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Martin Emilio “Cochise” Rodriguez
#4
(24-05-2018, 08:01 AM)Luciano Pagliarini Ha scritto: Ciao Morris.

Volevo chiederti, quando hai un attimo, d'un altro grande colombiano: Ramon Hoyos.

Leggevo di lui tempo fa....ma com'è che pedalava?


Anche se ho ritratto migliaia e migliaia di corridori, di Hoyos, come di diversi altri ciclisti di una certa evidenza, non ho ancora scritto una biografia. Il perché, è presto detto: non sono mai passati al professionismo. Tempo fa, parlando di ciclismo degli anni sessanta, settanta e ottanta, relativo a paesi organizzati soprattutto nella FIAC, Piotr Ugrumov e Sergei Uslamin, vedendomi assai informato, mi invitarono a scrivere un libro sui grandi ciclisti dell’Unione Sovietica e di tanti altri dell’est europeo. Non diedi spago al loro consiglio, non per particolari motivazioni, ma solo perché la vita, spesso, ti cancella certi itinerari, senza darti una ragione diversa da quell’insieme di episodi che ti portano altrove senza chiederti opinioni e volontà. Continuai così a scrivere, con una certa cadenza, di corridori giunti al ciclismo che da più facilmente leggenda: quello professionistico, appunto.
Ramon Hoyos, è stato senza dubbio il quadro più illuminato e schiudente l’intensità d’amore del popolo colombiano verso il ciclismo. Potremmo pure dire: una splendida alba pionieristica, senza averne le caratteristiche d’età di genesi, ma con quella profondità coinvolgente che crea il mito. Ed Hoyos, è davvero un mito dell’intero ciclismo sudamericano. Poi, sui suoi valori tecnici, potremmo discutere a lungo senza giungere ad una soddisfacente conclusione, perché mancano raffronti più concreti rispetto alle poche occasioni internazionali in cui Hoyos si cimentò, ed in questo quadro va  pure evidenziata l’ondivaga collocazione e considerazione del ciclismo colombiano nella storia ciclistica più complessiva. D’altronde, la Colombia, anche nel calcio ha vissuto fasi assai altalenanti con apici pure opposti. Senza entrare per brevità sulle motivazioni a monte, che poco hanno a che fare con lo sport, la Colombia è stata, ad esempio, il vero paradiso per il rilancio e l’elevazione di grandissimi calciatori sudamericani, argentini in particolare, come Alfredo Di Stefano (forse il più grande calciatore di tutti i tempi) e Adolfo Pedernera nei primi anni del dopoguerra. Poi, più tardi, per questo grande paese sudamericano, una forma d’isolamento arrivò anche nel calcio. Nel ciclismo gli anni di Hoyos, sono vicini se non identici al pedale di tantissimi paesi che non avevano professionisti, ed aspettavano le Olimpiadi per vivere il vertice assoluto del confronto internazionale. Gli anni di “Cochise” Rodriguez, invece, furono più contraddittori: se da una parte i richiami al professionismo crescevano anche in Colombia, dall’altra e dall’Europa in particolare, iniziarono a concretizzarsi forme di ostracismo verso il più concreto e forte paese sudamericano nello sport del pedale. Ed in questo quadro, troviamo uno dei motivi che portarono al rifiuto dell’iscrizione di “Cochise” alle Olimpiadi di Monaco (dove avrebbe molto probabilmente vinto una medaglia….).
Ma torniamo ad Hoyos. Sicuramente un grande scalatore, senza averne la taglia ideale (anche per quei tempi), con una forza erculea ed un fisico in grado di assorbire l’impatto con strade aventi fondi anche peggiori di quelli del ciclismo pionieristico europeo, rese più gravi, sovente, dalla rarefazione dell’aria in altura. Un fisico grezzo, senza le correzioni dell’allenamento specifico, con un torace di evidenza ed una capacità polmonare che gli consentiva di pompare litri d’aria nella dimensione dei grandi, nonché capace di sopportare la convivenza col fumo di una media di nove grossi sigari al giorno. Già, perché fra i tanti nomignoli ereditati da Hoyos, c’è pure quello di “Bartali di Antioquia”, un po’ per lo stile di pedalata, ed un po’ proprio per la passione verso il fumo. D’altronde, fra i grandi ciclisti, ci sono stati “fumatori” che non t’aspetti, come Eddy Merckx ad esempio, che le pur pochissime sigarette se le è concesse a lungo. 
Sulla pedalata, invece, l’accostamento con Bartali è forse eccessivo, per una serie di riflessioni che dovremmo sempre fare quando andiamo a discutere sui ciclisti di un tempo. L’ondeggiamento di spalle e testa nella pedalata in salita, è infatti stata una costante dei corridori fino a pochi lustri fa, per una ragione precisa: la mancanza di allenamenti specifici sugli arti superiori da svolgere in palestra durante l’inverno e, pure, anche se in maniera molto meno intensa, durante le fasi agonistiche. Ma l’andatura screziata era pure dovuta alla morfologia stessa delle biciclette. In esse,  infatti, oltre al peso ben maggiore rispetto ai tempi recenti, gravava la poca conoscenza della biomeccanica, sia per quanto riguarda i telai che per la posizione della postura. Inoltre, i rapporti a disposizione erano pochi, decisamente più duri rispetto agli attuali, che diventavano durissimi all’impatto coi fondi stradali di quei tempi. Un insieme di fattori che mettevano davvero il ciclista di fronte ad un inconscio bisogno di difendersi ed arrangiarsi al fine di aggredire la strada, in modo particolare per i corridori sudamericani. Hoyos, fu detto e scritto, pedalava in salita a gambe larghe, un po’ seduto ed un po’ sui pedali, alla Bartali si diceva, ma non era così screziato come qualcuno può intendere. Tra l’altro, a contribuire a fare leggenda sulla pedalata di Ramon, pure la non chiara interpretazione sull’esattezza dell’appellativo che gli fu dato, ovvero “El escarabajo de la montana” (Lo scarabeo di montagna), che qualcuno vorrebbe mal interpretato sulle volontà di chi, in qualche modo, lo coniò: nientemeno che il futuro Nobel per la letteratura, Gabriel Garcia Marquez. Per diversi, infatti, il grande scrittore, allora nei primi anni dell’esperienza giornalistica, voleva intendere saltamontes, ovvero cavalletta, il cui passo è diverso da quello di uno scarabeo, ma, soprattutto, l’intenzione di Garcia Marquez era quella di evidenziare l’efficacia di Hoyos nel superare gli ostacoli dettati dalla montagna. In altre parole, anche questo ha fatto leggenda, perché l’osservatorio di cui Hoyos ha potuto in qualche modo godere, oltre al grande scrittore, si impreziosì di altre figure del mondo dell’arte, come quella, ad esempio, del pittore Fernando Botero. Quel che è certo, a parer mio, è che le pedalate brutte e sgangherate, non fanno tappa su Roman Hoyos. Lo stesso ancor più leggendario Federico Alejandro Martin detto Bahamontes pedalava in modo simile ad Hoyos.
 
Ciao!

P.S. Caro Old, non mi sono dimenticato! 
A presto, ora devo scappare.
 
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Martin Emilio “Cochise” Rodriguez - da Morris - 24-05-2018, 07:07 AM
RE: Martin Emilio “Cochise” Rodriguez - da Morris - 11-06-2018, 06:25 PM

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