann,Robert.jpg]
Nato a Bellach il 2 aprile 1942. Completo. Alto 1,75 m. per 66 kg. Professionista dal 1962 al 1970 con 14 vittorie.
Un grande talento deviato nella crescita e nella carriera da un padre mezzo padrone e mezzo tecnico, che ha stabilito per lui allenamenti e programmi, senza mai capire l'originalità e la forza di un figlio talentuoso e potenzialmente ribelle. Fatto sta che Robert, è spesso silenziosamente imploso, ed ha sicuramente rattrappito una carriera che poteva essere luminosa. Biondo stoppa coi capelli dritti come crine di una spazzola, aveva una facilità di pedalata e nessun punto debole evidente. La debolezza, gli veniva dall'asfissia che il padre imponeva come se lui fosse il ganglio di una catena di montaggio. Premesso che allenare a mo' di catena è da pessimi allenatori in quasi tutte le discipline sportive, nel caso del giovane Hagmann, era l'esatto contrario di quello che serviva alla mente del ragazzo e ne uscì un corridore con tante zone d'ombra psicologiche, nonché una fragilità mentale, che lo spingeva a correre poco.
Già a 19 anni, nel 1961, Robert Hagmann vinse da dilettante il Giro dei 4 Cantoni che vedeva alla partenza anche dei professionisti. L'anno successivo era già professionista nella Tigra. Nel 1963, vinse la corsa della Cote di Balmberg e finì 7° nel Tour de Suisse, ma paradossalmente, basò la sua corsa sulla regolarità quando lui era di natura attaccante. Lo voleva il padre. L'anno seguente, sempre al Tour de Suisse, fu autore di prestazioni contrastanti. Nella lunghissima e dura crono di Basilea (71 km), corse con esagerati rapporti agili e si beccò un ritardo tale da uscire di classifica. La paura del padre era che non reggesse la distanza. Fatto sta, che l'ultima tappa di quel Suisse, che si concludeva a Losanna, la più lunga coi suoi 260 chilometri, fu vinta proprio da Hagmann che la chiuse con straordinaria freschezza. In classifica chiuse 9°. In quella stagione vinse anche il Circuit du Jura a Dole e il GP di Strasburgo, fu 2° a Bad Schwalbach, 3° nella tappa più importante del Giro di Romandia, 4° nel Campionato Nazionale e 34° al Mondiale. Nel 1965 parve finalmente esplodere: vinse il Campionato Nazionale su strada, la tappa a cronometro di Sattelegg del Tour de Suisse (due giorni dopo si ritirò), finì 3° al Tour di Romandia, 3° nel GP di Lugano, 5° nel Campionato di Zurigo e nel Giro dei 4 Cantoni. Chiuse la stagione col 42° posto ai Mondiali di San Sebastian. Nel 1966 passò alla Ford France di Jacques Anquetil, che l'aveva individuato come un campione potenziale e visto quel che fece per Lucien Aimar, c'è da chiedersi che razza d'occasione abbia gettato al vento Hagmann. Già, perché la stagione dello svizzero fu incolore, col solo successo nella corsa della Cote di Eschenbach, il 4° posto nel Giro di Romandia ed il 10°, deludente, del GP delle Nazioni. Di fatto, l'appartenenza ad un grande team, scombussolò Robert, che subì maggiormente la pressione del padre e si perse nel grigiore. Nel 1967 tornò alla Tigra, ed ancora una volta parve esplodere. In quella stagione fece sua una classica come il Campionato di Zurigo, la tappa a cronometro del Giro di Romandia, finì 2° nella Parigi-Vimoutiers, in tappe del Tour de Suisse, del Giro di Romandia e del Giro di Catalogna, finì 3° nel Gran Premio delle Nazioni, nel Giro di Catalogna, nel GP di Lugano a cronometro e chiuse 10° il Mondiale del Nurburgring. Nel 1968 vinse una tappa al Giro di Romandia (chiuso 3°), poi in quel Tour de Suisse che era lautamente nelle sue possibilità, vinse tre tappe, ma gli sfuggì per una trentina di secondi il successo finale, che arrise a Louis Pfenninger, uno che non lo valeva di certo. Insomma, ancora una volta, quelle amnesie che rattrappivano sovente Robert Hagmann, avevano avuto il sopravvento, anche se di poco. Nell'anno, trionfò anche nella prova a cronometro del Chpt de Suisse e si piazzò 4° nel Giro del Ticino, 6° nel Campionato di Svizzera. Un'altra macchia di stagione: il ritiro al Tour de France. Nel 1969 e '70, Robert corse poco e senza risultati, le sue paturnie avevano preso il sopravvento e concluse alla chetichella una carriera che poteva essere realmente luminosa, perché di doti ne aveva davvero tante.

Silvano Ravagli
[Immagine: 14395449223538ravagli73.jpg]
Nato a Pistola il 2 aprile 1947. Passista scalatore, alto m. 1,77 per kg. 69. Professionista dal 1971 al 1974 senza ottenere vittorie.  
Un corridore solido e senza punte di nota, ma dal rendimento medio discreto, atto a lavorare bene per la squadra e lasciare una onesta traccia. Ravagli è sempre stato un corridore di sostanza, anche da dilettante, dove pure ha vissuto due annate di rendimento maggiore: nel 1967, quando vinse il Gp Cenaiesi, il Corcuito San Terenzio e soprattutto la dura Coppa Verignana e nel 1970, quando s’affermò nel Gp Comune di Cerreto Guidi e nel Gp Calzifici e Calzaturifici Stabbiesi. Furono questi successi a lanciarlo, nel 1971, fra i professionisti della Hertekamp-Magniflex-Novy, squadra affiliata in Belgio, ma con forte componente italiana guidata da Carlino Menicagli.
Ravagli partecipò nell’anno d’esordio al suo primo dei quattro Giri d’Italia che lo videro allo start. Concluse la Corsa Rosa al 56° posto, piazzamento pregiudicato nella prima parte, perché nelle frazioni di montagna se la cavò piuttosto bene. Non a caso fu un evidente nel tappone del Grossglockner, che chiuse 11°. Nel resto della stagione colse il miglior piazzamento proprio al Campionato Italiano: 14°. L’anno seguente fu 6° nella tappa di San Benedetto del Tronto alla Tirreno-Adriatico, indi partecipò alla Vuelta di Spagna lavorando per gli sprint di Rik Van Linden e per la classifica di Joaquin Agostinho, prima del di questi ritiro. Concluse la Vuelta al 46° posto. Al Giro d’Italia fu 7°, in mezzo ai grandi, nella tappa che si concludeva sul “dentino” di Fermo e concluse la grande corsa a Milano al 24° posto. Nel 1973 passò alla GBC, fu 15° al Giro di Romagna e chiuse il Giro d’Italia al 45° posto. L’anno seguente in seno alla Furzi subì un calo di rendimento anche per diversi malanni. Al Giro d’Italia si ritirò ed a fine stagione abbandonò l’agonismo.
 
Maurizio Ricci detto Morris
 
Rispondi


[+] A 4 utenti piace il post di Morris
  


Vai al forum:


Utente(i) che stanno guardando questa discussione: 1 Ospite(i)